mercoledì 26 agosto, ore 15
L’INTRAPRESA SCOLASTICA
partecipano
Fabio Illusi
preside dell'Istituto Tecnico Industriale "Arturo Marignani" di Udine
Franco Biasoni
gestore della scuola media "S. Tommaso Moro" di Milano
Mario Baroni
presidente della Federazione Italiana Scuole Materne (FISM) di Arezzo
Eddo Rigotti
docente di Linguistica generale presso l'università Cattolica di Milano, membro del Comitato scientifico della Fondazione Sacro Cuore di Milano
conduce l'incontro
Marinella Senn
Intraprendere un'opera educativa, fare una scuola nuova: oggi è ancora possibile, paradossalmente, malgrado lo stato, laddove un'identità precisa sa coagulare risorse coinvolgendo i veri responsabili dell'educazione in un nuovo progetto educativo.
F. Illusi
Io comincerei brevemente con una semplice affermazione che parte da dati di fatto e che riguarda il rinnovamento avvenuto all'interno della scuola di stato in questi ultimi anni, precisamente dal 1978 ad oggi, cioè da quando si sono cominciate a sfruttare le norme relative alla sperimentazione del decreto delegato numero 420.Le scuole che hanno intrapreso un rinnovamento dei programmi sono esclusivamente quelle che dispongono di personalità giuridica e d’autonomia amministrativa e cioè che hanno potuto trovare quelle risorse che sono necessarie per dare ali alle idee. Questo sta a significare che la libertà, o le facoltà giuridicamente consentite alle singole istituzioni di decollare e di trasformarsi consentono a queste, siano esse scuole di stato o non scuole di stato, di effettuare la trasformazione. Non è assolutamente detto che tutta l'intelligenza e tutte le capacità previsionali stiano nell'ambito del ministero, unica cattedrale del rinnovamento riconosciuta in Italia. Cercherò adesso di essere abbastanza sintetico.
Il bambino entra a scuola per imparare e poi dovrà imparare per tutta la vita. Allora perché vi parla un optometrista? Perché l'optometria è una scienza moderna, che si occupa della funzionalità degli occhi; l'optometrista non è l'oculista che si occupa delle malattie degli occhi. Un occhio come voi sapete può essere sano, ma messo in certe situazioni di lavoro, di stress di apprendimento, può avere dei grossi e seri problemi; allora l'optometria è la scienza della funzione visiva, è la scienza che serve ad aiutarci in modo che noi possiamo vedere il più a lungo possibile senza avere stress particolari. Circa l'80% delle informazioni arriva al cervello tramite l'occhio e la visione, e allora immaginate quanto è importante avere una buona visione; noi siamo chiamati in questa nostra era non solo a sapere vedere, ma a fare determinate scelte. Ora io voglio passare dalla teoria alla pratica, anche perché voi sapete che di teoria se ne fa troppa; e scendiamo invece nella pratica, e come testimonianza di questa pratica voglio darvi proprio la testimonianza di un lavoro che noi abbiamo fatto. (...) Sulla scia della sperimentazione e degli studi di Harmon, la commissione per la ricerca applicata dell'albo degli optometristi della federottica decise, con la preziosa collaborazione di esperti di altre discipline, di intraprendere lo studio e la realizzazione di un'aula tipo, cioè di un'aula che, concepita in base a criteri funzionali, visivi, di relativa illuminazione e altri ancora, potesse ricalcare gli esperimenti che erano stati fatti a suo tempo da Harmon, naturalmente con l'apporto di tutte quelle conoscenze e quelle tecnologie che nel frattempo si erano evidenziate. Avemmo poi la fortuna di trovare dei dirigenti scolastici e comunali estremamente sensibili a questo discorso. Naturalmente fu stabilito un progetto e per prima cosa si cominciò a promuovere delle riunioni per spiegare loro gli obiettivi e coinvolgerli nell'operazione. Fu anche messa a punto una scheda particolare dove poter rilevare prima e dopo, in periodi ben determinati, quello che era necessario controllare.
Fu fatta un'indagine fotografica per individuare l'aula che presentava le più difficili condizioni di illuminazione sia naturale sia artificiale e nella quale vi fossero soggetti con maggiori problemi visivi e di apprendimento. Si eseguirono molte foto per vedere quale era la postura dei bambini nelle varie condizioni di illuminazione, tutto questo con lo scopo ben preciso di trovare l'aula con le caratteristiche migliori per realizzare questo progetto. Venne valutata l'esposizione solare e le condizioni d'illuminazione e individuata l'aula specifica sulla quale intervenire. Furono avviati i lavori di ristrutturazione e si intervenne per il controllo della luce solare in modo che si potesse integrare in modo sapiente a quella artificiale e agendo opportunamente sulla tinteggiatura delle pareti. L'orientamento e la disposizione dei banchi furono studiati tenendo conto dell'incidenza della luce naturale ed il banco fu il risultato di una serie di studi non solo ergonomici. (...) Vi dico perché abbiamo voluto fare questo esperimento: perché abbiamo dentro di noi qualche cosa che ci muove e ci sono parecchi modi per gridare all'uomo che il Signore è risorto e che quindi i termini della vita devono necessariamente cambiare, devono essere diversi, ci deve essere in ognuno di noi sempre un’ansia, oserei dire un bruciore dentro, se veramente vogliamo servire l'uomo.
Contemporaneamente si sono varati corsi di alfabetizzazione informatica, dapprima con personal computers di altri enti ed istituzioni, poi con un elaboratore donato all'Istituto dalla fondazione Piaggio di Genova. Mobilitate tutte le capacità imprenditoriali, le risorse economiche e quelle umane, si è inforcata la via della sperimentazione prevista dai Decreti Delegati, precisamente dal Decreto 420. Si sono predisposti nuovi piani di studio per tutti gli indirizzi specializzati prevedendo la preparazione del personale docente e tecnico e in particolare nel campo informatica e nelle discipline sistemiche e progettuali. (...)
Il rinnovamento dei programmi, le modalità per l'aggiornamento permanente dei docenti e le attrezzature, sono obiettivi raggiunti. E questo in larghissima misura per l'autonomia didattica prevista dalla sperimentazione e l'autonomia amministrativa conferita agli Istituti Tecnici dalla legge istitutiva di questo tipo di scuola superiore. Questi strumenti giuridici ci hanno consentito di essere creativi ed a questa opera hanno concorso in molti con coralità di intenti. Anche i corsi di specializzazione post diploma, progettati ed attuati in collaborazione con l'Enaip con fondi regionali, sono ormai una realtà. L'anno prossimo partirà anche un'iniziativa coordinata dall'Isfol, tendente a sviluppare capacità imprenditoriali in un gruppo di allievi del quinto anno, volontari e preselezionati. Si ritiene o per lo meno si spera che questa nuova attività possa determinare una svolta nella vita dell'Istituto, che fino ad ora ha avuto come punto di riferimento il mondo industriale, e quindi preparava tecnici o quadri intermedi per l'industria; mentre in futuro prossimo, tenuto conto della terziarizzazione in atto, potrà operare in altra direzione, sviluppando cioè capacità imprenditoriali tali, per cui ciascuno dei soggetti potrà essere imprenditore di se stesso, per inventarsi un ruolo nella società. Restano aperti ancora problemi gravissimi: la motivazione del personale docente e non docente e l'efficienza del sistema; la motivazione e la partecipazione attiva degli studenti, con più ampia responsabilità circa la loro formazione, meno lezioni ex cattedra e più auto istruzione, anche per garantire itinerari formativi differenziati, a seconda della capacità degli allievi stessi; scuola istituzionale antimeridiana e servizi totalmente a disposizione degli allievi il pomeriggio. Chi potrebbe imporre ad esempio agli allievi l'acquisto oltre che dei testi e dei quaderni e di tutti i supporti, anche del personal computer? Chi può in qualche maniera favorire una crescita differenziata fra gli allievi, se non offrendo loro tutte le strutture e gli apparati e i laboratori e le attrezzature che esistono nell'Istituto? Altro problema è la chiarezza sugli obbiettivi educativi e formativi: giungere cioè alla stesura di un manifesto concordato fra tutte le componenti scolastiche, genitori, allievi, docenti, che stabilisca le strategie per una crescita di questi ragazzi nel cui quadro svolgere l'attività didattica e l'attività di carattere formativo. Ormai la scuola ha raggiunto una piena coscienza delle sue possibilità, abbiamo notato che sfruttando l'autonomia conferitaci si viene ad esercitare e ad esaltare la creatività, il senso del servizio, l'entusiasmo e quindi di conseguenza aumenta anche la soddisfazione per il lavoro fatto. Ecco, in questo senso riteniamo che l'avvenire sia nostro e quindi penso che l'intrapresa riuscirà certamente.
F. Biasoni
Io vorrei dare il mio contributo raccontandovi per sommi capi il modo come insieme ad altri amici siamo stati condotti a prendere iniziativa in un campo che non era proprio professionalmente, cioè in campo scolastico. Il punto di partenza per L'istituto tecnico Marignani di Udine è un istituto tecnico industriale. Le dimensioni sono queste: 3100 allievi, circa 400 insegnanti, 540 dipendenti complessiva- mente, gestisce tutta la provincia di Udine, circa 600.000 abitanti, con quattro sedi una centrale e tre sezioni distaccate. Allievi sfornati nei cinquant'anni di attività circa 15.000, bilancio di 14 miliardi, derivante dall'autonomia amministrativa e appunto dalla personalità giuridica. L'istituto sorse nel 1937 nel quadro della politica di potenziamento dell'industria aeronautica nazionale, ed in particolare come supporto scolastico per l'officina aeronautica di Monfalcone.
Giuridicamente l'operazione fu resa possibile dalla legge istitutiva dell'istruzione tecnica del 1931, che prevedeva con lungimiranza e con apertura di idee il conferimento alle scuole di istruzione tecnica della personalità giuridica e dell'autonomia amministrativa, con un consiglio di amministrazione costituito da componenti designati da enti locali, da associazioni industriali, camera di commercio e da altri che favorivano di per sé il collegamento con la realtà socio economica locale. Erano previste tra l'altro, dall'art. 49 di questa legge istitutiva, anche possibilità di incentivazione a persona per docenti che assolvessero a compiti particolari. Questo articolo, assieme a quello istitutivo del consiglio di amministrazione, fu abrogato dai decreti delegati e quindi ci fu una regressione di fatto nella autonomia che era stata conferita nel '31 dalla legge istitutiva dell'istruzione tecnica. Dal ministero inoltre allora almeno erano stanziati fondi sufficienti a finanziare i piani di sviluppo degli istituti tecnici programmati dai consigli di amministrazione. Tutto ciò favorì il decollo ed il consolidamento dell'istituto Marignani che negli anni '50, con i nuovi indirizzi meccanico, elettrotecnico ed edile, concorse in maniera determinante a creare le condizioni per la nascita in Friuli di numerose industrie e di artigianato qualificato ed inoltre alla diffusione dell'istruzione tecnica nelle aree limitrofe: Pordenone e Portogruaro in particolare. Così da un ruolo di supporto di un'area viciniore, quella di Monfalcone con l'industria aeronautica, assunse un ruolo di promozione industriale locale. In tal modo l'istituto divenne uno degli elementi dello sviluppo dell'area friulana di conseguenza la sua offerta dovette necessariamente essere considerata come un dato di mercato. Così alla fine degli anni '70, la rapida trasformazione di processo impone nuove strategie formativi e l'istituto puntò come tanti altri istituti tecnici d'Italia ad obbiettivi di formazione di base più che ad una specializzazione, ed alla ricerca di collaborazione con l'istruzione professionale regionale per l'istituzione di un area di specializzazione post-diploma caratterizzata da notevole flessibilità e da tempi di attuazione sufficientemente brevi per soddisfare la domanda. Cioè in sostanza si è incominciato a passare dalla singola istituzione scolastica al sistema formativo integrato verso la formazione permanente. Il problema della trasformazione coinvolse allora sia i processi che il prodotto, e cioè i criteri pedagogico-metodologici e gli obiettivi formativi, tutto ciò in assenza di una legge di riforma. I tempi di attuazione dovevano essere i più brevi possibili per evitare che arrecare danno agli allievi e per non essere esclusi dal mercato del lavoro. Tenuto conto che le diverse componenti scolastiche dovevano prendere ancora coscienza dei processi di innovazione in atto nel mondo industriale e delle loro conseguenze nel campo della formazione, ed inoltre dell'inerzia rispetto al cambiamento particolarmente elevata nella scuola, per mancanza di motivazioni, economiche e non, venne organizzata una serie di iniziative tendenti a sensibilizzare docenti, allievi e famiglie, culminata con un meeting articolato in due giornate, organizzato in collaborazione con le associazioni industriali e intitolato "Orizzonte 90". (Il primo di questi meeting, poi esportato in tutta Italia, fu fatto a Milano con grande successo).
C'è un’incommensurabilità fra ciò che viene reso presente e la forma attraverso cui si rende presente ed è proprio questo che crea storia, che crea futuro, che crea avvenire. Ecco quello che devo dire è che dal punto di vista del nostro apporto non solamente all'educazione dei nostri figli e degli altri ragazzi che frequentano questa scuola ma dei nostro apporto anche alla vita di tutta la società abbiamo potuto constatare che rispetto, per esempio, alla farraginosità dell'organizzazione della scuola di stato, noi abbiamo potuto darci delle formule, delle strutture che fossero aderenti alle nostre esigenze, come in un certo senso un abito su misura.
Noi ci diamo le strutture che aiutano il più possibile l'emergere dell'esperienza di vita che conduciamo. D'altra parte quando si è trattato lo scorso anno di por mano, ad una proposta che fosse una proposta di rinnovamento per tutta la scuola italiana, noi abbiamo molto imparato dall'esperienza che abbiamo vissuto e ci siamo ispirati oltre a segmenti diciamo di buon senso esistenti all'interno del sistema scolastico, anche a quello che concretamente abbiamo costruito in questi anni. Un altro aspetto della mia comunicazione che vorrei svolgere riguarda quello che noi chiediamo allo stato. Noi abbiamo dovuto constatare che un'intrapresa come la nostra è guardata dallo Stato, dal potere, con estrema diffidenza, con sospetto, come qualcosa che abbia bisogno di essere controllato perché intrinsecamente altrimenti sarebbe cattivo. E’ come se la collettività, nella sua espressione istituzionale più compiuta, cioè lo Stato, dovesse difendersi da quello che noi facciamo, sentisse l'esigenza di prendere le distanze da quello che noi abbiamo intrapreso. Io penso che questo fatto ritorni come un giudizio invece pesantissimo sulle nostre istituzioni o sul modo con cui vengono gestite. Non so, per darvi qualche documentazione di quello che dico, pensate che lo Stato ispeziona tutti gli anni le nostre scuole, però siamo noi che dobbiamo pagare l'ispezione: noi versiamo cinquecentomila lire tutti gli anni allo Stato perché possa ispezionare le nostre scuole. (...)
Quindi, se dovessi dire in una parola, la nostra intrapresa chiede che lo Stato non ci senta più dei nemici, come qualche cosa che deve essere tollerato e controllato, ma che ci senta come dei cordiali ed efficaci collaboratori di quelle che devono essere le sue preoccupazioni fondamentali.
M. Baroni
La nostra realtà comprende cinquantaquattro scuole materne sparse nella provincia di Arezzo, la gran parte delle quali opera nel contesto del mondo della scuola da lunghissimo tempo, tutte autonome. Lascio a voi immaginare in che clima e quale tipo di aiuto possa ricevere dalla società italiana, dalle istituzioni italiane, una realtà così vasta. Infatti è completamente una realtà ignorata e abbandonata dalle istituzioni, scolastiche e civili. Faccio un esempio: noi non riceviamo nemmeno le circolari ministeriali che normalmente i direttori didattici dovrebbero inviare a tutti coloro che operano nel mondo della scuola. E questo nonostante la qualità del servizio educativo e sociale che le scuole svolgono, nonostante i notevoli risparmi per la collettività che le scuole permettono, nonostante l'elevato numero di personale che è impegnato nel compito educativo e nonostante la sempre maggiore richiesta da parte delle famiglie di questo servizio. Eravamo preoccupati di una situazione del genere in una provincia che tra l'altro non nasconde l'opposizione precisa al progetto educativo che le nostre scuole hanno. Nasce così tre anni fa il desiderio di raggruppare tutte le cinquantaquattro scuole affinché fosse noi è stata un’esperienza di vita molto intensa, condivisa negli anni giovanili e nei primi anni in cui ci siamo affacciato alla vita adulta e alla formazione delle nostre famiglie, all'interno del movimento di Comunione e Liberazione. Per noi questa vita che conducevamo era una vita piena, una vita gustosa, una vita con una prospettiva che ci dava un significato in base al quale affrontare tutto quello che vivevamo e perciò anche, quando è stato il momento, quella sfida che è il rapporto con i propri figli. Noi, io ed altri, abbiamo vissuto grazie a questo incontro, a questa esperienza, tutti i fatti che ci cantavano come un’avventura affascinante, come una sfida alla nostra creatività, una sfida alla nostra capacità di riprendere continuamente quel gusto e quel significato. In particolare, dicevo, per quanto riguarda il rapporto con i figli. Una delle cose che più mi colpisce della crisi che sta attraversando il mondo attuale, è proprio questa incapacità di molti di vivere fino in fondo questa responsabilità: non tanto negli esiti, ma nella grinta dell'affronto, nel desiderio che dà qualità all'esperienza. Per questo quando i nostri figli sono arrivati in età di frequentare una scuola, per noi si trattava di scegliere una scuola o di occuparci della scuola in modo tale che questo desiderio non venisse meno, che questa qualità di vita, di esperienza, non venisse meno ma continuasse, si incarnasse. E’ questa l'origine della nostra intrapresa scolastica. Abbiamo voluto una scuola in cui fosse possibile questo. Per questo, guardandoci in giro e non vedendo, forse per limiti nostri, sufficienti garanzie nelle scuole esistenti, abbiamo incominciato l'avventura della costruzione di una scuola nuova nostra. Proprio un’avventura, perché è cominciata chiedendo agli amici che erano in grado professionalmente di dare il loro contributo alla vita della scuola se si sarebbero prestati. E’ cominciata cercando dei locali e usufruendo di locali un po' fortunosi, dove li abbiamo trovati. Quello che ci ha sostenuto è stato la necessità della qualità: la qualità umana, la qualità dell'esperienza prima ancora dell'esito adeguato dal punto di vista tecnico, dal punto di vista professionale.
La nostra responsabilità di genitori non poteva restare una petizione di principio astratta, oppure qualche cosa che accettava di incanalarsi nelle possibilità esistenti, ma doveva diventare una costruzione, doveva concretizzarsi. Qual è la qualità della scuola che è nata da questa iniziativa? lo penso che l'essenza della vicenda educativa che è nata dalla nostra iniziativa si appoggi su questo punto fondamentale di consapevolezza: non esiste vicenda educativa e non esiste vicenda educativa scolastica se tutte le persone implicate non imparano insieme. Uno degli aspetti più negativi, io penso, della esperienza scolastica odierna sia nella scuola statale sia purtroppo nelle scuole non statali è proprio l'individualismo, come se il disegno complessivo nascesse dalla giustapposizione di pezzetti autonomi. Invece per noi e per gli insegnanti delle nostre scuole la vita quotidiana è una vita in cui genitori ed insegnanti imparano dall'esperienza comune, insieme. E’ questo quello che rende i genitori educatori e quello che rende i professori maestri, maestri di vita. Non è per noi un’intenzione dire che continuamente impariamo la nostra responsabilità dalla presenza di Cristo perché per noi Cristo è una presenza, è una storia, è qualche cosa che abbiamo incontrato e che continuamente incontriamo. In questo senso la nostra scuola è una scuola cattolica non perché è gestita da un ordine religioso o non perché ha un'etichetta che le deriva dall'appartenenza ad un’organizzazione ma perché la concretezza dell'esperienza quotidiana è questa.
Naturalmente non tutto è rose e fiori però anche su questo punto abbiamo maturato una consapevolezza, cioè la consapevolezza che il limite non è un’obiezione ma è la condizione in cui il vero si manifesta, in cui la vita si svolge. Provveditorato le circolari continuavano a non venire, la sempre più vasta aggregazione creatasi attraverso le famiglie, il servizio educativo sempre più qualificato e la struttura stessa della federazione, che si dava finalmente adeguati compiti educativi anche pubblici attraverso convegni, concorsi, gruppi di studio e cose varie, non poteva più sopportare questa cappa. La riprova è stata quando appunto abbiamo messo mano ai ricorsi per ottenere la parità di trattamento. L'esperienza fatta dice che tipo di libertà esista oggi in Italia: c'è un pericolo, e il pericolo è che sempre più il potere sia locale che centrale tenti di scardinare lo spazio in cui l'uomo possa liberamente rispondere alle urgenze e ai propri bisogni. La lotta aperta a quelle strutture educativi che non si rifanno ad un progetto ideologico voluto dal potere ne è sicuramente l'esempio classico ma oltretutto dice anche la violenza con cui oggi si tenta di ridurre ulteriormente questo spazio. Mentre invece l'esperienza che abbiamo fatto mostra sempre più come è vivo nell'uomo il desiderio di intraprendere, di essere responsabile del progetto educativo ma anche di altre cose, di intervenire in altre strutture, in altri campi. L'uomo non si fida più delle istituzioni, l'uomo di fatto si fida solamente laddove ha la possibilità di incontrare altri uomini che con lui lavorano rispondendo insieme al bisogno che hanno nel cuore. Questo è quello che è emerso con chiarezza, che sempre più si sta dilatando e che dà a noi il gusto e la soddisfazione di continuare questa opera.
E. Rigotti
Confesso che ho provato per questa innovazione linguistica del termine "intrapresa" un piacere particolare poiché è un’innovazione bella che arricchisce il contenuto. Certo riprende, ravviva la parola italiana "impresa", però nel suo senso originario di impresa come gesta, come grande impegno e ne rinnova quel suo senso di rischio, di coinvolgimento e quindi di rischio nella realtà in cui si opera. Rischio anche nel soggetto che opera, perché questo coinvolgimento, inutile dirlo, comporta un rischio in chi opera. E d'altra parte questo termine "intrapresa" direi che ci consente di riflettere, se pur brevemente, su una necessaria modalità dell'essere cristiano tout court. Non è da cristiano accontentarsi dei buoni sentimenti, arroccarsi dietro il giudizio già dato e lì concludere il suo intervento. Non è del cristiano semplicemente provare compassione. E’ del cristiano intervenire creativamente quindi rendere feconda la propria fede: e questo non è prassismo; il prassismo è un intervento sulla realtà che è fine a se stesso, che ha in sé la propria origine, il proprio telos, la propria ragion d'essere. Invece questa è operosità, è fecondità, è fede nel destino dell'uomo, è interesse per la realtà, è il rifiuto della schizofrenia. Il prassismo è cieco, invece l'intrapresa è un operare alla luce delle categorie della fede ed è quindi compimento di un ideale (...).
Lo specifico del "Sacro Cuore", la nota di originalità che lo caratterizza è il tentativo di superare una fase abbastanza diffusa di intervento individuale o più o meno cooperativo, cooperativistico, sulla realtà scolastica con un intervento sistematico che si faccia carico di tutta la realtà scolastica: l'individuo può intervenire con tutta la forza della soggettività cristiana che lo costituisce per modificare il più radicalmente possibile l'ambiente in cui opera; può testimoniare nel modo più genuino, ma se non è in una comunità educante nel senso pieno il suo intervento è sempre individuale, il suo intervento è sempre proposta fra le tante, accanto alle altre. Ebbene, il nostro intento è stato quello di inserirci invece con impegno di continuità nella tradizione della scuola cattolica: non per ripeterla, ma per ravvivarla, per farle riprendere tutto il senso di cui essa è capace nel nostro momento storico. L'intento è di costruire una comunità educante che seguendo le indicazioni del magistero e sostenuta anche dalle indicazioni di uomini di fede che operano nella scienza e nella cultura, il "Comitato scientifico" del Sacro Cuore, riesca a continuare in modo adeguato ai nostri bisogni la tradizione della scuola cattolica. Ecco il perché della nostra attenzione anche alla grande ricchezza nel campo educativo della tradizione delle famiglie, degli ordini religiosi. Sciupare questo immenso tesoro della cultura cristiana della nostra nazione sarebbe cecità totale e sarebbe soprattutto rinunciare a un'importante parte della nostra tradizione. Per una scuola come il Sacro Cuore si tratta di progettare non soltanto strutture e gestioni, ma di progettare in proprio i contenuti della scuola. Non voglio fare alcuna polemica, per carità. Capita spesso che tante scuole cattoliche per necessità, per i limiti storici del costituirsi di queste realtà, proprio nel momento in cui vogliono attuare un’innovazione sono esposti o a progettazioni improvvisate o a soccombere senza accorgersene a contenuti, a programmi precostituiti secondo interpretazioni che sono estranee fondamentalmente alla nostra cultura e tutt'al più nascono da compromessi di commissioni, magari onorevoli, elaborati, onesti ma sempre compromessi di commissioni. Ora, una cultura non può nascere da compromessi: come la scienza, il sapere, ogni cosa in cui c'è un valore non può nascere da delibere scaturite da un equilibrio di voti o di potere.
Il peccato originale, ineliminabile forse, del politico, è quello di pensare sempre come suo compito quello di costruire la realtà umana mentre il suo compito fondamentale è quello di riconoscerla e di intervenire per riconoscerla e promuoverla, non per costruirla e progettarla in astratto. Nascono sempre oscurissimi soli dell'avvenire da queste progettazioni. Ora si tratta di pensare in proprio - questo è un compito che non si improvvisa, che sarà frutto di impegno pluriennale - di progettare in proprio non soltanto strutture ma contenuti. Caratterizzo in breve l'esperienza del Sacro Cuore. Anzitutto un intervento unitario su scala nazionale e quindi la cooperazione entro la fondazione di numerose scuole di tutto il territorio nazionale che vanno dalla Lombardia fino alla Sicilia. C'è da una parte l'unitarietà dell'impostazione, c'è da una parte la possibilità di usufruire per esempio di strutture organizzative di aggiornamento estremamente elaborate fondate su più di quaranta consulenti del comitato scientifico a livello universitario, ma c'è anche il comune riferimento ad un unico ideale educativo, e dall'altra c'è la ricchezza degli apporti locali delle diverse scuole. Quindi un impegno di continuità con la tradizione educativa della Chiesa e, sottolineo, una collaborazione dei laici alla collaborazione, al ravvivamento dell'opera delle famiglie degli ordini religiosi.
Quindi ancora un’impostazione scientifica didattica che si appoggi al comitato scientifico ed alle strutture del coordinamento didattico. E infine un impegno civile che del resto ci accomuna come tanti altri aspetti a tutte le scuole di cui qui si è illustrata l'esperienza. Non vogliamo semplicemente fare una scuola che serva localmente in uno o più posti, di cui possano beneficiare determinati gruppi di persone che storicamente si sono trovati in quelle condizioni. Vogliamo via via costituire un paradigma che sfidi la scuola pubblica di stato e porci come scuola pubblica libera. Ecco, questa è la nostra frontiera.