L'universo e la sua storia:
immagini dal futuro
Giovedì 24, ore 16.30
Relatore:
Duccio Macchetto
Associate Director for Science Programs presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora
Moderatore:
Mario Gargantini
Gargantini:
L'uomo vivo è attento a tutto quanto lo circonda, è sensibile al richiamo che gli viene dalla realtà e disponibile a lasciarsi provocare. La realtà naturale e la cosmologia sono luoghi privilegiati di questa esperienza di attenzione, dove è più facile che si esprima la sacra curiositas di cui parlava Einstein, che costituisce l'unico vero movente di ogni seria indagine scientifica. L'esperienza scientifica è un'avventura singolare, ricca di fascino (perché si misura sempre con qualcosa di dato) e di rischio (perché vi è sempre l'incombente tentazione di coprire i segni con le nostre idee).Ci guiderà oggi un amico che vive l'esperienza dell'osservazione scientifica da diversi anni, Duccio Macchetto, che ci farà compiere, attraverso il telescopio spaziale, un piccolo viaggio nello spazio e nel tempo.
Macchetto: La ricerca scientifica è basata sulla nostra curiosità di individui che si chiedono: cosa siamo? da dove veniamo? chi ci ha creato? chi ha creato la nostra Terra? chi ha creato tutto quello che ci circonda? chi ha creato le stelle e chi ha creato l'Universo? E non solo chi l'ha creato, ma come è stato creato? cosa succede di questo creato nella sua evoluzione?
A queste ultime domande possiamo dare delle risposte sia sul piano religioso e filosofico, sia, come astrofisici, sul piano scientifico. Una prima risposta ci viene dal primo versetto della Bibbia, dalla Genesi stessa: "In principio Dio creò il cielo e la terra, ma la terra era disadorna e deserta. C'erano tenebre sulla superficie dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: vi sia luce. Vi fu luce e Dio vide che la luce era buona e Dio separò la luce dalle tenebre e Dio chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre. Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno". Questo va avanti, come sappiamo, per sette giorni.
Naturalmente, questa descrizione è allegorica: non corrisponde necessariamente a fatti fisici misurabili, e i giorni di cui si parla non corrispondono di certo ai giorni normali di questa terra, ma rappresentano ciascuno periodi diversi in lunghezza, miliardi di anni o frazioni di millesimi di secondo. Tuttavia questo contesto non scientifico ma filosofico-religioso, ci permette di incominciare a rispondere alle nostre domande.
Per millenni, dopo questa prima visione filosofico-religiosa del creato, l'uomo è andato avanti basandosi su un'interpretazione filosofica del creato, fondata sulla filosofia di Aristotele, il quale, senza troppi mezzi tecnici, aveva proposto che la terra fosse al centro dell'Universo: una terra piatta con il Sole che le gira attorno. Si pensava che se uno avesse potuto raggiungere i limiti del cielo, sarebbe stato in grado di penetrare la sfera delle stelle fisse, che conteneva tutte le stelle dell'Universo noto a quell'epoca; e se uno fosse arrivato a questo limite, avrebbe potuto persino attraversare questa sfera, uscire dall'altra parte e vedere chissà quale meraviglia nell'altra parte dell'Universo.
Ci sono volute parecchie migliaia di anni per cambiare questa visione non realistica della Terra e dell'Universo. Ci volle il ben noto Galileo, che usando per la prima volta il metodo scientifico, usando il telescopio, propose che non fosse la Terra al centro dell'Universo, bensì il Sole. La terra e gli altri pianeti giravano attorno al sole, e poi, molto distante, un firmamento di stelle fisse.
Al giorno d'oggi sappiamo che anche questa visione è sbagliata: non sono né la Terra né il Sole al centro dell'Universo, perché non c'è un centro dell'Universo: noi non siamo al centro dell'Universo fisico, anche se ci riteniamo al centro dell'Universo creato da Dio. A questo proposito, vale la pena ricordare che nel momento in cui è stato formato l'Universo con tutti gli elementi che di esso conosciamo — il Big Bang — si sono formati anche il tempo e lo spazio. Non c'erano né tempo né spazio né leggi fisiche prima di questo momento: non esisteva niente, tranne Dio. Ma da quel momento in avanti esiste tutto, in forma diversa da quello che conosciamo al giorno d'oggi, con temperature e densità incredibili: a partire da quel momento iniziale passiamo al momento in cui, parecchi miliardi d'anni dopo, si formano le Galassie.
Cosa conosciamo di questo Universo? Sono fondamentali, da questo punto di vista, le immagini catturate dal telescopio spaziale Hubble. Questo telescopio, che fu messo in orbita nel 1990 da una navetta spaziale con cinque astronauti a bordo, misura 14 metri di lunghezza, ed ha uno specchio primario di 2,40 metri. Il costo è di 2 miliardi di dollari, un costo non indifferente per il quale c'è voluta la collaborazione sia della NASA (Stati Uniti) sia di tutti i Paesi dell'Agenzia Spaziale Europea — alla quale anche l'Italia appartiene —. Questo telescopio è in orbita bassa attorno alla Terra, un'orbita di 600 km., gira attorno alla Terra ogni 90 minuti e cattura le immagini di stelle, Galassie e oggetti celesti nella parte scura dell'orbita. Le immagini arrivano poi al nostro centro di ricerche a Baltimora, negli Stati Uniti. Pochi mesi dopo il lancio del telescopio, abbiamo però scoperto che lo specchio principale era difettoso: era troppo piatto di 2 millesimi di millimetro, un difetto abbastanza grande per far sì che le immagini di una stella invece di essere un punto luminoso abbiano un centro luminoso, ma anche un alone della luce diffusa. Così, nel dicembre del 1993, in una seconda missione, abbiamo mandato gli astronauti con degli strumenti che hanno permesso di correggere questo difetto, e durante cinque giorni di lavoro hanno anche cambiato parte della vecchia strumentazione scientifica, permettendoci di avere un telescopio come nuovo. Da allora in poi, la ricerca scientifica compiuta grazie a questo telescopio è stata veramente straordinaria per noi astrofisici.
Perché dobbiamo andare nello spazio per osservare l'Universo? Il problema è che dalla Terra noi possiamo osservare una ristretta finestra attraverso la quale passa la luce visibile, la luce che noi vediamo con i nostri occhi, ma le radiazioni gamma, x, ultravioletto o infrarosso o radio, sono assorbite dalla nostra atmosfera. Per osservare gli oggetti celesti e capire la fisica fondamentale, come sono formati questi oggetti, come funzionano le stelle e le Galassie, dobbiamo poter accedere a tutta questa banda elettromagnetica, a tutte queste lunghezze d'onda. Il nostro telescopio studia tutte le lunghezze d'onda, dall'ultravioletto, passando dal visuale, fino all'infrarosso vicino.
Devo ora farvi ricordare un aspetto fondamentale della fisica: non c'è nell'Universo nessuna velocità che sia superiore a quella della luce, non c'è niente che possa essere trasmesso più in fretta della luce. La radiazione elettromagnetica visuale, l'infrarosso, le onde radio, la gravità, si trasmettono con la velocità molto elevata di 300.000 Km al secondo — circa un miliardo di Km all'ora —; però, le distanze cosmiche sono molto grandi, e per questo, nelle immagini del cosmo, quello che vediamo non è l'oggetto com'è in questo momento, ma com'era nel passato. Il nostro sole dista circa 8 minuti alla velocità della luce, la nostra Galassia ha il centro a circa 30.000 anni luce da noi. Questo permette a noi astronomi di fare un viaggio non solo nella distanza, ma anche un all'indietro. Più osserviamo oggetti lontani, più osserviamo l'Universo com'era nel passato, fino ad arrivare alle distanze maggiori nei tempi più antichi o al momento della formazione stessa dell'Universo. Proprio questo è quello che vogliamo studiare con i telescopi e in particolare con il nostro telescopio spaziale.
Grazie al telescopio, possiamo incominciare ad esplorare l'universo dagli oggetti più vicino a noi, i pianeti, prima di tutto Marte. Marte ha una rotazione abbastanza veloce, e possiede un Polo Nord, con la sua calotta di ghiaccio che è un ghiaccio non fatto di acqua come il nostro, ma di anidride carbonica. Si è potuto osservare confrontando le immagini odierne con delle immagini prese dalle sonde spaziali americane lanciate negli anni '70, che l'atmosfera è molto più trasparente al giorno d'oggi di quella che era 10-15 anni fa. Questo significa che la superficie di Marte è più fredda di quella che era al momento del passaggio di quelle sonde e dimostra quanto è importante osservare questi pianeti non solo passando e mandando una sonda che passa e lascia il tempo che ha trovato, ovvero che prende delle immagini che poi non sono seguite nel tempo: è importante invece, per studiare questi pianeti, osservarli in continuazione, perché il tempo che hanno nella loro superficie è simile a quello della terra, o è diverso, ma comunque evolve velocemente in funzione del tempo, dei secondi, delle ore, degli anni di osservazione. Questo è l'esempio più semplice di quanto si può osservare con il telescopio spaziale.
Consideriamo ora un evento cosmico dell'anno scorso: i pezzi di una cometa caduti sull'atmosfera di Giove. Gli impatti di questi pezzi — in particolare del pezzo più grosso, che noi astrofisici abbiamo chiamato 'g' — sono stati molto interessanti per chi si occupa dell'atmosfera di Giove, ed anche interessanti perché se un pezzo delle misure del pezzo 'g' fosse caduto sulla Terra, avrebbe fatto un cratere delle dimensioni di quello che si è trovato recentemente nello Yucatan, di circa 300 Km di diametro, e che si crede sia stato responsabile dell'estinzione dei dinosauri nella nostra Terra circa 60 milioni di anni fa. Per cui, se quel pezzo fosse caduto sulla nostra Terra probabilmente avrebbe innescato una serie di eventi che avrebbe portato all'estinzione della razza umana del nostro pianeta.
Un altro evento interessante è stato il passaggio molto recente, nel mese di maggio di quest'anno, del piano degli anelli di Saturno attraverso l'eclittica: questo significa che noi vediamo Saturno normalmente inclinato in diversi angoli, ma c'è un momento, che cambia ogni decina d'anni, nel quale questo piano attraversa la nostra linea di visuale. Questo è interessante perchè ci permette di studiare non gli anelli stessi, ma quello che sta vicino agli anelli, ed in questo caso gli studiosi hanno scoperto due nuovi satelliti di Saturno ed hanno recuperato dei satelliti che non erano più stati visti nelle ultime decine di anni; è probabile che trovino altri due satelliti, dei quali però dobbiamo ancora avere conferma, perchè in questo momento Saturno non è osservabile perché si trova troppo vicino al Sole.
Andando più lontano, attorno ad Urano, abbiamo rivisto gli anelli — di cui già conoscevamo l'esistenza — ma, grazie al telescopio, con dettagli simili a quelli con i quali conosciamo gli anelli di Saturno visti dalla Terra, abbiamo anche studiato i diversi satelliti di Urano, e ne abbiamo trovato uno nuovo.
Lasciamo ora il nostro sistema planetario ed andiamo a vedere cosa succede alle stelle: osserviamo una nebulosa planetaria che ha al centro una stella binaria, cioè due stelle che girano una attorno all'altra. Una di queste stelle è molto massiccia, molto grande, l'altra invece è piccola e compatta. La stella grande getta sulla stella più piccola la sua materia, il suo idrogeno, e quando questo cade sulla superficie calda della stella più piccola fa delle enormi esplosioni nucleari che gettano questo gas in tutte le direzioni. Quello che noi vediamo è il gas riscaldato dall'urto del gas stesso con il mezzo interstellare, riscaldato anche da questi getti di materia che partono dalla superficie della stella più piccola. La dimensione di questa nebulosa è circa cento volte quella del nostro sistema solare, e rappresenta una delle fasi finali della evoluzione di una stella, non ancora quella completamente finale.
Possiamo anche vedere dove nascono le stelle. Siamo andati ad osservare una parte della nebulosa di Orione: sappiamo che questa nebulosa è piena di gas illuminato, riscaldato dalle stelle che si stanno formando all'interno. La quantità di gas è circa pari a quella necessaria a formare 100.000 stelle come il nostro Sole. Osservando in dettaglio vediamo che c'è il gas turbolento, illuminato dalle stelle che si stanno formando; ci sono anche dei punti luminosi allungati, simili a uova. Ciascuno di questi punti è una stella in formazione e quello che sta attorno alla stella che si sta formando è il gas. Noi sappiamo che le stelle si formano quando il gas collassa, cade su se stesso, si riscalda, la densità diventa sempre maggiore e si innescano le reazioni nucleari che danno origine alla luce. Però, non tutto il gas cade nella stella prima che si inneschi, una parte sostanziale di questo gas rimane attorno a questa stella che sta nascendo. Quello che rimane del gas nel momento della formazione è importante, perchè è quello che darà origine a dei sistemi planetari simile al nostro.
Usciamo ora anche dalla nostra Galassia e andiamo a vedere una Galassia satellite della nostra, lontana solo a 150.000 anni luce da noi. In questa Galassia, nel 1987, è scoppiata una stella: una delle fasi finali di una stella di grande massa è una grossa esplosione, talmente grossa che la luce della stella che esplode — la supernova — è tanto brillante quanto la luce di tutto il resto della Galassia che le sta attorno. Naturalmente questa luminosità dura alcune decine di giorni e poi decade. La prima cosa che abbiamo scoperto con il nostro telescopio è un anello che si trovava attorno alla supernova: questo anello ci racconta una storia interessante e misteriosa, la storia di quello che era la stella che ha dato origine alla supernova, prima della sua esplosione. Per qualche centinaio di migliaia di anni, questa stella ha gettato un vento stellare, simile al vento che viene dal nostro sole, con una velocità relativamente bassa per una stella, di qualche centinaia di Km al secondo, e nell'ultima fase della sua vita, questa stella è diventata ancora più attiva ed il vento ha raggiunto la velocità di 10.000 Km al secondo. Il vento della seconda fase ha fatto da "spazzaneve" ed ha concentrato il vento della prima fase, il quale, a sua volta, ha creato questo anello, che è diventato luminoso per l'esplosione della supernova stessa. E una cosa interessante è che la supernova stessa, che si trova al centro, cioè la stella che ha dato origine alla supernova, si sta espandendo ad una velocità di circa 10.000 km. al secondo e nell'anno 2000/2001 vedremo che l'atmosfera di questa stella che è scoppiata raggiungerà l'anello e creerà di nuovo altri fuochi d'artificio, rifarà diventare luminoso questo anello che poco a poco si sta spegnendo.
Da sempre, in astrofisica ci chiediamo se l'Universo è chiuso — un Universo che si espande da un punto e da un tempo iniziale (il famoso big bang) fino a ricadere su se stesso — o se invece si allarga fino ad evaporare. Non lo sappiamo perchè non conosciamo né la velocità di espansione dell'Universo (è proprio questo uno dei parametri che vogliamo misurare con il telescopio spaziale Hubble), né la quantità totale di materia dell'Universo. Negli ultimi anni, abbiamo cominciato a cercare la materia che dovrebbe essere sufficiente a fermare l'espansione dell'Universo. Il problema è che se andiamo a contare tutte le Galassie che ci sono nell'Universo, misurando — il che possiamo fare facilmente — la quantità di luce che ci danno, e facciamo certe assunzioni sulla quantità di massa che dobbiamo avere per creare quella luce, se facciamo la somma troviamo che la quantità totale di materia di Universo è meno del 10% di quella necessaria per frenarla; però, allo stesso tempo, altre misure ci indicano che siamo in un Universo che sta per frenarsi, per cui il 90% della materia dell'Universo non è luminosa.
Di che cosa è fatta questa materia? Non lo sappiamo. Ci sono molte ipotesi, una è che ci siano miliardi di stelle piccolissime, talmente piccole da non emettere luce e che dovremmo poterle scoprire se osserviamo gli oggetti più vicino a noi, ma non le troviamo, e questo dimostra che se c'è della materia che manca nell'Universo, non è sotto forma di piccole stelle. Continuiamo così a non sapere di cosa è fatto il 90% del nostro Universo.
Per quanto invece riguarda la velocità di espansione dell'Universo, possiamo abbastanza facilmente misurare la velocità con le quali si allontanano le Galassie le une dalle altre. Basta misurare la luce e vedere come la luce emessa da una Galassia si sposta sempre di più verso il rosso a seconda dell'aumentare della distanza. Il problema però è che non siamo in grado di dare una scala di distanze, dobbiamo trovare delle "lampadine standard" che ci diano il metro della distanza tra noi ed una Galassia. Queste lampadine sono le stelle "cefeidi", la cui proprietà è che variano in luminosità in funzione del tempo, e che hanno un modo periodico di diventare più o meno brillanti in funzione della loro intensità. Se io misuro il periodo con il quale quella stella si accende e si spegne, so esattamente quanto è brillante, e sapendo quanto è brillante, posso determinare la distanza di quella stella e così la distanza della Galassia. Il problema però è che queste stelle non si possono osservare da Terra, bisogna osservarle dal telescopio spaziale "Hubble"; infatti, sono troppo poco brillanti ed inoltre si presentano confuse con le stelle attorno che vediamo da Terra. Con il nostro telescopio siamo andati per esempio a vedere la Galassia M100, e abbiamo misurato centinaia di stelle variabili.
Possiamo andare ancora più lontano nel nostro Universo, fino al centro delle Galassie attive, dove sappiamo che esistono dei buchi neri. Il buco nero è una concentrazione di massa talmente grande che la luce non riesce ad uscirne, perchè è deviata dalla gravità. Il buco nero ha la proprietà — dovuta alla sua concentrazione — di attrarre la materia con ancora più forza di quella con cui la materia attrae se stessa. Questi buchi neri al centro delle Galassie fanno sì che la materia cada sul centro della Galassia, non in forma asimmetrica, ma in un piano. Nel punto centrale del piano, la temperatura aumenta, si gonfia la materia, e questo gonfiarsi fa sì che si crei una specie di imbuto "al rovescio", dal quale escono dei getti enormi di energia. Con il nostro telescopio spaziale "Hubble" abbiamo osservato una Galassia che si trova a circa 60 milioni di anni luce, e il suo getto di materia di gas, che si estende per ben 15.000 anni luce. La quantità di energia necessaria per mantenere questo getto di energia durante 15.000 anni, è equivalente a trasformare 10 volte la massa del nostro Sole, ogni anno, in energia pura.
Come la massa viene portata al centro di queste Galassie, per alimentare il buco nero? Un modo facile è lo scontro di Galassie. Le Galassie infatti, nonostante siano oggetti abbastanza separati, hanno la tendenza a incontrarsi e a scontrarsi, e questo è un meccanismo che si ripete all'infinito nell'Universo; è uno dei meccanismi che noi pensiamo sia responsabile della formazione delle Galassie primordiali.
Potrei continuare a descrivere l'Universo, introducendo concetti ancora più complicati e specialistici (i quasar, le lenti gravitazionali, le galassie elittiche o a spirale...), ma credo che sia sufficiente quanto esposto per comprendere il ruolo del telescopio spaziale e le domande — a cui, molto spesso, non c'è risposta — di noi astrofisici. Per concludere, voglio ricordarvi una frase di Albert Einstein, che credo sintetizzi lo spirito dell'astrofisico: "Voglio sapere! Dio ha creato questo universo: non sono interessato a uno o a quell'altro fenomeno fisico, voglio conoscere il suo pensiero. Il resto sono dettagli".
Gargantini: I dati presentati e il racconto del Prof. Macchetto, hanno reso bene l'importanza dell'osservazione. Si può sperare di comprendere qualcosa della realtà se si ha la pazienza e la capacità di osservarla, rispettando le caratteristiche dell'oggetto di indagine. Per l'universo fisico vale il versetto della sapienza (Sap 11,20) che dice: "Dio ha regolato ogni cosa in peso numero e misura".
Una prima riflessione: l'universo rivela una inaspettata inesauribilità. La scienza con le sue misure e con i suoi modelli fa emergere sempre maggiori particolari, ma la realtà si mostra sempre più ricca delle nostre aspettative, della nostra capacità di misurarla e di elaborare modelli teorici. L'Universo è inesauribile, però, almeno in parte, accessibile. L'indagine scientifica è proprio una sfida per rendere accessibile alla ragione la possibile varietà.
Un secondo punto di riflessione è dato dal fatto che la grandiosità, la stranezza, la complessità dell'Universo, ci aiutano a cogliere tutto come un segno e quindi a porci interrogativi reali. Innanzitutto sulla esistenza stessa dell'universo: l'universo poteva anche non esistere, poteva essere in mille modi diversi. Questo ci permette di avanzare una constatazione cruciale: la natura contingente dell'Universo, e, di conseguenza, il fatto che l'uomo è creatura. Il cardinal Newman diceva: "C'è un solo pensiero più grande dell'universo ed è il pensiero del suo Creatore". Questo va contro ogni tentazione di panteismo (che vede l'universo come divinità) o di nichilismo (che non si pone alcun problema di significato): l'ipotesi più ragionevole è quella di un Creatore.
È interessante a questo proposito notare che dire "Creatore" significa affermare una diversità incommensurabile tra creatore e creatura. Questo creatore infinitamente distante è diventato infinitamente vicino, è entrato in questo cosmo e nella storia e si è reso incontrabile, riconoscibile. La consapevolezza di questo non deriva certamente dalla scienza, ma è condizione per fare scienza.
Infine, il tema del tempo. La scienza ci permette di esplorare il tempo su una scala enorme, ma al di là di questi dati vale l'ammonimento di Eliot: "Senza significato non c'è tempo": neppure la ricerca scientifica è estranea a questa esigenza di significato.