Martedì 22 agosto, ore 11

TERQA: UNA CITTA’ E IL DESERTO

Presentazione della mostra

Partecipano:

Maria Grazia Rouault, Olivier Rouault.

Modera:

Paolo Pasini.

P. Pasini:

Permettetemi innanzitutto di ringraziare il professor Olivier Rouault, Maitre de Conference al College de France e direttore dello scavo di Asciara Terqa, insieme alla sua collaboratrice, la dottoressa Maria Grazia Rouault, studiosa di assirologia, archeologa. Questa mostra è una anteprima assoluta, un resoconto divulgativo e scientifico dello stato dei lavori dello scavo di Asciara Terqa. Grazie alla preziosissima collaborazione dei curatori, corredano la mostra oggetti che vanno dal terzo al primo millennio: sono pezzi di grande valore artistico e storico, che il Museo del Louvre ci ha concesso e che per la prima volta vengono esposti al pubblico. Gli oggetti di Terqa presenti nella mostra non sono frutto degli scavi diretti dal professor Rouault, ma sono datati intorno agli anni 20 (…). La mostra è articolata a partire dal terzo millennio per arrivare al primo. Questa discesa cronologica approfondisce particolarmente due aspetti: il rapporto fra la città Terqa e i nomadi - il deserto è vicino e incombe sulla valle - e la scrittura cuneiforme, una sorta di enigma difficile da decifrare persino nei singoli segni, ma che la ricerca scientifico-filologica è riuscita a tradurre, spalancando una finestra importante su una cultura che è fondamentale anche per le nostre radici (…).

O. Rouault:

Il luogo di Terqa si presenta come una sorta di collina ovale di circa 450 metri su 200, l'asse principale è orientato a nord-ovest, sud-est. La superficie è di circa 8-9 ettari e l'altezza massima è di circa 15 metri. In realtà questa collina è stata tagliata dall'Eufrate ad est e ciò che rimane oggi costituisce soltanto la metà o, diciamo, i due terzi, della collina completa. Esistono parecchie colline di questo tipo in Mesopotamia, si tratta in realtà di colline artificiali formatesi sul sito di città antiche per via dell'accumulo di ciò che proviene dalle varie epoche. Questo accumulo è particolarmente impressionante in Mesopotamia, perché i monumenti e le case sono generalmente edificate in mattoni di terra cruda (…). Ciò che chiameremo tel di Terqa, o tel di Asciara, secondo la desinenza moderna, è semplicemente una piccola montagnola di scarichi archeologici che risalgono a tutte le epoche in cui gli uomini hanno vissuto su quel sito. Ovviamente, ciò che rimane delle grandi epoche è disposto in strati più o meno regolari, più o meno orizzontali: strati

più antichi si trovano alla base della collina, più recenti nella parte più elevata. Si tratta di una visione molto semplificata perché questa collina, durante i millenni, si è evoluta e in ogni epoca ha subito gli effetti dell'erosione naturale e dell'occupazione umana (…). L'erosione naturale è particolarmente forte in epoche in cui il tel o collina è abbandonata e la superficie è quindi lasciata all'effetto del vento e della pioggia. Questo è capitato parecchie volte per il tel di Terqa, forse per un secolo o due verso la fine del terzo millennio prima di Cristo, e senza dubbio per parecchi secoli nell'epoca islamica. Così certi strati archeologici sono stati perturbati e forse, in alcuni luoghi, completamente cancellati. D'altra parte, queste stratigrafie sono spesso perturbate durante i periodi di occupazione. I vivi non pensano mai ai posteri e in particolare agli archeologi che arriveranno qualche millennio dopo a studiare ciò che hanno lasciato in un sito. Quindi non esitano a scavare buchi per immagazzinare derrate alimentari o seppellire i morti e questi buchi sono la dannazione degli archeologi perché vengono a rovinare la stratigrafia. Nel lavoro quotidiano, l'archeologo deve quindi tener conto di numerosissimi fattori per cercare di decriptare, di leggere un insieme di segni che lasceranno gli scavi (…). Una volta che l'archeologo ha scelto un sito, deve decidere da dove iniziare lo scavo: l'ideale ovviamente sarebbe partire dal punto più alto, per avere una successione completa di strati di varie epoche, come un calendario, però non è sempre possibile. Terqa, ad esempio, ha la sommità del tel occupata dalle case del villaggio e soprattutto da una moschea, anche se rovinata e praticamente inutilizzata (…). Per quanto riguarda la tecnica, lo scavo è come uno smontaggio progressivo e metodico della parte scelta dei tel per capirne meglio la formazione. Si cercherà di isolare progressivamente tutto ciò che costituisce il tel, soprattutto ciò che rimane di mura e strati di terra. Certamente saremo attenti a vedere le varie intrusioni, cioè le tombe, i fori di immagazzinaggio, o tutto ciò che è venuto nei secoli a perturbare gli strati più antichi. In genere, su un tel che non è ancora stato scavato nessuna struttura archeologica è visibile: in partenza si ritrova una superficie più o meno compatta di terra e allora cominciamo a dividere l'area che desideriamo scavare in quadrati di quattro metri su quattro, lasciando tra l'uno e l'altro una fascia di circa un metro. Ogni quadrato viene affidato ad un archeologo o a uno studente competente, poi in un angolo di ogni quadrato si fa un sondaggio di circa un metro quadrato su 30, 40 o 50 centimetri di profondità, per vedere se si incontrano delle mura, soprattutto per studiare la sezione verticale per capire come sono disposti i vari strati di terra. Si tolgono questi strati uno ad uno, registrando ogni informazione, fino ad andare all'incontro di strutture architettoniche come le mura o pavimentazioni. Dopo aver registrato nel modo più esauriente possibile strutture architettoniche vere e proprie, queste verranno disseccate, per capirne meglio la genesi e la storia (…). Terqa è conosciuta come sito archeologico dal 1910, ma è dopo gli scavi di Mari, a una cinquantina di chilometri più a sud, che, dal '36, abbiamo capito il grandissimo interesse di questi tel. A Mari sono state ritrovate un grandissimo numero di tavolette scritte a Terqa e spedite a Mari, che testimoniavano dell'importanza di Terqa come centro religioso dedicato al dio Dagan e come centro amministrativo che controllava una gran parte del Medio Eufrate, particolarmente attivo per quanto riguarda i rapporti tra il potere sedentario e le popolazioni nomadi. Si poteva quindi sperare di trovare a Terqa nuove informazioni sulla vita religiosa della zona e sull'organizzazione amministrativa e politica (…). La mostra presente al Meeting propone una ricostituzione in tre plastici dell'evoluzione geologica ed ecologica della valle del Medio Eufrate. L'Eufrate, in quella zona, passa in un deserto, senza la presenza del fiume, quindi, la vita non sarebbe stata possibile, ma il fiume era molto capriccioso, non era in un alveo, ma in vari alvei non stabilizzati. Per questo gli insediamenti umani si sono concentrati su settori dove lo strato-roccia appariva protetto dall'erosione del fiume (…). Creata probabilmente prima di Mari, alla fine del IV o all'inizio del III millennio, Terqa fu la capitale del Medio Eufrate finché Mari prese per proprio conto questa posizione di egemonia. Terqa conservò sicuramente un ruolo essenziale come capitale religiosa e come sede di Dagan, il dio più importante del medio Eufrate, che offre il titolo di re al vincitore. I nostri scavi hanno consentito di mettere a giorno il grande muro di cinta attorno a Terqa, III millennio, e di ritrovare bellissime tombe del III millennio. Sappiamo che Terqa, nel II millennio, divenne capitale provinciale del reame di Mari, gestita da un governatore di cui abbiamo addirittura ritrovato la residenza associata ad un quartiere dove si esercitavano gli apprendisti scribi. Abbiamo ritrovato in questo quartiere amministrativo testi che registravano le derrate alimentari, elenchi di lavoratori e anche esercizi scolastici di scrittura. Uno dei principali apporti degli scavi di Terqa è di aver scoperto nuove informazioni dopo la caduta di Mari (…). Forse vi chiederete se questi risultati valgono tutto il lavoro necessario. Io credo di sì, la Mesopotamia ci fornisce infatti una ricchissima documentazione che ci consente di capire meglio le nostre origini, non soltanto tramite un ragionamento di tipo antropologico: certe conoscenze, modi di pensare, ci derivano direttamente dalla Mesopotamia, tramite la cultura classica o il nostro retaggio giudeo-cristiano. È nostro dovere cogliere ogni occasione per meglio esplorare questa parentela sia pur lontana. Infine, ci si può chiedere quale sia la relazione tra questa mostra e il tema del Meeting: io vedo un rapporto in taluni aspetti di comportamento scientifico e umano dell'archeologo. Scopo dell'archeologo moderno è soprattutto la ricerca della verità attraverso tutte le risorse della logica, con l'aiuto, se necessario, di tecniche scientifiche. Il riferimento a Socrate e a Sherlock Holmes balza immediatamente alla mente. Ma per quanto riguarda Don Giovanni, quale simbolo dell'accesso alla realtà con l'appropriazione, non è molto lontano. L'archeologo per lungo tempo è stato quello che cercava i tesori: questa scoperta gli assicurava, se non la ricchezza personale, la gloria. L'archeologo moderno ha fatto di tutto per respingere questa tendenza che faceva di lui una specie di collezionista, ma Don Giovanni l'ha raggiunto. Oggi parecchi archeologi vantano diritti, non tanto sugli oggetti ritrovati, quanto sulla lettura e l'interpretazione scientifica e storica che danno di questa scoperta. Insomma, l'oggetto del desiderio dell'archeologo Don Giovanni si è spostato dall'ambito delle opere d'arte archeologiche verso l'ambito delle costruzioni e interpretazioni semiologiche. Così, nonostante la sua apparenza a volte irreale obsoleta, l'archeologo rimane un essere umano.

M.G. Rouault:

Terqa offre la possibilità di studiare da vicino il problema del rapporto tra le popolazioni sedentaria e nomade. Ma devo per prima cosa chiarire un punto: la civiltà sedentaria è quella che lascia i segni. Ciò che noi troviamo a Terqa sono naturalmente tracce di muri, case, troviamo un archivio, la scrittura, che appartengono ad una casa, ad una persona. Dunque a Terqa studiamo la storia dei sedentari, dei cittadini, e la storia dei nomadi come una assenza. La cultura dei nomadi non lascia tracce, quello che noi sappiamo di loro deriva da quello che i sedentari ne hanno detto, scritto o voluto conservare. Studiare i nomadi in assenza è comunque una necessità perché la civiltà mesopotamica non può essere compresa se non si prendono in uguale considerazione le sue due componenti. Quando parliamo di civiltà sedentaria, ci riferiamo essenzialmente a un gruppo umano che si è organizzato sulla base di risorse agricole, che richiedono la presenza continua sul territorio. Questo normalmente da luogo a un tipo di abitato che possiamo definire città e alle istituzioni che ancora sono le nostre: l'amministrazione della giustizia, il controllo economico, le tasse e, molto spesso, anche una nuova forma di religiosità legata alle istituzioni della città e del palazzo. La civiltà nomade, invece, è legata solamente all'aspetto geografico, vive essenzialmente dell'allevamento di ovini - solo in epoca più tarda si tratterà di cammelli, ancora in uso oggi nel Medio Oriente - il deserto permette di vivere: tranne qualche zona dove non piove mai, ci sono stagioni di pioggia relativamente abbondanti che permettono all'erba di crescere procurando il mangiare per gli animali e per gli uomini, almeno in una stagione dell'anno. Vi parlo della situazione del Medio Eufrate: con l'avvicinarsi dell'estate i pascoli selvaggi del deserto e i depositi d'acqua piovana - cisterne nel deserto a cui gli uomini accedono con dei pozzi - vengono meno e dunque i gruppi nomadi tendono ad avvicinarsi al centro urbano perché hanno bisogno di prendere l'acqua che normalmente è gestita dalla città. Questo è il caso di Terqa. I nomadi hanno bisogno dell'acqua della città (…) e di foraggio. Ancora oggi, così si crea un ritmo: i nomadi utilizzano il resto della produzione agricola per nutrire i loro animali durante le stagioni calde e con l'autunno ritornano nel deserto, di nuovo verde, almeno in alcune zone. I nomadi hanno in Mesopotamia una grande importanza. Il modo in cui gli storici ci hanno mostrato la loro presenza è spesso tramite una invasione (…). Oggi la critica storica si è resa conto che il rapporto tra i nomadi e la città è molto più pacifico, si tratta di processi di acculturazione reciproca. Per esempio, i nomadi entrano lentamente a far parte della città, in parte rimangono, il gruppo in quanto tale è utilizzato dalle istituzioni per difendere la città (…). Lo scavo archeologico di Terqa ci mostra la civiltà sedentaria, l'architettura, la produzione artigianale e letteraria, ci propone ciò che la città è. Ma sia la ricerca antropologica, che quella linguistica, sia i contenuti delle lettere, ci fanno vedere in contro luce la presenza dei nomadi, sentita dagli stessi abitanti della città qualche volta come ostile, in altri casi come difesa dall'esterno o forza lavoro stagionale (…). Bellicose o meno, queste relazioni provocano un cambiamento. Una parte dei nomadi tende a rimanere

in città per sempre, conservando tuttavia il ricordo del proprio passato: è caso di alcune dinastie degli inizi del secondo millennio che, originariamente nomadi, si inseriscono nella città, prendono il potere e si trasformano in dinastie cittadine. Le dinastie Mari e Terqa hanno senz'altro questa origine (…). È certo che i nomadi dipendono dalla città per l'aspetto religioso (…). Nella città si trova il punto in cui è possibile incontrare le divinità attraverso il rito ed il culto e sappiamo che anche i nomadi hanno bisogno di questo. Terqa, come mio marito vi ha detto, è la sede del dio Dagan, una divinità abbastanza misteriosa della quale sappiamo solo che da il potere politico, il dominio della Medio Eufrate, e autorizza lo sfruttamento di questa regione. È da lui che passano i vari conquistatori per ottenere, attraverso consultazione oracolare, la legalizzazione del potere. La relazione col dio è complessa e di difficile comprensione; tra l'altro ne abbiamo una conoscenza parziale, attraverso testi che ci lasciano solo intuire certe cose. La divinazione è un procedimento per personale specializzato, intellettuali e teologi che interpretano una serie di fenomeni naturali o provocati per conoscere la volontà del dio. L'idea fondamentale è che il dio comunica con gli uomini attraverso dei segni e che è necessario tradurli per comprendere la volontà divina (…). Terqa ha conosciuto diversi momenti in cui l'aspetto nomade o quello sedentario hanno avuto il sopravvento (…). Nomadismo e sedentarizzazione spesso sono due aspetti di un'unica realtà (…). L'esperienza di Israele, ad esempio, è di gente che è stata nel deserto, che ha viaggiato per tanto tempo, poi costruisce una città ma gli rimane questa idea del deserto come luogo positivo, di incontro, di vita (…). Lo studio di Terqa suggerisce una realtà diversa che ci interroga, due modi di vita che ci sembrano opposti ma che in realtà non sono che aspetti diversi di un modo di essere.

Segue un nutrito dibattito su alcuni spunti suggeriti dai relatori. Insieme al pubblico, interviene a porre domande anche il professor Ries.