I servizi per lo sviluppo
tra pubblico e privato
Tavola rotonda promossa da Compagnia delle Opere e da Unioncamere. In collaborazione con la Rivista Non-Profit (Maggioli Editore)
Lunedì 21, ore 18.30
Relatori:
Leggio:
Viviamo oggi in un mondo che è molto più in interconnessione diretta di informazione che non quello di 100, 200, 1000 anni fa. I sistemi di telecomunicazioni, e anche il sistema televisivo, hanno creato la diffusione e la trasmissione istantanee dei dati: in questo nostro mondo, che ha dei ritmi di accelerazione e di evoluzione che prima non erano pensabili, assistiamo oggi a dei fenomeni di ordine politico, sociale, economico-industriale che non hanno precedenti.In questo contesto, sono nate le spinte inarrestabili — che si propagano ad una velocità stupefacente — all'autogoverno dei popoli. Il fenomeno più importante, più drammatico in questo senso è stato quello della dissoluzione dell'impero delle repubbliche socialiste sovietiche.
Un altro grande fenomeno è quello della globalizzazione dell'economia e della cultura mondiale, supportato da quello che viene chiamato il villaggio globale a cui sia l'informatica che le telecomunicazioni danno un enorme contributo in termini di diffusione delle culture, e anche di comprensione del fatto che ogni cultura non è unica, ma fa parte di un contesto. L'economia si trasforma, e si passa da un'economia industriale ad un'economia che trova nei servizi la propria componente fondamentale; la tecnologia attua un processo di accelerazione dello sviluppo globale e questo fa sì che non ci sia tempo, molto spesso, per inseguire il processo di sviluppo.
Questa è la situazione in cui ha luogo il fenomeno di cui stiamo parlando che è quello della liberalizzazione, della privatizzazione dei servizi pubblici, che dipende fondamentalmente dal fatto che la qualità del servizio pubblico è decaduta nel tempo. Anche l'Italia è posizionata in questo contesto generale, ma i problemi italiani (per via dell'alto costo del lavoro e degli interessi di gruppo) sono sicuramente più complessi rispetto a quelli di altri paesi. Abbiamo però un'ancora di salvezza, che d'altro canto comporta dei sacrifici, ovvero la partecipazione alla Comunità Economica Europea, diventata dopo Maastricht l'Unione Europea. Essa tende ad ancorarci e a farci sviluppare secondo una logica basata sulla parità di accesso ai servizi che ha come obiettivo fondamentale la creazione di un qualcosa che ha un significato non soltanto di tipo economico, ma anche politico. Questo si paga rinunciando ad una parte della sovranità nazionale. Infatti l'Unione Europea emana delle direttive che devono essere recepite dagli stati, quindi attua una limitazione della sovranità nazionale.
L'obiettivo fondamentale della privatizzazione può dunque essere solo quello di sviluppare la qualità del servizio in un'ottica europea, che tenga cioè conto della liberalizzazione dei mercati e del conseguente pragmatismo di mercato, di marca anglosassone.
Rasi: Oggi ci troviamo di fronte alla privatizzazione di due settori essenziali per lo sviluppo della società civile e per l'ingresso in Europa, quello dell'energia elettrica e quello delle telecomunicazioni.
Prendiamo, come esempio, il settore dell'energia elettrica. La disponibilità di energia elettrica continua diffusa su tutto il territorio, ricco o povero che sia, e il prezzo uguale per tutto il territorio costituiscono condizioni essenziali per lo sviluppo del paese, in particolare considerando la situazione del Mezzogiorno. Non si può dunque, dopo avere assistito — specialmente i più anziani — a un trend unificatorio su tutto il territorio nazionale nella produzione, nella trasmissione e nella distribuzione dell'energia elettrica, essere in contrasto con la logica dello sviluppo e prevedere in sede di privatizzazione una liberalizzazione di due tipi, una nei segmenti territoriali, l'altra nei segmenti relativi alla produzione, alla trasmissione e alla distribuzione.
Il processo di privatizzazione dell'energia elettrica va al di là del problema contingente, in quanto è connesso alla possibilità di accesso di tutti i cittadini ad una fonte essenziale per lo sviluppo della società italiana in particolare, ma in generale della società europea e un giorno della società mondiale. È la possibilità di trasferire l'energia elettrica là dove può venire a mancare senza che vi siano non solo intoppi burocratici ma anche conflitti di interesse, perché, poniamo, gli interessi di una impresa in una zona ricca sono diversi dagli interessi di un'impresa che eroga energia in una zona povera.
La privatizzazione che noi auspichiamo non è una semplice frammentazione dell'ente pubblico, ma una privatizzazione grazie alla quale, gestendo in forma privatistica, si possa avere maggiore efficienza, cioè maggiore resa delle risorse impiegate, ed anche garantire una disponibilità uguale su tutto il territorio italiano. È facile pensare di poter invece spezzettare l'energia elettrica dal punto di vista dell'area geografica oppure dal punto di vista della fase produzione-trasmissione-distribuzione, e mettere in concorrenza la produzione con la trasmissione, la trasmissione con la distribuzione, ma questa ipotesi non è realistica, sarebbe come operare su un corpo umano mettendo in concorrenza la testa con i piedi, mentre invece il corpo è un complesso organico che funziona in maniera eccellente solo se vi è il coordinamento verso l'unità di tutti gli organi componenti.
Leggio: Pur essendo fondamentalmente d'accordo con il professor Rasi, vorrei però, riprendendo l'ottica europea da cui sono partito, sottolineare il ruolo positivo della concorrenza nel fenomeno della privatizzazione.
Nelle situazioni di monopolio pubblico (ma la stessa logica vale anche nel caso del monopolio privato), un problema fondamentale è legato al fatto che talora vi sono tariffe o prezzi per i prodotti enormemente superiori ai loro costi, o imprese che non hanno nessuno stimolo ad ottimizzare i propri costi. Tutto questo determina chiaramente una dispersione di ricchezza. La soluzione che l'Unione Europea dà a questo problema, è l'adozione dell'economia di mercato. Sicuramente, ci potrebbero essere altre soluzioni, come ad esempio la creazione di strutture di regolamentazione che garantiscano un'equità, dal diritto di accesso ai servizi di base alla rimunerazione del proprio lavoro, e che si accertino così che le aziende pubbliche operino con logiche di trasparenza. Ma poiché non si è trovato un meccanismo sufficientemente corretto nei confronti di questo problema, allora si porta il pubblico verso il privato, che ha una logica di evoluzione naturale, ovvero la ferrea legge del mercato: infatti, se l'azienda non vende bene i propri servizi, se l'azienda non offre una buona qualità, se le sue tariffe sono troppo alte, sicuramente l'azienda, più o meno velocemente, perde mercato.
La domanda che sorge spontanea è: è giusto utilizzare la logica del mercato per far funzionare strutture pubbliche che non funzionano? E, se funzionano, perché applicare questa logica sproporzionata alla loro natura? Le risposte non potranno essere univoche, ma devono verificarsi rispetto ai singoli casi: occorre però sottolineare che, anche se la strumentazione del libero mercato e quindi della concorrenza è impropria nei confronti della logica pubblica, resta comunque la soluzione che l'Unione Europea ha adottato e nella quale noi siamo inseriti per legge, perché, piaccia o meno, abbiamo firmato prima il Trattato di Roma, e poi quello di Maastricht.