Sulle tracce del Mistero
nella cultura cinese
Presentazione della mostra
Mercoledì 25, ore 18. 30
Relatori:
Isabella Matteini,
Associazione Welcome School
Bernardo Cervellera,
Direttore Internazionale dell’Agenzia Fides
Giorgio Di Concetto,
Fondatore della Scuola Italiana
di Medicina Cinese
Annunzio Matrà,
presidente della Fondazione Matteo Ricci di Bologna
Matteini:
Normalmente dietro le mostre del meeting c’è sempre l’esperienza di qualcuno; così è anche per questa mostra sulla Cina. La Cina viene da un’esperienza. Viviamo, io da sei anni, mio marito da otto, a Taiwan, un’isola di fronte alla Cina popolare. Personalmente, ho una vocazione particolare per il gusto esotico, ma un amore per la Cina non l’ho mai avuto: sono andata in Cina solo perché c’era mio marito. Ma per una serietà verso me stessa e di fronte alla realtà che mi circondava, ho voluto confrontarmi con le cose che in Cina incontravo. In particolare, questa mostra è nata dal susseguirsi di tre circostanze.La prima è l’incontro con alcuni personaggi a Taiwan. I primi amici, che abbiamo incontrato sei anni fa in varie circostanze, sono stati invitati al Meeting, e ne erano rimasti entusiasti. Due anni fa abbiamo invitato l’arcivescovo di Taiwan, monsignor Ti-Kang; anche lui era rimasto contentissimo e aveva voglia di continuare l’amicizia col Meeting. L’anno scorso è arrivato il rettore dell’università in cui insegniamo italiano, ed è rimasto ancora più contento… Così, è nata l’idea di diventare amici del Meeting, costruendo qualcosa insieme, anche se ancora non sapevamo cosa.
La seconda è la decisione che recentemente io e mio marito, tenendo conto di tutti i fattori, abbiamo preso: quella di rientrare definitivamente in Italia, portandoci dietro il desiderio di far capire ai nostri amici occidentali un pezzo della realtà che avevamo incontrate, di far capire questo Oriente così lontano.
La terza è il titolo del Meeting di quest’anno, "Il mistero genera stupore", che ci ha colpito al punto da farci decidere di creare un gesto che desse risposta a tutti i nostri desideri. Abbiamo così cercato di far riemerge il senso del Mistero all’interno di alcuni aspetti della cultura cinese: questa è appunto la nostra mostra, che è proprio l’esito di una nostra passione. Siamo andati a fondo degli aspetti che più ci colpivano, cercando di cogliere il senso religioso, il senso del Mistero nella cultura cinese. L’esito è stato immediato, e ne è nata subito una provocazione, sia per me, perché è stato un tentativo di giudizio della realtà e della cultura in cui vivevo, sia per i ragazzi che hanno lavorato con noi. Abbiamo infatti chiesto ai ragazzi a cui insegnavamo italiano se volevano lavorare con noi, premettendo che non c’era nessun esito perché non avrebbero dovuto sostenere alcun esame. Era un lavoro extra. La provocazione che abbiamo lanciato era quella di andare al fondo delle radici della propria tradizione.
Man mano che andavamo avanti nel lavoro si capiva che parlavamo di cose che loro non avevano mai sentito da nessuno; è diventato un lavoro interessante perché i ragazzi hanno visto che capire da dove provengono culturalmente e come tradizione è estremamente importante. Inoltre, si stupivano di impararlo da persone occidentali, che non appartenevano alla loro cultura. Man mano che nascevano le idee e il lavoro prendeva forma, ci siamo accorti che su alcuni argomenti eravamo carenti, nel senso che non conoscevamo abbastanza; invece su altri argomenti ci accorgevamo che magari avevamo tutto le informazioni, però non riuscivamo a coglierne il senso profondo. Così, abbiamo pensato di iniziare a farci aiutare, a chiedere aiuto a delle persone. Sono nati una serie di incontri interessantissimi: l’ex-rettore della nostra università, un vecchio prete ormai in pensione, un vecchio calligrafo – la calligrafia è l’arte della scrittura – che ci ha permesso di capire l’importanza che ha la calligrafia nella cultura e nell’arte cinesi, un amico italiano di Hong Kong appassionato di semiologia, Giorgio Di Concetto e il suo clan di amici medici che ci hanno aiutato a capire la medicina cinese.
Cervellera: Se c’è una cosa che mi colpisce del mondo italiano è un certo provincialismo, che vede non soltanto gli stranieri in generale, ma addirittura queste culture così lontane, così apparentemente diverse, come una cosa fuori dal mondo, troppo distante da sé, che si preferisce non avvicinare oppure che si avvicinano usando il vestito cinese, le bacchette del ristorante, ma senza percepire tutto quello che c’è dietro, tutto quello che è più profondo. La cultura cinese è stata in qualche modo commercializzata in Occidente, ma non si conosce l’uomo cinese. Questa mostra serve proprio per scoprire che i cinesi sono come noi, e che i cinesi sono come noi perché desiderano profondamente quello che noi desideriamo.
La cultura cinese è tra le più antiche del mondo: nei suoi oltre 5.000 anni di storia l’uomo cinese ha continuamente domandato a se stesso ed agli altri di poter costruire un mondo nell’armonia, nella pace e nell’eternità. Questo desiderio di eternità, di continuità, di fissare la realtà in modo tale che resti qualche cosa come un dono eterno è quello che si percepisce in tutti gli elementi che la mostra propone: anzitutto la scrittura, che è nata in un ambito di rapporto con il divino, per vedere la volontà degli dei sulla realtà, sulla vita. La calligrafia è un’occasione di approfondimento della realtà di cui il carattere cinese è segno: come nella mentalità ebraica c’è il legame tra parola e realtà, così l’architettura è un’espressione della cosmologia e dell’armonia dei vari elementi del mondo nell’universo cinese. Un altro elemento è la medicina che, al di là di un certo esotismo e di una certa curiosità, rappresenta un modo più totalizzante di guardare alla salute e alla persona umana, non semplicemente il corpo fisico, visibile, ma il corpo con tutte le sue diramazioni; uno sguardo simile è presente nella cultura occidentale in Ildegarda di Bingen, una abadessa del XII secolo. Questo sguardo in seguito si è perso, perché tutta la nostra cultura ha subito l’influenza del Rinascimento, del razionalismo e della riduzione a criterio matematico di ogni scienza e di ogni conoscenza. Anche la cultura cinese ha subito un’influenza del genere, nel XII secolo, attraverso un confucianesimo materialista che ha ridotto il concetto di cielo, e ha reso l’esperienza del cielo non più sede del divino, sede dell’assoluto, sede del Tao, ma volta stellata, qualcosa che è sopra l’uomo. Questo ha generato un confucianesimo che è diventato una semplice teoria politica sulla realtà, un filone filosofico sempre più materialista, sul quale si è innestato sia il marxismo degli anni Venti di Mao Tse-tung, sia il capitalismo attuale e tardivo: oggi infatti i cinesi sembrano parlare solo di commercio o di soldi.
Il fatto interessante di questa mostra è uno sguardo più profondo alla Cina che serve agli occidentali per scoprire il cuore, il volto, le radici più profonde di questa cultura, ma anche ai cinesi che hanno l’occasione di scoprire che nella loro cultura c’è una profondità maggiore di quanto pensassero. La mostra non è semplicemente un’introduzione del mondo occidentale all’universo religioso cinese, ma è anche una possibilità di scoperta per i cinesi, che possono spalancare una finestra sull’assoluto.
Vorrei concludere con un’ultima osservazione: attualmente in Cina è in corso una lotta tra una cultura che cerca di riscoprire la sua spiritualità ed un potere politico – presente in realtà in tutto il mondo asiatico, anche se in Cina in modo particolare – e commerciale che soffoca queste dimensioni. In Cina le soffoca non soltanto con il commercio, con il materialismo spiccio del consumismo, ma anche violentemente; è curioso che, a distanza di anni, attualmente il destino di tanti cristiani in Cina sia uguale al destino di tanti buddisti, e che come in queste settimane sono stati arrestati cristiani, protestanti e cattolici, colpevoli di aver osato dire che c’è una dimensione assolutamente unica e libera dell’uomo che è la ricerca della sua felicità, così vengono perseguitate anche le sette buddiste, perché affermano di non essere soltanto una ginnastica esotica o una dieta curiosa, ma di essere una associazione. Curiosamente – questa è la conclusione della mostra –, l’anima cinese è come il bambù, che non si spezza mai: magari quando vengono le tempeste si piega fino in terra, ma quando la tempesta finisce, ritorna ancora a svettare bellissimo e verde. Il verde del bambù è simbolo dell’eternità e dell’amicizia perenne.
Di Concetto: Circa 25 anni fa, ormai al culmine della mia esperienza professionale come anestesista e rianimatore, mi accingevo a terminare la mia carriera in modo naturale conquistando un posto da primario. Non era stata certo un’esperienza di routine, fu invece un’esperienza pionieristica. Agli inizi degli anni Sessanta infatti si acquisirono le moderne tecniche di anestesia che avrebbero poi consentito l’attuale progresso della chirurgia. Per me era un’esperienza entusiasmante, sia per l’aspetto pionieristico delle ricerche che facevo, sia perché, avendo una grande passione per la didattica, avevo contribuito a formare un’équipe di colleghi e di infermieri e un centro di rianimazione.
Che cosa mi spinse a troncare una carriera, a spaccare in due la mia vita professionale per una medicina diversa, una medicina straniera, una medicina primitiva che alcuni consideravano quasi una stregoneria? La constatazione che ero sì in grado di rianimare un moribondo, ma non ero capace di trattare adeguatamente molte delle malattie che colpiscono coloro che si trovano nelle sale d’aspetto degli ambulatori. Nelle sale di aspetto degli ambulatori dei medici di base o degli specialisti ospedalieri, si trovano infatti pazienti che hanno dei pacchi di esami e sono in gran parte negativi: non hanno una malattia obiettivabile mentre in realtà soffrono profondamente, hanno una domanda di guarigione alla quale non hanno adeguata risposta. Sono quei disturbi che la nostra medicina considera come funzionali o psicosomatici. Io stesso soffrivo di una cefalea emicranica, e per chi lavora in sala operatoria un’emicrania è una grossa croce: fino a che non cominciai a fare l’agopuntura, quest’emicrania non mi passò. Mi colpì il fatto che una medicina misteriosa mi avesse guarito in modo così inconsueto, e allora questo mi spinse a valutare la potenzialità di questa medicina.
Già nel Meeting dell’83, intitolato "Uomini, scimmie e robot", in una tavola rotonda dal titolo Quale medicina per l’uomo, affermai che la nostra medicina non è "La Medicina", ma è una medicina, in quanto ogni contesto culturale genera una medicina che gli è peculiare. Ciò che è importante è arrivare ad un’arte medica, anche frutto di una laboriosa sintesi. L’affronto di questa realtà culturale, misteriosa, di questo mistero, con un’ipotesi positiva, secondo l’affermazione paolina "Vagliate tutto, e trattenete ciò che è buono", mi spinse ad iniziare questa nuova avventura ormai alle soglie dei 40 anni. Ricordo l’espressione attonita del presidente dell’ospedale, preoccupato per le mie dimissioni che causavano anche qualche inconveniente all’ospedale. Questa avventura ha delle connotazioni analoghe a quella della conversione cristiana: anch’essa richiede un lavoro su se stessi, un cambiamento di mentalità, anch’essa conferisce un grande entusiasmo. I miei colleghi stupefatti vedevano colui che era esperto in biochimica, in farmacologia, colui che consultavano per i problemi dell’equilibrio elettrolitico, praticare questa medicina somigliante alla stregoneria, ma con successo. Quindi cominciarono a mandarmi nuovi pazienti, poi i loro parenti, e infine cominciarono a venire anche loro stessi. Vidi l’ambulatorio riempirsi non solo di pazienti portatori di una domanda cui la medicina convenzionale non poteva dare una risposta adeguata, ma anche di medici, anch’essi portatori di una domanda sulla loro professionalità. Quindi, si tratta di un problema eminentemente culturale. Alcuni di questi medici facevano e fanno come me un’esperienza cristiana: proprio da quest’esperienza di fede nacque la decisione che la medicina cinese non deve essere relegata in ambiti ristretti, proprio perché è idonea a trattare malattie a larga incidenza sociale. Occorreva diffonderla, nell’ambito di una dimensione integrata con la nostra medicina convenzionale: abbiamo sempre rifiutato il termine di medicina alternativa, preferendo invece lavorare per un sano progetto politico che sapesse tener conto anche di questa medicina diversa dalla nostra.
Matrà: Molti del nostro gruppo, io stesso, esercitiamo contemporaneamente sia la medicina cinese che quella occidentale. L’esigenza di insegnare ai medici la medicina cinese ha fatto nascere la Cooperativa gruppo studio società e salute o Scuola italiana di medicina cinese, che prima a Milano poi a Bologna ha organizzato e organizza corsi, inizialmente solo di agopuntura, in seguito – anche grazie ad alcuni scambi con i medici cinesi – di altre tecniche, quali la farmacologia, il massaggio, le tecniche di ginnastica medica, la dietetica.
Nella nostra scuola non abbiamo semplicemente trasmesso una teoria che abbiamo appreso: tutto ciò che abbiamo insegnato e che continuiamo ad insegnare viene vagliato attraverso l’esperienza professionale che noi facciamo nei nostri studi, nei nostri ambulatori, attraverso l’esperienza di confronto all’interno della nostra scuola. Abbiamo creato e intendiamo continuare a sviluppare quella che si chiama una vera e propria scuola, ovvero una struttura stabile di trasmissione del sapere. Noi infatti vogliamo comunicare, insegnare ciò che abbiamo vagliato attraverso la nostra esperienza. Questo non è immediato, perché la nostra esperienza, anche la mia in ambito universitario, è quella di fare del proprio sapere strumento di potere: io ti insegno quello che voglio, ti insegno una parte di quello che io so perché se ti insegno tutto tu mi porti via il potere che io ho.
Non abbiamo intenzione di colonizzare la medicina cinese, traducendola nei termini occidentali: piuttosto, la vogliamo incontrare, capire. Non vogliamo neppure spogliarci della nostra identità di medici occidentali. Questo perché noi pensiamo che la nostra medicina sia frutto di una civiltà anch’essa millenaria, come la civiltà cinese. La nostra civiltà ha nel cristianesimo il punto fondatore, e in particolare nel concetto di persona, unica e irripetibile. Ciò che nella cultura cinese è contenuto come desiderio, come ricordo, come nostalgia, nella cultura cristiana occidentale è esplicito, è verità. Quello che noi vogliamo portare avanti attraverso la fondazione è un coinvolgimento sempre più profondo con la medicina cinese per una sua immanenza all’interno della nostra cultura. Per questo abbiamo creato una fondazione, un’opera che nel tempo reca sempre l’intento di chi l’ha fondata. L’attività della fondazione non è solamente in campo didattico ma anche nel campo della ricerca e nel campo scientifico. Infatti il comitato scientifico, che è l’organo fondamentale della fondazione, ha il compito di promuovere la ricerca interpellando tutte le realtà in grado di operare in tal senso. In Italia la ricerca viene svolta esclusivamente in università, per questo noi vogliamo interpellare l’università italiana, la facoltà di medicina o di farmacologia, per approfondire la verità della medicina cinese.
Vogliamo entrare in relazione anche con gli assessorati alla sanità, con gli ordini dei medici, perché vogliamo sempre di più che questa medicina sia presente a livello di territorio, vogliamo levarla da un’immagine di esoterismo, di configurazione ideologica, proprio perché pensiamo che sia una medicina per tutti, come è confermato dal gradimento che i cittadini esprimono avvicinandosi a questa medicina. Incontrando la medicina cinese e praticandola, non abbiamo mai inteso fare una medicina per pochi pazienti che abiurano alla medicina occidentale. Non ci interessa la contrapposizione tra le medicine e non abbiamo mai voluto intraprendere un confronto ideologico fra le medicine. Il nostro intento è la promozione e l’affermazione nel nostro contesto di una modalità terapeutica nata altrove, e non da respingere solo perché ha una peculiarità diversa dalla nostra. Il nostro scopo è infatti solo quello di aiutare la persona malata, la persona nel momento del suo bisogno: la persona ha un valore enorme, e quindi nulla, neanche una medicina strana, può essere negata alla persona che soffre.