EDUCARE PER COSTRUIRE. CICLO DI INCONTRI PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DELLE OPERE
Sorpresa: il non profit è lavoro
In collaborazione con Unioncamere
Giovedì 26, ore 18.30
Relatori:
Helmut Anheier,
Docente presso la London School of Economics and Political Science
Mariapia Garavaglia,
Presidente Croce Rossa Italiana
Nuccio Iovene,
Segretario Generale del Forum Permanente Terzo Settore
Moderatore:
Riccardo Bonacina
Bonacina: Il non profit, detto terzo settore perché affianca lo Stato e il mercato, è l’iniziativa privata senza scopo di lucro che risponde ad una quantità sempre superiore di bisogni. Le imprese no profit non sono solo un fenomeno in netta espansione, ma assumono un ruolo fondamentale dal punto di vista occupazionale: in 22 Paesi le imprese senza fine di lucro danno lavoro a più di 18 milioni persone e creano un fatturato di 1.100 miliardi; in Italia i lavoratori del settore sono 690.000, 300.000 in più rispetto a tre anni fa.
Anheier: Il settore del non profit ha acquisito recentemente un’importanza sempre maggiore in termini economici, politici e sociali. I sociologi cercano una spiegazione di questo fenomeno che sorprendentemente a fine millennio assume così tanta importanza nell’ambito della società civile e della società Europea.
Per prima cosa è importante costatare che la crescente importanza del terzo settore è alimentata non soltanto dagli aumenti della domanda di servizi sociali, ma anche da modifiche sostanziali nella struttura della società. In particolare sono mutati e ceto medio, che è sempre più sicuro, e i fattori demografici. Il terzo settore va poi collocato nel contesto di un più ampio sviluppo che è in corso nell’ambito delle società europee, incluso il ruolo svolto dalle Chiese ed altre organizzazioni confessionali. In concreto, attraverso una ricerca da me diretta, ho potuto vedere che fra il 1990 e il 1995 ci sono stati tassi di sviluppo fino al 30%, ben superiori a quelli osservati nell’economia nel suo complesso. La crescita netta dell’occupazione si riscontra soltanto nell’industria dei servizi ed evidentemente l’espansione del settore si accompagna anche con l’espansione di quella che è la sua componente non profit. Questo passaggio ad un’economia di servizi è stato rafforzato dagli sviluppi demografici, in modo particolare dalla generazione del cosi detto baby boom.
Tuttavia non sono soltanto ragioni economiche e demografiche che hanno comportato questo aumento di importanza del terzo settore, ma anche il quadro politico e la legislazione. In altre parole i tassi di crescita più alti sono stati riscontrati in quei paesi dove esistevano delle politiche che attribuivano un’importanza particolare al rapporto fra governo e non profit; dove questo rapporto privilegiato fra governo e non profit non esisteva la crescita del non profit è stata molto più contenuta. A tutti dovrebbe essere chiara la differenza tra Stati Uniti ed Italia nello spazio dato al non profit. Ciò nonostante, esiste una ragione ideologica più profonda che spiega la crescita del terzo settore, vale a dire il mutato ruolo dello Stato e del governo. Lo Stato, che non è più certo del proprio ruolo e non dispone più di quella visione che ha caratterizzato le riforme sociali degli anni Settanta e Ottanta, fa appello al cittadino attivo, un cittadino che assume nuove e antiche libertà, nuove e antiche responsabilità, nel senso della tradizione liberale repubblicana. Oltre alle politiche economiche che sottolineano la privatizzazione delle aziende di Stato abbiamo assistito, negli anni recenti, ad un movimento paneuropeo che, sostanzialmente, esercita pressione nei confronti di tutte quelle che sono le funzioni dello Stato. La privatizzazione della sicurezza sociale, inconcepibile in passato, fa ormai parte dell’ordine del giorno politico; il consenso politico e istituzionale della società industriale si sta sgretolando. L’apertura al terzo settore non è solo nei confronti delle forme di organizzazione tradizionali di volontariato, ma anche nei confronti di quelle nuove quali: la nuova mutualità in Gran Bretagna, le cooperative sociali in Italia, la ricerca per nuove forme giuridiche di proprietà che combinino le attività caritatevoli con quelle a scopo di lucro, il lavoro retribuito con forme di lavoro non retribuite.
Tutti questi sono segni di un mutamento fondamentale che si verifica nelle nostre società: la crescita del settore non profit non è soltanto un fenomeno quantitativo, è una modifica qualitativa. Naturalmente entra in gioco un altro elemento importante, che si può chiamare auto organizzazione: la capacità dei cittadini di organizzarsi intorno a interessi ed esigenze comuni al di fuori del mercato, e senza riceverne delega o mandato dallo Stato. Questo è l’aspetto di società civile del terzo settore: la somma di organizzazioni private che si occupano di interesse pubblico o servono il bene pubblico Questa auto organizzazione è più forte oggi rispetto al passato perché c’è una crescita significativa del ceto medio, per cui la responsabilità per la sicurezza sociale e le attività culturali, i programmi educativi e la preoccupazione ambientale, non ricadono più esclusivamente sullo Stato. Ci si aspetta che lo Stato faccia ancora molto, ma meno di quanto non facesse in passato; il motivo non è una fiducia nello stato che è venuta meno, piuttosto, laa maggiore fiducia del cittadino in se stesso e nella sua società.
Per evitare generalizzazione occorre evidenziare che in Europa esistono diversi modelli di impresa non profit. Abbiamo il concetto francese di economie social che sottolinea gli aspetti economici, di mutualità e di economia comune. In Italia credo che l’impresa non profit venga vista come forza di compensazione nei confronti dei poteri di Stato sul piano locale. In Germania esiste la tradizione della sussidiarietà, che costituisce un quadro globale per il rapporto tra Stato e terzo settore. In Svezia c’è il modello di movimenti sociali molto ampi, le cui richieste vengono fatte proprie dallo stato e vengono poi incorporate nella normativa sociale. In Gran Bretagna invece è presente l’antichissima tradizione dell’ente caritatevole.
Diventa allora fondamentale comprendere che l’Europa ha il compito di legiferare nel settore del non profit. Ma cosa offre il terzo settore all’Europa? Il terzo settore offre all’Europa la possibilità di costruire, di gettare le fondamenta per una società civile europea, che in futuro possa dare al mercato comune e alle istituzioni politiche comuni una società in grado di sopportare queste strutture. Già abbiamo molti esempi di organizzazioni – Green Peace, Croce Rossa, organizzazioni culturali, programmi universitari, organizzazioni per i servizi sociali, ONG europee che hanno operato insieme in Bosnia o in Kosovo, e che costituiscono una buona base associativa che può diventare un ingrediente importante per la costruzione e lo sviluppo di una società europea.
Garavaglia: La Croce Rossa nel mondo conta 220 milioni di volontari, ed ha 135 anni; è un’organizzazione non profit umanitaria di diritto pubblico, per le emergenze nei conflitti e nelle catastrofi: la più antica del mondo. Le difficoltà dell’intervento immediato, la flessibilità e la pluralità di scelte, l’individuazione di professionalità e di competenze, la gerarchia e il coordinamento, fanno a pugni con l’ordinamento di diritto pubblico: una prova in negativo, in quanto, nell’agire pragmatico, ha realizzato i comportamenti del terzo settore. Questa è l’anomalia di questa organizzazione internazionale: sotto il profilo economico non ha come scopo il profitto, ma ha vincoli di bilancio.
Ciò che invece la fa assomigliare al mondo del non profit è la base associativa, una base fatta di volontari. Il volontario sceglie autonomamente una propria impostazione di vita, sceglie di svolgere un compito che corrisponde ad una attitudine. Questo contributo di professionalità aggiunge una competenza, ma il risultato è un vantaggio per la comunità. Chi dice che il volontariato è lavoro nero non capisce che, invece, il volontario di un’organizzazione come la nostra, sceglie di fare qualcosa che è gratificante, e nello stesso tempo offre un servizio per persone bisognose a costi assolutamente irrisori. Il volontariato inoltre crea flessibilità nella collettività: oltre che incrementare l’occupazione risponde più agilmente a bisogni immediati a cui le strutture sanitarie pubbliche non sanno immediatamente rispondere. La legge recente sulle cosiddette organizzazioni non lucrative di servizio sociale, le ONLUS, ha rappresentato un passo avanti per il riconoscimento formale di un’auto regolamentazione che segue i bisogni inediti. Infine il mondo del non profit è un fatto di grande rilievo anche dal punto di vista del protagonismo civile. È evidente che coloro che stanno all’interno di un’organizzazione, se questa si stende oltre i confini del proprio paese, diventano anche promotori di una mentalità e di cittadinanze che vanno oltre i confini del proprio paese.
C’è un ultimo aspetto: di solito il terzo settore in situazioni estreme conduce ad una posizione che è un crocevia di lavoro, sviluppo e democrazia. La CRI, per esempio, tramite gli italiani, ha degli aiuti per lavorare in Mauritania, dove c’è solo la sabbia: 29 cooperative di donne musulmane nomadi del deserto del Sahara sono state finanziate. Queste donne, per i soliti cavilli burocratici, hanno dovuto farsi uno statuto, dimostrare come spendevano i soldi della CRI. Il risultato, dopo tutte le difficoltà è stato ottimo: 29 orti con carote, patate, pomodori. Oltre ad un riscontro positivo sulla popolazione del luogo che soffre ancora di malnutrizione, l’iniziativa ha creato delle aspettative diverse nei confronti del proprio governo: se è possibile essere aiutati da paesi stranieri, perché non deve essere possibile ricevere lo stesso dal proprio?
Iovene: In questi anni chi ha lavorato per il non profit si è sgolato nel dire che il terzo settore non nasce per creare occupazione, nasce per tutelare diritti, per difendere soggetti deboli, dare risposte sociali a problemi che altri non sono in grado di affrontare e risolvere; in questo quadro, di conseguenza, costruisce opportunità di lavoro.
Si tende a sottolineare questo aspetto non solo perché non si crei l’illusione sull’occupazione, ma anche perché si ritiene importante che il lavoro che si costruisce nel terzo settore sia un lavoro vero. Le realtà del non profit, in questi anni, in contro tendenza rispetto alle realtà produttive tradizionali, hanno creato molta occupazione, anche in Italia. Si presentano però due paradossi: il terzo settore può creare molta occupazione e nello stesso tempo non c’è una politica adeguata e corrispondente, quindi non si capisce come si possa incentivare questa crescita e questo sviluppo; per la prima volta, dopo tanti anni, i conti pubblici sono sostanzialmente a posto e contemporaneamente i tassi di crescita che il nostro paese conosce sono molto stentati. Forse ci sono dei problemi strutturali alle spalle, forse non è più possibile, per società come le nostre, conoscere tassi di crescita così elevati come si sono conosciuti negli anni Sessanta e Settanta. Dobbiamo dunque abituarci ad una crescita che sia socialmente ed economicamente sostenibile, meno intensa, ma più capace di produrre occupazione in maniera diversa. Le politiche fin qui seguite, per esempio le rottamazioni per le auto o la diminuzione della pressione fiscale minima, non hanno prodotto automaticamente nuova occupazione, semmai sono intervenute per rendere meno drammatica la perdita dell’occupazione strutturale.
Le politiche di welfare State non sono più una cura rispetto ai disastri sociali, ma possono essere una delle nuove leve dello sviluppo futuro, una delle nuove opportunità attraverso le quali costruire occupazione, costruire comunità, costruire società e quindi operare in maniera diversa. La nascita del Forum Permanente Terzo Settore ha portato il non profit ad avere un ruolo attivo e lo ha fatto sottolineando quegli aspetti di responsabilità restituita ai cittadini come proprio valore aggiunto. In questo senso dal 1996 ad oggi i passi sono stati, nelle difficoltà, molti, fino al riconoscimento da parte del governo dell’importanza del Forum come soggetto della concertazione. L’azione di questa associazione non è stata portata avanti per ottenere qualche piccolo beneficio, come una lobby del terzo settore, ma per un’azione decisa a favorire la società. Negli ultimi tempi è stato presentato al governo un documento: dieci punti in cui si documentano tutti i ritardi rispetto ad impegni presi direttamente nei confronti del Forum o attraverso leggi del Parlamento specifici.
Da questo punto di vista qual è dunque il lavoro che il Forum vuole svolgere? La cultura giuridica del nostro paese, tale da rendere spesso complicato il rapporto tra la pubblica amministrazione e la realtà del terzo settore, ha mosso il Forum per ottenere alcune novità che all’estero sono presenti da tempo: la deducibilità fiscale dell’erogazione alle organizzazioni non profit, l’estensione delle agevolazioni previste per le piccole e medie imprese anche all’impresa sociale, la realizzazione di alcuni progetti sperimentali, in particolare il progetto fertilità. Quest’ultimo punta ad individuare alcune imprese sociali significative del Mezzogiorno, che hanno funzionato, e che possono essere incaricate di riprodurre la loro esperienza in altre realtà del Sud.
Vorrei ricordare, tra l’altro, che il terzo settore nel nostro Paese non solo crea nuova occupazione, ma dà anche opportunità di lavoro a tanti soggetti che il mercato del lavoro tradizionale tende a non considerare, ad escludere. In Italia ci sono tre milioni di persone considerate ai margini del mercato del lavoro, ex detenuti, ex tossicodipendenti, portatori di handicap, malati di AIDS e così via. Una parte significativa di questa realtà trova possibilità di reinserimento sociale, costruzione di una prospettiva di vita e di identità, grazie alle cooperative sociali, alle realtà di associazionismo, del volontariato.
Rispetto al ruolo del non profit dovranno essere ridefinite nuove regole. Il dibattito in Parlamento della cosiddetta assistenza si fa urgente perché la legge quadro dovrà rimettere a posto le materie regolate 109 anni fa dalla cosiddetta legge Crispi.