Sabato 30 Agosto, ore 11.15
I GIOVANI E LA SPERANZA
Incontro con:
Don Mario Picchi,
Fondatore del C.E.I.S., ideatore del "Progetto Uomo".
Presiede l'incontro Pier Alberto Bertazzi.
M. Picchi:
(...) Ho cercato di fare il prete accanto alla mia gente, e in mezzo c'erano dei giovani. Alcuni si auto-emarginavano, altri venivano emarginati: ad un certo momento ci siamo resi conto che stavamo combattendo in maniera disordinata, senza grandi programmi, senza grande preparazione, contro un problema che era in emersione, il problema della droga. I primi tempi ero in Piemonte. Facevo il vice-parroco e cercavo di darmi da fare, di lavorare con gli operai, insomma credevo di cambiare il mondo. Poi, passati dieci anni, mi sono detto: "Voglio fare un'esperienza un pochino più vivace!". La Provvidenza che ha sempre anticipato i miei passi, mi ha fatto capitare a Roma, in mezzo ai giovani tossicodipendenti che allora chiamavamo "capelloni" con le chitarre, i figli dei fiori. (...) Leggendo il Vangelo mi sono accorto che anche Gesù aveva incontrato tutta questa gente in difficoltà, e anche Lui aveva detto a ciascuno di noi: se volete incontrare il Padre, dovete fare lo stesso cammino, incontrare la stessa gente, non preoccuparvi. (…) Per me la droga è una grossa provocazione che viene fatta a tutta la società, non è patrimonio soltanto di una fetta di emarginati o una disgrazia capitata in alcune famiglie. Il problema della droga non ha radici soltanto nella storia individuale e personale; è una storia che mette accanto alla disperazione la speranza. (...) Giovanni Paolo II, visitando i nostri giovani nelle varie comunità, ha continuato ad offrire loro un messaggio: voi che ce l'avete fatta, dovete essere testimoni, per tutta la società, che dalla droga si può uscire. Il nostro modo di agire troppe volte, invece, sembra una resa. (…) A me sembra che dobbiamo tornare con molta umiltà, sempre più spesso, a fare l'elenco di tutti i doni che ogni giorno riceviamo dal Padre Eterno e a rileggere quelle pagine del Vangelo che possono rientrare anche nell'ordine di questo grande Meeting sulla comunicazione, pagine di giornalismo che il Signore stampa quotidianamente per ciascuno di noi, per dirci che dietro la droga c'è l'uomo.
P.A. Bertazzi:
Qualche anno fa il suo Centro ha lanciato un programma, un progetto che ha un nome tanto semplice quanto grande e impegnativo: il "Progetto Uomo". Ci può parlare di questo progetto nel suo svolgimento e nelle sue prospettive?
M. Picchi:
(…) Ogni tossicodipendente è un uomo che ha un problema in più. Allora ci è sembrato che "Progetto Uomo" fosse la risposta più autentica, per dire a tutti che il problema non era la sostanza - droga, che anche le leggi dovevano essere più attente all'uomo. (...) Gesù ha toccato tutti i momenti della sofferenza umana, di quella sofferenza interiore che l'uomo si porta dentro e che qualche volta può esplodere anche nella droga. L'uomo deve essere riportato al centro dell'attenzione, bisogna iniziare a guardare al suo cuore, alla sua solitudine, al suo abbandono, ai vuoti che porta nella cultura, nella coscienza e riproporre i farmaci dell'onestà, della responsabilità, del servizio, della gratuità. A questi livelli un progetto diventa veramente terapeutico ed educativo. (...)
P.A. Bertazzi:
Il tema attorno a cui ruota tutto questo Meeting, la comunicazione, ha una rilevanza fondamentale, ma anche tutta particolare nella questione della droga: d'altra parte il primo aspetto di questa comunicazione è proprio ciò a cui lei ci ha invitato con tanta efficacia e affetto, se posso dire, cioè accogliere l'altro, non aver paura di questa comunicazione, con chi è invece considerato al di fuori. Ma c'è anche un aspetto più specifico della comunicazione, il modo con cui si parla di questo fenomeno. Vorrei chiederle alcune osservazioni su questo, anche in rapporto a quanto diceva, l'importanza che questa comunicazione può avere nella educazione comune di ciascuno di noi.
M. Picchi:
Spesso ho incontri con i professionisti della comunicazione e devo dire che li trovo molto sensibili, anche perché prima di essere dei giornalisti, sono uomini, fratelli, papà e credo che vivano un po' tutti questo problema, con una grande sete di conoscerlo più profondamente e di poterne parlare in maniera equilibrata. Tuttavia dobbiamo dire che non sempre questo avviene, troppe volte il tipo di comunicazione che viene trasmessa attraverso la stampa, la radio, la televisione non è molto corretto. (...) Troppe volte la pietà viene uccisa dai giornalisti (...). Noi abbiamo una grande responsabilità, i giornalisti hanno una grande responsabilità. Di fronte al problema della droga i giornalisti sono le persone che potrebbero aiutare, e già moltissimi lo fanno, di più a capire il problema. E i nostri legislatori potrebbero aiutare, forse, anche gli uomini di legge della magistratura, della giustizia, anche gli uomini dell'ordine. (...) Stavo pensando a quelle madri, che ogni tanto vengono descritte sui giornali come "madri coraggio", che nella loro sofferenza, nella confusione di idee, nella mancanza di determinati servizi che dovrebbero esistere e non sempre esistono, denunciano i figli, li mandano in carcere, insomma vanno un po' alla ribalta. Guardate che io amo profondamente queste donne che portano nel cuore tanta sofferenza che neppure riusciamo ad immaginare. (...) Allora mi chiedo se non è un po' disumano portarle così alla ribalta, e se forse i giornalisti potrebbero parlare di questi problemi non soltanto quando accade il fatto determinato della denuncia di una madre che manda il figlio in carcere, ma anche al di fuori di questi avvenimenti. Noi abbiamo bisogno dei giornalisti, perché dobbiamo capire e loro hanno maggiori possibilità di arrivare a determinate fonti, di spiegare a noi, analfabeti, a noi che sappiamo appena leggere, o a noi che siamo tormentati da questo dolore. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a ritrovare un certo cammino, un po' di speranza, di qualcuno che non ci illuda, che non metta del sale sulla ferita, di qualcuno che riscopra l'antica "pietas", quella pietà che tante volte viene mortificata dalle notizie. Penso che voi possiate rilanciare da questa sede l'invito agli amici giornalisti, perché sentano questa responsabilità: è un messaggio che vorremmo partisse da qui.
P.A. Bertazzi:
Le chiederei, don Picchi, di ampliare questi messaggi che, dalla profondità e dalla vastità della sua esperienza, crede di dover rivolgere a tutti noi, ma anche a chi nella società riveste specifiche responsabilità.
M. Picchi:
Le famiglie: potremmo ricordare che la casa è la prima palestra dalla quale i giovani raccolgono i primi insegnamenti. Non arrendetevi, genitori, non abdicate: i vostri figli hanno bisogno di voi, anche quando hanno 50, 60, 70 anni, anche quando voi non ci sarete più. (...) Non aspettiamo ad aprire un dialogo all'interno della famiglia soltanto il giorno in cui scopriamo che il problema della droga ci ha sfiorato o addirittura ci ha ferito, Cominciamolo prima, cominciamolo subito, cominciatelo voi, giovani, oggi che non siete ancora genitori, per poterlo continuare domani, con quelli che saranno i vostri figli. (...) Agli uomini politici potremmo fare un grande augurio, che ristudiando il latino, riscoprissero il vero significato di "minister", "colui che serve". Vorremmo augurare a tutti di riscoprire il vero significato del servizio all'uomo, perché troppe volte questo servizio divento potere. Potremmo chiedere agli amministratori della cosa pubblica di superare i tempi biblici della burocrazia: troppe volte chi tende una mano è stanco di rimanere con la mano tesa ad aspettare tempi lunghissimi. Cercate di guardare un pochino dietro lo sportello, di riscoprire l'uomo. (...) Ai professionisti dell'informazione chiediamo di cogliere in maniera tempestiva tutti i segnali della società civile, della gente che vive realmente i problemi quotidiani, compreso quello della droga. E allora chiediamo a loro di aiutarci ci capire come chiediamo alla Chiesa di lasciarsi coinvolgere. (...)