venerdì 31 agosto, ore 17.00
POLITICA E LIBERTA’
Incontro con:
Giulio Andreotti
Presidente del Consiglio dei Ministri italiano
Jan Carnogursky
Vice Primo Ministro Slovacco e leader del Movimento Cristiano Democratico Slovacco
Hans Dietrich Genscher
Ministro per gli Affari Esteri della Repubblica Federale di Germania
Modera:
Roberto Formigoni
R. Formigoni:
Politica e libertà è il tema dell’incontro d’oggi che vede ospiti d’eccezione per un confronto internazionale su temi che sono da sempre all’attenzione del Meeting, e con una novità essenziale, data dalla nuova situazione storica in cui il Meeting di quest'anno si colloca. Parlare di politica e libertà è credo cogliere il centro stesso della politica, è collegare la politica al suo scopo essenziale. Ci sono molteplici aspetti della libertà che interessano all’uomo in ogni epoca: certamente la libertà sociale come libertà d’azione, d’iniziativa, di cultura, d’educazione, come possibilità per il soggetto umano d’essere protagonista in diversi campi. C’è una libertà economica, perché laddove l’azione economica dell'uomo è ostacolata, o anche minimamente impedita, è in pericolo la stessa democrazia. C’è più in generale la libertà civile come diritto, d’ogni uomo di partecipare alla determinazione del governo comune. E c’è infine un aspetto particolarmente interessante della libertà, che certamente ci sta molto a cuore, la libertà religiosa, quella che Giovanni Paolo Il con una notazione in un congresso di parlamentari cristiani, definì come il compito primo da raggiungere da parte d’uomini politici cattolici, perché laddove c’è libertà per la Chiesa, lì è garantita la libertà per ogni uomo. Bene, tutto questo, dicevo, si colloca all’interno dei singoli paesi, e noi abbiamo qui ospiti provenienti da tre paesi diversi, perché ci parlino delle condizioni storiche della libertà oggi all’interno del loro paese. Ma questo si colloca sempre più, per quell’interdipendenza a livello mondiale, che è la caratteristica della storia contemporanea anche secondo l’annotazione acuta della "Sollecitudo rei Socialis", almeno secondo due aspetti: quello dell’Europa, innanzi tutto, la Comunità Europea da una parte, i nuovi paesi dell’est europeo dall’altra e il rapporto tra il complesso di queste aree e altre zone del mondo, il terzo mondo in particolare. Ma oggi, proprio per collocare il discorso storicamente, ci sono altre situazioni presenti al nostro intendimento, in particolare la zona di crisi del Medio Oriente, in cui la preoccupazione è costituita sia dalle violazioni gravissime del diritto internazionale intervenute, sia da situazioni preesistenti che vogliono e sono presenti al cuore del Meeting: penso al problema del popolo Palestinese, penso alla libertà e all’integrità di una terra come il Libano, ai milioni d’uomini e donne arabe che vivono in una situazione di contraddizione grave. Chiedo dunque ai nostri relatori, come questo nesso politica-libertà si pone all’interno della loro situazione e secondo questa dimensione internazionale. Il primo giro d’interventi avrà inizio dall’intervento del ministro per gli affari esteri della Repubblica Federale di Germania, il ministro Genscher, che ringraziamo della sua presenza anche per quest’anno.
H. D. Genscher:
Innanzitutto saluto i partecipanti al Meeting 1990, e li saluto per la prima volta in nome dell’intera nazione tedesca. In queste settimane i tedeschi, in pace ed in libertà, tornano assieme; tutto ciò che si è attuato quest’anno in Europa non è il trionfo dell’occidente sull’oriente, è semplicemente il trionfo della libertà sulla mancanza di libertà. E’ il trionfo dello spirito sul materialismo, l’Europa torna con il pensiero a se stessa, alla sua storia, alla sua cultura, ai grandi valori che essa ha donato al mondo: libertà, dignità umana, umanità. E a noi adesso viene dato il compito di terminare, di completare l’unità dell’intera Europa. Ciò che ci divideva non erano barriere linguistiche o culturali, ciò che ci divideva erano le ideologie. E questo naturalmente ci pone davanti a grandi compiti. Dobbiamo provvedere alla giustizia sociale, che si diffonda e si realizzi dappertutto in Europa: l’Europa non dovrà correre il pericolo di nuove divisioni tra i ricchi dell’occidente e i poveri della parte orientale che hanno dovuto e che debbono superare le conseguenze di decenni d’economia socialista. Dobbiamo liberare l’Europa dai carichi degli armamenti. Dopo che sono caduti i muri di pietre, deve cadere anche il muro che è costituito da carri armati, bombe e granate. Dobbiamo sviluppare la nostra Comunità Europea in un’unione politica, dobbiamo realizzare l’unione economica e l’unione monetaria, e questa Comunità Europea deve essere un esempio di cultura europea pacifica, perché naturalmente una volta che è terminata la guerra fredda, in luogo della lotta tra le ideologie non è possibile che subentri un nuovo nazionalismo. Noi vogliamo realizzare la grande Europa, con il rafforzamento delle relazione tra i vari popoli ad occidente e ad oriente, con l’inclusione dell’Unione Sovietica; una nuova Europa, fondata sulla libertà, giustizia sociale, e soprattutto tolleranza. Credo che sia molto importante che noi portiamo a tutti il grande significato della tolleranza: non è sufficiente sopportare gli altri, con la loro lingua diversa, con la loro cultura, religione, colore di pelle diversi, noi dobbiamo volerli con il loro colore di pelle, con la loro religione, con le loro altre concezioni politiche diverse dalle nostre; nel loro essere diversi rendono più ricco ciascuno di noi. Se noi intendiamo e sentiamo così, elimineremo una volta per tutte l’odio, che è stato sempre punto di partenza di nuovi conflitti e di nuove guerre e di quelle calde e di quelle fredde, del terrorismo. Questa nuova Europa è una e deve diventare un’Europa della tolleranza. Vogliamo amare il nostro prossimo senza vedere in lui il nostro nemico, e se riusciremo a realizzare questo riusciremo a risolvere in piena libertà anche i problemi della nostra società e potremmo bandire dal mondo, una volta per tutte la guerra. Già ora possiamo vedere che il superamento della contrapposizione tra oriente ed occidente provvede a contrapporre una presenza chiusa e decisa nei confronti dell’aggressore iracheno, e quindi questa coesione di pace in Europa ha i suoi effetti sulla stabilità mondiale. Un’assicurazione della pace rappresenta solo una delle sfide che sono sempre più globali, per esempio la protezione delle basi naturali che fondano la nostra vita, il superamento della fame nel mondo, della povertà, e soprattutto delle malattie. Se oggi falliamo, se noi non possiamo, non siamo capaci di conservare la pace, di proteggere le basi naturali della nostra vita e del nostro ambiente, allora credo che per tutte le generazioni future, vivremo con grande difficoltà, oppure riusciremo anche ad eliminare la vita stessa per le generazioni future. E noi possiamo accettare queste grandi sfide soltanto nella libertà, perciò è mia ferma convinzione che libertà e pace siano inscindibili l’una dall’altra. Dobbiamo porre fine alla guerra dell’uomo contro l’uomo in una società disumanizzata, alle guerre tra popoli e dobbiamo porre fine anche alla guerra tra l'uomo e la natura, contro la creazione, di cui siamo una parte. La persona può vivere solo se conserviamo e tuteliamo la pace e la libertà esiste soltanto laddove esiste la vita, perciò oggi dico a voi, alla vigilia dell’unificazione tedesca, che noi tedeschi abbiamo imparato la lezione della storia, noi oggi siamo obbligati alla libertà, alla democrazia e all’umanità. Nella Repubblica Federale Tedesca c'è una tradizione quarantennale di libertà, i tedeschi della Repubblica Democratica Tedesca si sono acquistati pacificamente la libertà, noi abbiamo soltanto un messaggio ai popoli del mondo, noi non vogliamo essere nient’altro che un popolo che vive in libertà, ed in pace, in amicizia e buon vicinato con tutti i popoli di questo mondo, in questo senso vi do il mio saluto.
R. Formigoni:
Grazie. Il secondo intervento è affidato ad un uomo che un anno fa, all’epoca del decimo Meeting per l’amicizia fra i popoli, era ancora un clandestino del suo paese, un dissidente. Oggi è uno dei massimi protagonisti della vita politica e del dibattito sul futuro, non soltanto del suo paese, ma dell'Europa. Parlo di Jan Carnagursky, leader del movimento democratico cristiano slovacco e vice primo ministro slovacco.
J. Carnagursky:
Questo incontro su "Politica e libertà", mi rende un po’ sentimentale, perché, ancora un anno fa, ero in prigione e proprio in quest’epoca mi erano state fatte due grosse accuse. E proprio in quest’epoca, molto probabilmente stavo subendo un interrogatorio. Con un aspetto specifico della libertà religiosa, ho dato inizio anche alla mia attività politica pubblica. Nel 1978 ho iscritto mio figlio all’insegnamento della religione nella scuola, la direttrice mi ha minacciato, dicendo che se non lo avessi ritirato dall’insegnamento della religione, ne avrei subito le conseguenze, cioè mio figlio non avrebbe più potuto continuare a studiare. Ancora un’esperienza che fa parte di questa categoria: in prigione ho posto come condizione per rispondere alle domande che mi sarebbero state poste di avere la Bibbia nella mia cella. Nonostante che nel nostro paese non ci fosse stata negli ultimi vent’anni alcuna edizione della Bibbia (ovviamente era vietata anche importazione di Bibbie dai paesi esteri) dopo due mesi circa di prigione, la polizia ha rinunciato e mi ha fatto avere una Bibbia in cella. Probabilmente quello era proprio il momento giusto perché ero nelle condizioni migliori per leggere la sacra scrittura in piena tranquillità. Perché due settimane dopo il mio rilascio, sono diventato membro del nuovo governo della Cecoslovacchia, e da quel momento non ho proprio più tempo per poter leggere la Bibbia con tranquillità ed in pace. Il regime comunista nel mio paese è caduto tanto rapidamente proprio perché la gente da noi, da molto tempo aveva riconosciuto la sua artificiosità, e soprattutto la sua carica negativa. L’opposizione contro il regime comunista ha registrato qualche differenza tra la Slovacchia, per esempio, ed i paesi invece Cechi, della Boemia, della Moravia. Qui l’opposizione era principalmente fondata su spinte culturali, ovviamente con l’inclusione e la presenza dei cristiani. Mentre i leader di questa opposizione erano intellettuali proprio personalità culturali, con a capo Vaclav Havel, nella Slovacchia l’opposizione si fondava soprattutto sull'attività clandestina di tipo religioso. Di quel tempo mi ricordo molto bene, e mi ricordo anche proprio i contatti che ho avuto con persone del vostro movimento. Venivano da noi come turisti e ci portavano informazioni dell'occidente, naturalmente raccoglievano informazioni e le portavano in occidente, illustrando all’opinione pubblica occidentale la nostra vita ed il nostro modo di pensare. Dopo il crollo politico del regime comunista, tutto l’apparato del diritto è stato democratizzato, i diritti umani sono adesso garantiti e sono state attuate libere elezioni. Il nostro problema è che l’atmosfera intellettuale nel nostro paese non ha subito modifiche così incidenti, e soprattutto i Cristiani hanno vissuto troppo a lungo in modo sotterraneo tanto che in qualche modo si sono adeguati, quasi totalmente, a queste condizioni di clandestinità, e non hanno ancora imparato a presentarsi in televisione, a servirsi delle varie riviste di tipo culturale per esprimere le loro opinioni in modo abbastanza interessante. La Chiesa, che nell’ambito della lotta contro il regime comunista ha dato ottima prova di sé, deve ora risolvere due problemi, deve apprendere ad agire in una libera concorrenza all’interno della società e a realizzare la sua missione illustrandola all’opinione pubblica e deve imparare anche tutti i metodi che rendono possibile attuare questa sua missione in un quadro di condizioni nuove. Se ha potuto condurre con tale successo la lotta contro il regime comunista, ha acquisito attraverso questa lotta una coscienza di sé molto profonda con la quale crediamo possa senz’altro risolvere i problemi che le si presentano. Il nostro paese ha dei problemi economici pesanti, noi stiamo in qualche modo ricostruendoci e stiamo riordinando, ristrutturando tutto il sistema politico ed economico e nel contempo dobbiamo superare ed essere preparati alle difficoltà che insorgeranno, dovute soprattutto al fatto che l’Unione Sovietica ha ridotto drasticamente le sue forniture di materie prime. Queste sono le esperienze che possiamo offrire, che possiamo portare quale nostro contributo alla cultura della futura Europa. Grazie.
R. Formigoni:
Passiamo adesso la parola per l’intervento su politica e libertà a quello che forse si potrebbe definire l’uomo dei primati. Fra i tanti che detiene, ne ha anche uno che condivide, io sono convinto, con non molti dei presenti. Il fatto di aver partecipato a tutti gli 11 Meeting che si sono svolti a Rimini dall’80 ad oggi. La parola al presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
G. Andreotti:
Cari amici, prima di dare la mia risposta a questo quesito che ci è stato presentato dal Meeting di quest’anno, debbo portare le scuse e il saluto di Gabriele Valdes che era il quarto dei testimoni che avrebbe dovuto essere qui questa sera e non ha potuto per un impegno effettivo. E sarebbe stato particolarmente suggestivo averlo qui perché si trova nelle stesse condizioni del nostro amico slovacco. Un anno fa era un perseguitato, un oppositore quasi clandestino, oggi è presidente al Senato del Cile restituito alla libertà. Nel 1960 vi fu un dibattito alle Nazioni Unite molto importante. Era il momento nel quale, forse saltando anche sopra a delle difficoltà che esistevano, a delle preoccupazioni non effimere si stabiliva per tutti i paesi il diritto ad essere affrancati dai regimi coloniali e vi fu chi pose il problema - può darsi anche in buona fede - che non tutti erano preparati. In quella dichiarazione dell’assemblea generale dell'ONU del 14 dicembre del 1960, si dice che la mancanza di preparazione da parte dei popoli nel settore politico economico sociale o in quello dell’insegnamento, non può mai essere presa come pretesto per ritardare l’indipendenza. E un’altra delle risoluzioni delle Nazioni Unite del dicembre dello scorso anno che è passata un po’ forse senza un’adeguata pubblicizzazione: riguarda l’autorità dei pubblici poteri che riposa sulla volontà del popolo che si esprime per mezzo d’elezioni periodiche e oneste. Noi sappiamo che non esiste un modello che possa essere preso dall’esterno e portato in qualunque parallelo e in qualunque meridiano. La stessa deliberazione delle Nazioni Unite ci dice che non esiste alcun sistema politico, alcun metodo elettorale, che possa convenire ugualmente a tutte le nazioni ed a tutti i popoli. Però sappiamo che questo cammino in cui la libertà deve essere garantita e costruita dal popolo come tale, attraverso libere espressioni di volontà, può avere dei particolari diversi ma è una strada univoca, unica per realizzare quel disegno di giustizia nel quale tutti cerchiamo di lavorare sul piano interno e sul piano internazionale. Noi parliamo di suffragio universale, ma anche nella nostra nazione fino al 1911 votava solo un piccolo numero di persone, per la propria posizione aristocratica, per la propria posizione o sociale o d’altra natura, ma certamente di élite. Successivamente abbiamo visto ed esaltato Giolitti come l’inventore del suffragio universale, ma era tanto poco universale che fino al 1946 le donne non hanno votato in Italia. Quindi era soltanto l’universalità degli uomini e non a caso in fondo si trovò una convergenza, anche se forse poi ognuno con una speranza interiore diversa ma con una logica comune, dei due più grandi partiti di massa nel volere questo. Noi oggi viviamo in una fase che è piena di preoccupazioni vecchie e nuove e sappiamo che altre ne verranno, non esiste il Paradiso terrestre, almeno a scadenza piuttosto ravvicinata. Però noi abbiamo una possibilità e lasciate che lo dica in un certo senso anche a vantaggio non di un partito politico d’uomini politici singoli ma della intera classe politica contemporanea. Noi stiamo lavorando per affrancare l’umanità da una serie di condizionamenti, d’errori e di tragici trabocchetti nella quale precipitava di tanto in tanto con delle conseguenze veramente inenarrabili e nemmeno tutte conosciute nella autentica loro possibilità di morte e di distruzione. Noi oggi abbiamo fatto un passo avanti e lo vedremo meglio nella parte successiva quando parleremo meglio dell'est. Fino a qualche tempo fa era inconcepibile il pensare, non dico ad un governo mondiale - questo ancora è lontano nelle possibilità, è un’utopia - ma alla possibilità di avere un sistema nel quale certe regole fondamentali di vita possano essere assicurate. Allora la libertà diventa un concetto effettivo, certo in una serie di cerchi: la libertà dei singoli nell’ambito della propria comunità, la libertà delle comunità nell'ambito della propria nazione e così via. Ma anche nell’ambito internazionale. La Società delle Nazioni aveva fallito prima della guerra perché non era stata capace di far valere quelle che erano le proprie deliberazioni. Molti problemi non si risolvevano perché c’era un mondo diviso in due, nel quale le grandi potenze erano in una posizione antitetica e, siccome (giusto o no che sia ma è cosi) le cinque grandi potenze che formano il Consiglio di Sicurezza quali membri permanenti hanno il diritto di veto - e cioè possono anche contro il parere di tutti gli altri messi assieme rendere inefficace una deliberazione - il lungo palleggio di veti che c’è stato tra est ed ovest ha reso praticamente scarsa la fiducia nei confronti della possibilità concreta delle Nazione Unite di fare rispettare i propri deliberati in funzione della salvaguardia della carta fondamentale in base alla quale le stesse Nazioni Unite esistono. Oggi siamo in una situazione nuova, quella della perestrojka, in una situazione nella quale si è rotto il senso d’ostilità pregiudiziale degli uni nei confronti degli altri (quasi arrivata al limite che se uno cambiava opinione essendosi convinto l’altro la cambiava di nuovo per non essere dalla stessa parte dell’antagonista attuale). Cito due soli aspetti per cui il discorso può avere delle prospettive positive. Primo, che stiamo camminando veramente sul campo della riduzione degli armamenti. Nessuno, per l’agitare d’armi di questi giorni, dimentichi il grande cammino che si è fatto in questo senso. Io sono lieto di essere qui ancora una volta assieme a Detrich Gensher perché tra le diverse cose e non sono poche quelle che abbiamo potuto costruire lavorando congiuntamente. C’è stato un appello che abbiamo fatto insieme a Ginevra per mettere al bando totalmente le armi chimiche. Questo non è ancora stato fatto e credo che qualcuno forse può farsi l’esame di coscienza, se ha questa abitudine, e cercare di riparare facendo presto a chiudere anche questo capitolo degli armamenti. Comunque questo è un cammino che si è fatto. Faceva impressione, ad ogni relazione dei colloqui tra Unione Sovietica e Stati Uniti d’America, sentire che metà e più del tempo era dedicata non a quelle che erano le tematiche certo importanti, in qualche maniera pregiudiziali, del disarmo, ma erano dedicati al campo dei diritti umani. All’inizio era sembrata un’utopia, quando nel 1975, a Helsinki, tutti i paesi europei - salvo l’Albania - si trovarono insieme e fissarono alcuni punti per una maggior fiducia nelle misure militari, per una maggiore collaborazione economica e per la tutela dei diritti umani. Ci furono gli scettici anche da noi che dissero: quali diritti umani potrà veramente garantire il signor Breznev, l’autore della sovranità illimitata? Sbagliavano, Breznev non era immortale e mettere sul campo giusto quelli che erano dei principi metteva in condizione lo stesso suo paese e tutti gli altri paesi di lavorare in questa direzione. Perché se fosse possibile che uno stato venisse cancellato per un’azione militare dalla carta geopolitica, allora ritorneremo veramente al dominio del lupo sull’agnello arriveremo a cancellare sul serio tutto quello che si è fatto di positivo in questo cammino. Ultima osservazione ma se ne potrebbero far molte. Noi costruiamo la libertà anche cercando di avvicinare i popoli europei. La comunità europea ha avuto questo significato e l'ha avuto non come un cerchio che si chiudeva autarchicamente, insensibile a quello che era fuori, ma come un cerchio che costruiva per dare anche un punto di riferimento agli altri paesi, in modo particolare a quelli europei. Allora le elezioni europee non sono un qualche cosa d’esteriore quanto il significato di un’altra tappa, piccola, se volete, ma importante per la direzione giusta. E io sono contento che nel Parlamento Europeo lavori con tanto prestigio, come vice presidente, Roberto e che vada in questi giorni proprio con una delegazione nei paesi arabi per portare una parola di solidarietà e giustizia. Come conclusione, possiamo allora dire che oggi la garanzia che tutto vada nel senso giusto passi attraverso le Nazioni Unite? Certamente no però c’è molto di più di quanto non ci fosse fino a qualche tempo fa quando questo mondo era diviso e questa divisione comportava anche quella all’interno dei singoli continenti, delle stesse nazioni. Noi sappiamo che questa strada deve essere difesa e deve essere continuata. Dobbiamo evitare di perdere di mira questa stella d’orientamento che chiamiamo libertà senza la quale la politica con la P maiuscola non può esistere, né nel campo interno né nel campo internazionale. Noi sentiamo che deve essere quello che da il senso del limite, dà l’impulso, che dà contemporaneamente la garanzia e dobbiamo evitare d’essere uomini politicamente alla moda sul piano internazionale. Mi sembra d’essere qualche volta davanti ad una lavagna nella quale uno scrive un nome, ad esempio Biafra, per sei mesi tutti si occupano del Biafra, dopo di che, risolti o non risolti quei problemi, un ignoto cancellino toglie quella menzione e ci scrive un altro nome, allora la concentrazione va su quest’altro problema. Il Signore non volle rispondere quando gli fu domandato che cosa fosse la verità, probabilmente anche una definizione precisa della libertà è molto complessa, ma noi sappiamo che cosa è la libertà e sappiamo che attraverso la formazione alla libertà si crea veramente il costume che contribuisce poi a renderla effettiva ed espansiva. Badate amici, occuparsi dei problemi di politica - il che non vuol dire che necessariamente una militanza attiva - corrisponde ad una partecipazione. Spesso diciamo che l’uomo ha il diritto a partecipare alla vita pubblica, io credo invece che l’uomo abbia il dovere di non disinteressarsi della vita pubblica nei modi in cui questo è possibile, nei modi di ognuno, attraverso la propria vocazione. Vorrei dire ancora, lasciatemelo dire, che coloro che hanno il dono della fede non possono pavoneggiarsi. Se coloro che hanno il dono della fede non hanno un senso di partecipazione alla formazione di queste volontà, di questi processi, avviene un inaridimento perché credo che ci sono cose che non tramontano e che sono ben anteriori a quello che è il testo stesso della carta delle Nazioni Unite. Ed è il salmo quando ci dice: se non è il Signore a costruire, non si costruisce, se non è il Signore a custodire nessuno è capace di avere una vigilanza efficace.
R. Formigoni:
Abbiamo ancora tempo e allora vorrei porre una domanda supplementare a ciascuno dei partecipanti. La prima è per il ministro Genscher, che ha con il Meeting una tradizione di grande esplicitezza. Il timore diffuso che qualcuno esprime, e qualcun altro non esprime, ma sente, è che la Germania diventi troppo forte e in qualche modo si dimentichi o faccia impallidire la sua collocazione europea. Nel primo intervento ha parlato con chiarezza di un impegno della Germania per l’unità dell’Europa e ha usato una parola impegnativa: l’unione politica europea. Le domando di più e le chiedo: quale sarà il contributo politico, culturale ed economico della Germania unita per l’unità dell’Europa?
H. D. Genscher:
Abbiamo la possibilità con la nostra Comunità Europea di fornire un esempio del superamento del nazionalismo in quanto intendiamo noi stessi come unità, dal punto di vista politico, economico, ecologico. Noi vogliamo inglobare il nostro destino tedesco nel destino europeo. Se noi vogliamo l’unità dell’Europa, allora questo significa che diciamo no alla politica di potenza del passato, e diciamo invece sì ad una politica di responsabilità. Non vogliamo assolutamente che la Germania sia una grande potenza, vogliamo intendere la Germania come una parte dell’Europa unita, portare il nostro contributo a questa unità, alla libertà e alla giustizia sociale nell’Europa tutta e ad una nuova cultura della convivenza, ed è importantissimo che noi impariamo ad avere rispetto per la cultura d’altri popoli. Le dittature, le dittature d’ogni possibile sfumatura, hanno sempre cominciato con il disprezzo degli altri popoli, delle altre forme di stato, e la democrazia deve invece sostituire a tutto questo il rispetto, per il prossimo, per gli altri popoli. Così intendiamo la vocazione europea dei tedeschi.
R. Formigoni:
Ora una domanda a Jan Carnogursky. Il ruolo dei cristiani in Cecoslovacchia, nella resistenza e nella battaglia dura e multiforme contro il comunismo, è stato importante ed è stato riconosciuto da tutti, però si ha l’impressione, dopo questo primo anno di libertà, e lo ha accennato anche lei nel suo intervento, che tenda a prevalere una cultura non solo laica ma laicista. Un atteggiamento ostile nei confronti della presenza cristiana. Forse anche in Cecoslovacchia si può parlare di una società vittima della secolarizzazione. Le domando, quale deve essere la via d'uscita da questa situazione, quale può essere la posizione e il lavoro dei cattolici per una ripresa del paese che sia forte anche nella cultura e nella loro tradizione?
J. Carnagursky
Direi che non si può affermare che l’atmosfera intellettuale e politica nel mio paese abbia queste connotazioni di contrarietà nei confronti della chiesa cattolica o della cultura cattolica. No, io direi il contrario. I monasteri vengono restituiti ai loro ordini, dopodomani nella Slovacchia saranno riaperte quattro scuole parrocchiali che daranno inizio alla loro attività già a partire da quest’anno scolastico, la chiesa cattolica ha trovato ingresso nella televisione e nella radio e i cristiani sono impegnati nella vita politica, adeguatamente rappresentati, anche a livello governativo, attraverso il nostro movimento cristiano democratico. Tuttavia si fanno sentire alcune voci che criticano le posizioni assunte dalla parte cattolica nel periodo attuale. E questo è il problema della chiesa cattolica, cioè che queste voci critiche possano essere confutate in modo razionale. D’altro canto la chiesa cattolica durante il regime comunista ha sviluppato determinati metodi o comunque un atteggiamento nei confronti della società, perché ora in queste condizioni di maggiore libertà non ha saputo trovare la necessaria maggioranza all’interno della società? Si tratta proprio del fatto che per esempio l’insegnamento religioso come parte integrante dei programmi didattici dovrà procedere in maniera graduale, cosa che fino ad adesso non è accaduta; si tratta per esempio del tipo di film che vengono proiettati in televisione. La chiesa cattolica ha di fronte tutto questo e dovrà trovare una posizione che venga sostenuta dalla società, trovare dei metodi e questi metodi noi dovremo impararli dai nostri omologhi nei paesi occidentali che hanno già avuto questi problemi e nella maggior parte dei casi li hanno già risolti molto bene. Siamo sicuri che l'immagine del mondo, l’immagine cristiana del mondo, potrà essere di grande aiuto alla vita sociale nel nostro paese e che in futuro la determinerà molto più di quanto non sia avvenuto finora.
R. Formigoni:
Presidente Andreotti, a lei una domanda che traggo da un passaggio del suo intervento di prima. Lei ha citato il tema del suffragio universale e devo dire che non è la prima volta che nei suoi interventi nella vita politica di questi anni torna su questa tematica con un’insistenza che almeno a me ha colpito. Quasi volesse indicare, far percepire a tutti che, forse è dire troppo, esiste un pericolo per il suffragio universale. Qualcuno in altri termini ha usato l’espressione - in un altro campo ma va bene anche per questo - che i voti si pesano e non si contano. Guai se questa regola intervenisse nel gioco politico! Presidente, vorrei invitarla ad andare avanti in questa osservazione. Quali sono i pericoli oggi per la libertà e per la democrazia piena?
G. Andreotti:
Il problema è in un certo senso complesso, ma può essere ridotto ad un’affermazione molto semplice. Ognuno per il fatto di esistere, e in certo senso questo vale anche per chi, non esistendo, ha diritto ad esistere, è una creatura, è una persona e deve essere come tale rispettato. Il sistema politico, qualche volta, fa ricorso al pluralismo, e per essere pluralista deve specialmente garantire il dissenso. Dove può nascere il condizionamento inverso? Può nascere certamente quando si ha un monopolio di stato o non di stato nelle informazioni, quando si ha una concentrazione eccessiva anche là dove non e strutturalmente necessario su un piano tecnico, dove vi è il predominio di determinate correnti che non lasciano alle altre corretti lo spazio per potere dibattere e per potersi affermare, per poter diventare un giorno correnti di maggioranza. In tutto questo vi è un po’ il timore che l’uomo, preso in molti paesi da nuove possibilità di una vita migliore, di una vita di partecipazione, da quello che si chiama consumismo, progresso diffuso, possa perdere proprio alcune caratteristiche. Era la distinzione che Hegel faceva tra il borghese, il bourgevois e le citoyen, quelli che si allontanavano dalla coscienza comune per andare in una coscienza di élite che li portava forse a star meglio nell’immediato, ma ad non essere più elementi attivi e di progresso. Questo sistema, in un certo senso, noi oggi l’abbiamo visto rivalutare da tutto quello che è accaduto proprio nell’est europeo. Io non nego che molta gente, forse nella stessa regione in cui noi ci troviamo qui adesso, per anni ha creduto in buona fede che il modello comunista internazionale sacrificava un po’ di quella che era la libertà - bontà loro, dicevano la libertà borghese, addirittura la libertà conservativa, una libertà reazionaria.-, ma risolveva i problemi della libertà effettiva, i problemi del lavoro, della uguaglianza. In fondo la disputa del sì e del no per dare una forma e un contenuto alla "cosa" sta in questo: di partire non da zero, ma da molto meno da zero. E lo dico non per discorsi di propaganda, ma sentendo sul piano umano la tragedia psicologica e morale d’alcune persone che hanno sacrificato tutta la loro gioventù credendo a questo e adesso si vedono direi "autocriticato" proprio il loro sistema e non possono più dire che è propaganda degli avversari. C’è un aspetto che ci riguarda anche proprio sul piano religioso. Noi per molto tempo abbiamo sentito che c’era uno spartiacque duro che era nei confronti del concetto di religione, non solo intesa nel senso di poterla o no abbracciare in un clima di libertà, ma nel senso di considerarla nemica, il famoso oppio dei popoli. Chi ha ritenuto di poter porre il problema in questi termini è stato sonoramente poi smentito quando ha visto che le cose cambiavano, che si celebrava il millenario della Santa Russia, che non c’era più questa persecuzione attiva nella Unione Sovietica. La migliore smentita, e guardate noi in quel giorno sentimmo veramente il dono di vivere in un periodo come questo, è stata nella visita di Gorbacev a Roma, il discorso sul Campidoglio quando ha detto: "La religione non è solo un patto di rispetto dei diritti individuali della persona, ma contribuisce, e già contribuisce, allo sviluppo globale del popolo sovietico". Volevo dire moltissime altre cose, ma spero di venire anche ai prossimi Meeting e se non vengo, commemoratemi. Se la nostra nazione è stata risparmiata dalla tragedia delle nazioni dell'est europeo, dalla tragedia della nazione Slovacca, che adesso ci è stata ricordata, certamente lo si deve anche ad altri, ma senza l’apporto deciso, massiccio, essenziale, prevalente dei cattolici democratici, l’Italia non sarebbe stata un paese libero. Questo noi dobbiamo dirlo con molta umiltà individuale, ma con grande vigore collettivo, ricordarlo un po’ a tutti a coloro che lo hanno dimenticato, a coloro che non c'erano e quindi possono non averglielo detto, perché è un dovere che noi abbiamo nei confronti di coloro che ci guidarono sulla strada giusta, nei confronti di coloro che ci insegnarono concretamente che su alcune cose non si devono fare compromessi e che i rischi non si devono temere, ma si devono affrontare. Io credo che questo debba essere veramente un segno e voi lo sentite molto bene. Forse ricordate un anno in cui venne qua da voi Roland Dumas, il ministro degli esteri francese, e disse una cosa molto bella: "Qualche volta si è capiti più da qualche straniero che da qualche connazionale". Ed ancora disse: "Giovani, rimanete come voi siete, voi non siete integristi, voi siete integri e questo vi fa onore".
R. Formigoni:
Concludendo questo incontro credo si posa dire questo: abbiamo visto dunque una volta di più che la politica serve per favorire una presenza, un lavoro d’uomini dentro la società perché o l’impegno politico è collegato ad una presenza viva nella società, ad una compagnia d’uomini, oppure inevitabilmente è la stessa nozione di libertà che diventa astratta e la politica diventa un puro gioco di potere. Quando invece la politica difende l’esperienza in atto di una libertà concreta, allora anche la politica torna ad essere affascinante e mi sembra che questo sia il linguaggio della politica vera, che il Meeting parla ogni anno. Un’ultima notazione: il Meeting fin dai primissimi tempi sottolineava quella dimensione dell’Europa dall’Atlantico agli Urali di cui tanti allora sorridevano con sufficienza. Oggi quest’anno in particolare, questa dimensione il Meeting l’ha realizzata. Questa dimensione però apre ad un impegno e ad un lavoro di tutti. Io ho più netta che mai questa sera la percezione che occorra realmente un soggetto che si faccia carico di questo lavoro per costruire un'Europa unita dall’Atlantico agli Urali nella sua dimensione, nella sua storia, nella forza della sua capacità di solidarietà. Costruire questo soggetto è il compito che ci portiamo via da questo incontro.