Incontro con Khalil Samir
Mercoledì 28, ore 15
Moderatore:
Robi Ronza
Ronza: Questo incontro vuole approfondire la relazione tra Europa, Occidente e mondo arabo. Spesso dimentichiamo che i nostri grandi vicini sono gli Slavi e gli Arabi e che il Mediterraneo è parte integrante dell’Europa. Per questo è importante essere interlocutori del mondo arabo, anche se non è facile. Ne chiediamo la ragione a padre Samir.
Khalil Samir, nato al Cairo nel 1938, dopo essere divenuto gesuita ed essersi specializzato in teologia e in islamistica in Francia, ha insegnato a lungo nella capitale egiziana, poi in due università di Beirut e al Pontificio Istituto di studi arabi e di islamistica a Roma. È considerato il massimo esperto a livello mondiale di letteratura araba cristiana, una disciplina da lui stesso creata: sull’argomento ha pubblicato una decina di volumi e innumerevoli articoli.
Samir: Il mondo arabo è molto vicino all’Europa del Sud, all’Italia, ma è lontano per cultura, per storia, e la colpa di ciò è anche nostra, degli Arabi. Nel Medioevo sono esistiti molti rapporti, anche militari, tra l’Europa e il Medioriente. Per il mondo arabo l’Europa era il continente che attirava di più; allora era possibile oggi vincere una guerra e domani perderla, dopodomani vincere di nuovo, era possibile per il mondo arabo cedere cultura e l’indomani chiederla all’Europa, perché esso aveva qualcosa da dire a livello culturale, sociale ed anche spirituale. Oggi non siamo più alla pari: il mondo arabo si è incrostato. A livello politico noi stessi viviamo come arretrato il sistema che propone; tutti gli arabi sanno, e lo dicono quando parlano tra di loro, che non c’è democrazia nel mondo arabo, che non c’è la possibilità per una persona di intervenire nelle decisioni della nazione o anche addirittura a livello cittadino.
Noi arabi siamo divisi da politiche non solo diverse ma antagoniste. Noi arabi siamo forti nel parlare, proclamiamo sempre l’assoluta unità del mondo arabo, la fraternità, ed è vero a livello affettivo; a livello culturale ci sentiamo molto vicini, ma a livello reale siamo divisi, ci combattiamo. La guerra del Golfo ha visto la metà degli arabi combattere contro l’altra metà, però tutti quanti eravamo sotto il controllo dei più potenti. L’Occidente è come una calamita, ci attira, ma attira tutte le potenzialità che ci sono e ci lascia impoveriti; questo vale per i cristiani arabi ancora più che per i mussulmani. Siamo attirati dall’Occidente e non riusciamo ad entrare in dialogo con esso. L’unica cosa che fanno i nostri capi, ce ne vergognamo ma è una necessità, è venire in Occidente a tendere la mano, a chiedere aiuto.
L’antica superiorità del mondo arabo a livello culturale-scientifico-tecnico è oggi fonte di dramma; è quasi un trauma per il mondo arabo la coscienza che una volta eravamo il mondo culturale avanzato e la distanza che c’è tra il passato ed il presente rende l’arabo ancora più umiliato. Ed allora si spiega il successo di Saddam Hussein. Anche se male, anche se in modo ingiusto e dittatoriale, per la prima volta nella storia moderna un arabo ha osato sfidare l’Occidente. Come noi diciamo, ha alzato la nostra testa. Noi abbiamo pensato così, ma purtroppo dopo ci siamo trovati in una situazione ancora peggiore. Il dramma è che non riusciamo a trovare il modo giusto di dialogare. La reazione nostra di fronte all’ingiustizia è quella dell’adolescente. Riguardo a Israele è addirittura infantile. È una reazione irragionevole. Io sono convinto che il diritto sia dalla parte dei Palestinesi, ma la reazione palestinese e araba è così stupida che fornisce tutti i pretesti ad Israele. Perciò perdiamo ogni giorno un po’ di terreno; ogni settimana Israele avanza con un nuovo insediamento, tutto questo a causa della nostra stupidaggine, perché noi ci poniamo come fronte del rifiuto, perché pensiamo d’avere dalla nostra parte il diritto. La conseguenza è che il giorno in cui, se Dio vuole, si potrà dialogare, sarà troppo tardi. Nel ‘67 dopo l’invasione israeliana nei territori palestinesi, in Egitto e in Siria, Moshè Dajan, che era allora generale israeliano, propose uno scambio: i territori occupati nel giugno ‘67 in cambio del riconoscimento ufficiale di Israele. Noi allora rifiutammo perché volevamo fosse risolta la situazione del ‘48. Adesso cerchiamo di riavere i territori occupati nel ‘67, ma è ormai troppo tardi. E se continuiamo così cercheremo fra vent’anni di risolvere il problema che oggi si potrebbe risolvere.
Noi non sappiamo rispettare le regole del gioco, anche perché sono state stabilite dall’Occidente. E questa, credo, è la tragedia del mondo arabo e del mondo islamico, che il dialogo sia impossibile praticamente perché c’è sempre da parte nostra il risentimento per l’ingiustizia subita, l’umiliazione, e da parte occidentale la coscienza di essere i più forti e di essere quelli più corretti, che giocano meglio, insomma, i giochi internazionali.
Per migliorare questa relazione prima di tutto c’è molto da fare da entrambe le parti per diffondere una coscienza più chiara del problema. In Libano ed in Egitto mi impegno a chiarire le colpe nostre, perché è inutile sottolineare quelle dell’altro, quelle le conosciamo, le vediamo. Ma noi ci rifiutiamo di riconoscere la responsabilità nostra nel dramma che viviamo(1). La seconda necessità è la parità. Nell’ultimo mese, ogni giorno, Kohl ed il suo governo sostenevano la necessità di aiutare l’Unione Sovietica perché possa essere un partner anche nello scambio economico. Questa forma di aiuto all’altro perché arrivi al proprio livello per poter cooperare dovrebbe essere estesa alla regione Mediorientale, per interesse stesso dell’Europa e dell’Italia. L’Italia ha interesse ad attirare l’Europa verso il sud per sentirsi settentrionale. Dunque se il Medioriente entra più nel campo dell’Europa, l’Italia si trova in buona posizione; se l’unità europea si fa verso nord, essa si trova al margine. Questo anche da un punto di vista pratico-utilitario, il che significa concretamente istituire borse di studio, formare non una élite che lasci il paese e se ne vada, ma formare gente sul posto, investendo nel paese stesso per aiutare ognuno di questi paesi ad essere un partner dell’Europa.
NOTE
(1) In Germania, non so quale sia la condizione in Italia, il 90% della gente cosiddetta informata è convinta che il mondo arabo sia stato storicamente l’aggressore di Israele, che Israele non abbia altro scopo che difendersi contro l’aggressore arabo-palestinese perché ha una voglia di pace immensa, mentre il mondo arabo non ha altro scopo che la distruzione di Israele. In realtà, in 43 anni, dal 48 ad oggi, uno stato arabo non è mai entrato in Israele, neppure un giorno. In Germania tutti pensano che la pace si fa rimanendo ognuno dentro le proprie frontiere, però ad Israele nessuno può rimproverare l’occupazione dei territori occupati: una parte della Giordania, una parte della Siria, una parte del Libano e tutta la striscia di Gaza, perché ciò deriva da un naturale bisogno di difendersi.