giovedì 27 agosto, ore 15
IL MISERERE DI GEORGES ROUAULT
partecipano
Olivier Rouault
nipote di Georges Rouault
Carmine Benicasa
docente di Letteratura artistica presso l'università di Roma
Conduce l’incontro
Giulio Boscagli
"... quello che ho fatto non è mente, un grido nella notte, un singhiozzo soffocato, un riso strozzato. lo sono l'amico silenzioso di quelli che soffrono nel solco profondo. Cristiano, in questo tempo così incerto, io non credo ad altro che a Gesù sulla croce". (Georges Rouault)
O. Rouault
Appartengo alla generazione dei nipoti del pittore e avevo solo quindici anni quando egli è morto. I miei ricordi personali non sono dunque altro che dei ricordi da bambino e da adolescente, e non ho dell'opera di Rouault la conoscenza diretta che possono averne le mie zie o mio padre. Ciò che posso tuttavia tentare di fare è cercare di darvi alcuni punti di riferimento per capire questa opera, e in particolare per capire il Miserere, basandomi sulla conoscenza e l'esperienza che ho potuto acquisire su questo argomento in parte per osmosi familiare.
Materialmente il Miserere si presenta come una serie di 58 incisioni realizzate da Rouault tra il 1917 e il 1927. La tiratura è stata conclusa nel 1927. Solo nel 1948 tuttavia l'opera è stata diffusa. Tornerò più avanti su questi problemi di cronologia.
I temi dominanti che compaiono nella prima versione dei Miserere sono quelli della protesta per la miseria, l'ingiustizia, la guerra, la morte e l'impotenza dell'uomo davanti a queste terribili disgrazie. Ma in mezzo a tutta questa disperazione, qualche tema ci porta una nota di speranza e sembra essere tale da poter riscattare questo mondo insopportabile. Si tratta della tenerezza, dell'amore, della compassione e soprattutto dei sacrificio di Cristo Per capire quest’opera bisogna in primo luogo tornare a metterla nel suo contesto storico e collocarla nell’evoluzione della produzione dell’artista. E’ chiaro, in primo luogo, che il Miserere ha il segno profondo della guerra del ‘14-’18.
Rouault era stato riformato per ragioni di salute e non avendo così potuto partecipare al combattimento ha testimoniato con i mezzi che aveva a disposizione. Non bisogna d'altro canto dimenticare che Rouault viveva in un tempo in cui l'ingiustizia sociale era molto più visibile, era molto più evidente di oggi, ma d'altro canto la sensibilità a queste ingiustizie sociali era molto meno diffusa di quanto sia oggi. La protesta dunque contro queste ingiustizie non era rilevante altro che per qualche gruppo minoritario, operaio intellettuali, socialisti, anarchici, cristiani o altri. Questi precursori colpivano dunque la maggioranza con delle rivendicazioni la cui soddisfazione pare oggi del tutto naturale.
Rouault ha ricevuto la preparazione a una presa di coscienza di questi problemi dalle sue stesse origini familiari, assai modeste, in un ambiente di artigiani e di impiegati che aveva lasciato la terra natale di Bretagna per stabilirsi a Parigi, nel quartiere popolare di Belleville.
Ne parla nei suoi Ricordi: "Quando ci vivevo, il mio villaggio di Belleville non era ancora diventato un quartiere di Parigi. In quel vecchio borgo io, come tanti altri, ho sofferto in silenzio le molte pene che scavano solchi e rughe sul viso della donna più bella del mondo, ma che non sempre riescono ad alterare il coraggio, l'allegria nel- la lotta di tutti i giorni, e non impediscono all'operaio di cantare".
Dopo essere stato l'apprendista di un fabbricante di vetrate, Rouault aveva compiuto degli studi di pittura alla scuola delle Belle Arti di Parigi. Ivi aveva ottenuto un grande padronanza tecnica del disegno e della pittura. Aveva avuto la fortuna di avere per professore Gustave Moreau, che fu per lui, come per tanti altri, come per Matisse, per esempio, un maestro intelligente, delicato, che sapeva stimolare i suoi allievi nella ricerca della propria via, per abbandonare le tradizioni e gli accademismi bell'e pronti.
Un tale orientamento pedagogico era all'epoca assai raro e di fatto dal momento in cui Rouault ha lasciato la scuola ha cominciato a cercare la sua via personale, con molto coraggio e senza concessioni.
Il discorso pittorico sviluppato da Rouault, discorso di denuncia delle ingiustizie e della violenza sociale, fa parte dunque di una corrente di protesta contemporanea, ma ciò secondo un registro e dei mezzi del tutto originali.
Con questo passo egli si accosta a certi scrittori che furono anche suoi amici, e nominerò per esempio Joris Karl Huysmans e Leon Bloy. Quest'ultimo in uno dei suoi romanzi tra i più conosciuti. La donna povera del 1897, ha dato un ritratto di pittore che fa pensare proprio a Rouault. Eccolo: "Egli è pittore così come si è leone o squalo, terremoto o diluvio, perché è assolutamente necessario essere ciò che Dio ha voluto. Ma la pittura, o se si preferisce, la sintassi della pittura, le sue regole e i suoi metodi, le sue leggi, i suoi canoni, i suoi dogmi, la sua liturgia, la sua tradizione, niente di tutto questo ha potuto passare la sua soglia. E in realtà non è forse questo un modo sublime di concepire e praticare l'arte di dipingere, analogo alla perfezione evangelica che consiste nello spogliarsi di tutto? Gli si rimprovera, come a Delacroix, la povertà nel disegno e la frenesia del colore, ma come potrebbe attardarsi alla ricerca di una rigorosa esattezza mentre esegue i suoi quadri? Non si vede forse che rischierebbe di non poter più riprendere la sua anima che galoppa sempre davanti a lui in una corsa sfrenata?"
Il romanzo da cui è tratto questo testo è stato dunque pubblicato nel 1897 e in quell'anno Rouault e Bloy non si conoscevano ancora. Non può dunque essere questo un ritratto di Rouault, ma è proprio nel leggere questo libro qualche anno più tardi, nel 1904, che Rouault sentì il bisogno di incontrare Leon Bloy, di cui divenne un grande amico.
Questa ricerca di Rouault portò a delle creazioni molto violente; egli cerca la sua ispirazione nella strada, al circo, ma anche nel ritiro spirituale quando va a trascorrere qualche tempo all'abbazia di Ligugé, dove il suo amico Huysmaris sognava di fondare una specie di comunità tra artisti. Rouault si mette a dipingere dei poveri, delle prostitute, dei pagliacci e degli artisti di circo miserabili, dei giudici e dei condannati.
A quell'epoca in pochi lo capiscono, e quelli che pure fino ad allora l'avevano sostenuto finiscono per abbandonarlo e criticarlo. Lo stesso Leon Bloy, pur rimanendogli amico, gli fa dei rimproveri violenti.
Nel 1907 gli scrive: "Lei è attirato solamente dalla bruttezza. Se lei fosse un uomo di preghiera, credente nell'Eucarestia, un obbediente, non potrebbe dipingere questi quadri orribili". A queste espressioni Rouault risponde semplicemente con la perseveranza ed è solo molti anni dopo che in una lettera ad un amico fornisce qual- che elemento di interpretazione personale di questo periodo della sua evoluzione. Scrive: "Questa pretesa bruttezza è una fase, un istante delle mie ricerche. In ogni caso ogni rivolta può orientarsi verso l'amore. Le mie più terribili composizioni di personaggi grotteschi, anche se le avessi dipinte con il vetriolo, nelle loro povere facce di crocifissi le ho fatte senza alcuna intenzione premeditata né letteraria e sempre mi sono stupito di vedere in che misura, in nome di non so quale dogma morale o sociale si analizzino o si sezionino o si pesino dall'alto, delle cose che si fa finta di disprezzare e alle quali allora non si dovrebbe dare tanta importanza".
Nella stessa lettera Rouault aggiunge: "Il mio caso è divenuto in seguito ancor più grave mentre penetravo sempre più profondamente nel cuore della mia passione artistica. Ho sentito la forma divenire più sobria e severa e lo sforzo da fornire più scarno. E’ in questo senso che io penso che tale sforzo sia religioso, perché il viso umano, che per alcuni non rappresenta altro che il tipo di ritratto da mostre d'arte ufficiali e per altri non ha nessun interesse, era per me la sorgente infinita di modi di espressione di una ricchezza incomparabile".
Rouault cerca infatti con tutti i mezzi di rappresentare attraverso dei tipi umani il suo sentimento di profonda religiosità nei confronti dei mondo e della vita. Gli argomenti e la forma stessa della sua opera è prima di ogni altra cosa sottoposta a una ricerca dell'espressione e dei sentimento. In una lettera ad un critico d'arte egli ci consegna una delle chiavi indispensabili per l'intelligenza della sua opera. Vi fa allusione al tema del pagliaccio e della gente di circo in genere spiegando: "Ho visto chiaramente che il pagliaccio sono io, siamo noi, quasi tutti noi, quel vestito ricco e a pagliuzze dorate è la vita a darcelo", e continuando aggiunge: "Ho il difetto, ho il difetto, forse, e in ogni caso è per me un abisso di sofferenze, ho il difetto di non lasciare mai a nessuno il suo abito luccicante; che si tratti di un re o di un imperatore, l'uomo che ha davanti a me, ebbene, è la sua anima che voglio vedere, e più è grande e più viene glorificato dagli uomini, più io temo per la sua anima".
Come questo testo ben ci mostra, Rouault all'epoca sapeva esattamente dove voleva andare e cosa voleva fare con la sua arte e sapeva anche esprimerlo molto bene.
Questa intelligenza e questa chiaroveggenza danno tanto più valore alla diffidenza che sempre ebbe a manifestarsi nei confronti di un certo tipo di intellettuali e dei loro comportamenti dottrinali. Si prendeva gioco talvolta di questi personaggi dai discorsi vani e dalle idee troppo generali che cercano di recuperare tutto grazie a una dialettica troppo abile. Riguardo a un individuo di questo genere diceva: "Sa, si carica la molla e vrrr... ecco il moto perpetuo".
Rouault non cercò mai i teorizzare sui problemi presentati dalla sua opera e sempre diffidò dello sfruttamento che intellettuali e politici avrebbero potuto farne.
verso il 1926, ai tempi in cui compiva il Miserere, che scrive il testo seguente: "Non parlate di me se non per esaltare l'arte, non fatemi passare per un tizzone fumante della rivolta e della negazione, quello che ho fatto non è niente, un grido nella notte, un singhiozzo soffocato, un riso strozzato. Nel mondo ogni giorno mille e mille pove- ri, che valgono più di me, muoiono sfiancati dal lavoro. lo sono l'amico silenzioso di quelli che soffrono nel solco profondo; io sono l'edera della miseria eterna che si attacca al muro marcio dietro al quale l'umanità ribelle nasconde i suoi vizi e le sue virtù. Cristiano, in questo ternpo così incerto, io non credo ad altro che a Gesù sulla croce". ( ...)
Arnbroise Vollard fu un mercante di quadri tra i più chiaroveggenti e intelligenti. Egli aveva appoggiato pittori come Manet e Cezanne quando quasi nessuno ancora credeva in loro. Fu sedotto dai lavorì di Rouault e gli propose uno strano mercato. Per un reddito fisso e modesto Rouault avrebbe lasciato al mercante tutta la sua pro- duzione presente e futura, che questi avrebbe potuto vendere a suo piacere. Rouault accettò questo contratto che gli assicurava una certa sicurezza materiale evitandogli di doversi preoccupare della promozione economica della sua opera. Poteva così de- dicarsi completamente, esclusivamente, al suo lavoro artistico.
C'ARMINE BENINCASA
Taciturni, vagabondi, eppure sono forti quegli uomini quasi ubriachi di quelle singole tavole, gonfi di un nero bituminoso, e perfino il grigio si impantana nell'oscu- rità. Questi uomini sono soltanto gitani di una ruota, quella del fallimento della con- dizione umana; questi uomini abitano il relitto della pattumiera del mondo. Non han- no neppure il grido nella loro bocca semichiusa, non la parola. Si è strozzato tutto. E se quella bocca più non parla, essa si socchiude appena, perché nel cuore di questi personaggi, di questi gitani, di questi nomadi e vagabondi, di questi figli della ruota della terra, quella bocca socchiude appena, senza mozzicarla, la speranza. Essi sono la condizione della identità cristiana, espressione di finitudine e colpa; custodiscono ancora la sapienza, sono il controcanto del Magnificat: Dio ha scelto coloro che non sono per far esistere le cose; e per questo disperde i superbi negli intenti del loro cuore.
Quegli uomini custodiscono lo spirito di discernimento, quegli uomini sono con- sapevoli del loro fallimento, della loro scommessa, stanno attraversando il giorno del- l'oscuro Venerdì Santo. Sono ubriachi e folli uomini notturni, questi uomini di Rouault. Sono senza scia, senza direzione, senza luce. Custodiscono soltanto la povertà delle proprie mani e perfino il godimento del vino rende soltanto comici i loro volti fumefatti.
Sono feriti, ma non sono morti. Ricordate bene, credo, la prima lettera di S. Pao- lo ai Corinti, il capitolo 14, versetto 4. Feriti ma non morti.
Questi uomini sono lì, e sono un'unica iconografia, l'iconografia del dolore. Questi uomini sono il testamento esatto del processo all'uomo.
Questa epifania è l'epifania più alta dell',Ecce Homo. Il Miserere di Rouault è Ecce, Ecce, Ecce Honio. Non c'è altro.
Non era forse questa la condizione di Davide, quando, amando Betsabea, il pro- feta Natan gli vomitava addosso tutto il disgusto della sua abiezione, della sua ribel- lione a Dio? Anche Davide, nella sua regalità che più non appariva, si copriva nella polvere come questi personaggi di Rouault, che di polvere non sono coperti, ma stra- namente sono fasciati, ovattati come bambini in un nero così opaco che non c'è nep- pure più la luce.
E Rouault sapeva benissimo di tessere questo mantello senza cuciture della co- scienza cristiana. Cosa faceva Davide quando si poneva nella polvere, consapevole che il giorno dopo non avrebbe avuto neppure la compiacenza o la possibilità o il conforto di riuscire a vivere quello che egli vomitava della sua storia? Si poneva nel- la sua solitudine di fronte all'eterno, di fronte al mistero e diceva: "Signore, non giudicarmi secondo l'ampiezza del mio peccato ma secondo la smisurata grandezza della tua misericordia. Se tu mi giudichi secondo la sproporzione del mio peccato, che si salverà dinnanzi ai tuoi occhi?".
Era questo la nenia, la litania, il commosso cantico di Davide che si rotolava nella polvere, non nel tempio, perché non c'era il tempio quando Davide pregava. E poi quando più non ce la fece, cosa rinfacciò all'Eterno? Anche questi uomini nel- la loro degradazione, nella loro abiezione, in questo loro essere un cestino di rifiuti e neppure più un sogno di un sorriso, cosa dicono questi personaggi così? Davide a un certo punto urlò e non promise nulla al Signore, disse: "Cosa vuoi da me? In peccato fecit me mater mea, sono stato concepito nel peccato". Anche questi uomini hanno capito che non hanno altra storia che arrendersi. E la tavola 27, se voi la ve- dete, è bellissima, è commovente, è la resa senza condizione, è inerme il personaggio della tavola 27, quando si abbandona così, con il capo all'indietro reclinato; non ha neppure il tempo per piangere, perché se piangeva doveva asciugarsi le lacrime, si arrende, ecco la resa, Ecce Homo. Non ha neppure il conforto di poter compiace- re e avere uno sguardo di misericordia, compassione e amore, perché non ha neppu- re la corona di spine.
Ebbe questa grande forza, Rouault, di vomitare ogni compiacenza, ogni icono- grafia che potesse portare una briciola di sapore nella sua pittura. Ha eliminato il sapore, ma non l'ha eliminato; Rouault era il più grande figlio della cultura francese.
Non era forse così l'acerbo e amaro cristianesimo di Giansenio, di Pascal, che si coniugava con il rigore asciutto, feroce, anche se apparentemente arrogante ma in realtà pieno di disciplina, di Cartesio?
Rouault ha coniugato la coscienza dell'impotenza dell'uomo senza voler neppu- re assumere su di sé il velo della rivendicazione della compassione e della misericor- dia. Questo è l'acerbo destino della cultura francese, il più alto, il più tragico, anche se non precipita negli abissi oscuri della mistica.
A noi resta da custodire con misericordia, compassione e amore un amore infi- nito, resta soltanto da custodire ciò che l'uomo non può non essere, la sua negazio- ne. Non c'è compiacenza in quelle tavole, c'è una consapevolezza, una resa, un ac- cogliersi e questa infinita misericordia, un arrendersi.
"11 faut s'admettre" c'è scritto nei taccuini di Henry Matisse. Una volta Matisse racconta di avere incontrato Rouault, evidentemente il frutto adesso lo capisco, era il frutto di un dialogo sulla realtà dell'uomo e Matisse disse: "Ero sconfortato, ritor- nai sui miei passi e gli dissi: - Georges, il faut s'admettre (bisogna accogliersi) -". Questo è l'atto più grande di amore come coscienza cristiana nella condizione uma- na. D'altra parte l'anima, la cultura francese viveva sulla scena del circo ai primi del '900, non ce lo dimentichiamo. C'erano le sillabe cassidiche frantumate di un'a- nima esattamente ridotta a due ben distinte metà di Max Jacob, che era divenuto egli stesso la figura del clown. C'era La donna povera di Léon Bloy, ma quanta di- stanza da Rouault; Léon Bloy è cattolico, Rouault ha tutto il peso della cultura fran- cesce che si porta dentro, si porta dentro come un sigillo regale nella sua desolazio- ne. C'erano i canti di Péguy che salvava quel movimento a mezze labbra dei perso- naggi di Rouault, i canti che custodivano la più piccola e la più inutile tra le tre sorel- le, la speranza. C'era Claudel. Questo era il panorama agli inizi del '900 in Francia. E non sono forse questi personaggi il Parsifal di von Eschenbach, o non richiamano l'insipienza apparente dell',Encomium moriae di Erasmo da Rotterdam, o quelli ap- parentemente più cialtroni del Don Chisciotte di Cervantes, o la ciurma dei buffoni della nave dei pazzi di Brant? £ un intero popolo, un intero popolo storico nel suo cammino storico, che viene raccolto.
Ecco, in questo cammino è dato di poter vedere dei volti, a rnalapena, perché tutti i volti sono lo stesso nella pienezza dei tempi e nella ricapitolazione dal primo giorno all'tìltirno dei tempi, sono quel volto, il volto della condizione umana. Ed ecco í"i-,xce Ilomo. Non è un vanto affermare che la coscienza cristiana è la @@-,Dsc!enza più alta e più lucida, non è un vanto, non è una promessa solo di salvezza, è farsi carico di tutta l'abiezione, di tutta la pattumiera, di tutti i rifiuti che la condi- zione dell'uomo ha saputo vivere.
,Ecce Honio è il primo canto senza nessuna certezza dell'alba di Resurrezione. Il Miserere di Rouault testimonia questo, la condizione dell',Ecce I-Iomo.
Questi uomini sono in queste loro deiezioni epifania del divino e mai, dico mai, sacramento del demone. Senza speranza essi portano la speranza. £ la grande scom- messa di S. Paolo: spes contro spem. Questa è l'unica forza. Essi vanno e restano come la ruota, come le scale di Giacobbe, gli angeli che ascendono sono gli stessi che discendono. Unico è il grido.
Per questo perfino la tavola della croce, del fallirnento, del lutto, della cenere della croce non è più tragica di ogni tavola che non ha neppure più la forza di rica- mare i pieni e appena delinea i vuoti.
Questi sono il mornento più asciutto, più alto, la più grande meditazione biblico teologica continuata da Rouault sulla coscienza di Davide di fronte all'impotenza delle cose, perché la salvezza, se arriva, non la si trova, ci è data, per caso, come una ferita su quei volti vuoti dei personaggi di Georges Rouault.