mercoledì 26 agosto, ore 11
LA COMPAGNIA DELLE OPERE:
RIFLESSIONI SU UN'ESPERIENZA, ESPERIENZE IN RIFLESSIONE
incontro con
Roberto Formigoni
deputato al Parlamento italiano ed europeo
Giampaolo Gualaccini
presidente della cooperativa "La Cascina" di Roma
Angelica Sansabini
presidente della cooperativa "Domus" di Forlì
Raffaele Fazio
presidente della cooperativa "L'Annunziata" di Serrastretta
Giorgio Cioni
presidente del "Consorzio dello Spettacolo"
Graziano Debellini
presidente della cooperativa "G. Sacchetti" di Padova
conduce l'incontro
Mario Sa
Roberto Formigoni traccia una sorta di manifesto, non solo programmatico, della Compagnia delle Opere, poi alcuni costruttori d’opere presentano una storia ragionata della loro esperienza. L'incontro, pur svolto il mercoledì, è stato posto all'inizio di questa sezione poiché risulta decisivo per una sua comprensione complessiva.
R. Formigoni
Presentare oggi la Compagnia delle Opere è parlare esattamente di ciò che avevamo voluto e desiderato, fin dagli inizi, che fosse il Movimento Popolare. Non abbiamo mai pensato ad un movimento politico innanzi tutto, ma abbiamo sempre pensato al Movimento Popolare come unità d’opere sociali liberamente collegate fra loro. Oggi questo finalmente comincia a realizzarsi; oggi la Compagnia delle Opere è la forma nuova del Movimento Popolare, è l'inizio della forma compiuta di Movimento Popolare e io credo che non sia un caso che proprio di fronte a questa maturità si registri uno degli attacchi più consistenti all'identità stessa del nostro movimento, che viene presentato da taluni anche in queste settimane come se fosse tutto proiettato sulla politica, quasi che la fede nell'avvenimento cristiano non bastasse più. Qualcuno lo ha anche scritto: la fede non basta più; pensano alla politica, pensano ad altro. O l'accusa analoga secondo cui ci staremmo adeguando ai valori comuni etico-cuturali dominanti nella società. Allora parlare stamattina delle opere e della compagnia che le riunisce è proprio ridire l'esperienza d’unità che caratterizza la nostra vita di tutti giorni a partire dal momento in cui c’è stato fatto il dono di incontrarci con il fatto cristiano. In altri termini è proprio la vivezza dell'esperienza di fede che ha dato a tanti fra di noi ormai la capacità e il gusto di generare delle opere, e a sua volta la ricchezza delle opere rende ragione alla fede cristiana e all'impostazione di vita che da questa deriva. Sì amici, perché la fede cristiana non è per nulla fideistica, non è un sentimento, un’ideologia, ma è qualcosa di profondamente ragionevole, di profondamente adeguato all’esigenze dell'uomo, d’ogni uomo. Nella vita tra di noi, ciò a cui sempre ci siamo richiamati, ciò a cui invitiamo il più piccolo tra di noi che arriva per la prima volta in una delle nostre comunità, è sempre confrontare l'annuncio cristiano che gli viene fatto con sé, perché questa è la garanzia più profonda della ragionevolezza dell'esperienza che facciamo, che l'esperienza sia confrontata con sé, con quel fascio d’esigenze e di bisogni che ci costituiscono come uomini. Solo che appunto la ragionevolezza della fede si comprende soprattutto dai frutti, dalle opere che da questa fede nascono, e questo è tanto più vero oggi.
Com’è possibile oggi nella dispersione, nell'insignificanza che sembra attanagliare la vita dell'uomo, com’è possibile aderire alla fede? Io credo che normalmente uno possa aderire alla fede perché innanzi tutto è affascinato dall'entusiasmo, dal gusto di vita e di creatività umana che coglie in certi cristiani. Perché è vero che la comunione è un mistero, ma uno si scopre interessato a questo mistero che è la comunione perché coglie gli aspetti concreti di liberazione umana integrale che questa comunione ha generato. Se questo che ho descritto brevemente fino adesso è la radice della nostra operosità di questi anni, è chiaro che le opere sociali di cui parliamo nascono dalla libertà della persona; non è il progetto di un centro nazionale o di un centro locale che genera ciò che chiamiamo le opere sociali, ma è la libertà della persona che si gioca con l'incontro fatto. E questa radice di libertà è matematicamente vera per tutto ciò che è nato fra di noi, per tutte le opere che sono nate fra di noi.
In questo senso insistiamo nel dire quella che è la verità, e cioè che le opere non sono le opere dei nostro movimento ma sono le opere di chi le ha generate nella libertà. Solo che bisogna intendersi su che cosa sia la libertà. La libertà non è assenza di legami, non è assenza di rapporti con altri; al contrario, l'uomo veramente libero è l'uomo che si percepisce all'interno di un rapporto con altri uomini. Per questo la libertà che genera l'opera diventa per noi responsabilità di fronte all'opera, e la Compagnia delle Opere nasce esattamente da questa libertà e da questa responsabilità. Coloro che fanno le opere si mettono assieme non per un gusto del centralismo ma per il gusto di un paragone sentito come necessario, e questo genera la ricchezza immensa del collegamento e della creatività che c'è tra di noi oggi. La ricchezza immensa è generata dal fatto che 500, 1000, 2000 persone che hanno creato qualche cosa di socialmente interessante nella società italiana e che avrebbero potuto portare avanti questo qualcosa ognuno per conto proprio, costoro hanno invece deciso di mettersi assieme per confrontare ciò che hanno generato, per scoprire una utilità comune, per scoprire un significato più grande di quello che hanno fatto. La ricchezza della Compagnia delle Opere è qui, è qui anche la proposta per cui la Compagnia delle Opere si offre a chiunque voglia parteciparvi. Infatti, lo scopo delle opere è quello di agire non per un obiettivo particolaristico ma per il bene comune: in questo le opere sociali stanno dimostrandosi un sia pure iniziale contributo allo sviluppo del paese e una risposta di solidarietà ai bisogni degli uomini. Vorrei fare alcune prime annotazioni per aiutare a capire come si sviluppa la dinamica dell'opera a partire dall'istintivo senso di solidarietà che credo sia d’ogni uomo. La solidarietà è, mi sembra, una caratteristica nativa della natura dell'uomo e tuttavia la solidarietà da sola non basta a fare storia, non crea opera fin tanto che rimane una emozione o una risposta reattiva ad una emozione. Ciò che costruisce è solo la risposta cosciente alla domanda: in nome di che cosa aderisco a quest’urgenza di solidarietà? Le risposte che gli uomini danno sono diverse a seconda dell’ideologia o della religione a cui appartengono; la risposta è per noi l'appartenenza al mistero dei fatto cristiano nel mondo. Questo è l'orizzonte intero che dà il senso alla nostra opera, che permette all'impeto di solidarietà di creare storia e di creare qualcosa di socialmente utile. Infatti, è soltanto il senso di una appartenenza a quest’orizzonte più ampio che permette di tenere presente la totalità dei fattori in gioco; è soltanto l'aver presente quest’orizzonte grande dentro il particolare dell'opera concreta che le conferisce il valore universale di qualcosa d’utile, d’utilizzabile per l'uomo, per tutti gli uomini.
Un'altra annotazione è che l'opera sociale nel senso in cui noi la intendiamo, che è poi il senso di sempre della tradizione cristiana, è innanzi tutto un gesto di gratuità; nasce per un gesto di gratuità che ti mette in grado di calcolare con la passione più grande per il particolare quello che da questo gesto di gratuità potrà nascere; perché ancora una volta si tratta di non fare separazioni astratte, di non contrapporre l'istinto di bene e di solidarietà da cui una cosa nasce alla ricerca dell'efficienza, cioè di non confondere la gratuità con l'inutilità. L'opera nel senso cristiano è dunque innanzi tutto un gesto di gratuità verso di sé e verso gli altri: gratuità verso di sé in quanto costringe in qualche modo la persona ad impegnarsi con l'ideale e la fa coinvolgere di più con quest’ideale, e gratuità verso gli altri perché richiama a tutti il primato della persona, delle sue esigenze, dei suoi desideri rispetto al meccanismo totale. L'opera dunque è in qualche modo sempre strumento e mai scopo in sé, essa deve obbedire al dinamismo concreto del soggetto cristiano che vive nella storia. E' nel riferimento a questo soggetto cristiano che ogni opera deve essere verificata per scoprire la sua utilità e la sua incidenza; così come deve essere verificata alla luce di questo corpo sociale che vive nella storia l'utilità d’ogni nostra azione. La Compagnia delle Opere è in un certo senso il tentativo di proseguire la tradizione dell'impegno sociale dei cattolici, che si è concentrato nel secolo scorso in un grande fiorire d’opere sociali, riunite prima nell'Opera dei Congressi e poi nelle diverse organizzazione del cattolicesimo italiano.
Rifacendoci a questa tradizione, la Compagnia delle Opere vuole essere una forma concreta di sostegno ad un'azione nella società che realizzi concretamente la dottrina sociale cristiana, le dia carne, sangue e attualità storica nelle attese, nei bisogni e nelle speranze degli uomini d'oggi. Storicamente, davanti all'insorgenza del capitalismo individualistico e al contraccolpo d’ideologie collettivistiche, il movimento cattolico si è sempre sforzato di far convergere fra loro la libertà dell'impresa e la solidarietà sociale, democratizzando l'imprenditorialità, mettendo alla portata dei maggior numero possibile di soggetti individuali e sociali la possibilità di intraprendere, ovvero la possibilità di lavorare concretamente per guadagnare il proprio pane ma anche al tempo stesso fare esperienza nel lavoro della propria dignità come uomini. Il lavoro, infatti, è in un certo senso anzitutto un momento d’educazione alla verità dell'uomo, cioè in ultima istanza alla fede, in cui l'uomo scopre il senso ultimo del proprio destino.
Quando oggi da parte di molti economisti si guarda con sorpresa ai nuovi modelli di sviluppo stellare o a cespuglio che hanno assicurato all'economia italiana la tenuta davanti alle crisi, quando si riscopre e si esalta il localismo, non bisognerebbe mai dimenticare il contributo che a questo tipo di sviluppo hanno dato proprio le opere cattoliche. Noi rivendichiamo la continuità con quest’eredità ideale e nello stesso tempo diciamo che la Compagnia delle Opere non è una semplice riedizione di una esperienza storica passata, ma rappresenta, pur nella continuità, una radicale novità. Qual è questa novità? Le opere cattoliche s’inserivano una volta nel contesto di vita di un popolo cristiano forse frastornato e confuso ma solidamente ancorato alla certezza della propria identità. Oggi questo cattolicesimo sociologico è in larga misura dissolto e scomparso e tuttavia, come dice la scrittura, anche oggi lo spirito di Dio trae dei figli d’Abramo dalle pietre. Proprio nel momento in cui una continuità sociologica s’interrompe, il puro annuncio della fede che fa corpo con la vita sta suscitando ormai da anni in migliaia di giovani ed adulti una volontà di conversione, cioè il desiderio di cambiare se stessi e il mondo. Questo è l'avvenimento che va tenuto presente quando si parla della Compagnia delle Opere e della differenza fra il vecchio e il nuovo movimento cattolico. E la rinascita di questo popolo di giovani e d’adulti mossi dalla volontà di conversione che fa comprendere la Compagnia delle Opere. Un altro punto importante, insieme di somiglianza e di differenza rispetto al passato, è dato dal rapporto con la dottrina sociale della Chiesa, che nella Compagnia delle Opere viene riscoperta, rivissuta come coscienza in atto di un movimento in cammino nella storia. Io vorrei che questo punto fosse chiaro, perché noi rivendichiamo la volontà di fedeltà alla dottrina sociale cristiana, ma per noi la dottrina sociale cristiana non è un corpo di dottrina dato, definito ed immutabile. Vivere concretamente la fedeltà alla dottrina sociale cristiana significa vivere la fedeltà ad un corpo sociale che vive nel mondo, nella storia. Potremmo dire che vivere la fedeltà alla dottrina sociale cristiana significa vivere la fedeltà a questo corpo che agisce nella storia; parliamo della dottrina sociale cristiana come la forma della coscienza di un movimento in atto, come la consapevolezza di sé di un uomo nuovo generato dal cristianesimo che si muove dentro la società. Qui sta tutta la differenza tra chi oggi sente ancora la dottrina sociale cristiana come capace di far nascere una nuova vita e chi invece la considera un relitto del passato. Da qui nasce anche la nostra capacità di portare un contributo al cambiamento della società. Con che cosa noi portiamo un contributo al cambiamento della società? Esattamente con i giudizi e le azioni che nascono da queste esperienze d’opere. Non siamo i portatori di un giudizio ideologico sulla società, sulle forme di produzione, sul capitalismo-socialismo, su tutto ciò che fra l'altro è in continua evoluzione, non traiamo da una teoria un giudizio su questa realtà, ma contribuiamo al cambiamento della società attraverso i giudizi che nascono dall'esperienza di lavoro concreto che si rinnova giorno per giorno. E’ una continua novità di forme sociali che nasce fra di noi e che giudica la realtà concreta che evolve. Questa capacità di presenza nel mondo, di giudizio culturale a partire da un'esperienza, noi la chiamiamo realismo. E la nostra forza è questa, la nostra capacità di essere attaccati alla realtà non in forza di una ideologia, ma in forza di una fedeltà ad una esperienza.
E qui io vorrei rimandare la nostra riflessione ancora una volta al grande discorso di Giovanni Paolo II a Loreto l'11 aprile dell'85, perché quel discorso fonda e dà ragione di un modo nuovo, radicalmente nuovo rispetto a prima e soprattutto rispetto all’interpretazione corrente nella cultura d’oggi del modo d’essere cristiani nella nostra società. Giovanni Paolo II ha, nel suo intervento di Loreto, delle parole sulle opere, sull'operatività sociale, che per noi in questi anni sono state il conforto, l'energia, lo stimolo a continuare a lavorare. In particolare dice il Papa: "Vorrei sottolineare l'importanza eminente che hanno per il servizio della Chiesa italiana e per l'edificazione delle comunità degli uomini le opere e le iniziative sociali cattoliche. Esse non sono mera supplenza di provvisorie carenze dello Stato, né tanto meno concorrenza nei suoi confronti, ma espressione originaria e creativa della fecondità dell'amore cristiano. L'impegno nelle opere cattoliche non rappresenta del resto neppure una alternativa alla presenza dei credenti nelle strutture civili già esistenti".Questo, io credo, è il brano oggettivamente più polemico con una certa cultura dominante oggi nella sociologia, nella politica, nella vita concreta della nostra società, che considera le opere dei cristiani o di qualunque soggetto nella nostra società come una pura funzione di supplenza là dove lo Stato non arriva, là dove il già esistente non arriva. Giudizio per cui le opere degli uomini, cattolici o non cattolici, andrebbero bene e sono tollerate là dove esse coprono dei buchi, dei vuoti lasciati dalla struttura sociale, dalla struttura del potere e dello Stato; e dunque sono ammesse o tollerate le opere d’aiuto ai diseredati abbandonati da tutti, gli interventi appunto da ultima croce rossa in una società che fa sempre più vittime tra gli uomini e che quindi vede bene che ci sia qualcuno che si occupi del recupero di queste vittime, così si mette anche la coscienza in pace. Al contrario, il nostro intervento nella società è l'intervento d’uomini vivi, e va in tutte le direzioni possibili ed immaginabili della creatività umana.
Forse non dovremmo occuparci del rapporto tra risorse, desideri e bisogni? Forse che i cattolici non dovrebbero occuparsi di questo, per lasciarlo fare a quelli che hanno una concezione dell'uomo che non rispetta l'uomo nella sua integralità? Il Papa aggiunge: "Occorre guardare con molta attenzione a quelle nuove realtà imprenditoriali che possono dare nuova forma al nesso risorse-bisogni in base ad una nuova esperienza di vita; per questo la dottrina sociale ha sempre sottolineato l'importanza del lavoro dei corpi intermedi secondo il principio di sussidiarietà".Con estrema serenità, senza polemica nei confronti di nessuno, ma anche con la convinzione di stare lavorando per la libertà nostra e di tutti gli uomini, noi ribadiamo questa mattina la nostra intenzione serena e decisa di continuare a lavorare, ad inventare, a creare in tutte le forme dell'espressività umana, dal culturale all'economico, dal sociale all'educativo, allo scolastico, all'imprenditoriale, perché questo è il campo che ci è stato dato d'arare, questo è il campo in cui siamo stati chiamati a creare e a fruttificare. E allora brevemente un'ultima serie d’osservazioni. L'iniziativa d’uomini che danno vita ad opere sociali e che si mettono assieme in una compagnia non nasce come fatto politico, ma ha inevitabilmente anche riflessi politici. Noi non siamo contro il potere, perché il potere è innanzitutto l'utilizzo di risorse umane per uno scopo. Siamo contro un potere che ci attacchi, che attacchi la creatività dell'uomo o che pretenda di irreggimentare questa attività dell'uomo, di darvi forme obbligatorie, o di ridurre la creatività dell'uomo ad un fenomeno marginale, volontaristico e consolatorio; e notiamo che storicamente il potere odierno mostra soprattutto il volto della volontà di dominio sull'uomo, il desiderio di controllare socialmente, di egemonizzare e se necessario soffocare la creatività dell'uomo. Oggi la battaglia per la libertà è la battaglia per la promozione di questi diritti delle comunità intermedie, dei movimenti, dei gruppi, dei soggetti sociali. Oggi lo scontro è tra il desiderio dell'uomo e un potere che spesso non vuole considerare questo desiderio dell'uomo perché lo sente come sovversivo rispetto a sé. L'obiettivo dei nostro intervento nel sociale è esattamente la salvaguardia del desiderio umano, la difesa di una democrazia vera, la difesa dei potere di decidere da parte del popolo. La lotta per la libertà è certamente uno dei motivi di fondo per cui costruire le opere; le nostre battaglie, dall'occupazione alla scuola, alla cultura, sono e devono essere per la ricerca di un consenso, ma per la difesa di questa libertà e della libertà di tutti. Questo è anche il senso del nostro lavoro politico. (...) Ho sentito come motivo adeguato al lavoro politico soltanto questo: per le opere, per tentare di aiutarne la crescita. Non si serve un'idea, si serve una realtà concreta che vive; la politica ha dignità soltanto se concepita come servizio alla realtà concreta delle opere. Io credo che la politica, tutta la politica, in questo debba trovare il senso della propria riforma concreta, dei proprio rinnovamento; nel non concepirsi più come sostituzione alla realtà degli uomini che responsabilmente creano, costruiscono, ma come concreto servizio a questa realtà.
G. Gualaccini
Sono il presidente della coop. "La cascina" di Roma."La cascina" è una cooperativa che è nata nel 1978 e opera nel settore della ristorazione collettiva. Attualmente lavorano con noi circa 400 persone e ogni giorno produciamo circa 20.000 pasti. Siamo nati nel 1978, abbastanza casualmente: allora era un piccolo gruppo d’universitari che in quegli anni, siccome le mense universitarie pubbliche non funzionavano mai (erano sempre chiuse anche quando erano aperte e si mangiava malissimo) hanno cominciato a prepararsi il pranzo e la cena da soli facendo dei turni. Poi si sono accorti che questo problema del mangiare in modo decente durante i quattro anni o cinque della vita universitaria non era solo loro ma riguardava anche tutti gli altri loro amici universitari. Allora si è ottenuta una piccola convenzione che permetteva anche agli studenti universitari di una facoltà vicina di venire a mangiare anche loro. Da allora questa piccola esperienza è cresciuta; dalle 400 persone che oggi lavorano con noi la maggior parte sono giovani e prima di lavorare con noi moltissimi erano disoccupati: erano persone che non avevano alcun lavoro e non sapevano fare nulla. Ultimamente siamo diventati più grandi, un po' più capaci anche di lavorare, e ci siamo accorti che questa capacità di lavoro rispetto, ad esempio, alla gestione pubblica dello stesso servizio di ristorazione, produce un risparmio. Se l'ente pubblico accetta di dare in appalto il servizio della ristorazione, noi siamo in grado di dare lo stesso servizio dell'ente pubblico ad un prezzo economicamente vantaggioso. Di tutto ciò che facciamo la cosa che alla fine commuove di più e interessa di più me è che fra tanta gente che lavora con noi, con cui ci si trova a lavare i piatti insieme, a fare il cameriere insieme, qualcuno resta affascinato dall'esperienza cristiana e si converte. Tutto quello che facciamo in qualche modo è in funzione di questo e quando ci accorgiamo che questa cosa accade sia per il ragazzo che viene dalla borgata che per il professionista che invece viene a lavorare con noi per motivi unicamente economici rimaniamo colpiti; insomma, questa è la cosa che più mi interessa e mi affascina.
A. Sansabini
Sono Presidente della coop. "Domus" di Forlì. La cooperativa opera nel campo dell'assistenza ed è nata da un corso di formazione per assistenti di base. La costituzione, avvenuta a Forlì nel maggio '82, è stata l'occasione per dare risposta al nostro bisogno d’occupazione in un settore verso cui ci sentivamo portati dalla sensibilità che esperienze giovanili di volontariato all'interno del mondo cattolico avevano maturato in noi. Ci siamo proposti quindi agli enti pubblici partecipando ad appalti per assistenza di base agli anziani e ai dimessi dell'ospedale psichiatrico. Abbiamo incontrato notevoli difficoltà ad affermarci, in una regione a composizione ideologica diversa dalla nostra; ci ha sempre sostenuto però la coscienza di essere un soggetto paritario rispetto all'ente pubblico, in quanto in grado di offrire un servizio adeguato al bisogno della gente. In questi anni abbiamo avuto un notevole ampliamento di servizio: oggi offriamo assistenza a domicilio a circa 100 persone fra anziani e dimessi dall'ospedale psichiatrico ed abbiamo la gestione totale di una casa protetta per anziani nel comune di Modigliana che ospita trentasei ospiti. Il lavoro ce lo siamo costruito giorno dopo giorno e le difficoltà che abbiamo incontrato, i problemi, ci hanno costretto tutti insieme ad un dialogo serrato ed ad una quotidianità stringente fra noi. All'interno di questa compagnia è maturata nel tempo la coscienza che il nostro fare non è solo la risposta ad un bisogno sociale, per quanto grande questo sia, ma è l'espressione di quello che siamo e di quello che abbiamo incontrato; il lavoro è diventato quindi l'occasione in cui rischiare la nostra fede adulta e la "Domus" non è solo oggi una struttura imprenditoriale - quest'anno facciamo un fatturato di circa un miliardo - ma un'opera di solidarietà sociale espressione di persone capaci di accogliere e di condividere appieno i bisogni che incontrano. A questo punto è diventato urgente il bisogno di un riferimento costante con cui confrontare l'esperienza; l'incontro con gli amici della Compagnia delle Opere ci ha aiutato a rendere esplicita l'intuizione iniziale e ci ha chiarito il cammino da percorrere. Il frutto di questo incontro che è continuato nel tempo ci ha reso più amici con la gente che lavora con noi, nella condivisione della loro quotidianità e dei loro problemi non solo sul lavoro e quindi ci siamo sentiti più prossimi anche rispetto alle persone alle quali offriamo assistenza. Siamo consapevoli che siamo in un cammino difficile e che la nostra responsabilità diventa ogni giorno più grande. Ci sostiene la certezza e l'orgoglio d’essere parte della costruzione di questa compagnia grande.
R. Fazio:
Siccome Serrastretta non è Roma devo un po' spiegarvi dove è. Si trova all'inizio della Sila, in Calabria, in provincia di Catanzaro. La motivazione per cui abbiamo costruito questa nostra azienda, che produce sedie, è stata quella di voler costruire qualcosa di bello, di giusto e di buono per noi stessi. Per noi era giusto, bello e buono non dovere emigrare come hanno fatto la maggior parte dei nostri coetanei, ed era altrettanto bello, giusto e doveroso non vendere la propria vita ai politici, ai potenti del posto. Sicuramente la cosa più dolorosa in questa storia è stato il fatto che, avendo voluto prendere le distanze dal potere, questo ha cercato di tagliarci i viveri. Per i primi impianti, per esempio, ci hanno dato i finanziamenti dopo cinque anni, vale a dire dopo che ci eravamo già dissanguati per pagare gli interessi alle banche; quelle stesse banche che comunque non è che siano state di manica larga, perché non ci hanno neanche ultimamente voluto finanziare la possibilità di ampliare il capannone, neanche a pagargli i soldi al 22-23%: e’ quella stessa famosa banca di cui ognuno di voi ha sentito parlare, la Cassa di Risparmio che ha regalato i soldi alla Ionica-Agrumi e a noi non ha dato neppure quel poco che ci sarebbe bastato. Con molto poco potevamo realizzare dei posti di lavoro e migliorare l'azienda che sta andando avanti tra mille difficoltà. Questo è stato possibile ultimamente soltanto grazie all'incontro con la Compagnia delle Opere che ci è stata d’aiuto e di sostegno sia in termini finanziari, sia in termini d’incontro con persone che ci stanno dando delle indicazioni e delle possibilità per far sì che la nostra azienda possa diventare competitiva. (...)
Racconto queste cose soltanto per dire come il potere ti interroga soltanto quando ha bisogno. Voglio fare un esempio: a Catanzaro c'è una famosa Fiera, quella di S. Lorenzo, dicevano di voler recuperare appunto alcuni lavori tradizionali, quindi sono venuti a Serrastretta a cercare una persona che stesse lì nello stand un settimana a dimostrare come si impaglia una sedia a mano. Dico: "Come! Noi quando eravamo venuti a chiedere di fare qualcosa perché sia vendibile questo prodotto, quando siamo venuti a dirvi c'è questa tradizione, vediamo di poter continuare questo lavoro, ci avete tagliato le porte. Adesso venite a cercarmi perché avete bisogno di qualcuno che vi faccia lo spettacolino".Noi chiaramente ci siamo scontrati con questa logica, perché non è quella in cui crediamo. Il potere non può chiederci di essere al suo servizio, come diceva molto meglio di come tento di dirlo io Formigoni.
Io comunque nel dire queste cose ho una grande speranza che è questa: la Compagnia delle Opere ci ha aperto un orizzonte molto più grande, l'appartenere a questa Compagnia per noi significa che attraverso questo lavoro possiamo fare in questo particolare l'esperienza della salvezza, cioè dell'universale. Per noi, aver scelto il nome di "Annunziata", quando abbiamo cominciato e ancora oggi, significa potere annunciare qualcosa di nuovo, che è possibile, in una regione povera disgraziata come la nostra, una salvezza.
G. Cioni
Sono il Presidente del Consorzio dello Spettacolo, un'opera nata nel 1980 che coordina l'attività d’alcune cooperative di gruppi impegnati nei diversi settori dello spettacolo. L'idea che ha generato quest'opera è nata dall'esigenza, che accomunava alcuni artisti e gruppi espressivi, di realizzare una scelta professionale nel campo dello spettacolo che favorisse lo sviluppo dell'esperienza umana originata dalla fede. Ci trovavamo e ci troviamo tuttora di fronte ad una mentalità dilagante, di fronte ad un potere che ha voluto creare lo spettacolo com’effimero, come immensa agenzia che gestisce lo svago o l'evasione. E d'altro canto molti di noi suonavano, volevano diventare artisti, avevano alcune passioni che coltivavano quasi segretamente. A partire da questo desiderio, da queste poche iniziali capacità, abbiamo cominciato una sfida proponendo un lavoro comune, aggregandoci, unendoci, pensando a forme diverse, immaginando e creando con fantasia un'immagine diversa che potesse dare anche pieno e totale sviluppo al nostro lavoro artistico. Concretamente cosa abbiamo fatto: il Consorzio dello Spettacolo ha cominciato a sviluppare un lavoro insieme, un cammino comune e a creare alcune aree, alcuni settori d’interesse specifico. Abbiamo messo insieme un apparato amministrativo che potesse curare il corretto andamento economico-finanziario delle varie opere che si aggregavano; abbiamo cominciato a creare un centro organizzativo che favorisse la distribuzione degli spettacoli, un problema che molti avevano, avevano magari delle cose belle e non riuscivano a farle vedere in giro, abbiamo cominciato a creare una ragnatela, proprio una mappa di rapporti con coloro che nelle varie città, nei vari quartieri, nei vari paesi, programmavano le attività culturali, proponendo loro queste iniziative.
Abbiamo inoltre realizzato anche un ufficio stampa e pubbliche relazioni che favorisse la conoscenza e il lavoro delle compagnie che mano a mano si andavano aggregando. Da ultimo una segreteria generale, che accogliesse le domande che man mano arrivavano procedendo ad un lavoro nei vari settori, nel settore della prosa, nel settore del teatro per i ragazzi, delle clownerie, della musica o in altre forme di spettacolo. ( ...)
Abbiamo voluto fare uno sforzo di fantasia: immaginarsi forme artistiche, forme organizzativi che potessero reggere il confronto alla pari con altre opere inserite nel nostro settore. Tanto è vero che abbiamo voluto dare particolare attenzione oltre che al livello organizzativo, proprio al livello artistico, creando una specie di terreno comune di lavoro tra artisti, musicisti, grossi personaggi e giovani che volevano iniziare questo cammino, una specie di laboratorio comune che creasse e generasse nuove idee. Amici grandi, amici importanti, personaggi come Testori, Zanussi, Franco Branciaroli, solo per citarne alcuni, hanno condiviso, hanno aiutato, hanno stimolato questo lavoro di riflessione, addirittura si sono aggregati a noi e hanno fatto diventare il loro lavoro il nostro stesso lavoro.
Chiudo dicendo una cosa, ringraziamo veramente di cuore la Compagnia delle Opere per questo unico, fondamentale, insostituibile punto di riferimento.
G. Debellini
Qualche dato sulla coop. "Sacchetti", di cui sono il presidente. Facciamo dieci anni quest'anno; 200 persone vi lavorano tutto l'anno e 400 stagionali d'estate. Qualcosa come 100 mila presenze negli alberghi: abbiamo aperto località come Corvara, Campiglio e altri grossi centri del turismo estivo montano a delle aree di giovani e famiglie a reddito medio basso che altrimenti non avrebbero mai potuto gustare la bellezza delle dolomiti, con prezzi che vanno dalle venti alle trentamila lire. Tutto è iniziato in un piccolo rifugio 10 anni fa, dove sono andato con la moglie e qualche amico per scherzo: abbiamo iniziato con una decina di alberghi e una agenzia viaggi ma da questa sorgente dal turismo poi pian piano è nato un grande impegno nella nostra città, Padova, e anche nel Veneto in altri campi. Soprattutto è nato un grande impegno sociale che ci ha portato ad aprire spazi per i giovani: ecco la nascita di due grossi pensionati universitari, ecco una battaglia per la mensa Murialdo a Padova, un anno di lotte con tutti contro, soprattutto il sindacato, mentre cinquemila studenti volevano questo servizio. Poi iniziative che vanno dalle mense ai pensionati, alle scuole. La stessa "Sacchetti" è diventata una vera e propria scuola lavoro. Una scuola che è partita da poche cose: degli uomini che si fanno su le maniche, una grande idea in testa e una grande compagnia, un mettersi insieme su questo. Tanti amici che a partire dall'entusiasmo per questo incontro hanno iniziato in vari campi - dove c'era una risorsa umana, dove c'era un valore umano, una idea e una compagnia che la potesse far vivere - le più vaste attività, dal turismo alle iniziative sociali, dalla distribuzione all'artigianato.