La condizione della donna:

verso la Conferenza di Pechino

Venerdì 25, ore 16.30

Relatori:
Maria Antonietta Macciocchi,
Giornalista e Scrittrice

Giulia Paola Di Nicola,
Docente di Sociologia presso l'Università di Chieti, sede di Teramo, e presso la Facoltà Pontificia Marianum

Susanna Agnelli,
Ministro degli Affari Esteri

 

 

Macciocchi: Ho accettato il vostro invito perché avete dedicato, nel Meeting, questo incontro a quella sorta di conclave delle donne del mondo che si svolgerà a Pechino tra qualche giorno, con la IV Conferenza Internazionale della donna, indetta dalle Nazioni Unite.

Voi rompete il silenzio mediatico che ha regnato plumbeo su questo evento rifiutando quasi di darvi legittimità.

Soltanto ora è scoppiata la bomba cartacea del rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione delle donne nel pianeta: i mass media hanno scelto così, in fretta e furia, il tema del lavoro femminile in Italia, punzecchiati da quella cifra del rapporto che dice come le donne lavorino il 28% in più degli uomini, ma guadagnino il 20% in meno.

Scandalo, emozione. Così nello stesso giorno tutti i quotidiani, sotto il comando di quella misteriosa regia che governa una stampa tutta omologata, una TV tutta conforme, hanno titolato in prima pagina allo stesso modo. È stata così la nascita ufficiale della Conferenza di Pechino. "Grazie, donne" (Corriere della Sera), "Lavoro: le italiane lo fanno di più" (doppio senso? La Stampa).

Per i commentatori, per gli editorialisti, è stato come un match di football, una sorta di primato sulle spalle curve delle donne che sgobbano, che appartiene all'Italia quale titolo d'onore di fronte all'Europa insomma. Ma le conclusioni sono ancora magre, quindi col bilancio c'è a quanto pare, un "arrivederci e grazie". Soddisfazione dei media per tanta energia nel motore produttivo italiano, come nella cantilena del girotondo: "Oh! Quante belle figlie, Madama Doré. Son belle e me le tengo... Non mangiano ma sgobbano, Madama Doré. Son belle e me le tengo etc".

Affiora solo una preoccupazione: ma ora che le donne lo sanno, non faranno il secondo passo verso la lotta rivendicativa, temuta allo stesso modo da Confindustria e Sindacati, da Governo e Parlamento? La presidente della Camera aveva già preso le sua misure inviando come rappresentanti del Parlamento di questo paese di lavoratrici indefesse e malpagate, tre robusti deputati, che poi forse intimoriti per l'accoglienza gelida che avrebbero avuta a Pechino, si sono dimessi, due su tre. Il Papa, al contrario invia una donna a rappresentare un potere tutto maschile, il Vaticano.

L'ineffabile fanciulla presidente aveva arginato lo scandalo dell'ondata di stupri contro le donne in quest'estate '95, contenendo il dibattito sulla legge contro la violenza sessuale che esiste in tutti i Paesi industrializzati del mondo sulla base di una direttiva delle Nazioni Unite, e chiede ai governi di punire lo stupro come un reato contro la persona umana. Nell'estate '95, in questo strano paese, ha dato mano alla presidente Pivetti un'altra donna di potere, che presiede la Commissione Giustizia, Tiziana Maiolo, ultra-garantista, che voleva barattare la legge antistupro con quella contro la carcerazione preventiva, tra gli intrighi dei difensori delle canaglie di Tangentopoli (sempre in prima fila), mettendo alle corde la legge contro la violenza sulle donne con un ricatto: o eliminate gli anni della carcerazione preventiva, oppure niente legge anti stupro.

La furba presidente, accortasi dello scandalo, prima di chiudere le valige per le vacanze, ha chiamato le donne stuprate "care sorelle", e ha promesso l'approvazione della legge per la riapertura del Parlamento.

In ogni caso l'assemblea di Pechino sarà già alle nostre spalle. Chi se ne ricorderà poi in autunno? O riprenderanno a cloroformizzare la gente sugli scandali, con nuove esplosioni di sessi sulle copertine dei periodici? Promuovendo quasi i sederi delle donne a protagonisti culturali? Sederi come mappamondi sui rotocalchi "intellettuali" (Espresso, Panorama) e sui tabloid chiaramente scandalosi, tra cui c'è omologazione di fini ed interessi "culturali"; il nostro curioso paese mi è sembrato il paese dei "sederi parlanti (il che ovviamente non è piaciuto a Pippo Baudo) e dialoganti".

Se Diderot aveva scritto "I gioielli indiscreti", una raffinata satira sui sessi femminili spettegolanti, questo avveniva prima della grande rivoluzione; da noi non c'è rivoluzione, ma restaurazione, non c'è ironia né stile illuminista della scrittura, né appello alla rivolta femminile.

I sederi sono stati appesi durante tutta l'estate sulle copertine, aggraziati come quarti di vitella; gran pezzi di deretani come volti, appena accompagnati dal nome della proprietaria del medesimo. Nasce la "femminologia" come nuova scienza italiana sulle donne, che comincia dal di dietro, e non dalla psiche o dalla storia.

Ma l'estate '95, in questo strano paese, contro il primato dei quarti posteriori femminili, ha segnato anche l'esordio del pene in copertina. Il pene dell'onorevole Casini, riprodotto da tutti i giornali, è stato lo "storico" inizio dell'esibizione del fallo; secondo la psicanalisi e Freud si tratta di una femminilizzazione dell'uomo, che esibisce il proprio sesso, a sua volta, come oggetto di desiderio.

L'onorevole Casini (grande mago delle campagne anti-aborto, che dà lo statuto di persona umana anche all'embrione) e l'attore Costner, diventano i primi grandi Narcisi della storia. Ora che la corsa si accelera a precipizio per l'eguaglianza tra uomini e donne contro ogni discriminazione, credo che di storia se ne debba scrivere un'altra.

Era il 1975 allorché in Messico 133 stati sottoscrissero la convenzione solenne per indire un anno internazionale della donna, per eliminare tutte le discriminazioni. Cito questa data perché essa è appena successiva alla storica rivolta femminile, che seguì il 1968, sorta di prolungamento nella società civile di una battaglia finita. Il maggio '68, su cui ci si interroga ancora, fu in primo luogo una grande effervescenza della parola, un'esplosione orale, una liberazione. Per me e non solo per me, questo evento è stato una nascita e forse perciò resta carico di tanti misteri, come ogni nascita. Era come un lungo urlo di rivolta e di rabbia, che poi si sarebbe organizzato in una rivoluzione — più il tempo passa, più ne sono convinta — con il gran salto fuori dell'era capitalista e fuori dell'illusione comunista.

Non si tratta tanto di riabilitare quel femminismo post-68, che non ne ha bisogno, anche perché per ogni donna che l'abbia vissuto è stato un gran colpo di giovinezza. Quel che occorre è soprattutto operarne una lettura più attenta, per riflettere sull'aspetto di quella ribellione che segue la rivolta dei figli contro i Padri Padroni, per entrare nell'era della fraternità. Potrei dire che in quel movimento contraddistinto da due versanti, uno verso l'eguaglianza, l'altro verso l'identità della donna — nelle contropieghe dell'ira studentesca — le donne avevano trovato anche la misoginia, la corruzione e il mercimonio del loro corpo e del loro voto.

Prima del 68, le pensatrici donne erano state essenzialmente due: Simone Weil e Simone De Beauvoir; avevamo letto poco l'ascetica Simone Weil dalle mani scarnite dal sacrificio, ma avevamo letto tutte Il secondo sesso di Simone de Beauvoire. Era stato Sartre, antesignano del gauchismo, che aveva invitato la sua compagna a capire le ragioni dell'inferiorità e di una rivolta; Simone de Beauvoire, sotto le punzecchiature di Sartre che le chiede: "Che cosa ha voluto dire per voi essere donna?", si getta a lavorare nelle biblioteche. E se prima aveva risposto a Sartre: "Per me essere donna non ha contato niente", adesso scrive la sua bibbia femminile, che si conclude con una affermazione famosa: "Non si nasce donna, ma lo si diventa".

Ma nella post-fazione si poteva anche leggere una sorta di rassegnazione: "Le donne delle lotte sono lontane e stanno dietro di noi"; è l'inizio di una smobilitazione delle donne che spegnevano l'aggressività e la passione del dopoguerra, per arruolarsi soprattutto nel pacifismo assoluto staliniano, daltonico, rosso o verde come truppe di choc: erano partigiane della pace.

La prima volta che mi recai a Parigi, fu per recare alla sede delle Nazioni Unite, centinaia di migliaia di firme di donne italiane per la pace. Portavamo valige di libroni con le firme, chiuse nei nastri iridati del pacifismo. Eravamo l'ingenuo bastione politico-ideologico, che precedeva l'era dell'atomica, anche in mano sovietica dopo Hiroshima, e dell'equilibrio del terrore, dell'egemonia del pianeta diviso tra due grandi potenze.

Nel 1989 è crollato il muro bastione massimo eretto dai sistemi politici della guerra fredda. Si frantumava la divisione del mondo in due. Si sollevava la cortina non solo sulla dittatura sovietica, strettamente imparentata con quella fascista, sin dalle origini. Finiva la grande illusione sulla relazione immaginaria e fantastica tra la promessa dell'Ottobre Rosso e il futuro felice dell'umanità femminile. Nel libro di Furet Il passato di un illusione. Saggio sull'idea comunista del XX secolo, ciò che lo storico non ha esaminato, e che invece è stato oggetto di tanti nostri lavori coraggiosi di donna, è come l'utopia universalista astratta della liberazione delle donne sotto i regimi comunisti sia stata una beffa ancora più drammatica di quella contro la classe operaia.

Crollato il muro si è alzato anche il sipario sulla vita reale delle donne di quelle sterminate lande, dove una nuova divinità femminile, l'Eva comunista, aveva costituito il centro di una religione dell'uguaglianza basata sulle leggi e la costituzione. Infatti la grande illusione di una parità assoluta, tanto armoniosa quanto fasulla, era nata oltre mezzo secolo prima, con quella fantastica e bonaria bugia detta da Lenin dopo l'Ottobre: "Anche una cuoca può dirigere lo stato dei soviet".

In verità nel socialismo reale non solo le donne lavoravano il doppio degli uomini, stakanoviste di choc (come ora titola il Corriere per le donne italiane che lavorano il 20% in più), ma ricevevano le loro medaglie al merito se aggiungevano all'estenuante fatica del lavoro anche il figliare come coniglie le creature che Stalin sollecitava. Era lo stesso andazzo del Duce italiano, di Hitler, di Franco, di Petain, che volevano le donne prolifiche, senza ambizioni, con pochi studi, nessun ruolo nella cultura, senza diritto di voto sin dalle origini.

Se in questo XX secolo l'umanità ha pagato un prezzo atroce alla dittatura, il più grande salasso è stato quello operato sul corpo e sulla fatica delle donne. Per questo il bluff, l'inganno e le illusioni della loro liberazione sono stati assoluti. L'ultimo paradosso al quale guardiamo stupefatte è la scomparsa clamorosa del prototipo di donna del XX secolo, la donna comunista; quella che era sembrata una Minerva vittoriosa — all'assalto di tutti i diritti, fin dagli anni '20, quando, nel 1917, furono inclusi nella Costituzione il diritto all'aborto e al divorzio — dopo settant'anni di storia comunista è come se non fosse mai esistita.

Quella che era sembrata l'era della nuova Eva, torna a noi attraverso una sarabanda di spettri femminili, con pochi nomi da ricordare: Clara Zetkin, la tragica moglie di Stalin suicida o assassinata, dissenziente dalla politica del marito; Krupskaya, Kollontav, Armand... sono le drammatiche figure di madri di generazioni di contadine, operaie, intellettuali, travolte nelle feroci lotte interne del partito, tra Rivoluzione d'Ottobre, N.E.P., industrializzazione forzata, le purghe, i gulag per i figli e per i mariti; l'immenso sacrificio della guerra patriotica e al tempo stesso la loro espulsione massiccia dal potere, da ogni ruolo nella direzione dello Stato e del Partito. Si dovrà arrivare a Kruscev per vedere emergere una donna, Ekaterina Furtzeva, alla testa del ministero della cultura.

Quell'insieme di ardore, coraggio, intelligenza sottile, si sgretolavano tra menzogne e ferocia. Quelle passioni, entusiasmi e abnegazioni erano state inutili o vane. Pochi avvenimenti storici erano stati così strazianti nella storia delle donne. Ma non se ne parla. Non vi sono donne superstiti o dissidenti famose a farci da testimone, vi sono Solgenitzin, Vaclev Havel, magnifici dissidenti... ma le donne da ricordare dove sono? Anche quelle di noi che hanno lottato contro il totalitarismo, hanno solo uno struggimento di cuore davanti a tante eccezionali energie femminili buttate via, tante intelligenze perdute, tanti ingegni ottenebrati. Certo, una donna, Rosa Luxemburg previde il costo terribile dell'illusione comunista, ma venne messa a tacere da Lenin e uccisa dai nazisti. Né basterà più il poetico slogan di Mao, che a Pechino risuonerà come un lontano ultrasuono, per convincerci del contrario: "Le donne sono la metà del cielo", anche se in questa frase perdura un fascino ribelle più poetico che politico e ideologico.

Quello che avviene oggi, davanti ai nostri occhi, è che sotto la sferza del fanatismo religioso e sotto la guerra che si accende e si manifesta alle nostre porte, le donne sono le prime vittime: la guerra in Bosnia è iniziata col grande stupro. In Italia, non c'è tanta sensibilità, ma c'è una grande baldoria, con un contorno di poppe e di glutei parlanti, come dicevo all'inizio; le donne di potere, che vengono camuffate da scrittrici, da politiche e da giornaliste, sono dure, implacabili, crudeli e ciniche: è questo che irrita, in una situazione che si fa sempre più tragica.

Mentre a fianco a noi altre donne serbe, croate e bosniache, cristiane e mussulmane, crepano sotto le armi o si suicidano. C'è la foto di quella donna serba, che ho sempre sotto gli occhi, una foto che segna un'epoca: siamo di fronte alla rassegnazione della disperazione. La madre bosniaca si è impiccata all'albero davanti al campo di concentramento e lì il suo corpo è rimasto a dondolare al vento senza che, per giorni e giorni, si osasse seppellirlo. Vestiva ordinata quella donna, quasi si recasse ad un incontro di famiglia: gonnella e giacchina di maglia, le scarpe ai piedi allacciate accuratamente, i capelli annodati sulla nuca. In quella foto, che ha fatto il giro del mondo dei media, tutto in lei è atrocemente normale. È la sua normalità che fa rabbrividire. Ma noi viviamo in paesi anormali. E l'Italia è tra i più anormali, con quelle foto lascive che si incontrano sulle copertine della grande stampa. In un paese anormale, non si trovano più firme delle donne di ingegno come commentatrici dei giornali.

A Pechino dove si vuole promuovere la donna nel mondo fino al 2000 e per il secolo che verrà, credo che dobbiamo sentire una grossa carica positiva: dobbiamo augurarci che non vi saranno grandi divisioni. La stampa si aspetta che ci siano le donne che si tirano per i capelli, ma io credo che le donne avvertano che questo è il tempo dell'unità, bisogna farla finita con la non solidarietà tra donne. Vogliamo avanzare verso la prospettiva di un nuovo umanesimo, e occorre gettare le fondamenta di un discorso sulla donna per l'eguaglianza, lo sviluppo e la pace non come termini metafisici, ma come diritti da conquistare.

Di Nicola: Il tema della quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla condizione femminile nel mondo è Lotta per l'uguaglianza, lo sviluppo e la pace. I problemi sul tappeto sono ancora molti, anzi per certi versi si sono acuiti dopo la conferenza di Città del Messico (1975), di Copenaghen (1980)1 e di Nairobi (1985).

La conferenza è stata preparata per zone: Asia-Pacifico (Giacarta, giugno 1994); America Latina-Caraibi (Mar della Plata, settembre 1994); Europa (Vienna, ottobre 1994); Asia occidentale (Amman, novembre 1994); Africa (Dakar, novembre 1994). Infine, si è tenuta a New York la 39.ma sessione della Commissione per lo status della donna, dal 15 marzo al 7 aprile, per elaborare la Platform for action, su cui confrontarsi a Pechino.

Sono note le difficoltà incontrate dalle ONG per la distanza imposta dal governo di Pechino rispetto alla sede centrale della conferenza.

Ancor più stridente è il fatto che una tale conferenza si svolga in un Paese che ha diversi conti in sospeso nel campo dei diritti umani e della condizione delle donne, soggette a trattamenti "medici" coercitivi di pianificazione delle nascite e di sterilizzazione forzata. La discriminazione colpisce la donna per il fatto che la legge cinese permette ad un uomo di ottenere il divorzio da sua moglie con il pretesto di un aborto al quale la donna può essere stata costretta. La politica di pianificazione comporta una disparità delle nascite fra bambini e bambine. Di fatto la politica "del figlio unico" in Cina è all'origine di un gran numero di aborti forzati, praticati soprattutto su feti di sesso femminile. Le bambine vengono vendute e si instaura la pratica del commercio di feti. Inoltre la nuova legge sull'eugenetica, entrata in vigore il 1.6.1995, prevede l'aborto forzato dei feti che presentano anomalie fisiche e psichiche.

Per tutte queste ragioni il Parlamento Europeo deplora "che la libertà di opinione e i diritti dell'uomo non siano pienamente rispettati in Cina" e esprime "l'auspicio che il governo cinese rispetti tutti gli impegni assunti con i rappresentanti dell'ONU". Il Parlamento è giunto a chiedere alla Commissione e al Consiglio di prendere in esame l'opportunità di sostenere il trasferimento della Conferenza ufficiale in un'altra sede in Australia qualora la Cina non ottemperi alle richieste.

Questi i principali temi in discussione: povertà, educazione, salute, violenza contro le donne, effetti delle persecuzioni e dei conflitti armati, partecipazione nelle strutture economiche, nel potere e nell'assunzione di decisioni, mancanza dei meccanismi adatti per la promozione della donna, diritti umani, influenza dei mezzi di comunicazione di massa, le donne e l'ambiente naturale, problemi delle bambine e delle adolescenti.

Molti aspetti hanno subito modifiche nel corso degli incontri preparatori. Alcuni obiettivi sono caduti strada facendo, mancando la possibilità di raggiungere un accordo, magari "in nome del realismo", come l'impegno in cifre, i calendari che segnano le scadenze degli impegni, la penalizzazione degli stupri di guerra come atti di terrorismo, di tortura, di genocidio. Il punto irrinunciabile che la Santa Sede e i Paesi della Comunità Europea hanno condiviso e che è stato finalmente accettato, dopo che diverse nazioni a New York avevano fatto resistenza, è che i diritti umani delle donne sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti universali dell'uomo, come dichiarato nel giugno 1993, nella conferenza mondiale di Vienna sui diritti umani, sulla base della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Nazioni Unite, 10 dicembre 1948). Sarebbe stato pericoloso se si fosse lasciato ai singoli Stati il compito di promuovere i diritti umani secondo criteri nazionali e locali.

Vi è stata una attenta e costante partecipazione della Santa Sede ai lavori preparatori a Pechino, con una delegazione di donne di diversi Paesi e differenti esperienze professionali. È importante sottolineare questo intento collaborativo "a difesa della dignità, del ruolo e dei diritti della donna", come ha fatto il Papa nella lettera alle donne (numero 1) e come ha pubblicamente espresso Sua Eccellenza monsignor Tauran nell'incontro del 26 maggio con il Corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede: "La Santa Sede intende collaborare col massimo impegno al successo della conferenza di Pechino, ascoltando tutti e proponendo il proprio punto di vista. Essa è consapevole che anche se le proprie posizioni non sono accettate da tutti, ci sono molte persone credenti e non credenti, che condividono la sua visione e desiderano che la sua voce sia sentita"2.

1. Quale l'incidenza delle conferenze ONU?

In generale, anche se la natura della conferenza dell'ONU risente della stessa configurazione politica ed istituzionale delle Nazioni Unite, la cui base strutturale prettamente governativa rispecchia i formali rapporti tra Stati, è vero che la consistenza delle tematiche aiuta a concordare punti di riferimento comuni che hanno una ricaduta sui singoli Stati, anche perché l'iniziativa legislativa, sia di nuova previsione normativa che di modifica di quella esistente, si è manifestata assai spesso una conseguenza diretta dei documenti adottati al termine delle Conferenze. Anche per questo ha trovato via via spazio in queste conferenze la presenza di delegazioni parlamentari, o il Forum delle ONG, pur avendo esse solo il carattere di stimolo ideale e di confronto.

D'altra parte i vertici ONU lasciano spesso la sensazione di muoversi solo sulle buone intenzioni. È vero che talvolta si ha l'impressione che si tratti di esami di coscienza con cui ci si libera un po' collettivamente dai pesi del non sviluppo. Eppure, pur conoscendo i limiti delle rappresentazioni, delle convenzioni e delle raccomandazioni rispetto alla parte decisiva che nella società hanno i soggetti e i loro interessi, resta un obiettivo irrinunciabile quello di segnare con queste conferenze il livello di consenso raggiunto dall'umanità su valori umani. Per questo "È interesse particolare della Santa Sede che a Pechino siano chiaramente messe in rilievo ed adottate nuove misure adeguate per attuare quanto affermato a livello universale sulla dignità, i diritti ed il ruolo della donna nella società" (J.L. Tauran, Posizione della Santa Sede).

 

2. Povertà e lavoro

Secondo il "Rapporto sullo sviluppo umano 1995. La parte delle donne", la povertà è maggiormente donna: su oltre un miliardo e 300 milioni di persone nel mondo che vivono in condizioni di assoluta povertà, circa il 70% è costituito da donne.

Considerate come forza lavoro svantaggiata, esse subiscono il peso maggiore della espulsione dal mercato e della povertà in tempo di crisi, perdendo così ogni possibile mezzo di sussistenza, legato al lavoro regolarmente retribuito. La mancanza di lavoro le colloca in una sorta di serie B della cittadinanza. Quale cittadinanza per chi non lavora se, come recita la Costituzione a proposito dell'Italia, essa è una "Repubblica fondata sul lavoro"? E di quale lavoro si parla, dato che è falso dire che le donne hanno cominciato a lavorare solo con l'industrializzazione, perché in realtà esse hanno solo cominciato a svolgere il tipo di lavoro che viene considerato degno di retribuzione. Ma di fatto hanno sempre, e più spesso in misura maggiore degli uomini, sopportato lunghe giornate lavorative.

Eppure accade ancora che le donne percepiscano uno stipendio più basso rispetto agli uomini, anche in Paesi come l'America e l'Inghilterra (all’incirca pari al 70-80% di quello maschile). Che a parità di lavoro debba corrispondere parità di stipendio resta un obiettivo importante da raggiungere per i Paesi che non hanno ancora accettato di introdurlo nella loro legislazione lavoristica, anche in Italia vi siamo ormai abituati. Non è un caso che il Papa abbia dovuto ribadire questo punto fermo dei diritti della persona-donna nei suoi interventi domenicali.

 

3. Alfabetizzazione ed educazione

Premessa di sviluppo è l'educazione. Nel mondo su 900 milioni di analfabeti, le donne sono 600 milioni, il 66%. In molti Paesi l'istruzione non è garantita, o viene distribuita in maniera diseguale tra donne e uomini. Il percorso scolastico delle donne, inoltre, viene spesso bruscamente interrotto in caso di matrimoni o di gravidanze precoci, con ripercussioni sul futuro professionale.

Sul tema dell'educazione la Santa Sede ha proposto che venga rispettata e favorita la scelta dei genitori, per assicurare un'educazione di qualità ai propri figli e che vengano quindi garantiti i diritti delle donne e delle bambine alla libertà di coscienza e di religione nelle istituzioni educative, come del resto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, per la quale i genitori hanno diritto a scegliere il tipo di educazione per i propri figli. Si deve tener presente infatti la possibile invadenza degli Stati e l’imposizione di modelli formativi univoci.

Nel documento l’impressione è che si tenda ad eliminare la responsabilità dei genitori nel campo dell’educazione e dell’informazione sessuale. Ma se si scaricano — o piuttosto espropriano i genitori delle loro responsabilità —, chi le assumerà? Lo Stato? Le grandi Holding?

 

4. Tempo e cura

Un problema centrale, che attiene alla disuguaglianza concreta nella vita degli uomini e delle donne, è la diversa distribuzione della cura, del tempo e, conseguentemente, della qualità della vita. Sulle donne ricade infatti il peso maggiore dell'attività di cura (casa, anziani, bambini, malati), attività che le viene attribuita per natura e non le viene retribuita. Una donna che voglia realizzare le sue qualità professionali, mettendo a frutto gli anni di preparazione scolastica, ma senza rinunciare alla famiglia, viene di fatto caricata di un doppio onere lavorativo.

Vengono in luce i limiti dell'antica scissione tra uomo-lavoratore e donna-madre, che continua ancora a pesare sull'interpretazione di un mondo familiare chiuso a "prigione fiorita ma sigillata", diceva Mounier, e un mondo del lavoro asfissiato dalle sue stesse logiche autoreferenziali.

Le cattive conseguenze del peccato si riflettono in questa scissione che impone all’uomo di "sudare" e alla donna di soffrire il travaglio del parto, "condanne" che contraddicono la chiamata di entrambi a "dominare" la terra e "assoggettarla" e, in altri termini, a cooperare con Dio creatore, ciascuno secondo i porpri talenti3.

Secondo i calcoli dell'ONU il valore globale del lavoro femminile misconosciuto è di circa 11mila miliardi di dollari, somma che non è conteggiata nei bilanci dell'economia mondiale, anche se rappresenta quasi la metà del prodotto mondiale annuo ufficialmente calcolato. Sia l'Unione europea che il Vaticano concordano sul bisogno crescente di misure suscettibili di conciliare la vita professionale e le responsabilità familiari, mettendo fine a discriminazioni di diritto e di fatto nel campo del diritto del lavoro del diritto ereditario, della famiglia e attraverso adeguate politiche sociali. Il Papa ha sottolineato più volte l'importanza della corresponsabilità dell'uomo nella vita della famiglia e anche che la sfida del futuro sta proprio nel mantenere ferma ed anzi potenziare l'importanza della donna nella famiglia senza però mutilare quella nella società.

 

5. Partecipazione politica e poteri decisionali

Un grande rilievo viene dato alla possibilità concreta delle donne di partecipare ai processi decisionali, da cui le donne sono generalmente emarginate.

Anche i governi dei Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico, ossia 70 Paesi in via di sviluppo) hanno espresso, in una risoluzione, il loro desiderio di dichiarare a Pechino che nessuno sviluppo sostenibile può essere raggiunto senza "la partecipazione delle donne al processo decisionale, a tutti i livelli della società", assicurata attraverso garanzie costituzionali e legali e attuata in tutti i settori della convivenza.

In Itali, l'accesso delle donne alle opportunità politiche viene calcolato attorno al 13% dei seggi parlamentari assegnati nel '94 (la media mondiale è del 10% e il tasso più elevato si registra in Norvegia, con il 39,4%). La Svezia è il primo Paese della storia con il 50% di ministri donne. Per il resto del mondo solo 21 donne sono state capi di Stato e solo 28 hanno vinto il Nobel (il 4,4% del totale).

In generale la consapevolezza dell'importanza della partecipazione politica delle donne è venuta crescendo nel mondo cattolico, unitamente ad una maggiore coscienza democratica. Già Pio XII, nell'anno della conquista del diritto di voto 1945, così si rivolgeva alle donne dell'ACI: "La vostra ora è suonata, giovani e donne cattoliche; la vita pubblica ha bisogno di voi. Ad ognuna si può dire, tua res agitur, sono in gioco i tuoi interessi. La donna ha da concorrere con l'uomo al bene della civitas nella quale è in dignità pari a lui. Ognuno deve prendere la parte che gli spetta, secondo la sua natura, il suo carattere, le sue attitudini fisiche, intellettuali, morali. Ambedue hanno il diritto di cooperare al bene totale della società"4. Su questa via, l'associazionismo cattolico di base si è impegnato a ricomporre la scissione che c'era tra la donna casalinga e la cittadina, nella convinzione che senza far crescere la partecipazione, senza educare al rispetto dell'uguaglianza e della differenza, la democrazia resta formale ed elitaria. Si è lavorato per sollecitare la partecipazione dell'elettorato femminile, per frenare l'astensionismo, per educare a passare dal voto pilotato all'adesione convinta.

Giovanni Paolo II ha ribadito la convinzione che la presenza femminile nei luoghi della decisione contribuisce ad umanizzare i sistemi, specie al confronto con le urgenze del futuro, che esaltano il protagonismo femminile: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, eutanasia, droga, assistenza, crescita zero, ecologia, qualità totale. "Per tutti questi campi una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa — scrive il Papa — perché contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la "civiltà dell'amore"5.

 

6. Violenza

La conferenza di Pechino affronterà il tema della violenza, nelle forme più diverse in cui viene esercitata e che vede troppo spesso le donne come vittime.

La violenza prima è quella che impedisce alle bambine persino di nascere, selezionandole prima della nascita grazie all'indagine radiologica, come abbiamo detto accadere in Cina.

Sullo sfruttamento sessuale si è lavorato molto in vista della Conferenza. È allarmante se si pensa che in Asia ogni anno un milione di bambine sono avviate alla prostituzione, pratica comune a tanti Paesi sottosviluppati. Si reclamano espressamente da parte degli Stati campagne contro la tratta delle donne e delle ragazze, la prostituzione coatta, il turismo a sfondo sessuale, l’offerta di mogli dai paesi in via di sviluppo al mercato europeo, di fatto come schiave.

La delegazione europea si adopera anche per la condanna della violenza sessuale all’interno e all’esterno delle mura domestiche e per il riconoscimento della violenza sessuale quale motivo legittimo per la concessione del diritto d’asilo. Da studi condotti dall'ONU in tre Paesi industrializzati, come Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, risulta che una donna su sei è vittima di uno stupro nella storia della sua vita, e un terzo denuncia vari abusi sessuali. Vi sono poi problemi riguardanti conflitti e stupri di massa. In Germania 4 milioni all’anno subiscono violenze in casa. Appare puntroppo che in molti casi di stupro e di abusi sessuali il responsabile sia proprio il marito e il padre. Si reclama che questi atti siano perseguiti penalmente ed anche che si costruiscano strutture particolari per le donne maltrattate che proteggano le vittime e le aiutino a ricostruire il senso della propria dignità. L’aspetto più grave del problema riguarda i conflitti, quando gli stupri di massa diventano strumento di guerra e di pulizia etnica e religiosa. Particolare oggetto di violenza sono le donne in situazioni di debolezza, più esposte, specie profughe o rifugiate a causa dei conflitti.

Nei luoghi di lavoro, le molestie sono una forma di violenza-ricatto che mette in questione non soltanto la sessualità ma anche i rapporti di potere. Proprio le frequenti denunce in questo campo hanno indotto l’U.E. ad adottare un "Codice di comportamento per la protezione della dignità della donna e dell’uomo sul luogo di lavoro".

In generale, per frenare la violenza si sollecitano campagne di informazione volte a rafforzare la coscienza della dignità e dei diritti delle donne; si chiede di perseguire adeguatamente in sede penale gli atti di violenza e di condannare lo stupro sistematico quale arma di guerra, previa appropriata inchiesta dell’ONU sui responsabili, con un processo per crimini di guerra, dinanzi a un tribunale internazionale permanente.

Tra le violenze contro le donne la Santa Sede comprende anche i diversi programmi di controllo obbligatorio delle nascite, la sterilizzazione forzata, l'uso forzato di anticoncezionali, l'incitamento ad abortire, tutti aspetti di una pianificazione dall'alto sulla vita e sul corpo delle donne, specie più povere e specie nei Paesi in via di sviluppo, che violano i suoi diritti alla libertà di scelta, nel rispetto dei suoi riferimenti affettivi, ideali, religiosi.

È evidente che tutto quanto attiene alla violenza sessuale non può essere insieme condannato e incoraggiato; condannato sul piano delle dichiarazioni e poi tacitamente sostenuto attraverso la diffusione di "una cultura di permissivismo edonistico, in cui più facilmente prosperano tendenze di maschilismo aggressivo"6. Si pensi ai moderni mezzi delle reti informatiche con cui il cliente può richiamare in qualsiasi momento immagini pornografiche e manipolarle a suo piacimento, il che contribuisce a privare la sessualità della sua dimensione umana e a considerare l’altro come oggetto.

La lotta alla violenza perciò non può limitarsi alla denuncia e alla punizione, ma deve avere il suo perno principale nella promozione di una cultura del rispetto della persona della donna e della sua dignità.

 

7. Sanità

Quanto agli aspetti sanitari, si calcola che ancora 500.000 donne nel mondo muoiano per patologie legate alla gravidanza e al parto, e che milioni restino disabili. Cento milioni di bambine subiscono mutilazioni genitali. Tra gli intenti della Platform c'è anche la lotta contro l'AIDS, con campagne di informazione e di prevenzione destinate a donne e a ragazze (sempre con l'accordo e la sorveglianza delle famiglie), principali vittime potenziali dell'estensione dell'epidemia.

Tuttavia, troppo spesso il documento identifica i problemi della sanità con la salute sessuale (AIDS, salute riproduttiva, malattie trasmesse sessualmente, controllo della fertilità, aborti). Invece la gamma dei rischi salute per le donne è di gran lunga più ampia. In particolare si pensi alle malattie tropicali, che secondo l'OMS colpiscono da 600 a 850 milioni di persone l'anno, mentre le stime dei casi di AIDS per il '94 sono di 4 milioni.

Sul tema dell'aborto è nota la posizione vaticana e la distanza dalle espressioni della Platform già presenti al Cairo. L'Evangelium vitae è in questo un punto di riferimento stabile per la S. Sede. Vorrei però qui sottolineare l'attenzione umana del Papa a questo evento drammatico che è comunque uno scacco della relazione uomo-donna, e una grave violenza che la donna fa e subisce. "Molte volte la donna è vittima dell'egoismo maschile, nel senso che l'uomo, il quale ha contribuito al concepimento della nuova vita, non vuole poi farsene carico e ne riversa la responsabilità sulla donna, come se lei fosse la sola "colpevole". Così, proprio quando la donna ha il massimo bisogno del sostegno dell'uomo, questi si dimostra un cinico egoista, capace di sfruttarne l'affetto o la debolezza, ma refrattario a ogni senso di responsabilità per il proprio atto. Sono problemi che ben conoscono non solo i confessionali, ma anche i tribunali di tutto il mondo e, oggi, sempre più, anche i tribunali dei minori. Dunque, respingendo fermamente la formula "pro choise" (per la scelta), occorre schierarsi con coraggio per la formula "pro woman" (per la donna), cioè per una scelta che sia veramente a favore della donna... L'unico atteggiamento onesto, in questo caso, è quello della radicale solidarietà con la donna. Non è lecito lasciarla sola"7.

Nella Lettera il Papa ha ripreso il tema collegandolo alla violenza, alla pornografia e ad una "cultura di permissivismo edonistico in cui più facilmente prosperano anche tendenze di maschilismo aggressivo. In condizioni del genere, la scelta dell'aborto, che pur resta sempre un grave peccato, prima di essere una responsabilità da addossare alle donne, è un crimine da addebitare all'uomo e alla complicità dell'ambiente circostante"8.

 

8. Quale sviluppo

Vi sono molti punti di convergenza tra le delegazioni, per esempio sulla lotta alla povertà delle donne, sugli effetti della persecuzione e dei conflitti armati sulle donne, sulla violenza contro le donne in tempi di guerra e di pace, violenza che può essere fisica, sessuale, psicologica e morale, sulla lotta allo sfruttamento delle ragazze avviate alla prostituzione, sulle famiglie ridotte in condizioni disperate con conseguenze che pesano soprattutto sulle donne, costrette a fuggire dalla propria terra (portando con sé i bambini e i membri più anziani della famiglia), sulla denuncia di ingenti risorse per gli armamenti sottratte alle necessità sociali, sul contributo che la donna offre alla cultura della pace, sul diritto delle donne al lavoro e alla pari opportunità e di compensi nel mondo del lavoro, della politica, dell'economia.

L'unità dei discorsi viene costruita attorno all'obiettivo dello sviluppo, ma le divergenze nascono attorno al modello di sviluppo che si vuole veicolare. La Platform, con le sue circa 120 pagine, suggerisce obiettivi e strategie di realizzazione che, proprio per essere universalmente accettati, mancano di riferimenti chiari, possono prestarsi a differenti concezioni dello sviluppo, come si vede per esempio relativamente al dibattito sull'uguaglianza o sull'equità, e più in generale relativamente ai diritti umani come si trovano definiti nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite, con l'obiettivo di impegnare governi non solo a non violare i diritti umani delle donne, ma anche ad operare attivamente per promuoverli e proteggerli eliminando tutte le forme di discriminazione.

La S. Sede ha tenuto a ribadire che "l'essere umano è al centro dello sviluppo sostenibile", principio adottato già dalla Dichiarazione di Rio de Janiero sull'ambiente e lo sviluppo, e accettato alla Conferenza su popolazione e sviluppo del Cairo. Al vertice di Copenaghen si è parlato ugualmente di uno sviluppo "people centred". Ma nella Platform si è trovata opposizione all'introduzione dello stesso principio.

Nascono delle perplessità sulla tendenza a voler affermare un particolare modello di sviluppo e conseguentemente di promozione femminile, che esalta la cultura del mondo occidentale e trascura i valori delle donne e dei popoli di altre zone del pianeta. Ciò si vede chiaramente nella scelta delle priorità dei diritti, specie quando i diritti entrano in conflitto tra di loro. La sottolineatura stessa dei diritti, sganciati dalle obbligazioni, comporta l'accettazione di un modello antropologico di tipo occidentale.

Se si prende il caso esemplare della politica demografica, l'opinione comune è stata fortemente influenzata dalla paura della esplosione demografica, con l'allarmismo della Conferenza internazionale demografica dell'ONU di Bucarest (1974), che la Conferenza successiva di Città del Messico (1984) ha ridimensionato, evidenziando l'altra faccia del problema: nei Paesi sviluppati il calo delle nascite e l'invecchiamento della popolazione frenano lo sviluppo dell'economia mondiale9. In Brasile ad esempio, per la politica massicciamente finanziata da organizzazioni internazionali, anche se ufficialmente non adottata dallo Stato, in vent'anni il tasso di fertilità delle donne è sceso del 50%, una riduzione che in Europa avrebbe richiesto 50 anni10. Mentre nei Paesi sviluppati la contraccezione per sterilizzazione viene effettuata sul 7% delle donne, in Brasile sale al 44% (decidere dall'esterno la sterilizzazione dei poveri significa promuovere la libertà di scelta solo per le donne benestanti e dei Paesi sviluppati). I contraccettivi orali sono usati nei Paesi sviluppati dal 13% delle donne, in Brasile dal 41%. Sono dunque lecite le perplessità su un imperialismo contraccettivo che appare non di rado un razzismo eugenico voluto da meno di un terzo della popolazione mondiale a scapito dei due terzi più deboli (il vaccino anti-baby pare sia stato sperimentato da Gurseran Talwar e finanziato, d'accordo con il governo indiano, dalla Fondazione Rockfeller, certo non estranea a interessi economici e politici sul pianeta). Si ha l'impressione che attraverso la riduzione delle nascite, si vogliano ridurre i rischi dell'attentato dei molti poveri ai pochi ricchi, alimentando la paura dell'esplosione demografica nei Paesi poveri e il principio della libera determinazione di aborto nei Paesi ricchi11.

Vi è collegato il discorso sulla famiglia. Nella Conferenza del Cairo c'è già stato un suo ridimensionamento: dalla "cellula fondamentale" a "una cellula", il cui senso è stato esteso a "famiglia in tutte le sue forme". Resta fondamentale per la Santa Sede ciò che sostiene la Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo circa la famiglia come "the natural and fundamental group unit of society" (art. 16,3) che ha diritto a protezione da parte della società e dello Stato. Nella Platform la famiglia entra soltanto in modo negativo, come luogo di apprendimento di discriminazioni, di esercizio della violenza e di oppressione della donna. Questi aspetti sono ovviamente possibili nell'ambito delle famiglie, anche la cronaca ci aggiorna continuamente sulle violenze che avvengono all'interno delle mura domestiche, ma la patologia della famiglia non può essere semplicisticamente scambiata con l'ideale della famiglia umana come gruppo fondamentale della società. Mi pare che sia un diritto delle donne stesse quello di poter vivere formando una famiglia, sapendo che nella maggioranza dei casi potrà e dovrà essere una bella famiglia, in cui ognuno avrà il rispetto dell'altro. Tale aspetto positivo rimane piuttosto occultato, così come la Platform oggi lo presenta.

Anche il linguaggio usato nella Platform rivela contenuti ambivalenti. Per esempio, la parola gender che cosa significa realmente? Quanti sono i generi12? Un gruppo di contatto è alla ricerca di una soluzione semplice e rapida al problema.

Le espressioni sexual orientation e lifestyle lasciano ugualmente perplessi, tanto più che i governi dovrebbero impegnarsi nei confronti di espressioni che non chiariscono bene se per esempio la pedofilia sia una sexual orientation. Anche l'insufficiente uso delle parole madre e maternità nella Platform conferma un allineamento con la cultura dominante di stampo secolaristico, intellettuale, illuminista, razionalista e moderno, piuttosto che una valorizzazione della differenza e della risorsa della femminilità.

Inoltre, nel concetto di sviluppo che viene proposto, i valori etici e religiosi sono pressoché ignorati, secondo un modello antropologico molto più razionalista e individualista che relazionale; dunque ancora una volta più androcentrico che "al femminile". È legittimo dubitare che il documento possa condizionare i popoli più deboli con l'adozione di modi di vita di culture estranee al proprio contesto e tendenti a sradicare i valori di milioni di donne e uomini che considerano fondamentale la dimensione dello spirito per uno sviluppo adeguato. Se nella Platform il ruolo delle religioni viene considerato solo in contesti negativi, per sottolineare il rafforzamento di pregiudizi e di ostacoli alle donne, possiamo lecitamente domandarci quanto ciò possa esprimere le vedute anche di quelle donne che hanno fatto l'esperienza di una religione propulsiva allo sviluppo, che avvertono l'esigenza di affermare i valori della trascendenza, che non rinuncerebbero mai al rapporto intimo che hanno stabilito con Dio. Non si vede perché esse dovrebbero considerare il loro patrimonio di fede solo come un retaggio di un passato tradizionalista e conservatore, un ostacolo alla loro liberazione, adattandosi alla moda della modernità, senza nemmeno il tentativo di percorrere nuove strade, "alla ricerca di tutti i volti umani", amando e incontrando le donne e gli uomini di oggi, opponendosi alle mode del nichilismo strisciante della cultura dominante.

Non viene sufficientemente in evidenza il capovolgimento antropologico relazionale della persona che la femminilità esprime. "Lo scontro avviene tra due concezioni del mondo: quella individualistica, tipica del secolarismo consumista, che esaspera la visione utilitaristica dell'amore, che riduce la persona a mero strumento di piacere; e quello personalistico-comunitaria, protesa a realizzare l'io nel dono amoroso di sé al tu, per realizzare "con l'altro" il bene della persona... Un bene quindi dell'io in quanto si dona al tu"13. Nello stile di vita che la Santa Sede vuole aiutare a potenziare infatti si afferma "il primato dell'essere sull'avere, della persona sulle cose"14, della relazionalità donativa sull'egocentrismo, della reciprocità uomo-donna sulle esasperazioni conflittuali.

Agnelli: La IV Conferenza mondiale sulla donna che avrà luogo a Pechino, dal 4 al 15 settembre, è l'ultima della grandi conferenze sociali delle Nazioni Unite che si sono svolte in questo decennio, per preparare adeguatamente l'ingresso della comunità internazionale al III millennio. Vorrei ricordare brevemente le tappe di questo cammino: il Vertice mondiale sull'infanzia, la Conferenza sull'ambiente, quella sui diritti umani, quella sulla popolazione e lo sviluppo, ed il Vertice sociale di Copenaghen nel marzo del '95. Tutte, nessuna esclusa, hanno delineato e fatto emergere con grande evidenza il ruolo centrale che la donna occupa nella società. Non è un caso che la Conferenza di Pechino sia stata organizzata nello stesso anno in cui ricorre il 50° Anniversario della fondazione delle Nazioni Unite e della fine della II Guerra Mondiale. Il '95 dovrebbe costituire un simbolo, una pietra miliare, e segnare un nuovo punto di partenza verso un mondo caratterizzato da eguaglianza, sviluppo e pace.

La prima chiave di lettura della Conferenza di Pechino è costituita dal tema dell'eguaglianza. Nonostante i passi avanti compiuti nell'ultimo decennio, molta strada deve ancora essere percorsa per raggiungere la meta della piena uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità fra uomo e donna. Una parità in base alla quale la donna possa liberamente scegliere la via del proprio impegno, senza che le sue aspirazioni siano mortificate da costrizioni esterne.

Nella sua Lettera alle donne, Sua Santità Giovanni Paolo II afferma: "Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti, che in tutti i tempi e in ogni latitudine hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha impedito di essere fino in fondo se stessa, ed ha impoverito l'intera umanità di autentiche ricchezze spirituali".

Gli impegni assunti dall'Italia sul piano nazionale, hanno ispirato anche la nostra azione per la definizione della posizione negoziale comune dell'Unione Europea. L'Italia, in questo quadro, ha dato un apporto attivo e costruttivo per delineare il ruolo fondamentale che le donne hanno nell'economia e per sottolineare la necessità di una migliore distribuzione dei poteri fra uomini e donne. Su alcuni temi, che si sono dimostrati più controversi, talora anche in ambito comunitario, cioè quelli relativi a salute e diritti umani, la nostra azione è stata orientata alla mediazione. Il nostro punto di vista ha consentito di definire una posizione comune elaborata facendo ricorso alle formulazioni più favorevoli all'autonomia delle donne, proposte in occasione delle precedenti conferenze dell'ONU su tali specifici temi.

Il secondo tema della Conferenza è lo sviluppo, che si presenta con diverse articolazioni nel nord e nel sud del nostro pianeta, anche se è possibile individuare linee di azione applicabili a tutte le donne di oggi. Un impegno notevole dovrà essere profuso per introdurre e far confluire nella fase di analisi, previsione, gestione e realizzazione delle iniziative tanto la variabile uomo quanto la variabile donna. Su entrambe le variabili, tali iniziative dovranno essere commisurate. Penso in particolare all'educazione, al lavoro, alla conciliazione degli obblighi di lavoro con quelli di famiglia, alla protezione delle categorie più povere e deboli, solo per citarne alcune. Mi sembra d'altra parte che con il suo forte sostegno all'affermazione, come è avvenuto nel Vertice sociale di Copenaghen, della necessità di dare la priorità allo sviluppo umano, l'Italia abbia già indicato verso quale strada intenda proseguire nel cammino della cooperazione.

Infine, il terzo tema della Conferenza, la pace. Credo che questo tema debba essere inteso nel suo più ampio significato. La crisi economica, le crisi ambientali, il mutamento degli equilibri consolidati, i fondamentalismi etnici e religiosi, i conflitti armati, tutti questi elementi, combinati insieme, costituiscono fattori di grave rischio ed instabilità anche per le conquiste delle donne. La Conferenza di Pechino dovrebbe porre in giusta e nuova evidenza il ruolo che le donne possono esercitare nella prevenzione dei conflitti e nel mantenimento della pace, ma dovrà anche essere centrata sul ripudio della violenza. Troppe, terribili e spesso sconosciute sono le violenze che le donne subiscono in tutte le regioni del mondo e nelle più varie forme. Troppe donne sono colpite gravemente dalle guerre e soffrono, come rifugiate e sfollate, le conseguenze di abusi che rendono la loro vita insostenibile. Le cronache di questo mese di agosto ci hanno pressoché quotidianamente afflitto con notizie sulle violenze di cui sono state vittime, anche nel nostro Paese, donne e bambini. Tutto questo deve cessare. È soltanto nel dicembre '93 che l'Assemblea Generale dell'ONU ha potuto adottare, con il consenso dei suoi Paesi membri, una solenne dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne. Figura nella dichiarazione, e mi preme sottolinearlo, l'invito agli Stati ad introdurre nelle rispettive legislazioni sanzioni penali, civili ed amministrative nei confronti di chi si rende colpevole di atti di violenza contro le donne.

È con la massima consapevolezza degli obiettivi definiti sul piano nazionale che mi accingo a partire per Pechino a capo della delegazione italiana, che potrà avvalersi anche del contributo insostituibile delle forze impegnate al massimo livello in Italia, a difesa della parità e delle pari opportunità.

Vorrei concludere dicendo che le donne, per il solo fatto di essere donne, hanno un vero grande potere che solo loro possiedono, e che nessun uomo potrà mai avere, ed è quello di poter fare un figlio. Per questo, sono solo le donne che possono inventare il futuro, un futuro — spero — migliore del presente.

 

 

 

1 A Copenaghen per la prima volta a livello ufficiale (e contro la tendenza dominante per tutto il decennio degli anni '80) si è riconosciuto che lo sviluppo non è solo economia, non sono gli indicatori di produzione e reddito i soggetti, ma gli esseri umani.

2 J.L. Tauran, Posizione della Santa Sede sul "Draft of the Platform for Action", p. 10. Analoghe espressioni si trovano nel Rapporto della Santa Sede, in "La Società", n. 2 (1995), 363-378.

3 Commenta opportunamente P. Vanzan: "Dopo il peccato, l’uomo e la donna non li vediamo più "insieme" a lavorare e a procreare, ma con un’innaturale - rispetto al piano di Dio (ma naturalissima per il maschilismo successivo) - divisione dei ruoli, solo Adamo diventa il lavoratore, e solo Eva la madre: ed entrambi non per vocazione e amore, ma per castigo e come condanna" (P. Vanzan, La donna nella Chiesa: problemi e prospettive, in AA.VV., La donna nella Chiesa e nella società, Ave, Roma 1986, 111-182, 123); cf. A. Danese, Cittadini responsabili, Dehoniane, Roma 1994.

I discorsi di Pio XII alle donne si trovano in A. Miceu, Tra storia e memoria, CIF, Roma 1994, rispettivamente alle pp. 64 e 65.

5 Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 4.

6 Ibid., n. 5.

7 Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, p. 224.

8 Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, n. 5.

9 Infatti, dal 1970 il tasso d'incremento della popolazione mondiale è ovunque in costante diminuzione (dal 2,1 all'1,7%). Quanto al tasso di fertilità totale, se si esclude l'Africa, in cui la diminuzione delle nascite è quasi insignificante, nel Terzo mondo si è passati da 6,1 figli per donna nel 1960 a 3,7 nel 1990; in Asia orientale e Pacifico da 5,8 a 2,6; in Asia meridionale da 6,0 a 4,4; in America Latina da 5,9 a 3,2. In Africa sub sahariana, infatti si è passati solo dal 6,7 al 6,5 figli per donna in età feconda, in Medio Oriente e Nord Africa dal 7,0 al 5,1; nei paesi industrializzati, invece, si è scesi dal 2,8 all'1,8 (cfr. UN, World population prospects: the 1992 revision, New York 1993). Su questi aspetti rimando al mio: Per un'ecologia della società, Dehoniane, Roma 1994.

10 Oltre al controllo demografico, su questo fenomeno influisce anche il modello di sviluppo economico che dagli anni Sessanta ha prodotto un rapido processo di urbanizzazione. Tra il 1940 e il 1950 il numero delle città italiane con oltre 20.000 abitanti è balzato da 50 a 390 e quelle con più di mezzo milione di abitanti sono salite da due a 14.

10 La crescita demografica è calata dal 2,9% annuo degli anni Sessanta al 2,1% degli anni Ottanta. M. Schooyans denuncia i pericoli innescati da un controllo disordinato delle nascite, soprattutto tramite l'aborto, in ordine alle cadute totalitarie (cfr. M. Schooynans, Aborto e politica, tr. it. Città del Vaticano, 1991; cfr. anche "Avvenire", 2.9.1992). Si calcola che nel 1991 in Italia il 30% delle donne che hanno abortito (nel 1991 erano 160.000 con un trend in leggero calo) aveva già fatto questa esperienza più di una volta. Su questi temi, cfr. M. G. Piazza, La donna italiana e la procreazione Roma 1993.

11 Alcuni ne ipotizzano addirittura 5 (maschio, femmina, omosessuale, lesbica, bisex). Quanto alle lesbiche, la tendenza dell'UE è di discutere in sede di conferenza i loro diritti e modificare la convenzione del 1979 sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, in modo da contemplare le discriminazioni sulla base dell'inclinazione sessuale.

13 P. Vanzan, La questione femminile e le grandi linee del magistero pontificio, in "La Civiltà Cattolica" 1995, II, pp. 349-362,p. 351

14 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 98.