Il motivo vero della diffusione
del Cristianesimo: allora e oggi
Venerdì 23, ore 11.30
Relatore:
Sua Em. Card. Camillo Ruini,
Presidente della Conferenza
Episcopale Italiana
Ruini: Sono lieto di vedere di persona voi e questo Meeting, di incontrarvi, di toccare con mano la realtà del Meeting. Desidero anche felicitarmi per il tema scelto quest’anno.
La diffusione del cristianesimo nei primi secoli è un fatto storico imponente; già a livello storico è uno dei grandi fenomeni che caratterizzano la vicenda dell’umanità. Per i credenti in Cristo è poi un evento paradigmatico, irripetibile come lo sono sempre gli inizi, ma anche normativo per tutte le epoche successive, e da riprodursi, come ancora è proprio degli inizi. È dunque normativo e da riprodursi anche per noi oggi: questo sarà il contenuto del mio intervento.
Prima di azzardare qualche affermazione sul rapporto tra allora e oggi, è bene cercare di chiarire, nella luce della fede, il senso e il motivo dell’evento iniziale. Si tratta della estensione, o dilatazione, dell’esperienza che ebbe già la comunità "prepasquale" dei discepoli di Gesù. Essi ebbero questa esperienza e convinzione: Dio è venuto in cerca di noi per la nostra salvezza. Si tratta della struttura fondamentale di tutta la rivelazione biblica, che nella comunità prepasquale assume già però un volto nuovo e ben determinato: quello di Gesù di Nazareth; è in lui che Dio è venuto in cerca di noi per la nostra salvezza.
L’incontro con il Risorto, l’esperienza di Gesù risorto è senza dubbio la conferma decisiva, nuova e illuminante, di questa certezza che Dio in Gesù di Nazareth è venuto a salvarci. Non si tratta però di una cesura, perché l’esperienza del risorto è caratterizzata radicalmente dalla continuità e dalla identità: è l’esperienza del Crocifisso-Risorto. Soltanto così, in questa identità del Crocifisso-Risorto, essa è la base di lancio della fede cristiana, del kerygma e delle primitive formule di fede, e anche della cristologia, cioè della dottrina su Cristo, che è nello stesso tempo e costitutivamente soteriologia, cioè dottrina della salvezza e anzitutto annuncio della salvezza.
Provengono da qui due frutti inevitabili e inscindibili. Il primo è la separazione della comunità cristiana postpasquale dalla Sinagoga, e nello stesso tempo la rivendicazione dell’eredità della Sinagoga, dell’eredità del popolo dell’Antica Alleanza: e, attraverso l’eredità, alla separazione si congiunge la continuità. Il secondo frutto è la missione universale "alle genti". Cristo infatti è venuto, è morto ed è risorto per tutti, per la salvezza di tutti. Il "mandato missionario" è la risultanza intrinseca dell’esperienza di Gesù terreno e risorto e, come la testimonianza della resurrezione, conclude tutti e quattro i Vangeli e attraversa, anima e unifica tutto il Nuovo Testamento. Possiamo dire che con la missione alle genti, come con la fede nella resurrezione, sta o cade la Chiesa.
Il senso e il motivo della prima missione cristiana è dunque che in Gesù di Nazareth, il Crocifisso-Risorto, Dio
stesso, il Creatore, il Signore della storia, il primo e l’ultimo, il Tutto e l’Assoluto ineffabile, è venuto a salvare e a unire a sé l’umanità intera, e perciò ciascuno che crede in Lui, o meglio la comunità dei credenti in Lui, è costituita testimone e annunciatrice di questa iniziativa di Dio, e di questo incontro che è per noi salvezza.
Questa è la forza, il dinamismo intrinseco della prima missione cristiana: la certezza, cioè, di essere salvati da Dio in Cristo, e soltanto in Lui, e quindi la necessità e il compito di far giungere e di comunicare a tutti questa unica salvezza.
Naturalmente è sempre aperto il dibattito, è sempre possibile la diversità delle interpretazioni: già allora tra giudei e cristiani e poi tra filosofi ellenisti e cristiani, cioè se veramente Dio è venuto in cerca di noi in Gesù di Nazareth, se realmente Gesù è risorto dai morti, se la missione cristiana è opera di Dio – dello suo Spirito – attraverso i credenti o invece è soltanto una pur grande opera umana. Ma almeno un punto non è difficile da accertare e appurare storicamente: le prime generazioni cristiane hanno avuto questa convinzione e questa certezza che Dio ci salva in Cristo e quindi questa autocoscienza missionaria, come risulta da tutti i documenti dell’antichità cristiana: dal Nuovo Testamento, dai Padri della Chiesa, dai martiri e così via. Lo ha detto con forza il Papa undici anni fa al Convegno di Loreto: "La coscienza di verità, la consapevolezza cioè di essere portatori della verità che salva, è fattore essenziale del dinamismo missionario dell’intera comunità ecclesiale, come testimonia l’esperienza fatta dalla Chiesa fin dalle sue origini" (Discorso, n. 4). Il Cardinale Ratzinger, nella sua Introduzione al Cristianesimo (pp. 99-110) ha illustrato come il cristianesimo antico si sia differenziato radicalmente dalla religione greco-romana della sua epoca proprio perché ha concepito se stesso come verità salvifica e non come semplice tradizione, costume, impostazione di vita ormai sganciata dalla verità. Tertulliano nel De virginibus velandis (I,1) ha scritto:"Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem cognominavit" (Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine): è questa una delle più grandi proposizioni della teologia patristica.
Se potessimo prendere in esame le successive "ondate missionarie", da quelle verso i "nuovi popoli" ("barbari") europei, germanici, celtici, slavi, a quelle verso il "nuovo mondo", a quelle verso la Cina, le Indie, l’Africa nera, potremmo sempre individuare, insieme alle componenti culturali e socio-politiche, ma distinta e non riducibile ad esse, questa medesima dinamica dell’esperienza della fede in Cristo unico salvatore, nella sua intensità e concretezza, e della missione che ne scaturisce, per l’imperativo urgente di portare questa salvezza a tutti i popoli. Tacere o mettere in secondo piano questa dimensione costitutiva e primaria delle grandi iniziative missionarie preclude la stessa intelligenza storica del fenomeno della diffusione del Cristianesimo nel mondo.
Venendo all’oggi, un oggi non "puntuale" ma che abbraccia la fase storica in cui stiamo vivendo, abbiamo a che fare con un fenomeno specificamente "anti-missionario". Il Papa parla a questo proposito di "correnti di scristianizzazione", particolarmente nel contesto del suo magistero europeo, che in realtà sono all’opera dall’Illuminismo fino ad oggi. Viene cioè messo in discussione Dio stesso, con varie modulazioni di registro, dalla negazione alla messa in dubbio, alla immanentizzazione, alla totale inconoscibilità. E ciò avviene sulla base della messa in discussione del rapporto della intelligenza umana con la realtà: è "l’eclissi della verità" nella nostra cultura. Contestualmente, inseparabilmente, si verifica la storicizzazione relativistica, o se preferiamo, la relativizzazione storicistica, della realtà cristiana originaria: è sempre attuale qui l’obiezione di Lessing, che giudica ciò che è storico incapace di avere una validità universale. Tale relativizzazione abbraccia poi naturalmente tutto il cristianesimo, nel contesto religioso e storico-culturale mondiale: il cristianesimo sarebbe soltanto una religione tra le altre, un fenomeno umano, relativo e transitorio, per quanto alto (anzi, il più alto, ma si tratta appunto di un superlativo relativo), significativo e importante.
Questi orientamenti della cultura e dell’ambiente sociale esercitano inevitabilmente una pressione nei confronti dei credenti e delle Chiese cristiane: da oltre due secoli verso le Chiese Evangeliche, da un secolo anche verso la Chiesa Cattolica. Oggi questa pressione, all’interno delle Chiese, ha due lineamenti o tendenze caratterizzanti, a loro volta inseparabili. La prima tendenza è quella della crisi della cristologia, e quindi della soteriologia. Alla fin fine Cristo non sarebbe realmente vero Dio oltre che vero uomo, non sarebbe Dio come il Padre oltre che uomo come noi, e perciò non sarebbe l’unico Salvatore. Viene da qui un approccio alle altre religioni e al loro spazio e funzione nell’economia di salvezza che non è soltanto positivo (come è giusto, a patto di evitare le unilateralità che dimenticano gli aspetti che sono invece negativi), ma porta ad un livellamento od omologazione sostanziale o almeno tendenziale, tra le altre religioni e il cristianesimo, lasciando cadere l’unicità di Cristo al quale, come Verbo di Dio fatto carne per noi, finalmente si riconduce e dal quale trae forza ogni autentica religione e ogni strumento di salvezza.
Più in generale, c’è la tendenza a ridurre la realtà del mistero della salvezza, dell’intervento salvifico di Dio nella storia, del "soprannaturale", al suo significato per l’uomo di oggi, con un capovolgimento dei criteri: non è Dio, non è Cristo, non sono la sua parola e rivelazione la misura dell’uomo, del nostro credere, pensare e agire, ma viceversa la cultura oggi diffusa diventa la misura della rivelazione e della parola di Dio, e a maggior ragione della parola della Chiesa; quindi in ultima analisi di Dio stesso e di Cristo. In altre parole, è abbastanza diffuso un atteggiamento del "come se": dovremmo cioè comportarci il più possibile da cristiani, al di là della realtà e della portata effettiva dell’intervento salvifico di Dio in Cristo.
Sono queste le radici reali della "crisi della missione", per la verità controbilanciata e progressivamente superata dal nascere e rinascere di antiche e nuove forze ed esperienze missionarie, oltre che dal chiaro insegnamento della Chiesa: pensiamo alla Evangelii nuntiandi e poi alla Redemptoris missio. È evidente che, se è malsicuro il fondamento cristologico e soteriologico, la missione e la stessa esperienza e vita cristiana diventano precarie; sulla base di un "come se" non si diventa né martiri né missionari.
Mi sono soffermato sulle problematicità della nostra fase storica non per pessimismo, ma perché l’averne consapevolezza è indispensabile per vivere e diffondere il cristianesimo oggi. Il Papa, nella Redemptoris missio (n. 33), distingue con precisione tra missione ad gentes e nuova evangelizzazione, intendendo questa come missione nei paesi di antica cristianità nei quali sono forti i fenomeni di crisi della fede e di scristianizzazione. È proprio questo il terreno della sfida nuova, e a mio avviso più difficile ma anche più importante per il futuro, se non altro perché le correnti relativiste e nichiliste, che nei nostri paesi di matrice cristiana sono in concreto correnti di scristianizzazione, investono però anche gli altri paesi, man mano che essi entrano a far parte del "mondo sviluppato". In realtà, abbiamo dunque a che fare qui con le questioni che la storia oggi propone e che non è possibile ignorare o far tornare indietro: occorre invece saper dare una risposta.
Come nell’epoca patristica, anche noi dobbiamo dunque accettare, anzi porre per primi la sfida della verità, e non accontentarci di ciò che ancora rimane delle passate consuetudini, in questo caso non pagane ma cristiane. E però possiamo farlo solo sulla base della nostra esperienza cristiana vissuta, dell’incontro con Cristo nella Chiesa, della preghiera, della carità praticata, della certezza di fede della realtà di questo incontro. Su questa base la sfida della verità va posta dentro al contesto culturale e sociale in cui ci è dato di vivere, procedendo con amore e con libertà propositiva e critica, come è stato detto al Convegno di Palermo.
In concreto, la denuncia dei pericoli di omologazione e di relativizzazione storicistica della realtà e della salvezza cristiana, non significa ignorare il compito positivo, sempre attuato dalla missione cristiana e ora semmai divenuto più consapevole, di inserirci in ogni cultura e di generare all’interno di essa una nuova cultura cristiana, secondo le due dimensioni inscindibili della inculturazione della fede e della evangelizzazione delle culture.
Tutto ciò vale non solo a livello geografico, per le culture delle diverse aree territoriali, ma anche a livello cronologico, quindi per una cultura che si trasforma nel tempo e che, pur essendo stata evangelizzata nel passato, ha bisogno ora di essere di nuovo evangelizzata nella fisionomia nuova che ha assunto. Proprio questo accade in Italia e in Europa oggi.
È chiaro che ciò richiede una grande creatività culturale – e voi siete di stimolo alla Chiesa in questo – con la necessaria e genuina libertà che è propria della fede e della cultura.
Più in concreto, si tratta di risanare e di far progredire la cultura del soggetto e della libertà, che attraversa ormai secoli di storia europea, facendo valere all’interno di essa il legame intrinseco, il legame costitutivo che esiste tra verità e libertà, tra soggetto e oggetto, tra soggetto e realtà. E questo non in maniera soltanto teorica, ma mostrando attraverso la testimonianza dell’amore il contenuto effettivo della verità cristiana e la genesi dell’etica cristiana, ossia, come dall’amore nasce tutta l’etica cristiana.
È questo il senso del "progetto culturale orientato in senso cristiano": ho ritenuto doveroso di proporre per la Chiesa in Italia e, se non siamo troppo ambiziosi, per l’Italia stessa, sulla base di quella convinzione che anima la sollecitudine del Papa per l’Italia e che ha trovato espressione nella sua lettera dell’Epifania del 1994 sulle responsabilità dei cattolici nell’ora presente (n. 4). "Sono convinto – scrive il Papa – che l’Italia come nazione ha molto da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo. (...) All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo".
In realtà sussistono in Italia condizioni peculiari, e possiamo dire provvidenziali, per far fronte a questo compito: il nostro è un paese moderno o, come si suol dire, post-moderno, largamente secolarizzato e anche scristianizzato, ma nello stesso tempo è un paese in cui la fede cristiana è ben viva e la Chiesa è ancora una Chiesa di popolo; un paese le cui energie spirituali di matrice cristiana sono molte. Forse è difficile individuare un altro terreno più propizio per la "nuova evangelizzazione" nell’Europa di oggi. Anche ora, dunque, non invano, la Sede di Pietro è collocata in Italia.
L’augurio che vi faccio, anzi, il nostro augurio reciproco, è di essere degni della missione che il Papa, e anche la situazione storica, oggi ci affidano.