giovedì 30 agosto, ore 17.00
L'EDUCAZIONE AL MISTERO NEL METODO EDUCATIVO DELL'UNIVERSITA DEL MONTE KOYA
Incontro con
Shodo Habukawa
Rettore dell’università del Monte Koya
Modera:
Pier Alberto Bertazzi
P. A. Bertazzi
L’incontro tra la nostra esperienza e la scuola buddista del Monte Koya è stata certamente una delle aperture più belle e significative nel nostro cammino di questi ultimi anni e credo che sia anche un momento di particolare significato e importanza nell’itinerario di questo Meeting’90. Siamo molto lieti di essere riusciti ad avere non solo come ospite, ma anche come relatore il professor Shodo Habukawa che è retto dell’università del Monte Koya. Il Monte Koya, luogo molto famoso nel Giappone, è la montagna sulla quale, nel nono secolo d.C. Kobo Taishi si recò a fondare un centro di spiritualità con un’idea molto precisa, che era quella di creare un nuovo metodo, una nuova possibilità d’educazione. Diceva Kobo Taishi che è l’educazione che salva il presente e rende luminoso il futuro, e in quel tempo, in Giappone, e non solo in Giappone, l’educazione invece era imposta secondo schemi definiti dalla classe dominante. Ed è su quest’idea di metodo educativo che c’è stato anche un interessantissimo e bellissimo incontro e riconoscimento tra l’esperienza del Monte Koya e la nostra. Vi cito soltanto alcune delle affermazioni di questo metodo educativo perché credo sia immediatamente chiaro quanto siano in consonanza con alcune nostre idee e posizioni. Il fondamento dell’educazione, secondo Kobo Taishi, era proprio quello di tirar fuori dal cuore d’ogni uomo la vita, la sua dignità e il maestro non è solo lo strumento per la conoscenza e non deve dare soltanto delle nozioni ai propri discepoli, ma è soprattutto colui che insegna a scoprire la vita che è dentro di lui, il fondamento che è dentro di lui. Quindi educazione come introduzione alla realtà, non un modo di formazione deciso da qualcuno o dall’alto, dal potere in fondo, ma l’educazione come fare emergere la verità che è nel cuore dell’uomo. Ora è quest’uno dei punti su cui più ci siamo ritrovati con i nostri amici pur così diversi e lontani, ma per darvi un'idea di quest’incontro, io vorrei leggervi ciò che don Ricci racconta proprio del suo incontro con il professor Shodo Habukawa. Stavano parlando della possibilità di trovare nel buddismo delle radici cristiane e don Ricci dice: ho cercato la risposta nei grossi volumi che da tutte le parti sono stati scritti su questo tema che del resto è appassionante, la risposta l’ho trovata quando ho avuto l’opportunità di rivolgere la parola a studenti e professori dell'università del Monte Koya - una sola chance - e ho cercato di spenderla al meglio, ho parlato del desiderio della felicità che alberga nel profondo del cuore dell’uomo. E’ successo che ci siamo capiti e il dialogo è diventato un percorso comune all’interno dell’esperienza umana fondamentale, soprattutto è diventato un incontro dove ciascuno era se stesso, ma riconosceva le esigenze, le attese, le risposte che costituiscono l’uomo nella sua verità umana, prima e più radicalmente della lingua e delle forme delle differenti culture umane e tradizioni, così differenti tra l’altro. Queste parole di don Ricci mi sembrano una chiave chiara e bellissima per leggere il significato e il terreno di quest’incontro. Ora cedo senz’altro la parola al professor Habukawa.
S. Habukawa:
Mi chiamo Shodo Habukawa e sono molto lieto di conoscervi. Io ringrazio molto per essere stato invitato a questo Meeting per la seconda volta. Prima di iniziare il mio discorso vorrei in particolare ringraziare il signor Smurro, Monsignor Giussani e don Ricci. Quando dall'organizzazione Meeting mi è stato comunicato il mio tema, cioè l’educazione al mistero, ho avvertito una difficoltà quella cioè che, per parlare, avrei comunque dovuto dire la verità. E chi parla ai giovani di quest’argomento deve prima aver fatto lui stesso l’esperienza di ciò di cui parla. Mi viene da pensare che questo fosse proprio il desiderio di don Giussani, parlerò quindi dell’educazione al mistero nell’ambiente religioso, così come la stiamo facendo ora presso la nostra Università del Monte Koya. Prima di tutto bisogna stabilire il significato dell'esperienza del mistero e qual è il contenuto del mistero stesso. In generale non si può pensare al mistero servendosi del senso comune né se ne può parlare in questo modo, perché il mistero supera il tempo e lo spazio ed appartiene all’assoluto. L’assoluto è un principio universale e originale, riguarda cioè che Dio è Budda l’esistenza massima. I cosiddetti "Choetsu-sya", cioè coloro che sono oltre fanno l’esperienza del mistero come incontro tra quell’esperienza massima e gli uomini. Per lo Shingon Mikkio quest’esistenza massima e misteriosa si chiama "Dainichi Nyorai". Con il termine "Dainici" s’intende un’attività come quella del sole, ma immutabile e perfetta; Hotoke, cioè Budda, è immutabile e perfetto; non così la luce del sole che non arriva ad illuminare le zone d'ombra né illumina durante la notte. Gli uomini camminano per raggiungere l'unione con Dainichi Nyorai attraverso una maturazione di se stessi, sforzandosi di raggiungere la perfezione. Il Budda personalizza la verità immutabile e infinita e stabilisce i termini di quella personalità superiore che rappresenta la massima perfezione e completezza della persona ideale. I praticanti che pregano per raggiungere l’unione con l’assoluto, si chiamano Cyoja, cioè asceti. Per compiere i loro esercizi spirituali questi praticanti pongono su un altare dinanzi ai loro occhi la statua e la pittura di Buddha. In quel luogo essi sono visitati da Dainichi Nyorai e da tanti Buddha presenti ubiquitariamente nello spazio vuoto che li circonda. I praticanti meditano Dainichi Nyorai e Shobotoke che stanno nel loro cuore e sullo stesso altare. Queste tre immagini, cioè l’immagine sull'altare, quella dentro il cuore degli asceti e le figure nello spazio vuoto, diventano una sola cosa nel "cuore degli asceti" secondo la loro profondità di concentrazione nella meditazione. Per concentrarsi nella meditazione è necessario un altissimo grado di concentrazione e d’autocontrollo. Per migliorare la capacità di concentrazione degli asceti si usa un testo, che è stato portato in Giappone dal maestro Kukai (Kobo-Taishi) che è il fondatore dello Shingoh Mikkyo, nei primi dell'ottavo secolo. Questo testo è nato in India ed è stato tradotto in Cina e infine importato in Giappone. Nel testo sono spiegati vari modi per raggiungere l’unione con l’Assoluto e lo stato della persona superiore. Per esempio, il mondo è composto di sei elementi: terra, acqua, fuoco, vento, spazio e conoscenza, che sono gli elementi costruttivi del cosmo. L’io è un’esistenza essenziale dei sei elementi, e così anche i tanti Budda che sono presenti ubiquitariamente, sono esistenze essenziali dei sei elementi. Ora spiegherò questi sei elementi. Il primo è terra e significa il fondamento del tempo, la stabilità infinita nel tempo e nello spazio. Il secondo, l’acqua, significa l’umidità e simboleggia anche la pienezza. Il terzo, il fuoco, significa calore, energia totale, di questo pianeta, spazio, l’altro significato è il fuoco che brucia tutti i cattivi e i mali. Il quarto, il vento, significa circolazione dell’aria, purificazione, un altro significato è l’attività dinamica del cosmo. Quinto, il vuoto, che significa ampio cosmo che abbraccia tutte le cose. Significa anche il cielo che abbraccia tanti uccelli che volano dal sud al nord e viceversa e questo movimento degli uccelli è guidato dalle stelle. Questo principio può essere espresso sullo stesso nostro corpo. Le cinque dita esprimono gli elementi del cosmo, la mano sinistra significa l'asceta, la mano destra manifesta l’esistenza di Buddha. Consideriamo tre dita, anulare l’acqua, l’indice il vento, il medio il fuoco. Mettere le tre dita rovesciate della mano destra sopra le tre dita corrispondenti della mano sinistra, unire inoltre le due dita mignolo e pollice delle mani, questo simbolismo gestuale delle mani spiega che le tre dita sono saggezza, misericordia e potenza del Buddha, che purificano i tre fondamentali veleni, cioè concupiscenza, ira e incredulità. Il dito pollice spiega l’idea fondamentale di Ku (vuoto) e la preghiera del praticante assume il significato di azione universale. Questo simbolismo gestuale delle dita della mano, che esprime l’idea fondamentale della vita, si chiama Inghei. Ognuno dei numerosi Buddha ha la sua caratteristica Inghei. Ci sono Scingon, (Mantra) che coincidono con questi Inghei. Gli asceti uniscono gli Inghei seguendo il testo di cui vi ho parlato e imprimono o dipingono le figure di Buddha nella loro mente. Durante la meditazione, se insorgono concupiscenza o in ogni modo se emergono elementi di disturbo, è necessario ricordare ad uno sforzo per combattere l’ego mediante la sapienza di "Ku". Per spiegare il fondamento di Ku dobbiamo ricorrere a metafore. Svuotare se stesso significa ritornare allo stato precedente quello dell’esistenza in questo mondo, cioè prima della nascita in questo mondo reale. S’ipotizza cioè di non essere nato e poi si medita intorno ai sei grandi elementi cosmici. Questa meditazione è un modo di contemplazione che va a ricercare, ad attingere in sfere molto profonde della propria esistenza, dopo di che gli asceti arrivano alla consapevolezza che la sorgente della propria esistenza è l’eterno, che ha un’estensione infinita e partecipa dell’essenza stessa del cosmo e della sua sostanza. Affermare la propria esistenza originaria con caratteri di infinità, eternità ed uguaglianza è come farsi simili a Buddha. Quindi, come abbiamo già detto, il Buddha dentro se stesso, il Buddha dell’altare, il Buddha presente ubiquitariamente nello spazio circostante, si uniscono diventando uno. Con quest’esercizio, per lo meno i praticanti compiono quest’unione di se stessi con Buddha, seguendo i consigli del testo usato e giungono all’esperienza di se stesso uguale a Buddha. Qui nasce però un problema: quale livello di contenuto ha quest’esperienza dell’unificazione? Se non comporta un gaudio profondo che supera la quotidianità, non può esprimersi come esperienza misterica in senso stretto. Quando è compiuta l’unione con l’esistenza soprannaturale, cioè con la personalità superiore, gli ascetisi liberano dei vari limiti e arrivano alla gioia di mettere il loro corpo in uno stato spirituale sacro, libero ed ampio. Se non si avverte la sensazione di uscire da se stessi, non si può affermare che l’unificazione sia veramente avvenuta. Il testo insegna che per il progresso spirituale bisogna esercitarsi nella concentrazione più profonda. Finora abbiamo spiegato il significato dell’unione con Buddha mediante il simbolismo figurativo della posizione delle dita. Ora il testo guida, gli allievi alla contemplazione, usando tutto il corpo. Come le nostre dita simboleggiano i cinque grandi elementi costruttivi terra, spazio e vuoto, cosi anche acqua, fuoco, vento che i nostri corpi sono simboli dei grandi cinque elementi. La parte inferiore dei fianchi rappresenta la terra, l’addome l’acqua, la parte superiore del corpo il fuoco, il massiccio facciale il vento, l’apice della testa lo spazio vuoto. Questi cinque elementi costituenti l’essenza dell’uomo sono gli stessi elementi che costituiscono il cosmo. Gli asceti meditano le cinque lettere nel cerchio, impresso nel loro cuore e poi vi sovrappongono i cinque grandi elementi costitutivi del cosmo. I cinque elementi della propria essenza sono gli elementi del cosmo e viceversa. Queste due entità si fondono completamente per tutto il tempo in cui continua la contemplazione, infine non si avvertono più né i cinque grandi elementi di se stesso né i cinque grandi elementi del cosmo. Rimane solo il cerchio. Bisogna continuare la contemplazione fino a questo livello. Questo cerchio è la terra, la luna e anche il cosmo. Nel pensiero degli asceti, a questo punto non esistono più né le lettere né il significato delle lettere. Vedono solo un cerchio senza "io" e senza gli altri. Quindi gli asceti compiono l’unificazione con il cosmo abbandonando la coscienza di sé. Le preghiere degli asceti, che fanno l’esperienza dell’unificazione e hanno allontanato nella loro coscienza la distinzione fra sé e gli altri, non sono più preghiere personali, ma per tutte le persone. Anche la concupiscenza dell’ego viene purificata e trasformata in amore sublimato, che ama teneramente tutte le cose e fa crescere. Di qui, illuminata dalla saggezza acquistata dagli asceti, inizia una fase di attività positiva. Ciò di cui ho parlato finora è un metodo di esercizi. L’esperienza del mistero è sempre esperienza spirituale del singolo, che viene detto esperienza del mistero ascoso. Naturalmente l’esperienza di ogni persona è diversa. E’ un’esperienza spirituale non facilmente comprensibile dagli altri perché è nel profondo, nel segreto del cuore di chi la fa. Ma come ho detto, se la regola è che ciò che accomuna le esperienze misteriche è l’unione con l’Assoluto, allora il Mikkio propone un metodo universale, universalmente valido per quest’unione, o per lo meno per avvicinarcisi. In questo modo il misticismo del Mikkio ha un valore universale, in relazione al principio originale che n’è fondamento. Nasce il problema di come uno può impossessarsi del metodo e farlo proprio. E’ naturale che a questo punto interviene la domanda della fede. Solo un metodo di esercizi che ha una solida base di fede condurrà al paradiso, fatto che non è possibile esprimere con le parole. Poiché la venerazione delle immagini ha lo scopo di aumentare il calore della fede, attraverso la contemplazione delle statue e delle pitture di Buddha, e chi pensa che così venga mortificato il pensiero intellettuale. Può aversi anche la critica che dalla contemplazione dell’immagine fissa della statua di Buddha, può nascere solo un pensiero immobile. Ma l’unione con l’Assoluto è una necessità di adesso e perciò è necessario fondarsi su una fede radicata per ottenere l’aiuto di Buddha. A questo riguardo l’essenza delle religioni non cambia. Grazie dell’ascolto.
P. A. Bertazzi:
Ringrazio molto il prof. Habukawa e non posso nascondere che l’impressione prima è quella di una lontananza delle parole e il linguaggio usato la esprime bene. Di una lontananza, di una differenza, ma non credo di un’incomprensibilità, perché tutto il suo intervento e questo metodo di esercizi e di comunicazione che lei ha descritto, mi è sembrato come dominato dalla tensione a potere incontrare, il grande mistero che fa le cose. Quindi un’idea di mistero che può essere veramente incontrata, e questa tensione noi la condividiamo profondamente con lei e con tutti gli amici del Monte Koya. Grazie prof. Habukawa, grazie ancora della sua presenza, e speriamo di vederci ancora.