giovedì 27 agosto, ore 17

LA STORIA FUORI DALLE PAGINE

partecipano:

Helen M. Barnes

suora della Congregazione di S. Giuseppe, lavora tra i rifugiati politici d’ogni razza che

vivono nei sobborghi di Sidney.

Irina B. Ratusinskaja

poetessa ucraina, già docente di matematica all'Università di Kiev; dopo aver scontato

quattro anni di lager per propaganda antisovietica, è stata liberata e vive ora in Occidente.

conduce l'incontro

Pier Alberto Bertazzi

C'è una storia fuori dalle pagine, relegata ai margini della storia ufficiale, che apertamente tesse le trame di un mondo nuovo, di una vita giusta e felice per tutti. Due donne, tessitrici di questa storia, si raccontano.

 

H. M. Barnes:

Sono nata in Australia durante la seconda guerra mondiale e quando avevo tre anni ci siamo trasferiti nei sobborghi di Sydney. I nostri vicini erano profughi ebrei, greci, e molti italiani, la maggior parte dei quali erano uomini che avevano lasciato le loro famiglie in Italia con l'intenzione di guadagnare abbastanza denaro per mandarne alle loro mogli e figli e farsi raggiungere. Molti di loro lavoravano come ortolani per molte ore al giorno e vivevano in condizioni miserevoli. Un ricordo ancora molto vivo è di me stessa che porto un piatto, così, al signor Pellegrino o a qualche altro uomo, nella semioscurità, un pasto caldo per lui dopo una dura giornata di lavoro. O piuttosto una brocca di latte (noi avevamo una mucca) o una fetta di torta, qualche frutto ... Poi c'era la gente che chiedeva aiuto per compilare moduli, per lezioni d’inglese; non era solo un dare ma anche un ricevere da loro, essi portavano anche fiori e verdure, o venivano per condividere le proprie gioie (una lettera da casa, l'arrivo della famiglia) e forse per ridere di ciò che facevamo noi quattro fratelli. Guardando indietro a quei primi anni mi rendo conto di quanto la generosità dei miei genitori è stata importante per noi bambini. Ma forse più importante è stato il tipo di generosità, un dare, sì, ma anche un ricevere, la condivisione di gioie e dolori, speranze e timori. Quindi ci furono i tempi della scuola, seguiti dall'Università e dell'insegnamento, in Inghilterra e in Australia. lo ero molto interessata al latino - voi potreste pensare che era una vita limitata, non reale! Ma a quel tempo il latino era un requisito per molti corsi universitari e molti miei compagni di studi erano europei ed ebrei ... E prendendo il caffè (c'incontravamo nei bar!) noi discutevamo il problema dei profughi, l'emigrazione per ragioni economiche, il viaggiare ... Credo di aver viaggiato nella maggior parte dei paesi dell'emisfero settentrionale, eccetto Cina, Vietnam, Laos e Cambogia e, poiché il denaro era sempre poco, ho lavorato spesso, per poche settimane o per alcuni mesi, alcune volte solo per l'alloggio, non per la paga. Queste esperienze sono state importanti per due motivi, perché io ora mi rendo conto un po' di quanto sia difficile essere straniero in terra straniera. lo dico "un poco" perché io non era profuga, avevo la libertà di scegliere. Non stavo cercando di crearmi una nuova vita, non avevo la responsabilità di una famiglia, avevo sempre la possibilità di tornare a casa per avere un buon lavoro, buoni amici o la mia famiglia. Alcuni dei lavori che ho fatto erano molto duri e mal pagati (qualche lavoro fatto in fabbrica e uno in una mensa non mi davano abbastanza per dividere una stanza con altre due o tre ragazze e per comprare cibo. Altri lavori erano più piacevoli, penso in particolar modo ad un negozio di moda di Londra, facendo la cameriera a Sydney, lavorando in un negozio di gioielleria.

Ma in quegli anni ero cosciente che era un lavoro temporaneo e sentivo che ciò che stavo facendo era "solo per il momento". lo stavo cercando, stavo aspettando, ma che cosa non lo sapevo. Poi sono stata malata, diverse malattie tutte insieme. La mia vista si era molto abbassata, per alcune settimane divenni quasi cieca e per più di un anno potei leggere solo con grande difficoltà. Ero completamente debilitata. Avevo pensato alla vita religiosa e presi la malattia come un segno che questa strada non fosse per me ... Credo ci fosse qualche sollievo in questo. Una mattina stavo cercando di prepararmi mentalmente per lo studio, e mi sorpresi a dire "Oh Dio, sono così stanca!" e Dio mi diede ristoro. Riflettendo su questo io cominciai a comprendere cosa vogliono esprimere i direttori spirituali quando dicono che la nostra relazione con Dio deve sgorgare dalle cose della vita quotidiana. Non avevo intenzione di pregare, non stavo nemmeno pensando a Dio, e nemmeno a come mi sentivo, da qualche parte dalle radici di me stessa arrivò il grido, e Dio rispose. La mia vita fu cambiata. Nonostante questo è occorso moltissimo tempo per recuperare la salute, non c'è stata una guarigione istantanea. Ma io cambiai e la gente se ne accorse.

Come il tempo passava iniziai a sperimentare sempre di più la misericordia di Dio e il mio desiderio di rispondergli, ma questo fu alcuni anni prima che io cominciassi a ripensare alla vita religiosa e a quel tempo avevo più di trent'anni. Ho incontrato senza cercarla gente di diverse congregazioni, ma non mi sentivo attratta da questi ordini. Quando ero più giovane avevo pensato che la vita religiosa fosse una specie di morte, vedevo me stessa come un uccello in gabbia o uno svogliato cavallo da lavoro. Non pensavo con entusiasmo alla vita religiosa, non facevo complimenti alle suore! Ma proprio in questo periodo io cominciai a vedere le cose in una maniera abbastanza differente. lo sentii che Dio mi offriva una scelta (non c'era forzatura), e che nella vita religiosa io potevo crescere forte e sana, essere veramente me stessa, trovare me stessa. lo penso che voi possiate capire ... Avevo gli occhi verso Dio ma vedevo la gente per la prima volta. Mi sentivo attratta dai senza casa, soli, bisognosi. Ritornai in Australia e feci un ritiro spirituale, la Direttrice era una Suora della Misericordia di Parramatta, a Sidney. Ella non mi diede alcun incoraggiamento parti- colare, ma mi aiutò a guardare alla realtà: la mia realtà. Incontrando poi altre di queste Sorelle della Misericordia io sentii che potevo aderire ad esse. Quando seppi del loro lavoro io sentii molto l'azione dello Spirito nel loro rispondere alla gente, i poveri, i malati, gli emarginati. Lessi della loro fondatrice Catherine MeAuley, e qualcuna delle sue lettere; mi trovai molto in sintonia con la sua visione, mi sentii attratta verso questo gruppo.

Così feci domanda, fui accettata ed entrai. Quello fu un tempo di grande benedizione per me. lo sentii molto che Dio mi indirizzava a questo gruppo di Suore e mi sentivo tanto libera: sono ancora piena di meraviglia e gratitudine quando penso a quegli anni, al tempo di quel grido a Dio fino al presente, e in special modo ai primi mesi dopo l'incontro con le Sorelle della Misericordia fino al mio ingresso nella congregazione. La presenza vivente di Dio, io posso dirlo con le parole di Giovanni: "Quello che noi abbiamo udito e abbiamo visto con i nostri occhi ... e toccato con le nostre mani: il Verbo che è vita" (1 Gv. 1: 1). E così piena di gioia, senza paura, io offrii me stessa.

Questa stessa esperienza di Dio, così reale che perfino la realtà visibile e materiale sbiadisce al confronto, la sperimentavo durante la mia consacrazione come Sorella e rinnovava la mia energia e rafforzava il mio impegno. Credo che molti religiosi senta- no la loro chiamata come una chiamata ad arrendersi a Dio e a dedicarsi al suo servizio e che Dio promette il suo amore e un rapporto stretto con Lui. Così la preghiera e l'autocoscienza, un desiderio di Dio e di conversione sono necessari per me se io voglio aderire con verità alla Sua chiamata. Ci sono tempi difficili e tempi buoni, tempi di nessun colore come in ogni altra strada, ma io sento che questa è la mia strada. lo sono felice, mi sento viva e la vita è piena di significato. Giovanni Paolo II ha usato le parole "questa straordinaria avventurai per indicare il sacerdozio e la vita religiosa. Mi piacciono molto le sue parole. La mia vita precedente è stata avventurosa nel significato convenzionale delle parole, ma questa vita mi sembra molto più avventurosa. Molto più vita.

Ci sono circa 10.000 Sorelle nella Misericordia per lo più nei paesi di lingua inglese, 2.800 in Australia; molte congregazioni hanno sorelle in missione nei paesi del Terzo Mondo. Le Sorelle australiane sono in Africa, Pakistan, Nuova Guinea e nei campi profughi nel Sud-Est dell'Asia.

Oggigiorno per quanto riguarda il lavoro con i nuovi arrivati le Sorelle sono impegnate su due fronti: per gli immigrati cattolici e per quelli d’altre fedi. Cominciammo a interrogarsi circa la situazione di altra gente: Buddisti, Mussulmani e quelli senza nessuna fede. Come potevamo essere testimoni dell'amore di Cristo per loro? La Chiesa in Australia sta tentando di affrontare questa questione. Questa preoccupazione per la gente indipendentemente dal credo religioso è esemplificata in questa storia che riguarda una donna siriana. Quando il Papa venne in Australia ella seguì tutto il suo viaggio dal suo letto di malattia. Il suo commento è stato "l'amore di Gesù è per tutti, a lui non interessa se la persona è cristiana o no. E la stessa cosa è per il Papa: egli ci ama tutti". Questa stessa donna, che ha sofferto moltissimo appartenendo a una minoranza razziale e religiosa, dice spesso le stesse cose a me: "Noi siamo tutti figli di Dio ed Egli ci ama tutti".

All'inizio noi volevamo semplicemente renderci disponibili alle persone e lasciarci guidare secondo i loro desideri e questo è ancora il nostro modo di fare. Comunque decidemmo anche di offrire lezioni di inglese ai più emarginati (quelli immobilizzati nel letto, le madri con bambini piccoli, i vecchi o i più timorosi). Abbiamo dato lezione d'inglese sia come modo per entrare nelle loro comunità e sia perché l'inglese è la chiave per entrare nella società australiana. Conoscete il proverbio africano "Parlarsi l'un l'altro è amarsi l'un l'altro"? e questo era proprio ciò che quella gente non poteva fare. Io sono commossa dalla fiducia che quella gente mostrava ai nostri primi incontri. Noi ci presentavamo come Sorelle della misericordia, ma questo era troppo specifico, così indicavo la mia croce dicendo "chiesa cattolica". Le porte si aprivano all'istante. Noi abbiamo tantissimi buoni ricordi di quei giorni e della pronta accoglienza che ci era manifestata da così tante fedi e nazionalità. Un uomo buddista del Laos ci disse: "Le Sorelle cattoliche rendono santo il suolo. Esse ci assistono" ed egli era molto colpito da questo. Voglio tornare ad un punto accennato all'inizio: quale è la cosa più importante? E’ il rifiuto, l'odio e l'oppressione che hanno cacciato via la maggior parte di questa gente dalla loro terra. Ed è inoltre l'accoglienza, l'amore e il credere in loro stessi, che essi desiderano ardentemente. Spesso raccontano di ciò che hanno fatto per sopravvivere, talora persino ucciso, o ciò che è stato fatto loro e dicono: "E’ lecito che io viva?" lo penso che sia solo con l'accoglienza, l'accoglienza nella nostra vita, che essi possono credere ancora in se stessi e diventare consapevoli di essere accolti nella famiglia umana. lo credo che il messaggio di Gesù per tutti noi sia che Egli è venuto per abbattere le barriere che ci separano e la grazia del perdono è il punto di partenza. Per me questo è spesso difficile, ma io lo ritrovo nella mia vita di Sorella nel mio lavoro è importante come io vivo. Quando io non perdono non posso aiutare gli altri, quando io ho la grazia del perdono accade che questo dono venga condiviso.

Enti governativi e sociali si preoccupano per i bisogni materiali e noi facciamo molto in questo campo, mettendo la gente in contatto con queste organizzazioni od ottenendo aiuto tramite amici. Ma il vero ministero è di essere con loro quando essi passano attraverso le pene, il lutto per le morti e le separazioni, portando il fardello della vita perché essi arrivino alla guarigione e alla pace interiore. Questa pena è stata così potentemente espressa da un uomo vietnamita che mi ha detto alcune settimane fa: "Non so più come fare questo mestiere di vivere". Molte delle cose apparentemente buone che lui aveva fatto per la sua famiglia e la sua fidanzata avevano portando al disastro, e questo era come lui si vedeva: incapace di vivere.

Pensando adesso a questo, parlando di cosa noi abbiamo scoperto dopo alcuni anni di questo lavoro, io sono meravigliata di ricordare che questo è ciò che i funzionari governativi, gli operatori sociali o le organizzazioni etniche ci avevano sottolineato all'inizio: essi sapevano che non avrebbero potuto fornire ciò, ma che di questo la gente aveva bisogno, questa condivisione nel cammino per credere ancora in se stessi, alla guarigione spirituale e alla pace.

Voglio raccontarvi una storia che mi ha molto impressionato. Una donna laotiana disse un giorno: "Suor Helen quando io mi rendo conto che non posso più farcela mi butto sulle ginocchia allungo le mie mani così, e dico: Tu devi aiutarmi! Sto parlando al vostro Dio?"

Gli parlai un po' del nostro unico Dio ed ella annuì. Poche settimane dopo ella mi disse: "Suor Helen, c'è un solo Dio. Questo ci rende come sorelle". Da quel giorno essa si è comportata verso di me come una sorella, come membro di una stessa famiglia, mentre prima era molto formale. Vorrei parlare un po', ora, della visita delle case. Mi piace la "familiarità" della maggior parte dei nostro ministero, dove la casa è il luogo dell'accoglienza e dell'ospitalità. Perfino le abitazioni più umili e le persone più afflitte sono in grado di dare questa accoglienza. La visita delle case dà ai profughi una certa consapevolezza di essere loro a tenere in mano la situazione, di potersi comportare come padroni di casa almeno in quel piccolo posto: e quale cambiamento rispetto alla mancanza di potere e all'abbandono degli anni precedenti! lo trovo che la spiritualità di Jean Vanier mi ha aiutato moltissimo, mi ha aiutato a valorizzare ed articolare questa forma di apostolato dove il rapporto interpersonale (faccia a faccia) diventa un rapporto cuore a cuore. Io cercherò di condividere con voi qualcosa di questo lavoro. Do due o tre lezioni di inglese al giorno, di solito di un'ora. Queste sono un appuntamento fisso e la gente sa in quale posto sarò ad una data ora e spesso vengono lì a trovarmi. Le lezioni sono per quelli che non conoscono o conoscono appena l'inglese e non possono frequentare la scuola, spesso i giovani donne con 3 o 4 bambini piccoli. Ho una classe con tre persone cieche della Manciuria ed un'altra classe con un uomo cinese sordo proveniente dalla Cambogia: assieme a lui ci sono anche diversi cinesi anziani (uno non può camminare e due sono già stati a scuola ma non sanno parlare inglese). E’ davvero straordinario come essi possano fare progressi in un gruppo piccolo e tranquillo. Passiamo molte ore al giorno visitando le case e facendo lavori di assistenza; la visita è la parte più bella del lavoro e infatti è quasi tutto il lavoro. L'assistenza e le lezioni avvengono nel contesto della visita. Io sono spesso meravigliata per la gratitudine della gente; di solito penso di aver fatto così poco. Ma credo davvero che il nostro lavoro sia potente perché "Il Signore ha ascoltato il grido del povero", e la potenza c'è grazie alle persone che noi serviamo. "Sia Benedetto il Signore!".

I. B. Ratusinskaja

La prima parola che ho imparato in Italia è stata la parola grazie. Voglio dire questa parola grazie a tutte le migliaia di persone di diversi paesi che si sono battuti per la mia liberazione e per la liberazione di altri prigionieri per motivi di opinione in Unione Sovietica. Migliaia di persone ci hanno spedito delle lettere nei lager, migliaia di persone hanno pregato per noi nelle lingue più diverse. Queste lettere noi non le abbiamo ricevute, queste lettere sono state prese dai rappresentanti del KGB. Tuttavia queste persone del KGB hanno letto queste lettere e proprio perché le hanno lette hanno avuto paura di ucciderci. Quando mi trovavo nella cella di isolamento, isolata da tutti, al freddo, senza consolazione, la sola idea di queste lettere, la sola idea che persone in tutto il mondo pregassero per me, mi dava un conforto, fisicamente mi aiutava a sopravvivere. Quando io e mio marito ci siamo trovati finalmente all'estero, in Inghilterra, ci è stato immediatamente chiesto perché avevamo fatto tutto questo, per cosa ci eravamo battuti, in cosa consisteva tutta questa nostra lotta; noi abbiamo risposto nello stesso modo con cui avrebbero risposto le migliaia di persone che ancora oggi si trovano nei lager, due sole parole: i diritti umani!

Sono i diritti di tutti i credenti ed anche di coloro che ancora non si sono avvicinati a Dio, sono i diritti delle persone di diverse nazionalità, il diritto di esprimere le proprie opinioni liberamente. In Unione Sovietica esistono persone e gruppi che specificatamente si occupano di seguire il rispetto dei diritti umani, talvolta queste persone agiscono singolarmente, talvolta agiscono in gruppi, tuttavia tutte queste persone, in un modo o nell'altro, si battono per aiutare le persone indipendentemente dalla loro fede religiosa o dalla loro nazionalità. Non ammettiamo il terrore, il nostro paese è stanco di sangue, ma purtroppo, in un impero di violenza, questa parola è come l'arma più potente. Se tutte le persone del mondo cessassero di aver paura della violenza, non ci sarebbero più schiavi, se tutto il popolo della mia infelice nazione cessasse di aver paura della parola e del concetto di violenza che è inflitto dal governo stesso, noi diventeremmo finalmente un popolo libero. Il principale tema dei miei versi erano i diritti umani, io non volevo occuparmi di propaganda sovietica o antisovietica, l'importante nelle mie poesie era esprimere cose più importanti della politica. Il popolo sovietico si interessa moltissimo, molto profondamente di letteratura e questo è il motivo per cui il governo sovietico segue molto attentamente l'azione dei poeti. Quando mi sono trovata in un lager, in mezzo a molti altri prigionieri politici, ho capito che lo scopo del KGB, lo scopo più importante era quello di romperci psicologicamente. Quante volte i rappresentanti del KGB ci hanno detto: "Rinnega- te le vostre convinzioni politiche e vi libereremo!" Però noi non eravamo pronti a pagare un prezzo così alto e a rifiutare la parte più importante della nostra stessa anima, perché i prigionieri politici sovietici vengono anche chiamati prigionieri per motivi di coscienza. E noi siamo stati in prigione proprio perché non abbiamo voluto rinnegare le nostre convinzioni. Per riuscire a farci rinnegare le nostre convinzioni il KGB prendeva misure molto particolari e violente; prima di tutto, torture con il freddo e con la fame, il confinarci più volte in celle di isolamento. In queste celle ci davano da mangiare un giorno sì e un giorno no e con razioni sempre insufficienti, ci denudavano e ci tenevano in locali freddi, eravamo obbligati a dormire sulla nuda terra e sul nostro corpo venivano i topi, e ogni tanto rappresentanti del KGB venivano a trovarci in queste celle di isolamento e ci chiedevano: preferite morire così, a poco a poco, o volete invece firmare una dichiarazione? Per i prigionieri politici vengono scelte delle guardie particolari nelle prigioni di Cestopol e di Per, prigionieri maschili; i carcerieri vengono scelti in base a risultati di particolari test, in particolare in base a un test che rivela una loro particolare predisposizione al sadismo. Alcuni miei amici che hanno passato lunghi periodi nel carcere di Vladimir mi hanno raccontato di come passano il tempo alcuni dei carcerieri: nei corridoi prendevano dei topi, tagliavano un pezzo della coda di questi topi e le davano fuoco, poi tagliavano il pezzetto di coda successivo e di nuovo le davano fuoco, finché la coda non arrivava a termine. Coloro che si trovavano nelle celle di isolamento sono venuti a conoscenza di questo fatto perché il carceriere che si divertiva in questo modo telefonava a un suo collega dicendogli quanto si divertiva. Potete immaginarvi quindi che tipo di carcerieri siano scelti per i prigionieri che non hanno colpa. I prigionieri sovietici non hanno il diritto di incontrare rappresentanti della chiesa, non hanno il diritto di professare una fede religiosa e non hanno neanche il diritto di portare con sé la Bibbia o delle croci. Una mia amica dal lager, Tatiana Osipova, per 4 giorni ha fatto uno sciopero della fame, non solo rifiutando qualsiasi forma di cibo, ma anche rifiutandosi di bere. Questo è il prezzo che la mia amica Tatiana Osipova ha pagato, 4 giorni di sciopero della fame, senza bere oltretutto, per protestare contro il fatto che le fosse stato proibito di portare con sé una Bibbia in cella. Nello stesso modo i prigionieri politici in cella d'isolamento nei lager, si rifiuta- no categoricamente di fare ciò che le guardie o i rappresentanti del KGB impongono loro. Preferiscono essere sottoposti a torture piuttosto che perdere la propria dignità umana. Abbiamo cercato più volte dal lager di fa sapere a coloro che sono liberi quello che avviene, cosa fanno di noi. Attraverso il filo spinato abbiamo cercato più volte di far avere a qualcuno fuori dei confini del lager dei bigliettini in cui comunicare quello che avveniva di noi.

Siamo sempre stati sicuri che non appena la gente libera avesse saputo quello che avveniva, qual era il nostro trattamento, si sarebbe preoccupata del nostro destino. Attualmente però sono stati liberati solamente 160 detenuti politici, mentre ancora in Unione Sovietica sono nei lager, in prigione, al confino, 4000 prigionieri politici. Al confine tra la vita e la morte si trovano migliaia di persone, non ce la faccio a ricordarmi tutti i loro nomi però vorrei parlarvi almeno di qualcuno di loro: Petro Rusban un artista ucraino, Mark Nicols, difensore dei diritti umani, estone, Vladimir Russak diacono ortodosso, Elcekvio Lucrahinico, che ha lottato e lotta per l'indipendenza dell'Ucraina. Queste persone non rinnegheranno mai le loro convinzioni politiche e non saranno mai pronte a pagare a caro prezzo la loro libertà. Se tutti noi non li aiutiamo moriranno. Vorrei pregare tutte le migliaia di persone che hanno aiutato me ad essere liberata, di aiutare nello stesso modo queste persone, con le lettere, con le preghiere, con l'incontro con giornalisti e con diplomatici, con tutti i metodi che sono stati impiegati per la mia liberazione. I diritti umani non possono essere considerati come affari interni di un solo paese; se noi oggi permettiamo all'Unione Sovietica di agire in questo modo, tra alcuni decenni, tra alcuni anni, molti altri paesi diventeranno paesi del terrore e dei lager, come il mio povero paese. Penso che tutte le persone di buona volontà in tutto il mondo non dovrebbero ammettere questo. Vorrei che tutti capissero che in una società totalitaria, una cosa è il governo, un'altra cosa è il popolo. Il popolo russo non è peggiore di altri popoli in nulla, non siamo schiavi dentro di noi, vogliamo vivere in pace con gli altri paesi; però il nostro governo si comporta in un modo che inganna tutta l'opinione pubblica mondiale. Le migliori persone del nostro paese hanno rifiutato di far parte di un sistema di menzogna e di violenza. Aiutateli!