Quale sviluppo per il Mezzogiorno
Tavola rotonda promossa da Compagnia delle Opere
e da Unioncamere
Domenica 20, ore 18.30
Relatori:
Antonio Rastrelli,
Presidente della Regione
Campania
Domenico Barile,
Vice Presidente della Commissione per lo Sviluppo della Regione Calabria
Carlo Pace,
Presidente del Banco di Napoli
Moderatore:
Francesco Morelli,
Consulente per i Problemi del Mezzogiorno
Morelli:
Il problema dei giovani in genere, e del Mezzogiorno in particolare, si ripropone sempre in termini più drammatici, perché disoccupazione e Mezzogiorno sono due emergenze che tendono a sovrapporsi sino a diventare due facce della stessa medaglia. Questo è ancora più vero oggi, in un momento di transizione, nato dal vento ripulitorio degli ultimi tempi, che, forse senza la giusta ed equilibrata serenità, ha cancellato tutto o quasi tutto dei vecchi schemi e modi comportamentali.Nel Paese come nel Mezzogiorno, si vive in attesa di un nuovo modello, di nuovi quadri di riferimento, ma si vive anche nella confusione, nell'emergenza. In questo contesto, si coglie serpeggiare nell'animo di ognuno il ricordo, il rimpianto, la nostalgia delle degenerazioni del passato. Per questo è necessario superare questo momento di transizione, e giungere al più presto a delineare una società che poggi su regole risultanti da un generale accordo di tutti coloro che costituiscono l'insieme, e nello stesso tempo a inserire la questione del Mezzogiorno nella visione unitaria dei problemi del Paese, nel quadro di una politica complessiva di sviluppo integrato. Tutto questo, nella ricerca di ribaltare la mentalità inerte e passiva della subalternità in una mentalità dinamica, che consenta di attivare processi di coinvolgimento e responsabilizzazione di ogni possibile livello. Questa presa di coscienza nei fatti e nelle azioni è il primo tassello per pensare al Mezzogiorno. Al contrario, l'isolamento del Sud, la mancanza di riferimento, di lavoro, proiettano e continueranno a proiettare sempre più nell'angoscia dell'infinito.
A questo proposito, ciò che con sforzo unanime dobbiamo comprendere tutti e contribuire a far comprendere, è la visione del modo di operare del potere pubblico: Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, sostiene che l'attuazione del bene comune costituisce la ragion d'essere dei pubblici poteri. Il potere pubblico, quindi, non deve assistere o elargire a fondo perduto, ma stimolare, orientare, integrare e coordinare l'opera del privato, intervenendo secondo il principio della sussidiarietà. E per il Mezzogiorno verosimilmente si deve applicare a mio avviso tale principio. Infatti, per quanto per esempio concerne i flussi finanziari, un ruolo importante, strategico, nel raggiungere risultati tangibili, nella spendibilità con rapidità, nell'assumere decisioni, così come nel realizzare progetti, spetta alle amministrazioni regionali.
Un'attenta analisi dei flussi dei finanziamenti comunitari e delle misure comunitarie, può inoltre consentire di individuare l'attuazione di mezzi e strumenti che possono essere idonei ai bisogni del Mezzogiorno. Penso, per esempio, a uno speciale fondo di garanzia, a copertura parziale del rischio di perdita su finanziamenti a medio e lungo termine, che garantisca quegli investitori qualificati, quali aziende di credito, società di partecipazione, finanziarie regionali, che, ritenendo valida e redditiva una business area, un piano di fattibilità, decidono di applicare o di aprire una speciale linea di credito. Uno strumento come il fondo di garanzia che può garantire l'azienda di credito o la società di partecipazione, aiuta a partecipare meglio all'avventura imprenditoriale nel Meridione.
Le misure comunitarie possono fornire anche un altro supporto: lo sviluppo di joint-venture fra imprese meridionali e imprese settentrionali. Ne abbiamo già qualche sviluppo in Calabria, come la Silagum, risultante dall'unione degli imprenditori di Lecco, del loro know-how, delle loro conoscenze, dei loro cicli tecnologici, con l'entusiasmo dei giovani calabresi. Questa unione è supportata da uno strumento legislativo valido non solo per il Mezzogiorno, ma per tutta l'Italia, la legge 44. Naturalmente per sostenere l'internazionalizzazione o le joint ventures nazionali, non bastano le misure comunitarie ma occorre uno sforzo solidale tra regioni meridionali, occorre un progetto organico che possa superare quegli handicap che molte volte annullano, rallentano o diluiscono gli interventi. Per questo sarebbe indispensabile una minore enfatizzazione dei fenomeni delinquenziali, che certamente ci sono e vanno combattuti, ma che non possono essere sempre ampliati a dismisura.
Abbiamo visto che la ricerca continua del consociativismo non dà alcun esito, il cercar di dover accontentare tutto e tutti molte volte fa che non si individuino le priorità: ad esempio, le poche infrastrutture — viarie, stradali, aeree e marittime — che ci sono, sono obsolete, e ciò implica di conseguenza la lontananza del Sud dai mercati ricchi. Intervenire bene nelle infrastrutture significa anche porre l'imprenditore meridionale in una condizioni di equità con gli amici imprenditori settentrionali, e quindi con l'apertura verso l'Europa. Tutti sappiamo che è necessario rimuovere problemi come questi, eppure molte volte è mancata la semplice decisione di incominciare a fare.
Da ultimo, non per importanza, ritengo che per il nostro Mezzogiorno, se da una parte ci vuole la genialità, il manager che ha il senso calcolato del rischio dell'impresa, l'imprenditore pubblico e privato al quale non può non affiancarsi lo Stato, il sostegno del potere pubblico, dall'altra ci vuole un terzo elemento fondamentale, che è il lavoratore, il dipendente, l'operaio come il direttore generale di una azienda, di un'attività produttiva, che deve prendere piena consapevolezza e sentirsi responsabilmente coinvolto nella vita e nei programmi aziendali. Il lavoratore infatti contribuisce alla vita e ai programmi aziendali con una preziosa opera, che è il lavoro, e il lavoro, se fatto bene, riesce a dare un contributo non solo all'azienda, ma anche alla società; se poi questo lavoro viene offerto al Padre Eterno, dà anche un senso alla nostra esistenza, alla nostra vita. Mi piace ricordare quanto scriveva Josèmaria Escrivà de Balaguer a proposito del lavoro da parte dei cristiani: "Il lavoro è la dignità della nostra vita, è un dovere che ci viene imposto dal Creatore, visto che l'uomo è stato creato ut operaretur. Il lavoro è il mezzo con cui l'uomo partecipa all'opera della creazione, qualunque esso sia, non solo nobilita l'uomo ma è anche strumento per raggiungere la perfezione umana, terrena e soprannaturale".
Rastrelli: Bisogna finire di parlare e di studiare i problemi del Mezzogiorno. Ci ritroviamo oggi, a quarant'anni di distanza dalla Legge e dalla Cassa del Mezzogiorno, in una condizione che se non è uguale a quella di allora, è certamente molto simile. L'intervento aggiuntivo del Mezzogiorno è stato soltanto una forma di copertura per i maggiori interessi dei poteri forti che attraverso il governo e il Parlamento di quella che è stata definita la Prima Repubblica hanno non solo privilegiato il Nord, ma hanno creato le condizioni economiche e finanziarie perché quel divario che già esisteva fosse di gran lunga aumentato. Questo è successo nonostante tutti gli studi di coloro che si sforzavano di vedere come risolvere, dal punto di vista teorico, il problema del Mezzogiorno.
I problemi del Mezzogiorno sono problemi dell'intero Paese: si illude chi parla di secessione, perché il Paese potrà affrontare il confronto — necessario nei prossimi decenni — con l'Europa, soltanto a condizione che si ritrovi una sostanziale unità, politica, sociale ed economica.
La Regione Campania è la regione storicamente guida e polo di riferimento dell'intero sviluppo del Mezzogiorno d'Italia: la Campania può rendersi l'epicentro, il fulcro, di un movimento collettivo che investa le cinque regioni meridionali, e che in questo modo crei l'area complessiva del Mezzogiorno. Ci troviamo in un momento storico in cui il concetto di regionalismo sta facendo strada, e si è compreso che le regioni di Italia sono diverse non solo per condizioni economiche, ma anche per vocazione territoriale e per natura sociologica. È dunque indispensabile che i modelli di sviluppo siano studiati zona per zona, secondo le diverse vocazioni, e i poteri locali, ancorati alle diverse zone, possono determinare un meccanismo competitivo di evoluzione complessiva. Quindi, si può continuare a parlare di federalismo, purché esso trovi il suo contrappeso nell'unità e nella sacralità della Patria, dello Stato italiano, della Nazione, attraverso l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Capo dell'esecutivo. Il potere centrale deve rendere operativa una strutturazione perequativa delle risorse, impegnandosi seriamente alla lotta con i fenomeni degenerativi della società meridionale come mafia, camorra e 'ndrangheta, perché è chiaro che sono fenomeni ubicati nel Mezzogiorno, ma sono anche fenomeni esportabili, e quindi la lotta alla criminalità è un presupposto per la tranquillità sociale e civile del Paese intero, dalle Alpi alla Sicilia.
Come secondo compito, il potere centrale deve creare attraverso questo meccanismo della perequazione delle risorse un valido sistema bancario nel Mezzogiorno, una funzione storica della banca rispetto ai problemi dell'economia del Mezzogiorno. Se il Governo varasse la famosa legge, già preparata dal Governo Berlusconi, per la quale la Banca operante nel territorio del Mezzogiorno può avvalersi di un fondo di garanzia per abbassare i tassi, e quindi eliminare il rischio implicito della gestione del credito in certe zone, questo potrebbe determinare un meccanismo di grande vantaggio.
La terza operazione da farsi è l'adeguamento della classe dirigente del Mezzogiorno alle nuove esigenze della società. Abbiamo un parlamento diviso in due tronconi: da un lato c'è un rapporto solidale, qualunque sia l'appartenenza politica di tutti i parlamentari del Nord dell'Italia, e dall'altro l'assenza, per i parlamentari del Sud, di qualcosa di analogo.
Una delle mie ambizioni è quella di riscattare la dignità di essere meridionale: studiare la storia del nostro paese significa conoscere anche la possibilità di un certo riscatto del Mezzogiorno in Italia, non per fare del Mezzogiorno una realtà antitetica rispetto alle regioni del Nord, ma per farne parte di quella complessiva nazione italiana alla quale tutti quanti siamo legati.
Barile: Alcuni mesi fa, quando ero presidente dell'ente del turismo della mia provincia, Cosenza, promossi un convegno, che ha poi avuto discreta risonanza a livello nazionale e a Napoli in particolare, una manifestazione chiamata le "Giornate borboniche". Non è nulla di revanscista o di secessionista, ma esprime l'esigenza sempre maggiore di aprire un dibattito forte sulla nostra cultura meridionale, sul nostro passato, sulla nostra identità. Non esiste processo di sviluppo economico se a monte non c'è una forte motivazione culturale; noi meridionali abbiamo pagato un prezzo altissimo allo sviluppo di questo secondo dopoguerra: abbiamo ceduto alle aree del Nord i nostri figli migliori, dando così un contributo, in termini di volontà, di intelligenza e di energie, che ci ha però privato di una classe motivata e, in molti casi, acculturata. Basta pensare alla grande mancanza di università al Sud, che per decenni ha fatto sì che centinaia, migliaia di nostri giovani, una volta laureati, restassero nelle aree del centro-nord, indebolendo la nostra assistenza sanitaria e i nostri ceti imprenditoriali. Questo è il prezzo che il Sud storicamente paga, all'indomani dell'unità d'Italia: non dimentichiamo infatti che l'emigrazione per il Sud nasce all'indomani della sconfitta del Regno delle due Sicilie.
La consapevolezza di ciò che siamo può consentirci percorsi nuovi rispetto all'assistenzialismo e l'individuazione di un modello di sviluppo. Un uso distorto delle risorse finanziarie arrivate al Sud ha provocato numerosi guasti, dalla cementificazione delle coste ai grandi investimenti come Gioia Tauro, che doveva essere il quinto centro siderurgico quando la siderurgia ormai veniva abbandonata in Italia.
Oggi stiamo rischiando qualcosa di più grave e di peggiore: una congiura del silenzio a danno di noi meridionali. Sul luogo comune che la Lega Lombarda (che ha l'orgoglio di sentirsi "periferia della Baviera") ha stimolato e ha determinato in tutta Italia, stiamo assistendo alla progressiva liquidazione di quella che resta la questione fondamentale dello Stato unitario, e cioè la questione meridionale.
Abbiamo l'urgenza e la necessità di avviare un dibattito forte, all'interno delle realtà meridionali, che ci consenta di attirare l'attenzione del Governo e del Parlamento attorno a quella che rischia di essere un'ulteriore tragedia delle popolazioni meridionali. È arrivato anche il momento di aprire un confronto e un dibattito di tipo politico e culturale all'interno delle formazioni del Polo, che ha vinto in gran parte delle regioni meridionali, sconfiggendo l'alleanza terribile tra una Confindustria, che del Sud vorrebbe fare un serbatoio di reclutamento di braccia, una forma di schiavitù moderna, e un sindacato che nel difendere l'occupazione e i livelli retributivi al Nord, non comprende che al Sud il costo del lavoro va determinato rispetto alle esigenze di un mondo diverso, in cui diversa è la realtà storica e politica.
Abbiamo la necessità di spiegare cosa vuol dire solidarietà. Agli inizi del regionalismo, in Calabria, si aprì un grande dibattito, che portò ad un patto tra il Presidente della Calabria Guarasci (morto poi tragicamente), e l'allora Presidente della Regione Lombardia, Bassetti. Questo patto, che fu poi cancellato dal pacchetto Colombo e dalle grandi opere assistenziali, era il primo tentativo di dar vita ad una forma di solidarietà vera fra regioni, era la prima forma di federalismo solidale che consentisse un sinergia fra due realtà diverse ma forse complementari. Questa è solidarietà, non certo l'emigrazione di massa.
Pace: Una Banca che dispone dei 3/4 dei propri sportelli nelle regioni del Mezzogiorno non è soltanto una grande Banca, anche se in difficoltà come tutto il Mezzogiorno, ma è anche un punto di osservazione per conoscere la realtà concreta in maniera estremamente puntuale e con riferimento non soltanto alle grandi statistiche della contabilità nazionale, ma anche ai rapporti diretti con gli operatori dell'economia.
La prima osservazione che desidero fare si collega al tema trattato dal Presidente Rastrelli — il modello di sviluppo —, che è anche il tema di questo nostro incontro, "Quale sviluppo per il Mezzogiorno". Oggi il timore potrebbe essere quello di dover discorrere di quale "inviluppo", perché, dopo un primo evento di grande rilevanza, ovvero l'interruzione improvvisa dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, ci avviamo a un secondo evento, meno grandioso, ma certamente non privo di preoccupazioni. Si tratta cioè della cessazione imposta dalla Comunità Europea del trattamento differenziale del Mezzogiorno per quanto riguarda la fiscalizzazione degli oneri sociali. Fra poco, gli oneri sociali che le imprese del Mezzogiorno dovranno corrispondere non saranno più di importo ridotto ma saranno pari a quelli del resto del resto del Paese. Con il risultato che, di colpo, si avrà un accrescimento del costo del lavoro nelle regioni in cui il lavoro disoccupato è maggiore.
Per occuparci di questo aspetto, dobbiamo vedere quali sono le condizioni per suscitare quella necessaria solidarietà, quei necessari interventi perequativi del resto del Paese cui ha fatto riferimento il Presidente Rastrelli. Negli anni Cinquanta, quando ancora il finanziare opere pubbliche non era un business, si pensò di poter imporre a tutto il paese un rilevante sacrificio (De Gasperi volle, con la Cassa per il Mezzogiorno, destinare in 10 anni 1000 miliardi al Sud), perché c'erano le ragioni della solidarietà. Ad un certo punto, queste ragioni sono cadute, perché in Italia c'era una domanda eccessiva e occorreva limitare le spese dello Stato.
Pensiamo ad un altro aspetto della questione della solidarietà. Il Mezzogiorno ha il 20% delle proprie forze lavoro disoccupate. Pensate quanto più facile potrebbe essere la soluzione del problema delle pensioni, se quel 20% lavorasse, se quindi il rapporto fra lavoratori e pensionati fosse di gran lunga più elevato di quello che è.
Questo ci dà una prima indicazione su quale sviluppo per il Mezzogiorno: uno sviluppo che deve passare per l'espansione della base di occupazione. Da questo punto di vista un aumento dell'occupazione non solo giova al Mezzogiorno, ma giova all'intero Paese.
Nel Mezzogiorno, abbiamo una produttività, non solo del lavoro ma anche dei capitali, più bassa che nel resto del Paese. Questo vuol dire che la gran parte delle produzioni meridionali non si incontra sul campo della competizione. Una causa sostanziale è che parte cospicua delle attività produttive meridionali è costituita dall'industria edilizia, quella che ha fruito dell'intervento straordinario negli ultimi 20 anni in maniera privilegiata, e quella su cui andrebbero le spese per infrastrutture. L'industria edilizia è stata alimentata per se stessa, come nel caso di Montalto di Castro, dove, sebbene da tanti anni sia stato deciso che la centrale nucleare non si deve fare, si continua a lavorare: l'edilizia per l'edilizia. Il mio suggerimento è questo: dal punto di vista del metodo, bisogna prima fare le previsioni degli effetti economici duraturi delle opere pubbliche, e poi andare a verificare se questi effetti si sono riscontrati.
Vengo ora al mio compito specifico, quello di persona coinvolta direttamente nella gestione di una grande banca. La banca moderna è erogatrice di servizi, e il suo vero patrimonio sono le conoscenze nei confronti dell'economia. Per fare credito bisogna conoscere, e una Banca con oltre 600 sportelli nel Mezzogiorno conosce il Mezzogiorno attraverso i suoi uomini. La banca moderna, avvalendosi di questa conoscenza deve certamente continuare a offrire il credito, ma deve offrire anche servizi. Servizi di conoscenza, di metodi, di valutazione dei progetti imprenditoriali e pubblici.
Nel Mezzogiorno non ci si può illudere che la globalizzazione finanziaria porti rapidamente le imprese meridionali a vendere le loro azioni sul mercato e a dotarsi così dei capitali necessari. Questi sono processi estremamente lunghi e difficili, e che richiederebbero una struttura di impresa con una dimensione media molto più elevata di quella che è la dimensione media nel Mezzogiorno. Certo, alcune imprese si sono affacciate sul mercato finanziario, addirittura un'impresa della Puglia, che produce divani, è quotata alla Borsa di New York, ma il livello medio delle imprese è molto più limitato, anche per degli errori di politica.
Sul piano tecnico giudico estremamente interessante l'idea del professor Morelli, realizzare un progetto che coinvolga regioni e banche, per contribuire a realizzare un'economia produttiva aperta verso l'esterno. Questo perché solo nella competizione possiamo sperare di trovare i fermenti di una progressiva riduzione del dualismo economico che tuttora divide l'Italia in due grandi aree.