Le "carte" del beato Bartolomeo Maria
Dal Monte (1726-1778)
Presentazione della mostra
Giovedì 28, ore 11.30
Relatori: beatificazione di Bartolomeo Luigi E. Mattei,
Pier Marino Menicucci, Maria Dal Monte Curatore Artistico delle manifestazioni
Deputato alla Cultura della Gioia Lanzi, culturali attinenti Bartolomeo
Repubblica di San Marino Responsabile del Centro Studi Maria Dal Monte
Alberto Di Chio, Per la Cultura Popolare di Bologna
Postulatore della causa di
Menicucci: Bartolomeo Dal Monte, che fra meno di un mese verrà beatificato in Bologna da Giovanni Paolo II, era un sacerdote bolognese che ha dedicato la propria vita alle missioni: non è stato solo il sacerdote di una parrocchia della diocesi di Bologna, ma è stato un sacerdote che ha vissuto la propria vita di pastore, di uomo di Dio in molte parti dell’Italia, è venuto anche in questa terra di Romagna, ed ha varcato anche i confini della Repubblica di San Marino in più occasioni, negli anni che vanno dal 1750 al 1760.
La testimonianza di Bartolomeo Maria Dal Monte è stata così forte, così prolifica, così vissuta intensamente dai cittadini della repubblica di San Marino che il 16 marzo 1777, il Consiglio generale, quello che ancora oggi e anche allora era il Parlamento della repubblica di San Marino, concesse a Bartolomeo Maria la cittadinanza onoraria della Repubblica di San Marino.
I sanmarinesi sanno con quanta gelosia San Marino abbia sempre custodito le problematiche intorno alla cittadinanza, e sanno che intorno alla cittadinanza di San Marino si sono sviluppate anche in epoca non lontana grandissimi dibattiti sulla trasmissione della cittadinanza, sul fatto ad esempio che la donna sanmarinese fino a sette-otto anni fa sposando un forense perdesse la cittadinanza. Nonostante questa gelosia della cittadinanza, nel 1777 il Consiglio grande generale l’ha concessa a Bartolomeo Maria Dal Monte con questa motivazione: "fu ancora aggregato a questa cittadinanza con molto applauso e a viva voce il signor reverendo Bartolomeo Maria Dal Monte, cittadino bolognese celebre per la dottrina e santità della sua vita".
Credo che in queste poche parole, che sono però molto indicative, si possa capire quale è stato il rapporto fra la comunità cristiana della repubblica di San Marino e Bartolomeo Maria Dal Monte, ed anche quali sono le vere radici storiche della repubblica di San Marino.
Di Chio: C’è stata tempo fa una polemica nella Chiesa a proposito di questo Papa che durante il suo pontificato ha beatificato e canonizzato molte persone: egli ha superato larghissimamente tutti gli altri messi insieme, e qualcuno ha criticato questo tipo di atteggiamento quasi che fosse un inflazionare personaggi che venivano proposti alla venerazione, all’imitazione del popolo cristiano. Invece, io credo che nella economia di un pontificato e di un’epoca questa sia una scelta particolarmente forte e importante: il presentare agli uomini di questa epoca, al termine di un millennio, degli esempi forti e dei personaggi che credibilmente, in forma evidente, possano essere manifestazione, incarnazione del vangelo.
Mi sono chiesto molte volte come mai nel disegno provvidenziale di Dio questo personaggio venga scoperto oggi, dopo che la sua causa di beatificazione è stata ferma per oltre settant’anni. L’unica risposta è riconoscere il disegno provvidenziale di Dio nel presentare oggi questo personaggio, questo prete agli uomini e alle donne che vivono alla fine del secondo millennio.
Il suo secolo, il 1700, è stato un secolo molto difficile per la Chiesa, un secolo che ha visto esplicitamente anche in molte situazioni una lotta contro il Cristianesimo, contro la Chiesa. È stato il secolo dei lumi, il secolo dell’Illuminismo, ma dire Illuminismo voleva dire in quel secolo riconoscere il lume della ragione polemicamente inteso nei confronti dell’oscurantismo della fede. È stato il secolo del Giansenismo e quindi di una certa visione rigida del Cristianesimo che metteva in ombra quella che è invece la profondità del mistero cristiano, cioè l’amore di Dio. È stato il secolo del razionalismo, visto non nella sua razionalità positiva ma nel suo ridurre tutto a ragione e nell’eliminare tutto quello che non può essere ridotto a ragione, quindi il mistero, la fede, tutto quello che può essere un segno cristiano. Proprio in questa epoca Iddio ha suscitato tutta una serie di personaggi che hanno avuto il compito di una predicazione positiva del vangelo.
Il 27 settembre del 1997, a conclusione di un congresso eucaristico nazionale (non un fatto privato di una Chiesa locale, ma un fatto che interessa tutta la nazione italiana), il Papa a Bologna riconoscerà la santità di Bartolomeo Maria Dal Monte. Questo prete evangelizzatore, predicatore, ci ricorda anzitutto che la Chiesa va evangelizzata dall’interno. Ad un certo punto lui aveva avuto la tentazione di andare nelle Indie e gli dissero "no, tu devi predicare il vangelo qui in Italia": è necessario predicare il vangelo non soltanto all’estero, nei continenti lontani, ma anzitutto al nostro interno. Non è un fatto casuale che negli ultimissimi anni le cosiddette missioni al popolo, di cui Bartolomeo Maria Dal Monte, San Leonardo da Porto Maurizio e tanti santi di quell’epoca sono stati dei campioni, vengono riscoperte. Bisogna predicare il vangelo nelle nostre terre. Questa è la caratteristica fondamentale di Bartolomeo Maria Dal Monte.
Vorrei anche sottolineare la sua capacità di parlare all’uomo concreto; la sua non era una predicazione filosofica, astratta, ma era una predicazione di carattere biblico, che riconduceva tutto l’annuncio cristiano al centro, alla croce di Cristo.
Il suo rivolgersi in particolare ai giovani, il suo parlare con credibilità, ha fatto sì che già al suo tempo Bartolomeo Maria Dal Monte fosse riconosciuto come un testimone capace di unire l’annuncio alla vita, l’annuncio della croce di Cristo alla vita concreta.
Lanzi: Bartolomeo Dal Monte è un personaggio estremamente singolare: l’ultima cosa che si potrebbe aspettare da un ecclesiastico del 1700 è un gioco di carte, ed infatti parlando di ‘carte’ si pensa alle carte, ai carteggi, ai documenti. Invece si tratta proprio delle carte, le carte da gioco. Questo lampo di genio si inserisce in una sua formidabile capacità educativa, una formidabile capacità di evangelizzatore.
Fin dalle origini della cristianità, l’evangelizzatore non era chi immediatamente abbatteva gli idoli, ma chi mostrava il senso dell’idolo e mostrava come tutto il sacro di cui avevano esperienza le popolazioni portasse in realtà al Salvatore. Dal Monte fa esattamente così.
Bologna nel ’700 era patria di giocatori incalliti; i bolognesi erano capaci di giocarsi una fortuna in una notte al gioco delle carte, e questo era non solo un danno per l’anima ma un danno per tutte le famiglie. I confessionali erano pieni di donne che si lamentavano perché i mariti avevano perso ogni loro bene giocando a carte. Dal Monte si trova in questo mondo, un mondo che giocava ma non perché il gioco di carte sia connaturato all’uomo, ma perché il gioco in sé è connaturato all’uomo, in particolare quel tipo di gioco in cui l’uomo mette in campo se stesso. Nel gioco l’uomo trova soddisfazione al suo desiderio di mimare la lotta della vita, la lotta tra il bene e il male e, in un certo senso, al desiderio di prepararsi ad essa. Dal Monte coglie tutto questo, e capisce che il gioco non va combattuto di petto, ma bisogna trovare un gioco in cui la lotta tra il bene e il male venga in evidenza e l’uomo ritorni padrone delle sue possibilità, dei suoi talenti, delle sue virtù, di ciò che la natura ha dato e che Dio gli ha dato per metterlo in gioco e ottenere o premio o castigo, il bene o il male finale.
Dal Monte inventa così delle carte, un gioco per i monasteri e per gli altri luoghi in cui la gente si raduna, e fa tutta una lunga spiegazione in cui si coglie questa filosofia: vizi e virtù, le cose indifferenti e i trionfi, che fanno vincere.
Mattei: Queste carte sono essenziali, molto forti come devono essere carte da gioco, e hanno una capacità espressiva e comunicativa notevole al di là del gioco, sono piccole manifestazioni, sono cinquanta piccole prediche, ognuna delle quali ha una propria autonomia rispetto alle altre. Si potrebbe anche avere una interpretazione opposta di virtù e vizi, si potrebbe anche giocare diversamente; indubbiamente il Dal Monte mirava alla virtù tanto è vero che dal punto di vista compositivo le virtù hanno un’impostazione assiale su un asse verticale, di estrema pulizia (persino nella gestualità si suole utilizzare l’asse verticale, il filo a piombo, per indicare la rettitudine di una persona!). Le virtù quindi sono giocate, sono basate su questa composizione. Per esempio le virtù sviluppano il tema nella parte alta della carta mentre i vizi nella parte bassa della carta, secondo quella geometria per la quale il Paradiso e l’Inferno sono disposti in situazioni che noi consideriamo fisiche, volendo tradurre in termini umani quello che è un concetto difficilmente spiegabile.