venerdì 28 agosto, ore 15
STORIA DI UN UOMO E DI UN'INDUSTRIA IN MONTAGNA
partecipano
Corrado Barberis
docente di Sociologia presso l'università di Roma
Francesco Merloni
imprenditore, deputato al Parlamento
conduce l'incontro
Ivo Colozzi
Un uomo, divenuto manager affermato in una grande azienda, rinuncia alla carriera di dirigente industriale per tornare tra le sue montagne. E lì intraprende un'attività economica, per sé e per la gente della sua terra, da sempre abituata al calvario dell'emigrazione.
I. Colozzi
Questo incontro è l'occasione per presentare un libro recentemente scritto dal professor Corrado Barberis sulla figura d’Aristide Merloni, fondatore delle industrie Merloni e di quella dinastia imprenditoriale che oggi continua il suo lavoro e che forse è nota a tutti per il marchio Ariston. Vorrei cominciare chiedendo al professor Barberis perché questo libro, da dove viene e qual è il significato di questa operazione di ricerca.
C. Barberis
Questo libro viene da Albacina, una piccola frazione castello del comune di Fabriano, dove all'inizio del secolo la gente viveva, come d'altra parte nelle altre regioni d'Italia, in maniera poverissima e dove gli abitanti acquisivano proprio da questa estrema povertà una sola ambizione: diventare non diciamo ricchi, ma liberi attraverso l'indipendenza economica. La vita d’Aristide Merloni è la vita di un perito industriale che avendo raggiunto uno stipendio di 4000 lire al mese nel 1930, in un’epoca in cui tanto non prendevano neppure i direttori generali di un ministero, rinuncia a fare il dirigente industriale per tornare in mezzo alle natie montagne e da quelle montagne lanciare una propria sfida imprenditoriale. Questo è Aristide Merloni.
I. Colozzi
A Francesco Merloni una prima domanda su un profilo sintetico della personalità del padre, Aristide Merloni. Che uomo era, quali erano le cose a cui credeva le cose per cui aveva intenzione di spendere la propria vita.
F. Merloni
Aristide Merloni era un uomo indubbiamente volitivo, un uomo di grande ingegno, di grande capacità, ma principalmente di grande forza morale e di grande capacità di lavoro. Era un uomo che sin da piccolo voleva cercare la sua strada della libertà e della indipendenza e che poi l'ha trovata attraverso le vie del lavoro. Si è affermato come lavoratore dipendente iniziando a lavorare nel '19 in uno stabilimento di Torino, quale disegnatore, con uno stipendio di 250 lire al mese. Dopo dieci anni era il direttore generale di questa azienda con lo stipendio già ricordato di 4.000 lire al mese; ma Aristide Merloni non si contentò di lavorare per altri e perciò decise di diventare imprenditore. Tante aziende sono nate nello stesso modo, ma la caratteristica principale d’Aristide Merloni in questo passaggio di dirigente industriale ad imprenditore è stata quella di ritornare nel suo paese d’origine. Le ragioni di fondo che lo hanno portato a questa decisione, molto difficile, molto poco praticabile, sono state quelle di poter dare non solo un contributo alla sua volontà d’imprenditore ma anche alla sua terra, alla sua gente, una gente da sempre abituata al calvario dell'emigrazione. Aristide Merloni aveva vissuto negli anni dal 1909 al 1913 il grande dramma della emigrazione dei suoi amici e dei suoi parenti, che erano partiti per un'emigrazione senza ritorno verso il continente americano, e ne aveva ricevuto uno shock. Allora si era detto che bisognava fare qualche cosa perché chi voleva lavorare, chi voleva affermare la propria personalità, chi voleva crescere nella sua terra, avesse la possibilità di farlo.
I. Colozzi
Professor Barberis, lei conclude il suo libro con un capitoletto dal titolo: "Sul capitalismo popolare". Cosa si intende con capitalismo popolare e in che senso Merloni si può definire un capitalista popolare?
C. Barberis
La società moderna ha portato ad una dissociazione fra il concetto di casta e il concetto di classe economica. Una volta gli imprenditori tendevano ad uscire da una casta che era la casta dei signori, la casta dei ricchi, in questi ultimi decenni invece abbiamo avuto uno straordinario fiorire d’attitudini capitalistiche proprio in ceti che erano popolari, fra gente che non aveva studiato. Il censimento del '71 diceva che soltanto 44 imprenditori su 100 avevano un titolo di studio un po' superiore alla licenza elementare; il 56% dei grandi industriali - non sto parlando dei piccoli artigiani, dei coltivatori diretti o dei commercianti, parlo degli industriali, una massa di oltre 100.000 persone - aveva la 5' elementare, la 3° elementare e magari neanche la 3° elementare. Questo vuol dire che è venuto fuori in quegli anni un capitalismo popolare che ha fatto sì che il capitalismo abbia trovato una giustificazione. Chi è oggi che potrebbe più sostenere che il capitalista è l'usuraio? C'è un libro famoso di un olandese, Groethuysen, scritto alcune decine d’anni fa, in cui si dimostra come la chiesa nel '700 fosse tutta piena di prudenze e di paura nei confronti del capitalismo, perché veniva interpretato come il trionfo dell'usura. Oggi invece la vita, la pratica, la prassi ha riscoperto quello che diceva già S. Tommaso d'Aquino del capitale di rischio, cioè che quando uno rischia i soldi suoi ha il diritto di guadagnare perché appunto partecipa fattivamente, non soltanto usualmente, alla creazione di una ricchezza; si riscopre tutta la letteratura dei santi toscani del '400, S. Bernardino da Siena, S. Antonio, tutta gente che ben prima della riforma protestante, ben prima del famoso calvinismo a cui qualcuno associa l'immagine del capitalismo, ha esaltato il profitto.
I. Colozzi
Il professor Barberis ha accennato al tema del rapporto fra cattolicesimo e imprenditoria evidenziando come ci sono stati dei periodi in cui questo rapporto è stato difficile e conflittuale. Merloni, che è stato sicuramente un imprenditore, a quali valori si ispirava, fino a che punto si potrebbe definire un imprenditore cattolico e in che modo ha vissuto il suo essere cattolico e imprenditore?
F. Merloni
Aristide Merloni era di un cattolicesimo profondo, un cattolicesimo non bigotto, ma che andava ai valori della solidarietà cristiana, della solidarietà tra gli uomini. Cercava di applicare il vangelo proprio nella sua attività economica, perché cercando di dare lavoro alla gente, cercando di favorire l'arresto dell'emigrazione e di stabilizzare la gente nella sua terra d’origine, faceva un lavoro che riteneva una missione cristiana.
Egli aveva una profonda fede nei valori cristiani, era un cattolico convinto, frequentava tutti i giorni o quasi la messa mattutina e aveva una fede infinita e profonda nella Provvidenza, ma con il motto sempre pronto "aiutati che Dio ti aiuta"; non cercava certamente solo dalla Provvidenza i benefici e le grazie celesti, ma cercava di interpretarle e favorirle con la sua azione, con il suo impegno, con il suo lavoro veramente instancabile e intelligente. Per questo vorremmo dire che Aristide Merloni è uno di questi cosiddetti nuovi imprenditori cattolici che conciliano nel mondo più giusto e più corretto l'appartenenza alla fede e l'impegno nel lavoro quotidiano.