L’originalità della fede.
Nuovi racconti dalla Russia
Venerdì 27, ore 18.30
Relatori:
Nikolaj Vladimirovich Balashov,
Collaboratore del Dipartimento Relazioni Ecclesiali Esterne del Patriarcato di Mosca
Viktor Popkov,
Direzione della Biblioteca Religiosa di Mosca
Evgenij Gejnrichs,
Capo del Vicariato della Russia di Nord-Ovest, membro della Commissione Liturgica
Balashov:
Negli anni del potere comunista era molto difficile potersi pensare come parte di una Chiesa ufficiale: tutte le possibilità di lavorare apertamente nella Chiesa erano sotto il rigido controllo del KGB. Fin dall’università mi è apparso chiarissimo che un ministero ufficiale nella Chiesa sarebbe stato possibile soltanto se avessi accettato dei compromessi; ed io non potevo e non ero pronto ad accettarli. Volevo fare il prete ma non a qualunque prezzo; per questo la mia ordinazione è stata possibile soltanto con i cambiamenti politici nel nostro Paese. Prima di allora io avevo tentato di occuparmi di quelli che possono essere i compiti di un laico nella Chiesa, anzitutto il lavoro di catechizzatore per la gente che cominciava ad accostarsi alla comunità. Erano cose che bisognava fare clandestinamente, nelle case private, cambiando continuamente posto e naturalmente con gruppi piccolissimi. Fortunatamente ho trovato degli amici stabili con cui ci incontravamo, con cui discutevamo su ciò che ci commuoveva e ci preoccupava, pregavamo insieme.La mia ordinazione è stato un fatto molto inatteso. Nel 1988, quando c’erano i primi sintomi di cambiamento, mi sono trovato in una grande e solenne conferenza ecclesiastica a Mosca permessa alla Chiesa in occasione dell’avvicinarsi del millennio del battesimo della Rus’. Ad un tratto ho sentito una voce stranamente viva di un uomo molto anziano, arcivescovo di una diocesi a Nord della Russia e mi accorsi che parlava con una libertà straordinaria. Pieno di stupore, dopo essermi presentato, ho chiesto di poterlo servire nella sua diocesi. Dopo due anni di attese e rimandi ho potuto raggiungerlo e diventare prete.
In questi anni ho lavorato in molti luoghi e ho potuto rendermi conto che il comunismo come ideologia costruita sull’odio a Dio e quindi anche sul rifiuto della libertà umana non ha cessato i suoi effetti. La gente in Russia è ancora colpita, in misura maggiore o minore, dal veleno del totalitarismo e la situazione è peggiorata ancora di più dal discreditarsi di quella situazione di libertà e di democrazia che sta avvenendo negli ultimi anni in Russia. La situazione politica diventa molto instabile, la crisi economica fa sì che la maggioranza del nostro popolo viva in situazioni molto difficili e senza prospettiva.
La libertà, e in particolare la libertà della fede, è certamente un grandissimo valore: ma la Chiesa, che costituisce parte della nostra società nella sua dimensione umana, non ha potuto essere pronta a questo cambiamento improvviso. All’inizio degli anni Settanta uno straordinario prete russo diceva ai suoi amici: "A volte mi appare un quadro terribile: ci hanno dato la libertà e ci diranno di fare quel che vogliamo, ma noi non saremo pronti, non avremo niente da dire". Questa previsione in parte si è avverata.
Naturalmente nel fondo della vita della Chiesa, quando l’uomo si incontra con la presenza misteriosa di Cristo, egli acquisisce la libertà indipendentemente dalla situazione politica, come i martiri ci hanno confermato. Negli anni Venti del nostro secolo uno dei confessori del Vangelo ha letto sulla parete di una cella del carcere di Mosca delle parole che erano state graffiate sul muro dal suo predecessore: "Con Cristo anche in carcere c’è la libertà e senza Cristo anche in libertà è una prigione". L’esperienza viva di questa presenza misteriosa di Cristo fa nascere la pietà, la devozione, scaccia il timore e dà il coraggio necessario per andare avanti, per essere. Nel corso di lunghi decenni, comunque, per la stragrande maggioranza degli abitanti della Russia era possibile soltanto celebrare la liturgia; nella legislazione si chiamava "il poter celebrare il culto".
Esteriormente la libertà per la Chiesa è cominciata nell’89 quando abbiamo celebrato il millennio del battesimo della Rus’. È stato un avvenimento nazionale, la gente ha smesso di avere paura. Negli anni successivi sono arrivate alla Chiesa milioni di persone, ma tra essi dominava, e domina anche ora, l’aspetto del ritualismo della vita. Molto spesso in Chiesa non si viene per vivere, in nome di Cristo e con Cristo, una responsabilità per se stessi e per la società, ma per trovare una consolazione, per dimenticarsi di questa responsabilità o per scaricarla. Un altro problema, per la debolezza dell’educazione cristiana è la mancanza di un radicamento nella tradizione della Chiesa; molti neofiti, persone con fede sincera e ardente, non sono capaci di distinguere dov’è la cosa essenziale e dove invece sono le cose secondarie; da qui nascono sentimenti di timore e paura.
Queste stesse circostanze determinano per molti aspetti l’atteggiamento degli ortodossi nei confronti del mondo occidentale e impediscono i tentativi di riforme interne nella propria Chiesa. La paura dell’ignoto impedisce di rendersi conto criticamente dei problemi che sono di fronte alla Chiesa e di fronte ad ogni suo membro. Il futuro cristiano della Russia è possibile soltanto se noi possiamo diventare testimoni della presenza di Cristo nella nostra vita in tutti i suoi aspetti.
Popkov: Padre Nikolaj ha parlato della inevitabilità storica della caduta del comunismo che finalmente è avvenuta. All’epoca in cui io pensavo ai problemi della fede questo problema ancora non si poneva. Dieci anni fa non pensavamo che il comunismo sarebbe caduto così in fretta; se poi parliamo di venticinque anni fa, eravamo convinti che sarebbe rimasto in eterno: la sensazione della nascita e di tutta la vita è nata all’interno del sistema comunista.
Sono profondamente convinto che la condizione della fede, il fatto stesso di incontrare la fede, in gran parte, dipende dal nostro desiderio, indipendentemente dal fatto di quello che ci circonda. A scuola mi hanno insegnato come fare le cose giuste, che tutti gli uomini sono fratelli, che occorre aiutarsi l’un l’altro, che il compito era creare quel bel mondo comunista in cui tutti sarebbero stati felici. Quando mi sono scontrato con la realtà, dopo la scuola, mi sono accorto che la vita era tutt’altro, regolata da leggi completamente diverse, e quindi la protesta contro questo mi ha portato ad una ricerca. Ho cominciato a pensare: "Ma cosa mi aspetto in questa vita?". Praticamente non ero d’accordo su niente, e allora ho cercato quel modello di vita che mi avrebbe potuto far contento, che poteva coincidere con quella idea di vita con cui mi avevano formato: questo non c’era e il mondo ha cominciato a crollare. Ho lasciato i miei amici, sono andato via di casa e mi è venuto in mente che forse la Chiesa mi avrebbe aiutato. Ma si è visto che anche nella Chiesa non c’era nessuno che potesse rispondermi: i preti avevano paura e le persone anziane non capivano neanche cosa volessi dire. A questo punto mi ha assalito una sorta di disperazione perché non sapevo a chi rivolgermi; questa disperazione però mi ha aiutato. In un momento difficile, abbastanza critico, ricordo la mia prima sensazione molto forte che Cristo era vicino, presente vicino a me: vivevo in una stanzetta piccolissima, dieci metri quadrati, e ad un certo punto ho capito con chiarezza che Cristo era lì vicino a me, tanto che quasi potevo toccarlo. Anche successivamente ho avuto questa sensazione. È difficile paragonarla a qualcos’altro, impossibile. Sono passato quindi ad uno stato completamente diverso: era come se fossi in una stanza buia e ad un tratto avessero acceso la luce, e molte cose che erano appena abbozzate con questa luce mi sono diventate evidenti. Questa è stata la mia prima esperienza, si può dire che è stato il mio varco aperto verso la fede.
Non appena ho acquisito questo nuovo sentimento subito per me è nato un problema: se Cristo esiste, se Lui è qui vicino, se io sono suo figlio, io cosa devo fare? Perché devo guardare così tranquillamente tutto quello che sta succedendo? Ho capito che dovevo agire e ho cominciato a cercare quelli come me. Cosa difficile, ma possibile. Questo è stato il primo passo verso l’attività che poi ho cominciato a intraprendere: ho trovato degli amici.
La prima cosa che abbiamo cominciato a dire tra di noi era che occorreva testimoniare la verità, la verità di Cristo, della Chiesa, della sua situazione nello Stato, la testimonianza del fatto che la Chiesa e la fede comunque esistono: questo è diventato il primo compito che coincideva con la nostra stessa vita. Purtroppo non siamo riusciti a portare avanti questa testimonianza molto a lungo. Dopo cinque anni, alla vigilia delle Olimpiadi di Mosca, siamo stati arrestati tutti. La testimonianza è però continuata. Uno di noi, Vladimir, quando ha avuto la sua ultima parola di difesa, durante uno dei tanti processi, ha terminato dicendo: "Noi siamo nella verità e noi vogliamo tutto il mondo". Questa era la nostra parola d’ordine.
Nonostante queste persecuzioni, il problema non era il comunismo, verso il quale eravamo quasi grati per averci costretto ad essere fedeli a Dio, ma testimoniare Cristo. Così appena sono uscito dal carcere, prima dei miei stessi compagni, ho deciso di seguire l’esperienza che già esisteva in Oriente come in Occidente: trasmettere la fede attraverso le pubblicazioni clandestine. Avevo capito l’importanza di questi strumenti quando una mia conoscente era riuscita a comporre a mano il Vangelo, allora introvabile, assemblando le frasi evangeliche che gli atei comunisti riportavano nei propri testi per combattere la fede. Il problema fondamentale era trovare le macchine per stampare questi libri, ma per fortuna me la sono cavata. Una volta, per esempio, ero riuscito a ricevere una macchina fotocopiatrice attraverso l’ambasciata finlandese; per eludere la sorveglianza mi ero avventurato sui tetti di Leningrado per non essere intercettato nel tragitto dall’ambasciata al nascondiglio. In un’altra occasione ero riuscito ad utilizzare la fotocopiatrice di un ufficio statale; la notte si stampava e al mattino si azzerava il contacopie, rigorosamente controllato da un funzionario all’apertura degli uffici, proprio per evitare la stampa clandestina.
Oggi l’attività editoriale continua, perché occorre superare un altro genere di problemi: la gente, soprattutto chi è cattolico o ortodosso, ha bisogno di riprendere forza dopo 70 anni di cultura comunista. I comunisti sono riusciti a ficcare nel profondo della coscienza del popolo l’odio nei confronti del nemico occidentale, per questo uno degli altri nostri compiti è fare vedere il mondo occidentale come il mondo del cristianesimo occidentale, raccontare le esperienze della vita cristiana oggi, far vedere che noi siamo tutti figli dello stesso Dio. La biblioteca religiosa, infine aiuta a formare biblioteche religiose nelle biblioteche statali, oppure biblioteche parrocchiali, sia cattoliche che ortodosse.
Gejnrichs: Sono il primo cattolico della mia famiglia; per me l’appartenenza alla Chiesa cattolica non è stata un seguire una tradizione che esisteva. Naturalmente nella mia scelta hanno avuto una certa importanza degli argomenti che hanno formato la tradizione degli occidentalisti russi, argomenti piuttosto convincenti. A chi mi chiedeva come mai ero cattolico rispondevo dicendo che un uomo debole ha bisogno di una Chiesa forte. Col tempo ho capito che le cause della mia scelta non erano cause esterne, ma erano dentro di me: io avevo paura, sentendo quello che noi chiamiamo vocazione al sacerdozio, non tanto di quelle difficoltà che mi poneva di fronte la situazione esterna; io avevo paura di quelle difficoltà che potevano sorgere dentro di me e ho trovato questa strada per me, al momento, come moralmente più sicura, senza pericoli.
La vita che poi ho vissuto in tutti questi anni non ha praticamente lasciato pietra su pietra di tutte queste idee che avevo all’inizio. Mi sono trovato a vivere una depressione vicina alla disperazione ed un timore che confinava con il terrore, e questo mi ha fatto fare molte cose sbagliate, molte mosse sbagliate, a pronunciare molte parole che non servivano. Il Signore ha rimesso tutte le cose al posto giusto. Tutto quello da cui io fuggivo a suo tempo l’ho trovato poi tutto dieci anni dopo. La Chiesa è parte della società e quella paura, quella preoccupazione, quell’ansia, quello stare nelle trincee, quell’abitudine a cercare sempre un nemico al di fuori, sono tutte cose che ci portiamo dentro e in questo non c’è niente né di vergognoso né di terribile. La cosa importante è capire che non bisogna scappare: non posso smettere di ringraziare Dio per l’amore che a volte Lui usa, non privo di ironia, nei miei confronti.