Uganda: presenza e sviluppo

Mercoledì 23, ore 18.30

 

Relatori:
Giovanni Livi,
Direttore Responsabile della Cooperazione con i paesi A.C.P., alla CEE
George Mark Andrè,
Desk Officer per l'Uganda alla CEE
Filippo Ciantia, Medico
Moderatore: Ezio Castelli

 

 

Livi: Sono grato all'AVSI che mi ha dato la possibilità di parlare dei rapporti tra l'Unione Europea e il cosiddetto terzo mondo, un'espressione coniata da un sociologo francese che considerava primo mondo i paesi sviluppati (Europa, Canada, Stati Uniti), secondo mondo i paesi dell'Europa dell'Est e terzo mondo i paesi in via di sviluppo.

Alle origini la Comunità Europea aveva come scopo la creazione di un mercato unico ed il rafforzamento tra i sei paesi che l'avevano costituita. Solo più tardi la comunità, specie dopo l'esplosione dell'indipendenza dei paesi africani, si pose il problema del loro sviluppo e quindi la politica di sviluppo entrò tra le componenti della politica comunitaria. Il rapporto con le ONG — tra queste l'AVSI — fu ed è dettato fondamentalmente da due motivi: innazitutto perché esse hanno la capacità di fare certi progetti coinvolgendosi con la base, e mettendo in campo un impegno personale che le grandi organizzazioni internazionali, per lo più orientate su progetti di infrastruttura, non hanno. In secondo luogo le ONG mobilitano l'opinione pubblica attorno ad un progetto di cooperazione.

Noi europei abbiamo una responsabilità verso l'area del Mediterraneo e verso l'Africa. Uno dei problemi maggiori riguarda l'autosufficienza alimentare. Nelle ricorrenti crisi dovute a siccità, guerre o ad altre cause sono stati inviati in Africa molti aiuti alimentari, ma spesso tali aiuti hanno finito per fare concorrenza alla produzione locale. Per questo occorre rivedere profondamente l'idea di aiuto alimentare e operare per la sicurezza alimentare, tenendo conto che la produzione cresce ad un ritmo inferiore alla crescita demografica. Vi sono poi altre emergenze, quali l'aids e le guerre ricorrenti.

La comunità europea fa uno sforzo enorme, anche se ogni paese segue una sua politica. L'Italia aveva una grande cooperazione, poi con gli scandali tutto si è fermato, mettendo in grave crisi alcune ONG perché non si finanziano più i progetti. Al tempo stesso l'Africa riduce la propria presenza sul mercato internazionale. Essa rappresenta appena il 2% del commercio mondiale e il 4% dell'import-export comunitario, in gran parte costituito da materie prime. Occorre dunque rilanciare la produzione dell'Africa e al tempo stesso aprire un vero e profondo dialogo politico.

Un reale cambiamento è avvenuto nell'Africa del Sud, dove si è giunti all'abolizione dell'apartheid, mentre un grosso interrogativo è costituito dalla Nigeria, il paese che doveva essere leader dell'Africa, come produttore di petrolio, e che invece da ormai un anno versa nel caos più totale.

Anche la democrazia in Africa è debole, perché manca una unità di lingua, di tradizione, cosicché si sente più l'appartenenza alla propria tribù che allo stato. Per questo occorre avere molta pazienza e operare col massimo impegno sapendo che sia come comunità europea sia come Italia non potremo prescindere in futuro dall'Africa.

Andrè: Lavoro a Bruxelles all'interno della commissione che valuta i progetti a favore dell'Uganda. L'Uganda è un paese in via di costruzione e quindi ha bisogno non solo di aiuti, ma anche di imprenditori che favoriscano il sorgere di attività economiche. Occorre dimenticare una certa immagine negativa legata al passato di questo Paese che, dopo aver raggiunto l'indipendenza nel 1962, ha conosciuto diversi colpi di stato e regimi dittatoriali. Nell'ultimo decennio si è lavorato per ricostruire cosicché ora in Uganda vi è una certa pace, turbata solo da vecchi oppositori che hanno come unico scopo quello di destabilizzare lo stato. Tuttavia, nel panorama generale dell'Africa, l'Uganda costituisce l'esempio di un popolo che ha saputo vincere l'odio e la violenza per costruire la pace.

Dal 1974, data in cui è iniziata la collaborazione tra la comunità e l'Uganda, la commissione europea in Uganda ha operato innanzitutto interventi di emergenza. Uno dei periodi più tragici è stato il 1986. Dopo anni di guerra civile, non c'erano più strade, edifici amministrativi, ospedali; la produzione del caffè, del cotone, del the erano crollate e non vi era più speranza per l'Uganda. Molti che erano attivi in questi settori erano stati espulsi dal Paese e quindi mancavano anche le risorse umane per riavviare le produzioni. Coi fondi della commissione abbiamo ricostruito le vie di comunicazione strategiche, abbiamo rimesso in piedi la produzione di the, e sostenuto il settore dell'educazione e della sanità; infine abbiamo aiutato tutti coloro che volevano avviare nuove attività nel settore privato. Attraverso questi interventi l'Uganda è stata messa in grado di passare da questa fase di riabilitazione ad una fase di vero e proprio sviluppo. Inoltre abbiamo realizzato dei microprogetti perché attraverso di essi si sostengono le piccole collettività nella costruzione di scuole, di centri di assistenza sanitaria e quanti nelle aree rurali vogliono sviluppare delle attività.

È tempo di uno sguardo sul futuro. Siamo in un periodo molto delicato. In dialogo con le autorità ugandesi stiamo individuando delle priorità. E indubbiamente tra le priorità vi sono la decentralizzazione e l'alleviamento della povertà, un aspetto cruciale perché quando tutti compiono uno sforzo, questo risulta più gravoso per chi non ha nulla. Oggi in Uganda l'inflazione è scesa al 5% e negli ultimi 11 mesi lo scellino ugandese si è rivalutato del 30% determinando però effetti disastrosi sulle esportazioni.

C'è quindi molto da fare, per esempio manca un sistema bancario che funzioni e qui la commissione europea ha un ruolo da svolgere dando aiuti e crediti ai piccoli imprenditori.

Ciantia: Oggi vedo nell'aiuto allo sviluppo un allineamento alle politiche di aggiustamento strutturale portate avanti dalla banca mondiale. Dal punto di vista della mia professione di medico constato una trasformazione in atto; non si parla più di paziente, ma di cliente, non più di ospedale, ma di azienda. Questo in un contesto di povertà è estremamente rischioso. Si migliorano le cifre, si porta l'inflazione al 5%, ma la mortalità infantile in questi ultimi anni è cresciuta e la diffusione dell'aids è ai massimi livelli. Avverto che il contributo dell'Europa deve riguardare innanzitutto l'economia, i servizi sociali, le burocrazie, senza dimenticare il nostro volto di europei, cioè considerando parte integrante degli aggiustamenti strutturali l'attenzione ai gruppi più poveri, più vulnerabili, alle donne, ai bambini... Non si smette la guerra se non si vede qualcosa di migliore per cui vivere e lavorare.

Oggi tutta la realtà sanitaria del Nord Uganda — un terzo del territorio del paese con 5 milioni di abitanti — è tenuta in piedi da ONG italiane. Un decimo della popolazione è sieropositiva, il che significa che morirà entro la fine di questa decade. Molti ammalati hanno un'età compresa tra i 20 e i 40 anni, cioè hanno l'età in cui si genera, si crea, si danno nuovi impulsi alla società. Il 30% delle donne sono sieropositive, quindi il 15% dei bambini che nasceranno si ammaleranno. Le ONG, intervenendo nei problemi delle famiglie, non offrono solo un'assistenza sanitaria, ma anche un aiuto ed un sostegno, si fanno carico dei problemi connessi con la malattia, dei bambini, degli orfani, dei soldi per potere mantenere la casa, degli adolescenti che crescono in un contesto così difficile.