Chi siamo
Il sacro nell’opera di Sassu
‘Dopo un precocissimo esordio futurista, Aligi Sassu diviene, negli anni Trenta, uno. dei protagonisti dei rinnovamento in senso antinovecentista o neoespressionista della giovane arte italiana. La crisi che accompagna la seconda guerra mondiale porta l’Artista ad accostarsi ai grandi temi della Passione, identificando la tragedia universale nella tragedia di Cristo. Egli trasporta i temi sacri nella dimensione, a lui consueta in quegli anni, di dramma sociale e privato, misterioso e tremendo, entro una banalità quotidiana che qualcosa di oscuro ed irrevocabile minaccia. Finchè anche per Sassu, antifascista e militante e nel 1937 condannato per questo a un anno e mezzo di carcere, il martirio di Cristo coincide perfettamente col martirio dei popoli. La “Crocifissione” equivale alla “Fucilazione nelle Asturie”, la “Deposizione” è il contraltare della sepoltura di un partigiano ucciso; tragedia divina e tragedia umana sono la stessa cosa. Sassu stesso nel 1957 scrive nel catalogo della sua mostra della Galleria San Fedele di Milano: “Dalla prima “Deposizione” del 1931 ad oggi, il tema della morte di Cristo è ricorrente nel mio lavoro con una insistenza ossessiva. E’ questo un tema attorno al quale la mia fantasia lavorava, quasi un configurarsi della tragica urgente condizione dell’uomo, dell’uomo della nostra epoca”. A partire dagli anni Quaranta, Sassu ha spesso affrontato un altro argomento squisitamente cattolico, quello dei “Concili”. In essi lo affascina la suggestione dei rituali, la pompa della Chiesa in manifestazioni che sono anche spettacolo: egli ha infatti sempre dato importanza al “teatro”, inteso come luogo di eventi portati ad un grado più alto degli eventi reali. Il potente amore per la vita porta Sassu a ritenere le grandi sigle figurative dell’arte di ieri e di oggi come un vero e proprio alfabeto poetico-espressivo. Di Goya, Michelangelo, Delacroix, Rubens, Ensor, egli assume i sentimenti e i significati simbolici, piuttosto che imitarne soltanto la maniera. Nella pittura, così come in tutta l’esistenza, Sassu mostra di prediligere, con furente passione, sempre e soltanto la vita e la creatività. Sentimenti, azioni, passioni, suscitano in lui curiosità e bisogno di creare un linguaggio: è il farsi immagine del confuso urgere della vita: l’emozione come rivelazione del meccanismo del vivere. Nel già citato catalogo della Galleria San Fedele, Sassu scrive: “Quel ponte che dalla nascita dell’uomo ci conduce passo passo alla morte è come una vena viva di sangue che si rivela in tutti i suoi elementi di sacro, di tragico, di grottesco, ma sempre lo specchio della nostra umanità, della nostra ansia dei vero, dell’essere uomini veri tra gli altri uomini”. Non si può quindi parlare di un Sassu-sacro a sé stante; si può invece affermare con Mascherpa che Sassu nella sua passione per la vita “non ha certo discriminato la religione e nella sua ferma coerenza ideologica laica non ha mai messo in dubbio il rispetto della fede religiosa, del suo millenario carisma di trascendente invito all’amore per l’uomo e, appunto, per la vita”, “affidandosi a quella che forse è la sua dote umano-artistica più alta, la “purezza dei cuore”, che gli consente appunto di assumere e di partecipare con schietta semplicità di intenti e di anima, alla vita quando essa nasce e si manifesta nelle nostre mani e nel nostro cuore”.’