Domenica 26 agosto, ore 15.00
LE NUOVE ACCADEMIE. FAR TEATRO CON LA SCUOLA OGGI IN ITALIA
Partecipano:
Gastone Geron
Critico teatrale de Il Giornale;
Osvaldo Guerrieri
Critico teatrale de La Stampa;
Ugo Ronfani
Critico teatrale de Il Giorno;
Modera:
Daniele Celli
D. Celli:
Nel tema dell’incontro sono coniugati due termini che nella tradizione del Meeting ci sono molto cari: scuola e teatro. Io credo che il successo che queste due edizioni del premio teatrale Techne hanno registrato sia un sintomo indicativo del fatto che gli studenti sono innanzi tutto i primi protagonisti della scuola e il teatro può essere uno strumento importante per aiutare i giovani a recuperare questa dimensione di responsabilità, di protagonismo nel senso positivo del termine. Cedo la parola al dottor Geron.
G. Geron:
La letteratura per l’infanzia o per l’adolescenza nasce programmaticamente a metà dell’ottocento quasi sempre sotto l’alone dell’edificante, del didascalico, dell’informativo, del moralistico-formativo (…). A quale data, approssimativamente, possiamo far invece risalire il teatro per l’infanzia o per l’adolescenza? Occorre innanzi tutto distinguere, e questo non sarà mai ribadito abbastanza, il far teatro per ragazzi e il far teatro con ragazzi. Confidando di non essere lapidato dai chierici, ho da affermare che nel campo della minore età il teatro ha di gran lunga preceduto l’omologo versante letterario e non parlo soltanto del teatro per ragazzi, ma anche del teatro con ragazzi. Nella prima infanzia uno degli svaghi prediletti dei nostri avi fu il domestico teatrino delle marionette, come attestano i memorandum del nostro più grande commediografo e mio conterraneo Carlo Goldoni che pretende di aver esordito come attore a cinque anni o giù di lì. Pretesa che può essere accettata ove si consideri che, prima dell’avvento dei moderni mass-media, prima dell’esplosione del consumismo, prima dell’affermarsi della cosiddetta civiltà dell’immagine, il minuscolo teatrino casalingo in dotazione d’ogni famiglia con qualche possibilità economica consentiva ai fanciulli e anche ai ragazzi le più fantasiose e personali storie sceneggiate. Altrettanto in auge, fin dalla notte dei tempi, furono le recite infantili su canovacci approntati dal laico di turno o prese in prestito da modelli illustri. Qui però si ha da parlare non tanto di teatro con e per ragazzi, quanto di teatro con la scuola. E sottolineo il "con" per sottolineare il divario con il "per", senza la cui premessa si rischia di accrescere la confusione. Qualunque sia l’approccio al discorso sul far teatro con la scuola oggi in Italia, non si può in definitiva prescindere dalla necessità di considerare innanzi tutto il problema della specificità di un linguaggio che non va inteso puramente come tale, ma va rapportato alle molteplici possibilità di fare teatro. Insomma non si vuole prospettare la necessità di convogliare attenzione su questo o quel modello di una più o meno intima parentela letteraria, quanto di riservare un occhio di riguardo ad uno specifico che fa persino prescindere dalla scrittura comunemente intesa, per configurarsi in una più immaginosa, ma qualificante e probabilmente producente scrittura scenica. Insomma il versante gestuale, mimico, suggestivo, non necessariamente minimalistico, va debitamente considerato da chiunque intenda fare teatro con la scuola e non sol tanto per la scuola. In questa seconda accezione rientrano oltretutto le non mai abbastanza deprecate recite per la scuola di compagnie professionistiche, anche di alto livello, ma aventi in cartellone testi, strumenti, tematiche troppo sovrastanti la capacità reggitiva di un pubblico quale è quello scolastico che, purtroppo, appare del tutto impreparato anche per colpa della scuola stessa (…). Nel propormi da impreparato prologo per un discorso che apparirà ben più meditatamente articolato negli interventi dei correlatori, mi prendo licenza di mettere in guardia gli operatori del settore dal confronto sic et simpliciter con questo o quel classico o, peggio, dall’esercizio imitativo di modelli professionistici. Far teatro con la scuola esige oggi, a mio avviso, qualcosa che non sappia assolutamente di ricalco e rinunci a suggestioni anche altamente libresche, che prediliga l’evento scenico rispetto all’originale letterario. Meglio il teatro nel suo farsi, rispetto al già fatto, meglio il rischio dell’evento metateatrale piuttosto che il sicuro binario della scrittura canonica e soprattutto, in ogni caso, meglio la spontaneità dei propri errori rispetto alla certezza o alle false certezze altrui che molte volte sono errori autentici. Questa considerazione di un frequentatore ormai cinquantennale di teatri d’ogni tendenza, pretesa e stile, mira soltanto a fare da primo zoccolo ad un ben più solido edificio a cui daranno contributo i miei colleghi. Grazie di avermi voluto tra voi.
D. Celli:
Ringraziamo il dottor Geron per l’essenzialità e la brillantezza del suo intervento. Passo ora la parola al dottor Ronfani che, tra l’altro, è stato membro della giuria della seconda edizione del premio Techne insieme con Geron.
U. Ronfani:
Io, come componente della giuria della seconda edizione di Techne, vorrei dire anzitutto quanto la partecipazione a questo concorso singolare, unico in Italia, mi abbia interessato e divertito e come mi abbia anche consolato dopo una stagione teatrale che è stata contraddistinta dalla ripetizione, dalla stanchezza e dal conformismo. In questo concorso giovanissimo ho trovato insomma delle energie e degli entusiasmi insospettati che sono stati appunto motivo d’interesse e di divertimento. Ho dato, venendo qui, un’occhiata alla pubblicazione di alcuni dati dell’ETI, l’Ente Teatrale Italiano, sul teatro-ragazzi nella stagione 1990/91 e ci sono alcuni dati istruttivi, che forse possono essere d’aiuto per inquadrare il nostro dibattito e soprattutto per dire che cosa occorrerebbe fare, perché il mio desiderio sarebbe di uscire da qui con qualcosa di propositivo e di concreto per il futuro. Nella stagione che sta terminando, le produzioni per il teatro-ragazzi sono state 318 contro le 311 della stagione precedente. Si è quindi registrato un lieve incremento. Le novità, i testi originali sono stati 93, mentre le riprese sono state 225.Ciò può far nascere il sospetto che ci sia la tendenza a riproporre di continuo, in sede diversa gli stessi spettacoli e che quindi questo tipo di teatro per ragazzi sia più commercial-diffusionale che non creativo. Dal punto di vista delle tecniche, prevale la tecnica attorica o attorale dove cioè si tenta di recitare un testo in termini di professionalità o semiprofessionalità attorale. Sono, infatti, 141 i testi a dominanza attorica e 131 le rappresentazioni a carattere misto in cui, accanto alla prestazione attorale ci sono messaggi con burattini o con oggetti di animazione. Il teatro di figura, quello che chiameremmo astratto, fatto di simboli e di tecnologie, fatto di colori e di luci che si muovono in uno spazio scenico, è nettamente inferiore perché è rappresentato da 43 realizzazioni nell’arco di tempo considerato. Il dato più interessante mi pare riguardi le fasce di età a cui si rivolge il teatro-ragazzi perché qui troviamo che 70 produzioni sono destinate a ragazzi fra gli otto e i 14 anni; 53 produzioni sono destinate ai più giovani, ai ragazzi della scuola elementare e per le scuole materne le produzioni sono state 50. Per le scuole medie si sono recitate 35 rappresentazioni, o meglio, copioni di repertorio mentre nell’età superiore ai 14 anni non c’è quasi segno di teatro di ragazzi. Ciò significa che ad una certa età la scuola musona dice: "Ragazzi, bisogna prepararsi alla maturità, basta giocare! Basta con il teatro!" e si archivia il progetto del teatro nella scuola dai 14 anni in su. Questo è uno degli elementi di riflessione perché è proprio nella fascia adolescenziale che si matura come personalità ed è proprio in quel momento che sarebbe interessante assistere ad un contributo autonomo di energie creative dei ragazzi nel campo teatrale. Un dato che interessa forse meno i giovanissimi, ma che interessa i gestori e gli organizzatori di questo genere di spettacolo teatrale è questo: sono stati coinvolti nel teatro-ragazzi soltanto 101 comuni in tutta Italia, quindi un’infima minoranza. C’è stata una flessione di investimenti da parte degli enti locali, delle regioni, delle province, dei comuni che finanziano con delle miserie questo tipo di teatro che ha visto contrarsi di quasi un miliardo di lire il budget generale disponibile per fare teatro per i ragazzi. Ancora, e poi ho finito con il quadro noioso delle statistiche, si sono notate attività di teatro ragazzi nelle metropoli come Roma, Milano, Firenze, in parte Torino, invece nei comuni medio-piccoli, dove non ci sono partecipazioni pubbliche, abbiamo assistito a fenomeni occasionali, saltuari di spettacolo per ragazzi. Questo è il quadro come ufficiosamente ci ha consegnato l’ETI. Dunque il teatro nella scuola è una delle occasioni perdute della scuola italiana. I dati che riportavo stanno a dimostrare che si fa un teatro, come diceva Geron in precedenza, per i ragazzi e non un teatro dei ragazzi; ossia si dà ai ragazzi prevalentemente un teatro che è fatto e concepito dagli adulti per i ragazzi e si presume adatto a loro. Però noi sappiamo che un concetto aureo della pedagogia è quello del "fai da te", è quello dell’autoformazione, dell’autodeterminazione. Fin dai tempi della Boschetti Alberti si parlava della scuola attiva e si diceva che là dove non c’è iniziativa e coinvolgimento, il processo educativo non riesce e questo vale anche per l'attività teatrale. Il teatro è una disciplina, richiede delle tecniche e non è pensabile che dei ragazzi abbandonati a se stessi vadano oltre al gioco del travestimento, della mimesi, dell’imitazione, del canovaccio ricreato spontaneamente. L’esistenza dei mass-media, del cinema e soprattutto della televisione ha inevitabilmente alzato il livello medio e minimo necessario per recitare. Voglio dire che oggi il teatro d’oratorio, ma anche la filodrammatica aziendale o il gruppo goliardico e studentesco debbono avere un minimo di professionalità al di sotto della quale non esistono se non per se stessi. Questo è tanto più vero in quanto abbiamo visto che una certa ripresa in Italia del teatro universitario si è accompagnata a delle forme di cooperazione con gruppi professionali o, addirittura, con figure di rilievo del teatro italiano. Io credo sia necessario che un teatro di ragazzi corregga la necessaria carica di spontaneismo con degli apporti tecnici d’esperti e credo che risultati buoni dipendano da una coesistenza della creatività espressiva dei giovani con quegli elementi di tecnica che solo gli adulti, gli esperti possono portare. Tutto questo presupponendo un’estrema discrezione da parte dell’insegnante che vuol fare questo teatro d’animazione. Gli adulti siano, e qui concludo, prudenti nel maneggiare questo delicato strumento che è il teatro dei ragazzi e, soprattutto, siccome mi piacerebbe terminare con qualcosa di propositivo, mi lego all’auspicio che Techne continui, che possa essere potenziato e vorrei tanto che diventasse, attraverso selezioni più attente e metodi di ricerca più selezionati, una sorta d’osservatorio di quanto produce il teatro della scuola, cominciando a coinvolgere in modo formale i Ministeri e l'AGIS. La seconda proposta, molto più specifica, è questa: manca in Italia, perché manca la struttura e il quadro teorico, un manuale, un testo di sussidio per gli insegnanti che vogliono fare animazione teatrale. Sarebbe auspicabile che alcuni degli educatori che partecipano ai concorsi di Techne volessero mettersi insieme a studiare un manuale d’uso del teatro della scuola. Infine bisognerebbe ottenere che la riforma della scuola media prevedesse l’inserimento di una materia dello spettacolo, anche in forma facoltativa. Se ciò accadesse, avremmo fatto un piccolo passo avanti nel disegnare un teatro non per la scuola, ma della scuola.
D. Celli:
Mi sembra molto interessante e suggestivo il clima che io ho respirato nell’intervento del dottor Ronfani perché ci suggerisce che il teatro nella scuola nasce nel momento in cui la libertà degli studenti (con tutte le domande in essa contenute) e la libertà dei docenti s’incontrano e camminano insieme nella comune avventura del diventare grandi nella propria dimensione umana. Lascio subito la parola al dottor Guerrieri.
O. Guerrieri:
Vorrei fare un discorso molto breve e soprattutto passionale. Rubo la parola passione a Ronfani, ma la uso in modo diverso: passione come patire, come sofferenza, perché mi pare che tutto ciò che è stato detto qui, benché sia molto giusto e molto bello, si fondi sul nulla o sull’eccezione perché gli esempi di teatralizzazione nella scuola sono molto sporadici. Per il teatro italiano nel suo complesso oggi i giovani sono degli oggetti e non dei soggetti, il giovane è utile perché serve a rimpinguare le casse di una compagnia teatrale, ma chi è? Quale teatro vuole? Di quale teatro ha bisogno? Nelle scuole non si ha assolutamente idea di che cosa sia il teatro perché non è materia d’insegnamento; s’insegna la storia dell’arte ma non la storia del teatro. Nella scuola il teatro non si pratica perché gli educatori italiani lo intendono come un’attività ludica e non certamente come un’attività dello spirito o come una disciplina che aiuti lo studente a crescere.( Il giorno in cui chiariremo questo punto porteremo concretezza e chiarezza al discorso sull’educazione teatrale nel nostro paese e potremo cominciare seriamente a parlare di teatro con la scuola. Il teatro mette in movimento una grande quantità di energie non soltanto fisiche, perché per fare teatro bisogna chiamare in campo molte discipline, molte tecniche che vanno dalla capacità di scrivere materialmente, di dare conseguenza logica ai pensieri, alla conoscenza della storia dell’arte, perché bisogna creare scene e costumi. Bisognerà poi tirare in ballo il nostro corpo. Qualcuno ci ha mai dato una sia pure elementare lezione di mimica? A me no, mai, e temo che non sia accaduto neppure a voi. Noi non sappiamo che cosa possiamo chiedere al nostro corpo, alla nostra voce, alla nostra intelligenza perché non abbiamo mai portato in campo tutte queste potenzialità. Ecco perché io dico che i giovani, per il teatro italiano, sono un oggetto e non un soggetto ed ecco perché rischiamo oggi, come abbiamo rischiato ieri, di fare discorsi sul deserto, su ciò che non esiste o, nella migliore delle ipotesi, su qualche nostra buona intenzione.
Segue il dibattito