‘Moneta unica: un new deal?’ Sovranità degli Stati, occupazione e dintorni
In collaborazione con Unioncamere
Venerdì 28, ore 16.30
----------------------------------------------------------------
Relatori:
Gabriele Gatti, Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino
Tommaso Padoa Schioppa, Consigliere della Banca Centrale Europea
Gatti: La Repubblica di san Marino è un paese che si sente profondamente inserito nell’Europa, sia per collocazione geografica, sia per tradizione, sia per cultura, sia per un accordo di unione doganale e di cooperazione economica con l’Unione Europea.
Anche la Repubblica di san Marino farà parte della moneta unica europea, e anche la Repubblica di san Marino si sta chiedendo da tempo quali saranno le ripercussioni positive e negative conseguenti alla introduzione della moneta unica europea. Credo che la moneta unica europea avrà un dato positivo indiscutibile: costringerà i paesi a discutere di normative comuni, a guardare di più al debito pubblico, alla finanza pubblica e ad una giustizia fiscale, a creare delle condizioni migliori per gli investimenti. Credo che questa sia una delle grandi risorse importanti che tutti noi ci auguriamo possano essere presenti nel nostro continente.
Anche la nostra piccolissima Repubblica ha avuto già in passato dei benefici, ad esempio, dall’ingresso nel Fondo Monetario, perché abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con coloro che ci hanno indicato delle strade necessarie per migliorare la nostra economia e il nostro sviluppo, delle strade obbligatorie per non incorrere in quegli errori che possono produrre effetti drammatici sulle nuove generazioni e sul futuro del paese.
La Repubblica di san Marino è per questo estremamente attenta alle decisioni e ai percorsi dell’Unione Europea.
Padoa Schioppa: La Banca centrale europea è parte del cosiddetto sistema europeo di Banche centrali, che dal primo gennaio prossimo avrà la responsabilità della politica monetaria dell’euro. Sarà questo sistema l’equivalente di quello che è a tutt’oggi per l’Italia la Banca d’Italia, per la Germania la Bundesbank e così via. Questo sistema europeo di banche centrali sarà composto dalle undici Banche centrali nazionali e da una Banca centrale europea che ha sede a Francoforte e che è l’istituzione che sta al vertice di questo sistema.
La Banca centrale europea è un organismo di circa 450 persone, quindi molto ridotto nelle sue dimensioni - si pensi che l’equivalente organismo che sta a Washington per il sistema della riserva federale è di qualche migliaio di persone - di età media di circa 33 anni, provenienti non solo dagli undici paesi dell’euro, ma dai quindici paesi dell’Europa, persone molto consapevoli di avere un compito del tutto nuovo, perché non è mai stata tentata l’unione monetaria tra un gruppo di Stati che non hanno ancora costituito in maniera piena una unità politica. Al vertice della Banca centrale europea ci sono due organi, un direttorio e un consiglio direttivo. Il direttorio è composto da sei persone - quorum ego - che sono a tempo pieno a Francoforte. In parte al di sopra di questo direttorio e in parte parallelo, dunque con poteri propri, c’è un consiglio direttivo che è formato da diciassette persone, che sono gli undici governatori della Banche centrali nazionali. Le decisioni di politica monetaria, quelle che faranno notizia sui giornali come l’aumento o la diminuzione dei tassi ufficiali, saranno prese da questo consiglio direttivo di diciassette membri, con un sistema di voto per teste, per cui il voto di ciascun presidente di banca centrale varrà quanto quello di un altro o di un membro del direttorio.
Fra i sei membri del direttorio si è già creata una notevole affinità di lavoro. Siamo a Francoforte dal primo di giugno, e c’è una consuetudine strettissima di lavoro. La lingua di lavoro usata è l’inglese, parlato e scritto: è questo un fatto curioso, un paese che non partecipa all’unione monetaria, è tuttavia quello che fornisce la lingua. Si sta creando lo spirito di una istituzione nuova, per ora preparando l’esercizio delle funzioni che dovranno essere svolte dal primo gennaio prossimo.
Per quanto riguarda il titolo del nostro incontro, vorrei cominciare dal chiarire cos’é il new deal. Nasce con la politica di Roosevelt per affrontare la grande crisi americana degli anni Trenta, quindi nasce come una politica economica di fronte al problema drammatico, forse addirittura tragico, della disoccupazione di milioni di persone.
Un’altra parola del titolo è ‘occupazione’: il tema dell’occupazione è stato un filo conduttore delle riunioni dei giorni passati. Si è parlato di sciopero generale, poi si è parlato di sciopero generazionale; io darei come filo conduttore delle mie riflessioni l’idea di patto generazionale più che di sciopero generazionale e cioè l’idea che in una società che funziona bene e che è giusta, ci debba essere in molte forme, con molti contenuti diversi, un patto tra le generazioni e aggiungo tra le generazioni non soltanto viventi, ma anche quelle passate o quelle che ancora devono venire o che comunque devono ancora acquistare il diritto di voto e di interlocuzione nelle questioni pubbliche. Solo se questo patto esiste ed è rispettato, la società può funzionare bene. Fanno parte di questo patto le condizioni che assicurano la pace, che assicurano la sicurezza, che assicurano la tutela del risparmio, che assicurano l’equilibrio del sistema previdenziale, che assicurano il funzionamento del sistema del mercato del lavoro. Si viene meno a questo patto quando l’una o l’altra di queste componenti non assicurano questo equilibrio. Oggi questo equilibrio in Italia ed anche in altri paesi europei, non è assicurato nel sistema previdenziale, non è assicurato nel mercato del lavoro. È vero che la generazione giovane oggi ha un peso presente e prospettico eccessivo, però non è con il conflitto che si risolve questo problema. Forse si passa attraverso fasi di tensione, ma alla fine ci deve essere un elemento di accordo stipulato in un patto.
In questo senso, il campo del quale io mi occupo, che è la moneta, è parte fondamentale di questo patto: fa parte di una società che funziona bene e che rispetta il patto delle generazioni il tutelare il valore della moneta, cioè il far sì che la moneta che noi risparmiamo oggi per i nostri figli abbia valore nel momento in cui essi la vorranno spendere. Una banconota dal punto di vista intrinseco non vale nulla, produrre una banconota da 100.000 costa circa 150 lire. Il valore di acquisto solo le 100.000. Bisogna che in una società che rispetta il patto fra le generazioni questo valore sia conservato. Del patto tra le generazioni oggi la Banca centrale all’interno dei paesi e domani la Banca centrale europea devono salvaguardare quella parte che riguarda la stabilità della moneta.
La condizione dell’occupazione all’interno di un paese larghissimamente anche se non esclusivamente non è nelle mani di quel paese stesso. L’esempio che faccio spesso è quello dell’Olanda e della Germania; l’Olanda e la Germania hanno sostanzialmente la stessa politica monetaria da moltissimi anni, il fiorino olandese e il marco tedesco sono due monete incollate l’una all’altra da quasi vent’anni. Ebbene, in Olanda c’è la piena occupazione, mentre in Germania c’è un tasso di disoccupazione più o meno pari a quello italiano, più o meno l’11-12%. La differenza sta nel fatto che questi due paesi hanno fatto due politiche del lavoro completamente diverse negli ultimi quindici anni. La svolta in Olanda è avvenuta nell’82. Non è dunque il solo governo responsabile dell’occupazione: è un complesso di comportamenti, di soggetti dei quali il governo è soltanto uno, altri sono gli imprenditori, altri sono i sindacati, altri sono il Parlamento, altri sono l’ordine giudiziario. Ciascuno di questi contribuisce a far funzionare o non funzionare il mercato del lavoro con il tipo di legislazione, di contratti collettivi - il sindacato -, con la propria capacità di orientamento - il governo -, con il modo e la rapidità con cui si risolvono le controversie di lavoro - la magistratura -. In questo complesso di soggetti e di strumenti legislativi, c’è anche il fisco e ci sono anche le rigidità del lavoro: operando su questi diversi fattori si può avviare l’Italia alla piena occupazione.
Il Nord dell’Italia ha la piena occupazione, come l’Olanda, come la Svizzera, come altri paesi ancora in Europa. La disoccupazione italiana è quasi tutta al Sud, dove i tassi di disoccupazione non sono l’11% circa della media nazionale, ma sono in certi casi il doppio e anche più del doppio. Ritengo che tuttavia il problema della disoccupazione nel Mezzogiorno sia un problema dell’Italia, non sia un problema del Mezzogiorno. Ed è un punto di rottura. Il punto di rottura nel campo dell’occupazione, in Italia, è prevalentemente nel Mezzogiorno, ma la tensione è un fatto nazionale. Molte regole, disposizioni, vincoli, ordinamenti fiscali che esistono per l’intero paese trovano il proprio livello di crisi più acuta in alcuni punti del paese. Qual è lo specifico di quelle zone? È vario: innanzitutto un problema di sicurezza e tutela della legalità molto più forte che in altre zone dell’Italia. Tutti ormai sanno che questo è uno dei motivi più forti che scoraggiano l’investimento. C’è in secondo luogo un problema di minori infrastrutture, di maggiore distanza geografica dai centri in cui ciò che si produce viene venduto. Un problema, come dicono gli economisti, di mancanza di economie esterne: non c’è un tessuto serrato di iniziative economiche, le iniziative economiche sono spesso distanti l’una dall’altra, e quindi non si formano economie esterne. Ci sono in terzo luogo casi importanti e significativi di aree del Sud che hanno cominciato a creare un tessuto di sviluppo economico, ma gli ordinamenti applicati ad esse - come ad esempio la differenziazione salariale - erano adatti alle condizioni di sviluppo già avanzate del Nord e del Centro, non ancora a quelle del Sud.
L’euro, per quanto riguarda la vita delle banche, produrrà sicuramente notevoli cambiamenti. La prospettiva dell’euro infatti aumenterà e sta già aumentando la concorrenza tra la banche e sta provocando un movimento di concentrazione tra banche. Questo avviene prevalentemente tra banche italiane: sono rari non solo in Italia ma anche in altri paesi i casi in cui due banche di due paesi diversi si fondono tra loro. Il motivo per cui questi casi sono rari è che le complessità di queste operazioni sono mutevoli quando la fusione è transfrontaliera; del resto anche in campo industriale, dove il mercato unico esiste da molto più tempo, i movimenti di concentrazione in gran parte sono stati all’interno dei paesi: l’industria automobilistica italiana si è concentrata all’interno dell’Italia, quella francese all’interno della Francia, e via dicendo.
Dalla maggiore concorrenza nasce uno stimolo a superare arretratezze che ci sono nel sistema bancario italiano e di cui qualunque utente di banca fa quotidianamente esperienza. Il sistema bancario italiano, che appare molto frazionato, in realtà se visto dall’angolo non nazionale ma dall’angolo provinciale è quasi un sistema nel quale in una provincia una, due, tre banche si disputano la gran parte del lavoro: sono banche locali che non hanno grande peso nazionale, ma che hanno appunto grande peso locale. Sono piccole ma sono giganti localmente, perché localmente hanno una quota notevole del mercato locale. Credo che anche se c’è una concentrazione in atto, questa caratteristica rimanga o possa rimanere, perché spesso queste concentrazioni sono rispettose della conoscenza delle situazioni locali che hanno le banche che entrano a fare parte di gruppi più ampi.
Un altro effetto dell’unione monetaria è che gli Stati perdono la sovranità monetaria. Questo è sicuramente un fatto nuovo, perché la coincidenza fra potere monetario e potere dello Stato è un fatto storico che osserviamo per continuità attraverso secoli, in quanto il perimetro geografico istituzionale di queste due funzioni è lo stesso ed è quello dello Stato nazionale. Quindi l’Europa sta facendo un passo nuovo e anche sotto certi profili incognito. Ci si può chiedere che cosa si perde: io sono convinto che l’unione monetaria sia un fatto molto positivo, sia dal punto di vista monetario, sia da un punto di vista più generale, ma soprattutto dal punto di vista monetario. Ne son convinto perché credo che il grado di unità che ha ormai raggiunto l’economia europea è troppo per potersi permettere una varietà di monete e di politiche monetarie. È vero che ci sono gli Stati, ma è anche vero che l’Europa dal punto di vista economica è già unita a un livello tale che la moneta unica diviene una necessità. L’Europa oggi infatti è economicamente molto più unita di quanto ad esempio non fosse l’Italia nel 1860, quando si è unita politicamente: e il fatto che sia unita non significa che sia omogenea. Ci sono grandi differenze economiche, e non fra Stati ma fra regioni: se si guarda una carta geografica dell’Europa senza i confini politici ma con degli indicatori economici, si vede che c’è una regione centrale - che va in verticale dall’Olanda fino alla Pianura Padana compresa, passando per la Germania e una parte del Belgio - ad altissimo sviluppo economico, e si vedono invece regioni periferiche - come il Sud dell’Italia, l’Est della Germania, l’Irlanda, parte della penisola iberica - che hanno condizioni molto diverse. Per questo, se la sovranità monetaria resta degli Stati, è molto più alto il pericolo di usarla per danneggiare i benefici della integrazione economica che già c’è stata, di quanto non sia la speranza di contribuire a risolvere i problemi specifici di una regione. L’esempio lo abbiamo vissuto noi stessi: l’Italia ha una storia di inflazioni e svalutazioni che non hanno giovato alla crescita economica del paese, alla fiducia tra le generazioni, non hanno migliorato le prospettive dei giovani. In questo senso, credo che l’esercitare in comune la sovranità monetaria sia un passo avanti.
La sovranità non è un blocco indivisibile: ritengo giusto - è il tema della sussidiarietà - che la sovranità sia esercitata alla dimensione del problema. La sovranità è qualche cosa di articolato, ricomincia dall’individuo che ha una sua sovranità propria che nessuno deve minacciare nelle alte sfere. In questa visione molto più articolata della nozione di sovranità, diviene entro certi limiti una questione di tipo pratico e di efficacia capire quale è la collocazione migliore della sovranità monetaria; la collocazione migliore oggi è quella che ci accingiamo a dare all’euro.