Giovedì 25 agosto

"UOMINI MALGRADO TUTTO: IL FUTURO COSA SALVERA' DELL'UOMO?"

Incontro con la fantascienza.

Partecipano:

Alex Voglino, Scrittore e Giornalista;

Jon Hobana, Segretario Generale dell'Unione degli Scrittori Rumeni;

Brian Aldiss, Scrittore;

Sergio Giuffrida, Membro dell'Associazione Mondiale dei Professionisti del Fantastico.

Moderatore:

Prof. Rocco Buttiglione.

R. Buttiglione:

L'uomo ha sempre guardato alle stelle come al luogo in cui abita quel Mistero da cui, in diverso modo, sente di essere fatto. Per tutte le grandi culture religiose dell'antichità il cielo è il trono di Dio. Lì si trova ciò che l'uomo aspetta come risposta alla domanda di cui è fatto. Il cielo rappresenta l'infinito a cui anche nel tempo moderno, volgono lo sguardo i poeti. Il cielo è l’esemplificazione più chiara del Mistero. L'uomo del nostro tempo per certi aspetti, ha svuotato il cielo, ne ha fatto uno spazio in cui si aggirano dei corpi celesti che non sono più messaggeri ed angeli del Dio vivente; e tuttavia questo cielo vuoto continua ad attirare lo sguardo dell'uomo. L'uomo non riesce a rassegnarsi alla finitezza. C’è in lui qualche cosa che pervicacemente lo spinge a rifiutare il limite del quale sulla terra egli è prigioniero, qualcosa che lo spinge sempre a cercare di andare al di là. Vi è una lirica di Leopardi, "L’Infinito", che esprime questa incapacità dell'uomo di rimanere a ciò che possiede, questo bisogno di andare oltre. Nella nostra epoca, questo bisogno ha trovato l'espressione più netta, più chiara, in un nuovo genere letterario: la fantascienza. Quando la scienza rifiuta di rispondere alle domande radicali sul senso dell'uomo, sulla direzione della storia, sul futuro, allora un nuovo genere letterario riprende queste domande e costruisce sulla tensione che porta l'uomo fuori del finito. La fantascienza ci parla di questo infinito verso cui l'uomo si muove: le stelle, e ci descrive questo rapporto, che insieme è un rapporto di attrazione per ciò che è lontano, ed è un rapporto di insoddisfazione per ciò che è vicino, per ciò che è finito. Abbiamo voluto proprio per questo la presenza di alcuni dei maggiori esperti della fantascienza, come Alex Voglino e Sergio Giuffrida, che hanno indagato criticamente il modo con cui questo tema si e proposto nel mondo letterario e nello strumento cinematografico. Abbiamo voluto che loro fossero con noi per discutere insieme qual è la segreta istanza dell'Uomo che si esprime in questa letteratura. Qual è la segreta stanza che fa in modo che tanti milioni di uomini, trovino in essa un alimento con cui confrontare o attraverso cui trasfigurare le proprie speranze, le proprie illusioni, le proprie frustrazioni. E abbiamo voluto con noi anche due grandi esponenti del lavoro critico sulla fantascienza e della fantascienza stessa come esperienza creativa: Jon Hobana e Brian Aldiss. Essi ci parleranno di questa speranza dell'uomo, ci parleranno del timore dell'uomo che nelle opere di fantascienza trova egualmente espressione, ci parleranno di ciò che il mondo può diventare, ci parleranno di come l'uomo può cambiare, perché la fantascienza, in realtà, tratta meno delle macchine e più dell'uomo, di cosa è veramente l'uomo, dello spessore antropologico di cui l'uomo è costituito. L'uomo può cambiare, ma c'è qualche cosa nell'uomo che non cambia: cosa è questo qualche cosa che non cambia? Qual è il nocciolo che non muta in un uomo che cambia e quindi, in un certo senso, a che cosa dobbiamo attaccarci per rimanere uomini, uomini malgrado tutto, come dice il tema della tavola rotonda? Ma diamo adesso la parola ad Alex Voglino.

A. Voglino:

Siete veramente tanti e spero che siate altrettanto comprensivi, considerando che mi è toccato il compito da un lato gradito, ma dall'altro ingrato di introdurre l'argomento e di dare anche una giustificazione a chi si domanda con perplessità il motivo per cui delle persone adulte e apparentemente ragionanti si occupano di fantasia. Nel linguaggio corrente dei nostri tempi, la parola fantasia ha una connotazione stranamente negativa; viene usata frequentemente come sinonimo di sciocchezza, di allucinazione, di divagazione gratuita. E questo è un retaggio linguistico dell'illuminismo ma è anche fatto molto curioso. La fantasia deve essere riguardata nella sua sostanza reale, perché è un sinonimo di immaginazione (altra parola a cui varrebbe la pena di restituire pienamente il suo significato etimologico). La parola immaginazione ha la stessa radice della parola latina "imago" che significa raffigurazione. L'immaginazione, quindi, che cos'è se non quella facoltà straordinaria dell'uomo, quell'elemento fondamentale della sua capacità di creare e che nell'immaginare di creare lo distingue totalmente dal mondo animale? L'immaginazione da millenni accompagna l'uomo con questa capacità di raffigurare tutte quelle cose che escono dall'esperienza derivante dalla percezione dei cinque sensi, da ciò che si può toccare, vedere, annusare. Quindi, io credo, che l'immaginazione sia proprio la facoltà che per millenni e da millenni ha fornito all'uomo, l'ambito naturale per fornirsi risposte e per farsi domande ultime, come si usa dire oggi: da dove veniamo, perché esistiamo, esiste o non esiste un’escatologia, una finalità di questo nostro essere nel mondo. E proprio l'immaginazione, da millenni, ha fornito all'uomo la sede naturale per rispondersi, per rispondere a queste domande con delle certezze, con delle evidenze, perché proprio l'immaginazione ha generato il mito. Ora, che il sacro sia, come qualcuno sostiene, una categoria soggettiva, cioè semplicemente una categoria della nostra mente umana, una delle molte possibili, o che il sacro sia, come io fermamente credo, una realtà assolutamente oggettiva, una realtà trascendente che esiste e con la quale è necessario fare i conti, ciò non di meno, nessun altra forma quanto il mito, ha la capacità di rappresentarlo a noi stessi, e di offrirci una chiave di lettura di esso, in maniera immediata, in maniera diretta, in maniera sostanzialmente plastica. Consentitemi di spiegare quello che sto dicendo con un esempio, facendo ricorso ad un simbolo che sicuramente è familiare a tutti quanti noi, il simbolo della croce. La croce è immediatamente, cioè nella sua semplice percezione visiva, il simbolo di una confessione religiosa, ma è anche, come probabilmente quasi tutti sanno, carica di moltissimi altri significati simbolici; l'incontro dell'asse verticale e dell'asse orizzontale esprimono l'incontro fra l'orizzontalità terrena dell'uomo e la verticalità della sua scintilla divina, tanto per citarne una. Ora, mentre a uno storico delle religioni moderno, per spiegare tutte queste cose è necessario un libro, o per lo meno, un capitolo di un libro, quindi un infinità di parole, a chi comprende il simbolo nella sua integralità, nella sua capacità di sintesi, tutti questi significati risultano automaticamente evidenti per il semplice fatto di vederlo, per il semplice fatto di percepirlo. Quanto avviene anche sul piano letterario attraverso il mito; la caratteristica simbolica del mito non è altro che quella di avere livelli di lettura molteplici. Citerò un altro esempio che dovrebbe essere sufficientemente familiare anch'esso: la Commedia di Dante. Dante stesso, parlando della sua Divina Commedia, disse che essa aveva non uno ma tre livelli di lettura. Uno strettamente letterario, ciò che dicevano le parole di per sé, uno metaforico che atteneva al piano politico o satirico, ed un altro che invece esprimeva esclusivamente le valenze spirituali che erano volutamente nascoste, ma aperte a chi le sapeva riconoscere. Il mito, come la Divina Commedia, ha molteplici livelli di lettura. Ho voluto premettervi tutto questo, anche perché ritengo che non si possa comprendere il fantastico senza comprendere il mito, perché il fantastico esattamente come il mito è un frutto dell'immaginazione umana. Naturalmente è un frutto di tipo diverso, di segno diverso, ma come dice Mircea Eliade, il mito non scompare mai, si degrada solamente, perde la lucidità, perde di trasparenza, diventa sempre più difficile percepirlo in livelli nascosti di lettura, anche se la parte letterale rimane quasi integra. Ora è possibile identificare un "cursus" che ovviamente sarò costretto a riassumervi in termini brevissimi, di evoluzione assolutamente privo di vuoti e di discontinuità che conduce dal mito fino al fantastico letterario moderno. La mitologia si è progressivamente evoluta nella sagra, nell'epica, è passata attraverso forme letterarie celeberrime come il ciclo dedicato a re Artù e tutto il ciclo del Graal che è un ciclo ricchissimo di simbologie religiose, si è giunti poi ad una sincope nel corso della storia dell'uomo, coincisa evidentemente con la sua crisi progressiva di certezza, soprattutto per quanto riguarda il piano spirituale, per cui il mito o meglio i contenuti del mito, si sono affidati a quella classica forma della narrazione popolare che è la fiaba. E dalla fiaba si arriva tralasciando i passaggi intermedi, al fantastico letterario. Il fantastico letterario nasce praticamente in contemporanea con il romanzo. Prendiamo per esempio, come riferimento, l'ambito della letteratura inglese, in cui sono avvenuti gli eventi più importanti, che hanno a che fare con il fantastico moderno. Il primo romanzo inglese viene datato intorno al 1730, e neppure una decina di anni dopo, nasce in Inghilterra il primo romanzo di quel filone che viene definito gotico, che in parole molto povere è quella letteratura inglese infarcita di castelli tenebrosi, di fantasmi, di strane presenze, di inquietanti terrori, che si è diffusa per un altro centinaio di anni, riscuotendo un'enorme popolarità. Narrazione, fra l'altro, che se riguardata nelle sue strutture essenziali, presenta alcune caratteristiche interessanti per chi come me va a ricercare i sedimenti del mito, anche in questo genere di letteratura, e che si svolge secondo una sequenza circolare estremamente significativa, che parte dalla rottura di un ordine, di una legge, di una regola da rispettare, cui segue la punizione di colui che rompe le regole, e infine abbiamo la restaurazione dell'ordine iniziale. L'agente della punizione del colpevole è sempre un elemento soprannaturale. La scomparsa dell'elemento soprannaturale dall'ambito di questa letteratura segna la nascita di quel genere che noi chiamiamo fantascienza e che, come oramai avrete capito, io considero soltanto una delle modalità dell'immaginazione, intesa in senso più generale. Questo avviene nei primi dell'800 con il "Frankestein" di Mary Shelley. Perché dico che con il "Frankestein" nasce la fantascienza? Perché improvvisamente, in un romanzo, dai toni apparentemente uguali a quelli che lo avevano preceduto, l'elemento principale diventa l'artificio scientifico. La generazione della vita è artificiale e non ricorre alla magia, ma ricorre a una macchina, ricorre a conoscenze dell'uomo acquisite secondo metodologie scientifiche e la distruzione e punizione del colpevole non nasce più dall'intervento del sovrannaturale che ormai esce dal tessuto del romanzo, che si ritira nell'ombra. La punizione è semplicemente una caduta su se stesso di questo uomo che ha osato troppo. Da questo momento il fantastico imbocca due strade fondamentali e tutt’oggi continua a correre su queste due strade parallele, che sono corrispondenti due opzioni fondamentalmente diverse nelle premesse e fondamentalmente uguali nelle conclusioni. Da un lato il fantastico si codifica come fantascienza, si dà determinati modelli letterari rivolti soprattutto verso il futuro, che vede come la sede ideale di una speculazione sulle possibili evoluzioni dell'uomo in tutti i sensi e si dà come ambito di ragionamento l'essere dell'uomo limitato esclusivamente da ciò che gli è possibile. Non necessariamente plausibile, ma possibile. E facendo questa scelta, e rinunciando a qualunque artificio sovrannaturale, e a qualunque credenza soprannaturale, sceglie di essere il fantastico del dubbio. Qualcuno dice che l’uomo si fa carico del dubbio, io dico che subisce il dubbio come frutto di una condizione nuova dell'essere umano. Dall'altro lato una letteratura fantastica diversa nei suoi moduli e nei suoi codici che, usando una parola ereditata dal vocabolario americano, noi chiamiamo "fantasy". La "fantasy" volutamente invece si riappropria dei modelli tradizionali del mito. Riscopre la magia, riscopre i cavalieri, riscopre un mondo in cui il sacro è addirittura centrale, è addirittura una componente del quotidiano. Non ci si nasconde che questa non è una radiografia della condizione reale dell'uomo, ma addita delle linee di vetta, non vuole parlare dell'essere dell'uomo, ma vuole parlare di quello che considera il suo dover essere, la possibile linea tendenziale di una riscoperta e di una riacquisizione della centralità del sacro nella costruzione di una civiltà che sia anche e prima di tutto comunità. Quelli tra voi che hanno avuto la fortuna di leggere il "Signore degli anelli" di Tolkien, opera fondamentale tradotta in decine di lingue venduta in milioni e milioni di copie in tutto il mondo, hanno sicuramente più facilmente degli altri compreso quello che ho dovuto necessariamente dirvi in modo sintetico. La fantascienza, invece, come fantastico del dubbio, segue tutti i momenti fondamentali di quello che per convenzione potremmo chiamare l'uomo moderno. Prima l'ottimismo, scientifico e tecnologico fino alla fine degli anni '40, poi un primo stato di crisi e di dubbio sull'evoluzione della nostra società, sui rischi che potevano essere insiti nella proliferazione tecnologica, sulla incapacità della scienza di fornire le risposte ultime a cui si era rinunciato nel momento in cui si aveva deciso di abbandonare il mito, e che esprime in modo più o meno affannoso nel cosiddetto mito ecologico, in questa prima paura di potersi autodistruggere che si fa luce e che si fa strada nella coscienza dell'uomo, fino ad approdare a una fantascienza che attualmente va per la maggiore che scimmiotta in qualche modo la "fantasy", che si è ridata le stesse strutture di quel fantastico così lontano di cui magari non ha neppure coscienza di avere le radici. Ma tutti e due, fantastico delle certezze e fantastico del dubbio, si sono incontrati però su un punto fondamentale, che è punto di arrivo e punto di partenza per qualunque speculazione a venire, per qualunque riflessione e interrogazione a venire, cioè la centralità, comunque, dell'uomo nel cosmo, la centralità dell'uomo, nonostante tutto. Centralità dell'uomo che significa fondamentalmente due cose: che l'uomo non può sfuggire alle proprie responsabilità e che l'uomo ha delle responsabilità che vanno completamente al di là del proprio intervento materiale sul mondo, ma di cui il proprio intervento materiale sul mondo è esclusivamente una delle componenti. In definitiva la centralità dell'uomo, nel senso che comunque esso non è riducibile al coacervo di molecole che ne costituiscono la spoglia mortale.

R. Buttiglione:

A nome di tutti un sincero grazie per questa introduzione così vibrante che ci porta nel cuore di un fenomeno di cui molti di noi subiscono il fascino, però senza mai riuscire pienamente a rendersene ragione. Proseguiamo adesso dando la parola ad un altro dei protagonisti dell'incontro di oggi: al sig. Jon Hobana.

J. Hobana:

Vorrei cominciare col dire che sospetto di civetteria, nei riguardi dei lettori e della posterità, gli scrittori che dichiarano che non li interessa il destino delle loro opere. Tali scrittori possono essere grafomani, esasperati dall'insuccesso oppure, tutt'al contrario, celebri autori. Si sa che quando a Borges gli si pose la domanda che cosa aspettasse dal giudizio dei posteri, questo rispose: "Spero di cader nell'oblio e di non essere giudicato". Ma, prima di pensare ai posteri, gli artisti della parola si rivolgono al contemporanei per sensibilizzarli ai problemi che sembrano essere degni d'interesse, per offrire loro alcuni momenti di relax, oppure lo fa o semplicemente spinti dal bisogno di comunicare proprio dell'essere umano. Non potendo io fare eccezione a questa regola, ho risposto con tanta gioia all'invito di partecipare all'edizione di quest'anno di "Il meeting per l'amicizia fra i popoli". Per dire la verità, ho accettato quest'invito anche perché mi veniva offerta l'occasione di rivedere l'Italia, quest'eterno Paese della bellezza, del quale sono innamorato senza rimedio. Ciò detto, vi propongo di gettare uno sguardo di là dall'orizzonte fatalmente limitato del giorno d'oggi. Perché, all'infuori delle certezze, dei timori e delle speranze del presente, ci unisce anche il viaggio nel tempo che intraprendiamo insieme, quale che sia il paese ed il popolo cui apparteniamo. Parliamo, dunque, di noi, quelli del domani, parliamo soprattutto dei nostri discendenti, i cittadini del futuro. Sotto l'influsso dell'evoluzionismo, l'interesse per le possibili trasformazioni dell'aspetto e della natura dell'essere umano s'intensificò nella seconda metà del secolo scorso. Uno dei primi tentativi miranti a dipingere un ritratto plausibile appartiene a Demetriu G. Ionnescu, allievo nell'ultima classe del liceo "Sfintul Sava" di Bucarest, il quale pubblicò nel 1875, su "Rivista Junimei" (la Rivista della Gioventù), il racconto utopistico "Spiritele anului 3.000" (Gli Spiriti dell'anno 3.000). L'autore sogna di esser morto e di tornar in vita un millennio dopo, incontrando il suo pronipote. Ecco qui il passo che c’interessa: "Quello che più di tutto mi colpì, nell'osservarlo, fu la sua piccola statura, un metro e cinquanta centimetri al massimo, benché, lo si vedeva, la sua età contasse di rose a bizzeffe (…). Questo corpo piccolo e sottile dal quale pendevano due mani delicate e di un'estrema mobilità, portava una testa più o meno ovale, sproporzionata rispetto al corpo (…). Ma ciò che mi parve, tuttavia, un tratto caratteristico dell'uomo dell'anno 3.000 dopo Cristo fu la fronte, di considerevole larghezza, quale fronte sarebbe stato un difetto per gli antichi, ma la quale conferiva, tuttavia, la vera e propria bellezza di Aru (così si chiamava, come venni a sapere)". Può darsi che l'impressione di fragilità che traspare da questo ritratto corrisponda al nostro ideale di armonia psicofisica. Ma che dire allora di "L'uomo nell'anno un milione", com'era intitolato il saggio pubblicato da Herbert George Wells su "The Pall Mall Gazette", del 6 novembre 1893. L'autore cita da un libro non scritto del professore Holzkopf di Weissnichtwo: I caratteri necessari dell'uomo del lontano futuro, dedotti dalle tendenze ora esistenti. Includendo tra questi caratteri necessari "un cervello più grande ed un corpo più gracile di quanto non lo siano quelli d'ora", il professore precisa che la mano l'insegnante e l'agente del cervello, diventerà sempre più forte e lesta, a misura che il resto della muscolatura si atrofizza". Nello stesso tempo, le scoperte della chimica applicata all'alimentazione semplificheranno al massimo il processo della digestione, finché l'uomo giungerà a cibarsi "mediante l'immersione in un bagno contenente un liquido nutritivo". Ed ecco quale sarà l'aspetto di questo lontano discendente: "Occhi grandi, brillanti, belli, sentimentali; al di sopra, non essendo più separato da essi per mezzo delle aspre sopracciglia, si trova il cocuzzolo, una cupola scintillante, senza alcun pelo (…); nessun naso prominente turba con le sue ombre irregolari la simmetria di questa faccia calma, nessun orecchio sporge in fuori; la bocca è un'apertura perfettamente tonda, senza denti e gengive, senza mascelle, non animale, senza emozioni inutili che turbino la sua rotondità…". Il giovane ed irriverente Wells situa con ostentazione le sue supposizioni sotto il segno della farsa: le citazioni sono prese da un libro non scritto, Holzkopf significa "Testa di legno", mentre Weissnichtwo "Non so dove". D'altronde, la celebre rivista satirica "Punch" pubblicava, il 25 novembre 1893, una specie di recensione in versi del saggio, quale un attestato di parentela spirituale. Alcuni "caratteri necessari" erano davvero "dedotti dalle tendenze esistenti". Si sapeva, per esempio, che a causa della decrescenza e, alla fin fine, della sparizione del consumo di carne cruda si giunse alla diminuzione delle mascelle ed all'accorciamento degli intestini. Nel medesimo tempo, si verifica un processo di diminuzione in dimensioni e numero dei denti, essendo gli antropologi del parere che l'uomo dell'avvenire avrà 24, anzi 20 denti, rispetto al 32 dell'uomo di oggi. Ci soffermiamo un po' di più su un particolare che sembra ossessionare gli autori della fine del secolo: l'aumento spettacolare del volume del cervello e dunque della scatola cranica. Abbiamo visto che, per Demetriu G. Ionnescu, "un tratto caratteristico dell'uomo dell'anno 3.000" è "la fronte, di una considerevole larghezza". Svegliandosi da un sonno di "Diecimila anni in un blocco di ghiaccio", l'eroe del romanzo così intitolato, di Louis Boussenard, viene a sapere che la Terra è abitata, nella maggior parte, da cerebrali. Uno di questi gli dichiara: "... come vedete, da noi, il cervello ha assorbito tutto. Lo sviluppo della sua massa è, come l'avete detto, enorme fino alla difformità. Di corpi quasi non ne abbiamo... talmente colossale è da noi la predominanza cerebrale". Il romanzo di Boussenard fu stampato nel 1889 su "La Science illustrèe". Tre anni dopo, la stessa rivista pubblicava "La vita elettrica" di Albert Robida. Il maestro della fantascienza satirica scritta e disegnata non perdeva l'occasione di abbozzare una prospettiva ugualmente inquietante: "Essendo l'unico a lavorare, il cervello assorbe il flusso a scapito del resto dell'organismo, il quale si atrofizza e si logora; se non mettiamo qui le cose a punto, l'uomo del futuro non sarà altro ho un'enorme cervello sotto un cranio simile ad una cupola poggiata su zampe fra le più gracili!". Quanto a Wells, l'immagine ossessionante viene soltanto suggerita nel saggio del 1893, in cui ritroviamo la metafora della cupola; ma lo incontreremo, senza equivoco, in "La Guerra dei mondi". I marziani, lo dice l'autore, "Avevano corpi - o piuttosto teste - tondi ed enormi, di circa quattro piedi di diametro…". In un'altra parte, viene precisato che "Essi erano una testa sola - tutta testa, nient'altro…". Ve lo domandate, certo, che c'entrano i marziani in una discussione intorno all'uomo del futuro. La spiegazione e molto semplice. Ricordando, alla terza persona, le sue speculazioni di "L'uomo nell'anno un milione", Wells conclude, con la voce del narratore: "Per me è molto plausibile il fatto che i marziani possano discendere da esseri simili a noi, attraverso un graduale sviluppo del cervello e delle mani (…), a scapito delle altre parti del corpo". Portando questa supposizione fino alle ultime conseguenze, Olaf Stapledon immagina, in "Gli ultimi ed i primi uomini", romanzo monumentale uscito nel 1930, cervelli giganteschi ed immortali, richiusi in "crani" di calcestruzzo dal diametro di dodici metri e nutriti artificialmente di sangue e sostanze chimiche. Avranno, forse, queste visioni ipertrofiche una base scientifica? Gli antropologi hanno misurato le dimensioni del cranio degli uomini di varie epoche, constatando una crescita più rapida dall'Uomo di Neanderthal all'uomo contemporaneo, di quanto non fosse dal pitecantropo al neanderthaliano. Pertanto da questo punto, alcuni di loro hanno compilato un grafico della crescita della scatola cranica e, prolunga dolo in futuro, sono arrivati a delle cifre che indicano una testa enorme… Altri specialisti sono del parere che il volume del cranio non si può più modificare, essendo esso determinato dalle dimensioni del bacino materno. D'altronde, se gli uomini del futuro saranno più intelligenti di noi - non confondiamo il livello di cognizione con l'intelligenza vera e propria! - il salto sarà compiuto non per mezzo dell'ampliamento del cervello, bensì attraverso la sua utilizzazione intensiva. Non dimentichiamo che una gran parte dei 14 miliardi d. neuroni cerebrali rimane attualmente inattiva. È forse qui, in una zona insufficientemente esplorata oppure in un'insieme di connessioni realizzate per ora solo in modo accidentale, che si trova il segreto della telepatia, della memoria ancestrale, della telecinesi e di altre forme di percezione extrasensoriale. L'ipotesi della crescita smisurata del cervello e del suo riparo osseo, a scapito delle altre parti del corpo, pecca anche nell'assolutizzare una delle coordinate dello sviluppo dell'individuo e della società: la sollecitazione intellettuale sempre più intensa. L'uomo d’oggi è d'altronde più alto e vive più dei suoi antenati. E possiamo essere sicuri che l'uomo di domani non rinunzierà al suo corpo come ad una cosa anacronistica, anzi lo svilupperà armoniosamente, pur seguendo altri canoni diversi da quelli dell'epoca attuale. Alcuni dei fattori di questo sviluppo sono ben noti a noi: lo sport, la ginnastica medica, la dieta, le vitamine, i preparati per il regolamento del metabolismo. Per di più, le scoperte dell'ultimo decennio nel campo della genetica sembrano certificare che, presto o tardi, diventeremo i padroni della nostra propria eredità, sapendo correggere i caratteri sfavorevoli e determinare l'apparire di alcune mutazioni utili. Speriamo che saremo abbastanza assennati da non trasformare questa padronanza in una terribile servitù, evitando la sorte dell’umanità di "Il mondo nuovo", il romanzo-avvertimento di Aldous Huxley. Come ho tentato di dimostrarvi, il futuro prevedibile non apporterà modificazioni sostanziali nell'aspetto di homo sapiens - almeno sulla Terra. La riserva è giustificata dalle supposizioni formulate da alcuni uomini di scienza circa la necessità dell'adattamento alle condizioni di vita del lontano cosmo. Neppure a questo riguardo gli autori di romanzi fantascientifici aspettarono che la realtà offrisse a loro gli elementi concreti delle loro costruzioni immaginarle. Darò qui un solo ma celebre esempio: il ciclo di racconti di James Blish scritti fra il 1942 ed il 1955 e riuniti nel 1956 sotto il titolo "Il seme tra le stelle". L'autore creò il termine "pantropia" per definire le trasformazioni radicali alle quali si deve sottoporre l'uomo al fine di poter colonizzare lo spazio. Il suo eroe ha il sangue e le cellule composti, in proporzione del 90%, di ammoniaca liquida ed è capace di digerire roccia ridotta in polvere. Egli sopporta la temperatura molto bassa, l'atmosfera nociva e la scarsa gravitazione di Ganimede, satellite di Giove Accetteranno i nostri discendenti tali alterazioni irreversibili quale prezzo di "sistema" di altri corpi celesti? Molto più plausibile mi sembra essere il trapiantare le condizioni di vita terrestri, prima in ambiente chiuso, del tipo simile agli ambienti protetti da cupole trasparenti. Una superba metafora della terraformazione di un intero pianeta è il racconto di Ray Bradbury "Il mattino verde", del ciclo "Cronache Marziane", il cui eroe pianta alberi su Marte al fine di ere e un'atmosfera favorevole alla vita. Ma se la struttura fisica dell'uomo contemporaneo fu assai poco influenzata da ciò che chiamiamo civiltà, non lo stesso si verificò in ciò che riguarda la sua struttura psichica. Lo sviluppo dell’urbanesimo, con il suo corollario: la enorme contraddizione della gente in certe zone ebbe per effetto l'apparire di alcune nuove relazioni economiche, sociali, e psicologiche. Ma che cosa accadrà domani, quando le metropoli si trasferiranno in altrettante megalopoli contanti 20-30 milioni di abitanti? Assisteremo ad un esacerbazione dell'agorafobia la quale trasforma ogni week-end in un tentativo di evasione nel seno della natura - e in un'ecatombe sulle autostrade? Nasceranno altri rituali ed altre tradizioni della promiscuità, come nel romanzo di Robert Silverberg, "The World Inside" - in italiano "Monade 116"? ... Mi piace credere che i nostri discendenti rinunzieranno all'agglomerazione sulla verticale e su superficie relativamente ristrette valorizzando le immense distese ora non utilizzate: deserti, giungle, mari ed oceani ci saranno pure città acquatiche! - e più tardi, lo stesso e medesimo spazio periterrestre. Problemi complicati e complessi vengono posti dalla penetrazione dell'elettronica e della cibernetica nella nostra vita quotidiana. Le beneficenze di questa seconda rivoluzione industriale - la sostituzione degli uomini nei lavori pesanti e pericolosi o quelli che si svolgono in ambienti nocivi, nelle operazioni di routine, ecc. - sono accompagnate da fenomeni negativi quali l'aggravamento della disoccupazione. Risuscita in tal modo la diffidenza od anche l'ostilità rispetto alla macchina, considerata quale concorrente implicabile in numerosi lavori utopistici o fantascientifici. Per quanto mi riguarda, considero che sia possibile una ridistribuzione razionale delle forze del lavoro, nel quadro di una politica economico-sociale adattata alle nuove circostanze, tenuto conto delle necessità di un'equa ripartizione del reddito nazionale. Più difficile da risolvere, in una prospettiva un po' lontana, mi sembra l'adattamento psicologico. Perché le macchine possono, sì, contribuire alla liberazione dell’uomo - ma a quale scopo? La sensibile modificazione del rapporto fra il periodo di attività obbligatoria ed il tempo libero può portare a uno squilibrio pericoloso, se non vengono trovate soluzioni valide. Fra di queste potrà essere annoverato, senza dubbio, ciò che potrebbe venir chiamato "L’insegnamento perpetuo". Per tenere il passo con la continua accelerazione del progresso tecnico-scientifico, l'uomo del futuro includerà - dandogli un posto d'onore nel ventaglio delle sue attività - l'accumulazione metodica di cognizioni ed i mezzi moderni gli permetteranno di farlo senza muoversi dal proprio domicilio. Oltre all'importanza che avrà nella formazione di una personalità multilaterale, questa preparazione avrà un ruolo decisivo nel processo di poliqualificazione. I nostri discendenti non saranno più i prigionieri di una sola professione, anzi potranno passare - senza particolari difficoltà - da un dominio all’altro, il che sarà in grado di far sì che la barriera, ora esistente fra l'atteggiamento rispetto al lavoro e quello rispetto al tempo libero diminuisca fino alla sparizione. Quest'unificazione sarà dovuta alla trasformazione dell'attività produttiva - in un oggetto di reali soddisfazioni spirituali determinato attraverso una scelta libera e pienamente conscia, secondo le cognizioni ed inclinazioni di ciascuna persona. Gli uomini del futuro disporranno, in tal modo, di uno tra i più efficienti rimedi contro la noia oppure - se dovessimo credere gli autori di anti-utopie - questo potrebbe essere il nemico numero uno della società cibernetica. Ma la principale arma contro questo presunto nemico sarà rappresentata dal rendere permanente e generale la creazione, atto per ora sporadico e limitato ad un numero assai ristretto di individui. Grazie ai suoi elementi creativi, il lavoro non sarà più soltanto un mezzo di guadagnarsi la vita, diventando esso un'occupazione appassionante e feconda, mentre il tempo libero si staccherà dall'orbita dei divertimenti standardizzati, captati il più delle volte in modo passivo. Ci sarà offerta in tal modo la possibilità di un sostanziale arricchimento della personalità umana. Varcando i confini dell'universo derisorio delle cose che produciamo e consumiamo, penetreremo nel mondo illimitato delle idee novatrici e delle esperienze artistiche originali. La creazione verrà, dunque, definita quale un vero modo di vita, basato sul conoscere intimo del senso dell'esistenza, il che porterà all'assumersi più coraggiosamente i rischi ed a superare più rapidamente gli eventuali insuccessi. Quelli che condurranno una simile vita saranno uomini liberi, nel più esteso senso della parola… Può darsi che questa visione dell'avvenire vi sembri idilliaca, alla luce di tante incertezze della nostra epoca. Non lo sappiamo in che modo gli uomini domani risolveranno i loro problemi. Non sappiamo poi in che modo utilizzeranno "le meraviglie del 2000". Ve lo ricordate il romanzo di Salgari? Non sappiamo, soprattutto, se troveranno in sé stessi la forza necessaria per superare se stessi altrimenti tutte le anticipazioni sopramenzionate resteranno semplici aspirazioni di un sognatore incorreggibile. E poi, prima di pensare a che cosa faranno i nostri discendenti, domandiamoci che cosa lasciamo loro in eredità. Una notizia che avrebbe dovuto esser iscritta nel cielo con lettere di fuoco, al pari del biblico ammonimento "Mane, tekel, fares", che ha svelato il fatto che le cariche nucleari che si trovano oggi sulla Terra potrebbero uccidere ben 260 miliardi di uomini, il che vuol dire quasi sessanta volte la popolazione mondiale. Considerata tale tremenda verità matematica l'esistenza di questi messaggeri del non essere mi sembra una tragica assurdità. Sarà, forse, responsabile dell'attuale impasse l'inappagato desiderio di conoscere chi strappò l'uomo dalle caverne proiettandolo oltre i confini dell'etere, ove lasciare le impronte dei passi sulla polvere selenitica? Non credo nella parabola del frutto proibito. La scienza ci offre gli strumenti necessari per realizzare l'Utopia per annunciare l'Apocalisse. La scelta ci appartiene. Non bramiamo, però, un impossibile ritorno. L'uomo ha sempre vissuto guardando non soltanto nel passato e nel presente, bensì anche nel futuro. Questa sua terza immagine viene oggi voltata, con irrequietezza, verso orizzonti vicini. Perché, oltre ed al di sopra del perire individuale, una conflagrazione mondiale avrebbe per effetto l'estinzione della civiltà e della specie umana. Annientando quel che fu edificato dal genio e dagli sforzi di centinaia di generazioni, essa spezzerebbe violentemente lo stesso e medesimo scorrere del tempo sul pianeta azzurro. Cosa significa il futuro senza architetti e sognatori che lo possano plasmare, alla luce delle nostre speranze? ... Non dimentichiamo, dunque, in nessun momento che siamo i passeggeri della stessa e medesima nave che naviga attraverso gli oceani cosparsi di stelle. Uniamo le parole ed i fatti per dimostrare che l'uomo "canna pensante", può essere anche saldo muro atto a contrastare le tenebrose tempeste.

R. Buttiglione:

Ringraziamo mister Hobana, anche per questo richiamo alla responsabilità di essere uomini che tocca profondamente ciascuno di noi e diamo la parola a Brian Aldiss.

B. Aldiss:

Cosa diventerà il genere umano? Il problema riguarda l'evoluzione e nello stesso tempo è religioso. In primo luogo desidero guardare al passato, e poi al futuro. Permettetemi di dirvi: dove ero all'inizio di questo mese, quando pensavo a ciò che avrei detto in questa occasione. Mia moglie i miei figli ed io ci trovavamo in una parte rurale dell'Inghilterra, la contea di Norfolk. Abbiamo una vecchia fattoria, circondata da campi di grano a sole 6 miglia dal mare, in un paese chiamato Hickling. La fattoria, in cui stavo con la mia famiglia, è dominata dalla chiesa vicina. La chiesa di Hickling, emergendo sopra i tetti, la si può vedere dalle nostre finestre e dal giardino. Si trova lì da sette secoli, vi si tengono tuttora le funzioni religiose e all'interno vi è una lista dei parroci, che risale nel tempo fino al XIII sec. La chiesa di Hickling è un segno della fede inestinguibile dell'uomo in una vita più grande, se non su questo pianeta, altrove. Lungo uno dei muri interni della chiesa, sono poste due lapidi in memoria di quegli uomini che morirono per il loro paese nelle due guerre mondiali. Le liste dei nomi sono sorprendentemente lunghe. Accanto alle lapidi sono appese permanentemente le bandiere nazionali. Sotto le lapidi si trovano dei semplici vasi di fiori, che vengono rinnovati ogni giorno. Alcuni dei nomi ricordati sono comuni ad entrambe le lapidi: Chapman, Lambert, Nudd. È semplicemente umano desiderare di ricordare il nome dei morti. C'è il profumo dei fiori, e i fiori rappresentano la bellezza e la caducità. È abbastanza facile che un visitatore diventi sentimentale guardando a quella che può sembrare un'età più semplice in cui il patriottismo e la pietà erano una sola cosa e entrambe le quali erano ammirate come virtù da tutti gli strati sociali. Solo che non era così. La morte è la grande semplificatrice. È sbagliato essere sentimentali, è sciocco lasciarsi cullare dal profumo dei fiori. Per quanto riguarda il patriottismo e la pietà, se abbiamo letto i nostri libri di storia o comunque vissuto, sappiamo quali azioni terribili sono state commesse nel loro nome. Si dice comunemente che in tutti noi c'è il bene e il male. Così la maggior parte delle qualità umane hanno un aspetto buono e uno cattivo. Sicuramente il patriottismo e la pietà fanno arte del numero. Se li consideriamo insieme o separatamente, possiamo vedere, quali danni hanno causato e continuano a causare, nonostante i loro aspetti positivi. Il patriottismo è una forza che può improvvisamente unire un paese, oppure - ugualmente - una squadra di calcio e i suoi sostenitori. Tutti si sentono sicuri e fra quelli all’interno del cerchio magico della causa comune. Purtroppo coloro che sono al di là del cerchio magico, sono considerati nemici; altri cerchi magici concorrenti, sono considerati come minaccia all'esistenza. Allora ricompaiono le bandiere e ancora una volta sono necessarie le lapidi sui muri delle chiese. Il mondo odierno è diviso quanto il passato da varie pietà, alcune delle quali vengono denominate ideologie. Resta nella nostra natura di odiare o sposare fervidamente delle cause e non sono sicuro che potremo mai sfuggire a tali conflitti, finché vivremo su questo pianeta. Noi tutti apparteniamo all'uno o all'altro blocco di potere, abbiamo tutti delle lealtà al di fuori delle nostre case. Non possiamo smettere di fare il tifo per la nostra squadra di calcio. Bene, dopotutto, come i pesci, gli animali e gli uccelli continuiamo a vivere nella casa in cui siamo nati, per cui è naturale che sorgano tali divisioni. Una differenza sostanziale separa l'uomo da ogni altra forma vivente del nostro pianeta, e cioè la sua capacità di essere cosciente di se stesso come entità, e di guardare oltre se stesso per valutare l'universo in cui si trova. Troppo spesso, ci accorgiamo che non riusciamo a comprendere i nostri stessi processi mentali, ma ciò non è affatto sorprendente dal momento che, fino a prova contraria, i processi mentali sono interamente nuovi nella galassia e furono inventati da noi proprio qui sulla terra. Potrebbe essere quell'istintivo desiderio di valutare l'universo, che ci ha indotti a inventare Dio; una figura che sta al di sopra dell'uomo, che tutto vede e comprende. Se è così, allora Dio è la più grande creazione dell'uomo. Se è così Lui, è un segno sicuro che lo seguiremo fino al cielo. Siamo autorizzati a definire il nostro particolare spirito inquisitore "divina curiosità". Certamente né scimmie né robot possiedono la divina curiosità; nessun computer può aspirare a ciò. Lo spirito della divina curiosità, creò la chiesa di Hickling, dove i vasetti di marmellata pieni di fiori, stanno sotto i nomi dei morti. Noi siamo profondamente interessati a quell'oscurità oltre la vita. È la pietra di paragone della nostra coscienza. Forma e soggetto i molti dei nostri capolavori maggiori di arte, musica, in pittura, in letteratura. Naturalmente è strettamente legata ai cicli e alle stagioni del nostro pianeta sul quale la vita ha nella morte, una delle sue condizioni. Questa preoccupazione umana, questa curiosità che si esplicita attraverso la scienza, ci consente adesso di vedere - e di essere ragionevolmente sicuri che vediamo correttamente - come è stata inizialmente squarciata l'oscurità iniziale. Noi abbiamo lavorato - con "noi" intendo gli eredi di quella scintilla di ricerca scientifica, che per la prima volta è scoccata nell'antica Atene - per giungere alla comprensione di come particelle fondamentali, abbiano prodotto gli elementi chimici che conosciamo, e di come l'universo cominciato con il Big Bang, circa 20 miliardi di anni fa. Quella iniziale palla di fuoco che adesso è il nostro universo, e che è ancora in espansione, in fase di esplosione, quella palla di fuoco non esisteva nello spazio e nel tempo, esisteva nel vuoto e conteneva lo spazio e il tempo. Dobbiamo faticare per comprendere questo paradosso. Cosa c'era fuori prima che avvenisse il Big Bang? Possiamo solo dire che c’era il vuoto, sconosciuto in natura. Lì la scienza basata sulle leggi di questo universo, non può offrirci risposte, e lì entra la religione. Quella divina curiosità, che ha risolto così tanti problemi e ne ha rivelati tanti di più, ci ha spinti a immaginare e poi ad inventare i robot, unitamente ad un'intera schiera di macchine e computers. I robot sembrano in grado di soddisfare l'antico sogno dell'uomo di avere qualcun altro che faccia il lavoro per lui. Bene, simili compagni sono stati inventati e superati. Potremmo fiduciosamente anticipare che i robot, non muteranno i tratti fondamentali della vita umana, che continuano di generazione in generazione, e sono definiti dall'ambiente. Almeno non muteranno quei tratti finché restiamo qui nel nostro pianeta natale. Vorrei però che prendeste, in considerazione una visione un po' rivoluzionaria della terra e della sua biosfera, viste come un organismo autoregolantesi. Nella fantascienza, è un dovere prospettare al lettore il maggior numero di possibilità e di infilarci qualche impossibilità. Noi speriamo, perciò, di arricchire la vita del lettore e, forse, di renderlo più conscio delle proprie possibilità. Io non sono disposto a credere subito che l'uomo trascenderà la sua condizione finita, tranne in circostanze che descriverò. Quelle qualità, quali la pietà e la lealtà, che abbiamo contemplato sotto le bandiere della chiesa di Hickling, non danno segni di indebolimento. Le società muteranno profondamente, e noi speriamo che la loro organizzazione migliorerà. La CEE è un esperimento che punta verso il tipo di nuova società, che possiamo aspettarci di vedere sempre più diffusa nel prossimo secolo. È un'organizzazione che cerca di superare le barriere nazionali, di riconoscere che, per esempio, Italia e Gran Bretagna, hanno in comune un'eredità culturale e molti interessi economici. Fino a questo momento la CEE è sopravvissuta ad un periodo di grave recessione mondiale - l'equivalente di una glaciazione - e continuerà, speriamo verso maggiori successi e più stretta cooperazione fra le nazioni dell'Europa occidentale. Più presto verranno eliminati i passaporti, meglio sarà; le vecchie lealtà in questo modo vengono affievolite. E questo potrebbe essere solo l'inizio di cambiamenti molto più radicali delle nostre comunità. Un esempio di ciò che intendo. La maggior parte dei prodotti agricoli di cui fa uso il mondo sono coltivati nelle zone temperate del pianeta, spesso in terre piuttosto fredde. Il posto ideale per coltivare prodotti agricoli non è assolutamente lì, ma ai tropici, nelle regioni equatoriali dove molto sole e pioggia potrebbero assicurare raccolti molto maggiori di quelli che ora conosciamo. Se l'idea sembra un po’ pazza, questo dipende solo dalle nostre società che sono sorte, e sono ancora organizzate, secondo vecchi modelli che esistevano prima che la storia iniziasse. Una grande isola come Sumatra, situata all'equatore, potrebbe probabilmente fornire cibo per tutta l'Asia se coltivata con la massima resa, e se tutte le nazioni fossero coinvolte nei massicci investimenti richiesti. Supponendo - ecco di nuovo la tipica parola dell'homo sapiens – supponendo che una nuova glaciazione minacciasse di cominciare nel prossimo futuro, come alcuni scienziati hanno suggerito, questa crisi condurrebbe ad uno sviluppo accelerato di nuove società e nuove organizzazioni, indubbiamente la polarità tra mondo comunista capitalista verrebbe a scomparire. Anche così la natura umana risponde più prontamente alle sollecitazioni ambientali che ai governi. Alcuni orribili esperimenti umani hanno avuto luogo nel nostro secolo, e non possiamo dire che la natura umana sia molto cambiata come risultato. Generazioni crescono senza conoscere la libertà o la verità. Eppure l’amore per la libertà e la verità non è ancora vinto. La cosa miracolosa è che un individuo, pur non avendo mai conosciuto né la libertà né la verità, aneli a sperimentare il significato che sta dietro queste parole. Così la natura umana fortunatamente, non si rivela particolarmente plastica per ciò che riguarda le pressioni umane su di essa. Ma non c'è ragione di immaginare che la natura umana rimanga sempre la stessa, sebbene io ritenga che gli imperativi dell'ambiente, la forzino a continuare con una certa costanza. E allora che cosa la mantiene relativamente stabile? E perché gli omicidi non generano omicidi? La natura umana non può essere immutabile in un universo che di per sé è in continuo movimento. È la terra stessa a mantenere stabile la natura umana generazione dopo generazione, proprio come Gea, lo spirito della terra, regola i propri climi e assicura la continuità per molti milioni di anni. Mi sto riferendo alla teoria - per me molto commovente - secondo la quale la stessa biosfera della terra, ha qualcosa che potremmo quasi eguagliare a un subconscio, alla serie di equilibri nei quali, i generi viventi hanno il loro ruolo; la totalità della biosfera include una sorta di meccanismo aerostatico, all'interno del quale, la vita stessa crea delle condizioni congeniali alla sua presenza. Apparteniamo alla terra in un senso più profondo di quanto non ci rendiamo conto: siamo una delle sue funzioni. L'umanità non rimarrà sempre su questo pianeta, viaggeremo nella galassia. Si può pensare che dicendo questo io stia indulgendo alla mia immaginazione di scrittore di fantascienza. Non è così, la verità è proprio il contrario. Divenni uno scrittore di fantascienza perché anche da ragazzo avevo la convinzione che, per quanto ci riguarda, l'universo fosse infinito e che noi fossimo parte di quell'infinito - le uniche creature, di certo, capaci di esprimere quella vastità. Credevo allora, come tuttora, che avremmo attraversato le grandi distanze dello spazio in navicelle, proprio come le generazioni precedenti avevano attraversato gli oceani, con barche che ora noi consideriamo poco più che conchiglie. Perché andremo fra pericoli sconosciuti? Forse perché siamo esseri umani? Potremmo essere spinti verso altre stelle dalla pura necessità economica. O per sfuggire a una guerra devastante. Forse i cinesi partiranno per primi. Qualunque sia la ragione, ci andremo, così come un tempo lasciammo le cime degli alberi, e allora, la natura umana cambierà. Liberati - esiliati, se vi piace - da questo meraviglioso organismo omeostatico, da Gea, da questo mondo brulicante di vita, ci accorgeremo che la nostra natura non è più regolata. Saremo agenti irresponsabilmente liberi. Non ho modo di dirvi cosa accadrà allora. È una caratteristica dell’immaginabile, il fatto di non poter essere immaginato. Eppure io mi proverò a fate un'ipotesi. Separati infine dalla terra, gli esseri umani della spedizione, arrivando in un mondo completamente differente, potrebbero rispondere in uno di questi due modi. Potrebbero essere traumatizzati dall'esperienza ed appassire spiritualmente. Questo mi sembra improbabile. Noi siamo delle creature forti, e la galassia, per quanto ne sappiamo, è, fino a prova contraria, nostra. E.T. è soltanto un prodotto dell’immaginazione. È più probabile che cresceranno spiritualmente, lontani dalle restrittive limitazioni del nostro ambiente natale; penso che la scienza ci porterà al di là della scienza, magari diventeremo molto caratterizzati individualmente, ciascuno di noi diventerà una repubblica. Individualizzazione è un termine che prendo a prestito da Jung, che lo ha usato per descrivere il processo di crescita spirituale in quelli che cercano di trascendere i rigori del Medio Evo. Non c'è ragione per cui il termine non possa essere applicato ottimisticamente al prossimo progresso nello sviluppo umano. La nostra esperienza interstellare potrebbe offrirci l’opportunità proprio di una tale conquista. Nel primo eccitamento dell'autoscoperta, gli umani sul nuovi pianeti potrebbero essere costretti a inventare un nuovo linguaggio, una nuova musica o una forma d'arte interamente nuova, proprio per esprimere il travaglio di quella consapevolezza nascente. Non importa che il nuovo linguaggio sia incomprensibile a chiunque altro. La costrizione sarà - per usare un espressione biblica - quella "di parlare con più lingue". Ci saranno migliaia di spedizioni prima che una riesca. Ma ci sono milioni di pianeti. Potrebbe essere che nessuno di quei pianeti ospiti una creatura, con la divina consapevolezza che stimola l'uomo. Gli individui individualizzati potrebbero abitare un pianeta ciascuno, meditando sui loro nuovi mondi come un Dio sulle acque. Il solo sperimentare un pianeta straniero – intendo un pianeta vivente come la Terra, non uno morto come Marte – può risultare un'esperienza trascendentale e piena. I nostri occhi potrebbero aprirsi da capo. Potremmo essere soggetti ad un riversamento di nuova saggezza. Ognuno potrebbe diventare profeta, visionario. Anche oggi, alcuni di noi esperimentano un'eccitazione leggermente simile vivendo all'estero. Altri istinti profondi di cui a mala pena ora ci rendiamo conto, nutriti dall’intera esperienza di vita della nostra specie, potrebbero essere annullati dinanzi a quell'irresistibile atto d'immergersi in una biosfera differente. Saremo allora liberi di diventare esseri interplanetari anziché planetari, armati di nuove libertà. Tali sono i poteri generativi della razza umana che un uomo ed una donna soli, potrebbero popolare un'intera galassia, moltiplicandosi come i salmoni. Il nostro coinvolgimento con questo pianeta, va più profondità di quanto possiamo fino ad ora apprezzare. Ma sappiamo già che noi possiamo sopravvivere oltre ciò, sopravvivere in un'altra biosfera planetaria, sotto un altro sole. Comunque cambierà profondamente la natura dell'uomo. Possono esserci fiori sotto le epigrafi per noi anche nei nuovi mondi, forse persino sotto forme diverse. Ma notate che le scimmie e i robot non possono avere simili visioni. Potremmo anche portarli con noi in questi viaggi nel futuro diverso. Ma loro non possono andarci di loro iniziativa, come l'uomo. Né possono sapere che persino ora, ci stiamo preparando per le nostre nuove esistenze.

R. Buttiglione:

Ringraziamo mister Aldiss, per l'apertura di questo orizzonte che ha davvero qualche cosa che ci porta verso l'infinito, e che testimonia come la nostalgia di un altro mondo è radicata profondamente nel cuore di ogni uomo. Diamo ora la parola a Sergio Giuffrida.

S. Giuffrida:

Il fantastico filmico nasce e segue per sua stessa natura dei binari diversi da quelli del fantastico letterario? Là dove l'ispirazione dell'artista o dello scrittore ha un potere quasi assoluto, nel cinema essa viene mediata, controllata e diretta al fini delle esigenze di un prodotto commerciale, naturalmente rivolto al grande pubblico. Ed è importante sottolineare, al riguardo, l'enorme diffusione e successo che ha raggiunto il genere fantastico e fantascientifico negli ultimi anni, presso il pubblico non specializzato, con opere quali Guerre Stellari di George Lucas, Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, Superman di Clive Donet, Stati di allucinazione di Ken Russell e il recentissimo E.T. ancora di Spielberg, che con i suoi 500 milioni di dollari è diventato il nuovo campione d'incassi di tutti i tempi. Sul piano tecnico, la realizzazione di un prodotto di questo tipo (sia esso per il cinema, la televisione od altro ancora) vede confermato il diretto rapporto tra scienza e fantasia: basti pensare alle nuove incredibili capacità d'azione dei sistemi elettronici, impiegati ultimamente da registi e produttori come Francis Ford Coppola, Lucas, Carpenter, Mayer, Antonioni e tanti altri ancora. Oggi è possibile, anche se ancora molto costoso, dare a un computer, l'immagine di un attore, di un oggetto o di un panorama, e ottenere che l'elaboratore la muova in tutti i modi possibili, realizzando così un film completo. Meraviglie della tecnica? No, solo una nuova conquista dell'intelligenza umana. A cosa servirebbe infatti, questo gioiello dell'ingegneria senza quel magico soffio vitale, dato dalla creativa fantasia dell'artista che vi infonde una briciola del suo spirito? Il film fantastico è rimasto legato, pur nella sua logica evoluzione, a due tendenze contrapposte. Da un lato il cinema fantastico propriamente detto, che nasce nello stesso momento in cui compare il cinema, e si esprime con un linguaggio a cavallo tra il mito, la fiaba e l'horror ( si pensi alle fantasmagoriche creazioni di Georges Melies, o alle cupe e angoscianti opere dell'espressionismo tedesco da Murfau a Wegener, a Lang). Dall'altro lato, c'è il cinema più strettamente fantascientifico, dove cioè l'elemento tecnologico-razionale è la chiave immaginifica del racconto. È quest'ultimo il caso di pellicole come Una donna sulla Luna del 1928 diretto da Fritz Lang, in cui il realismo del primo viaggio spaziale, viene affidato allo scienziato Hermann Oberth, il padre della moderna astronautica. Su questi due binari diversissimi ma al tempo stesso similari si fonda la storia di un numero infinito di umanità possibili; passato, presente e futuro si confondono in questo particolare cinema, raccontandoci di incredibili e sofisticate civiltà governate, (nel bene e nel male), da elaborati computers; di una razza umana che, a causa della sua follia e della sua paura è regredita alle prime barbarie; di fantastiche ed eroiche avventure nello spazio, nella terra e nel tempo. E quando l’umanità stessa non basta, il pericolo, improvviso o predetto, viene da fuori di noi: giganteschi pianeti in rotta di collisione, temibili e orrende invasioni aliene, catastrofi naturali di proporzioni inimmaginabili, spaventose mutazioni biologiche casuali. Queste sono solo alcune delle mille possibilità esplorate in questo campo. L'universo del fantastico filmico è ricco di sfumature, concetti e soprattutto "possibilità". In esso si ritrovano le paure, le ansie e le speranze dell’uomo; paure, ansie e speranze che coprono l'intera gamma dei sentimenti umani. Troviamo l’angoscia di un uomo che, robotizzato da una società di computers, nascosta al centro della terra, riscopre la sua individualità e la capacità di amare, attraverso una difficile e sofferta odissea, fisica e mentale che alla fine lo condurrà a rivedere la superficie del pianeta e la luce del sole, metafora questa di una riacquisita capacità. spirituale dell'uomo. Il film, di cui vi ho raccontato la trama, è "L’uomo che sfuggì dal futuro", anch'esso presentato al Meeting. Questo film è l'opera prima di George Lucas, il mago miliardario del nuovo cinema americano, il creatore di quella fiaba moderna, che è "Guerre Stellari". Accanto a questo personaggio, troviamo la figura di un androide, una sofisticata creatura di carne e metallo, che di fronte all'interrogativo ultimo della vita, dimostra più umanità dei suoi inseguitori umani. Il film è "Blade Runner" di Ridley Scotto, tratto da uno dei più grandi best sellers della narrativa fantascientifica moderna, e vuole essere un chiaro avvertimento, affinché l'uomo non perda mai la sua umanità a causa della società in cui vive. In definitiva il fantastico filmico non è che una parte della fantasia umana, necessaria soprattutto a stimolare continuamente lo spirito umano e a ricordarci che l'uomo non ha comunque una sola dimensione.

R. Buttiglione:

Ringraziamo Sergio Giuffrida. A questo punto ognuno di noi è pieno di domande. La brevità del tempo non ci consente di avere un dialogo e un dibattito immediato con ciascuno. Prima di concludere, vorrei esprimere alcune domande, che rimangono come un tema di meditazione per noi e un tema su cui la conversazione può continuare. In primo luogo a me ha colpito il tema con cui ha aperto Alex Voglino; il tema della dignità della fantasia. Con la fantasia l'uomo va al di là del dato, mostra la sua capacità di trascendenza. La macchina non ha fantasia, la macchina è tutta nelle cose che fa, ma l'uomo è più di quello che fa e la fantasia è come il primo luogo in cui questo essere più di quello che si fa si manifesta, perché l'uomo può pensare qualche cosa di diverso, qualche cosa che ancora non è accaduto, e che forse accadrà. È una prova meravigliosa di ciò che abbiamo detto già nella giornata di ieri: l'uomo ha un desiderio più grande di ciò che lui stesso è, di ciò che lui stesso può soddisfare. Il sacro, molte volte, stato attaccato proprio per il suo legame con la fantasia. Il legame tra il sacro è stato diffamato. Il sacro non è così evidente come le cose che si toccano, ma proprio per questo è molto più umano. Questo tema del sacro e della fantasia sembra essere come il filo rosso che indica la nostra riflessione sulla fantascienza. Mi veniva in mente una storia che non è tanto una storia, quanto una struttura narrativa, una trama che si ripete molte volte nella storia della fantascienza. È la trama del circolo vizioso, che deve essere percorso fino in fondo, per poter ritrovare un inizio, la storia dell'uomo, che deve compiere un lungo viaggio, per poter ritornare nel luogo dal quale era partito e poterlo finalmente guardare con verità. A me sembra che la fantascienza, per un uomo il quale ha perduto la dimensione del sacro, sia come un lungo viaggio attraverso lo spazio, attraverso il tempo, per scoprire che non lo spazio infinito del cielo può rispondere al desiderio che anima l'uomo, ma lo spazio infinito della sua stessa anima, del suo cuore, perché l'uomo tornato se stesso, si interroghi sul suo cuore. E a questo mi sembra di poter collegare un altro tema: la ricerca del Padre; anche questo mi sembra un tema che ricorre nella narrativa e anche nella narrativa della fantascienza. L'uomo percorre lo spazio alla ricerca dell'origine e questa origine è un Padre perduto al principio, da un lato. E dall'altro, invece questo cammino dell'uomo nello spazio e nel tempo è la lotta, una lotta contro l'alienazione che nasce dal tentativo dell'uomo di essere lui stesso il proprio padre, di costituirsi come padre di sé, di perdere il rapporto con la paternità. C’è un quadro, una litografia meglio, che ritrae il dottor Faust. Il dottor Faust guarda homunculus, l'uomo che lui stesso ha prodotto. E questo uomo fatto dall'uomo, non più fatto da Dio, questo uomo che è il risultato dell'automanipolazione dell'uomo, il risultato dello sforzo dell'uomo di creare se stesso, per non dipendere più da quel Dio che lo ha creato all'origine, ebbene questo uomo nuovo è un mostro. Davanti Faust tiene uno specchio e in questo specchio si riflette il volto di Faust. L'uomo che ha cessato di essere fatto da Dio, per farsi da se stesso, celebra il proprio trionfo attraverso la creazione di un uomo fatto da lui, questo uomo in realtà ha degradato se stesso. Non ha più quello spazio infinito che è Dio, in cui viveva la propria umanità. L'uomo che dipende solo da se stesso, smette di essere uomo. L'universo della fantasia è allora abitato da una lotta dell'uomo per essere se stesso, che lo porta ad opporsi al tentativo della manipolazione. Cosa sono io? Sono il dono che mi è stato fatto. Togliere all'uomo questa dimensione originaria, è fare dell'uomo un non uomo. Questa è l'utopia negativa con cui l'uomo guarda se stesso, manipola se stesso. È stato citato Tolkien ed uno dei temi fondamentali di Tolkien è questa lotta per salvare l'uomo, contro la minaccia che il potere dell'uomo stesso porta con sé, il potere assoluto Per Tolkien è il potere dell'Anello, è il potere che l'uomo ha di cambiare se stesso e di smettere di essere figlio. Per compiere questa lotta è necessaria l’appartenenza ad una compagnia, in Tolkien è la Compagnia dell'Anello, la compagnia degli uomini, che si ritrovano nella lotta per restare uomini. Mi sembra che questo sia un grande tema del nostro Meeting, come è un grande tema di tutta la letteratura fantastica, di tutta la letteratura della fantascienza. Un’amicizia che nasce non da una ideologia, ma da una scoperta di essere uomini e del fatto che vale la pena di essere uomini malgrado tutto, che vale la pena difendere l'uomo dal male che egli può fare a se stesso. Abbiamo visto immagini del futuro, immagini attrattive ma anche immagini terribili, l'immagine del mostro che l'uomo può diventare, se taglia il legame da cui dipende il suo essere uomo. Cambierà con il tempo la forma della società umana, cambierà la forma degli arti, quella del cranio, avremo forse una testa più grande e delle braccia più esili, ma c'è qualche cosa nell'uomo che non cambia: è la struttura del suo cuore. Sempre di nuovo, l'avventura della fantascienza ci riporta davanti a questa difesa del cuore dell'uomo, e allora questa fantascienza che esprime la nostalgia di un altro mondo, che ci porta attraverso il tempo e lo spazio, finisce con il portarci a noi. Credo che sia anche un tema diffuso della letteratura fantascientifica; la domanda se dopo aver percorso tutto lo spazio della galassia, se dopo aver sviluppato la propria forza, la propria capacità di proiettarsi verso l'esterno, in realtà non ci sia un altro tipo di potere e un altro tipo di desiderio e un altro tipo di infinito di cui quello descritto è solo la metafora. Se l’infinito vero non vada cercato proprio all'interno del cuore di quest'uomo. Ringraziamo ancora una volta tutti coloro che sono intervenuti e continuiamo il cammino del nostro Meeting.