martedì 28 agosto, ore 11
LE SETTE: UNA SFIDA AL CRISTIANESIMO
Incontro con:
SUA ECC. MONS. GIUSEPPE CASALE
Arcivescovo di Foggia-Bovino
MASSIMO INTROVIGNE
Direttore del Centro Studi Nuove Religioni (CESNUR)
Sua Ecc. Mons Karl Josef Romer
Vescovo Ausiliare di Rio De Janeiro
Modera:
Filippo Santoro
F. Santoro:
Buon giorno a tutti. Nella nostra società dominata da una razionalità tecnologica, dalla scienza, non s’incontra una risposta piena al desiderio di altro che ci costituisce. Una delle risposte, dei tentativi per dare una soluzione a quest'impeto, a quest’anelito d'altro, è costituita dal fenomeno delle sette. Non è appena un problema che riguarda situazioni lontane, riguarda l’Italia, l’Europa, riguarda, è chiaro, in forma massiccia l’America Latina, il Brasile, luogo nel quale anch’io svolgo la mia attività pastorale. Il fenomeno si presenta in termini impressionanti, registra un’avanzata impressionante anche nel campo politico, ma soprattutto negli spazi di religiosità che le sette occupano sottraendoli alle forme tradizionali legate al cristianesimo. Cedo ora la parola al professor Massimo Introvigne, autore di sei volumi, e altri due usciranno in occasione del prossimo Natale, sulle nuove religioni, sullo spiritismo, sui nuovi movimenti gnostici e religiosi.
M. Introvigne:
Sul numero d’agosto-settembre 1990 dei mensili 30 giorni - dove è apparso qualche mio articolo in tema di nuove religioni - ho trovato una lettera al direttore di un lettore di Milano che si dichiara perplesso per "gli scritti del sig. Introvigne, il cui interesse per le sette pare un po’ eccessivo, se non singolare". La reazione del lettore non mi ha per niente stupito: amici e colleghi - per non dire mia moglie - mi chiedono spesso se davvero valga la pena di dedicare giorni e mesi di ricerche in biblioteca, di viaggi alla scoperta d’archivi nei luoghi più impensati, di vita trascorsa in comune con membri di gruppi le cui idee non potrebbero essere più lontane dalle mie, di fronte ad un fenomeno che in fondo, si dice, rappresenta al più una curiosità, una sorta di nota a pie' di pagina rispetto ai problemi seri che caratterizzano il rapporto tra la religione e il mondo contemporaneo. In realtà, tuttavia, non è proprio così: si valuta che la "nuova religiosità" -nelle sue varie manifestazioni - coinvolga da 300 a 400 milioni di persone nel mondo. Di fronte alle cifre che riguardano anche soltanto la crescita mondiale d’alcuni movimenti (oltre dieci milioni d’aderenti alla Soka Gakkai giapponese, nove milioni di Testimoni di Geova, sette milioni di Mormoni), qualcuno potrebbe persino rovesciare il discorso e ritenere che il fenomeno più sorprendente sia il disinteresse che per lunghi anni ha dominato vasti settori delle Chiese e comunità cristiane maggioritarie di fronte ad un’avanzata che non è certo cominciata soltanto ieri. I limiti che mi sono stati assegnati mi permettono soltanto di proporre una sorta d’indice di un'ideale inchiesta sul nostro tema, delineando lo scenario, i protagonisti e la trama della rappresentazione - per molti versi "sacra", anche se si dovrà poi precisare di quale sacro si tratti - costituita dalla nuova religiosità contemporanea. Lo scenario: e’ diventato quasi un luogo comune mettere in rapporto la crescita delle nuove religioni con il fenomeno della secolarizzazione. In realtà la parola "secolarizzazione" ormai non è più univoca e assume una pluralità di significati diversi nelle varie teorie che se ne sono occupate. Dal nostro punto di vista una delle teorie più interessanti mi sembra quella di Bryan Wilson che vede nella secolarizzazione non tanto una riduzione quantitativa della presenza della religione, ma una sua modifica qualitativa: da fatto pubblico o con forte rilevanza pubblica a fatto privato. Secolarizzazione, in questo contesto, significa soprattutto privatizzazione della religione. In un contesto più filosofico e meno sociologico anche Augusto Del Noce aveva osservato - nel suo Il problema dell’ateismo - che la secolarizzazione non è solo "espansione dell’ateismo" ma anche l’emergere di "nuove forme di mitologismo" che si presentano come mitologie private in quanto non più fondate su forme almeno presunte di consenso diffuso verso una verità. Quali che siano i termini in cui la si presenta, sembra innegabile il fatto che stiamo assistendo ad una grande riduzione del fatto religioso a fatto privato, non più vissuto nella coralità di un’esperienza di popolo o di comunità, ma scelto dal singolo all’interno di una selva di proposte religiose concorrenti che ha evocato in più di un osservatore l’immagine del supermercato. Nascono così quelle che il sociologo inglese Paul Heelas ha chiamato "auto-religioni": versioni religiose della diffusa moda del "bricolage" o del "fai da te" al cui servizio operano organizzazioni che non propongono solo modelli strutturati e "chiusi" di religione ma piuttosto offrono elementi e strumenti perché ciascuno si costruisca, in seguito, a casa sua, una religione su misura. La Scientologia, per esempio, per alcuni è davvero una "nuova religione" abbracciata come sistema chiuso e totalizzante; per altri (che sfogliano i suoi cataloghi e acquistano di tanto in tanto qualche libro o qualche corso, senza mai aderire al movimento) è soprattutto un luogo dove comprare (a prezzi, tra l’altro, elevati) "mattoni" con cui costruire la propria "auto-religione" personale. Una seconda quinta del nostro scenario è costituita dal disagio di fronte alla moderna società complessa e al pluralismo di sistemi informativo-normativi che ci colpiscono con impulsi che si presentano a tutti come a loro modo autorevoli, ma che trasmettono messaggi contraddittori. Questi sistemi non sono più solo quelli classici: lo Stato, una Chiesa maggioritaria, una cultura dominante; non solo si deve parlare di religioni e di culture al plurale, ma si presentano come sistemi informativo-normativi (talora sui generis) anche, per esempio, la pubblicità, la moda, lo sport, per non parlare delle sotto-culture aberranti (ma non irrilevanti) come la droga o la criminalità organizzata. Anche qui il tema è tanto noto da apparire scontato. Ma è interessante osservare come il disagio di fronte alla società complessa renda più difficile vivere il rapporto fra Chiesa (o comunque religione) e società nei termini precisi che derivano dalla logica stessa dell’Incarnazione che invita ad essere nel mondo e non già del mondo (mentre, paradossalmente, proprio questa logica potrebbe rivelarsi un potente fattore d’equilibrio per il cittadino perplesso della società complessa: ma questo è un discorso che ci porterebbe già dalla diagnosi alla terapia). Sul piano della religiosità il disagio assumerà normalmente tre principali profili. La fuga verso "isole" protette e semplificate, che rifiutano la complessità e in cui per non essere del mondo si rinuncia ad essere nel mondo. Il fenomeno ha la sua evidenza fisica quando i gruppi della nuova religiosità vanno a costituire isole di vita comunitaria materialmente lontane dalla "grande società": dagli Shakers dei secoli passati fino ai villaggi "acquariani" e a comunità come Damanhur (peraltro costrette ad ampie interrelazioni con la società circostante: ma questo in realtà è sempre avvenuto) nell’Italia dei nostri giorni. La "separatezza" tuttavia non è necessariamente fisica; può essere anche psicologica attraverso una pedagogia che educhi sistematicamente al rifiuto d’ogni contatto con la società malvagia e votata alla dannazione, se non allo scopo di convertire chi ha la sfortuna di farne parte: è il caso, tipicamente, dei Testimoni di Geova. Al contrario, c’è chi anziché rifiutare vorrebbe accettare acriticamente e in blocco la società complessa, chi è lieto di essere del mondo e non solo nel mondo, chi tenta di allargare idealmente le braccia per ricomprendere tutto dimenticando le contraddizioni Di qui il successo del sincretismo come categoria culturale, e di gruppi religiosi che si propongono "purificazione di tutte le religioni mondiali" perché tutte in fondo sono vere e le loro divergenze sono dovute ad equivoci superati; da un gruppo più antico come i Baha’i fino ai seguaci del reverendo Moon o di Sathya Sai Babas. Naturalmente - giacché le divergenze fra le grandi religioni storiche sono ben lungi dall’essere solo apparenti - la loro "unificazione" ("Chiesa dell’Unificazione" si chiama appunto l’organizzazione del reverendo Moon) potrà avvenire solo intorno non a una dottrina ma a un insieme di simboli e a una figura carismatica di maestro o messia o guru ritenuto capace di assumere e superare in sé le contraddizioni. Una reazione simile di fronte alla società complessa mostrano i ruppi (che Roy Wallis ha chiamato "world affirming new religions") che anziché criticare la moderna società tecnologica si presentano come la sua unica interpretazione adeguata in chiave religiosa o, più esattamente, in chiave di presunta riconciliazione fra religione e scienza (in questa categoria rientrano la Scientologia e i più articolati fra i cosiddetti "culti dei dischi volanti" come il Movimento Raeliano, una "religione atea" che spiega l’uomo come una creazione in laboratorio degli extraterrestri). Una terza reazione al dilemma della società complessa (più diffusa di quanto si creda) è la "scelta di non scegliere", l’atteggiamento del "seeker" (una figura già comune nella società anglosassone dei secoli scorsi che secondo alcuni storici ha giocato un ruolo nella nascita di fenomeni come il Mormonismo), del giovane (e talora molto giovane) "in ricerca" che passa da un gruppo all’altro, da una religione all'altra, sempre sostanzialmente insoddisfatto. I numerosi "seekers" costituiscono una vera e propria sottocultura, il cosiddetto "cultic-milieu" (l’ambiente dei culti), da cui nascono continuamente nuovi movimenti religiosi e in cui, per così dire, sprofondano anche i detriti dei tanti piccoli movimenti che falliscono o si sciolgono, i cui detriti saranno subito riutilizzati dal "milieu" per nuove esperienze e nuove proposte. E questo spiega la continua vitalità della scena della "nuova religiosità" e insieme la difficoltà di fissarla in una sorta di fotografia, giacché appunto continuamente muta. I protagonisti: sullo scenario che ho cercato di descrivere si muovono tanto numerosi da rendere impossibile perfino una loro classificazione esauriente: in Italia il CESNUR è a conoscenza di circa trecento gruppi della "nuova religiosità" di qualche consistenza; nel mondo, secondo le stime più attendibili, sono oltre diecimila, se si esclude però l’Africa, fecondissima soprattutto di nuove sette cristiane contate già in oltre seimila nel 1968 dallo specialista David Barrett ed oggi valutate intorno alle diecimila senza contare quelle importate da altri continenti (e oggi le più grandi "Chiese africane indipendenti" cominciano ad aprire missioni in Europa al seguito degli immigrati).Una serie di nomi e di cifre sarebbe probabilmente in questa sede poco interessante; ma occorre dare almeno un cenno a quattro principali attori che sembrano dominare la scena della nuova religiosità:
Va anzitutto segnalata l’esplosione del nuovo protestantesimo evangelico e pentecostale che gli specialisti considerano ancora protestante nelle linee di fondo dottrinali (perciò molti suggeriscono di evitare di parlare a questo proposito di "sette", anche se il termine ricorre in documenti episcopali latino-americani), ma che si differenzia dal protestantesimo "ecumenico" delle denominazioni "classiche" raccolte nel Consiglio Ecumenico delle Chiese per un più accentuato letteralismo biblico, un’attenzione ai temi apocalittici e miracolosi (dai riti di guarigione al "dono delle lingue"), un atteggiamento più riservato nei confronti dell’ecumenismo (con punte d’aggressività anticattolica in alcuni gruppi), un proselitismo spesso aggressivo, in genere (ma le eccezioni non mancano) una posizione politica più conservatrice. L’America Latina (con circa trenta milioni di aderenti) è un immenso laboratorio, insieme con le Filippine, alla Corea, a certi paesi dell’Africa, di un gigantesco sforzo missionario spesso a spese dei cattolici; ma la situazione si va lentamente riproducendo in altre aree geografiche (i pentecostali delle Assemblee di Dio - sedici milioni nel mondo - contano già centomila seguaci in Italia). Al servizio soprattutto delle denominazioni evangeliche e pentecostali si collocano le cosiddette "parachiese" servizi missionari evangelici "non denominazionali" (che spesso fanno capo a predicatori televisivi di grido) che svolgono una propaganda generica a favore di un "cristianesimo evangelico", invitando quindi chi li ascolta ad aderire ad una denominazione cristiana di sua scelta, purché "fedele alla Bibbia". Alcune parachiese (come la Fraternità internazionale degli uomini d’affari del pieno Vangelo, fondata dal miliardario pentecostale californiano Demos Shakarian) cercano la collaborazione anche con i cattolici, - mentre altre sono apertamente anticattoliche - ma vari vescovi, soprattutto in America Latina, hanno espresso riserve, in quanto le parachiese si sono spesso rilevate uno strumento di grande efficacia per trasbordare cattolici, attirati inizialmente dal loro carattere "non denominazionale", verso gruppi protestanti. Un’analisi insufficiente del fenomeno delle parachiese, spesso scambiate a torto per nuovi gruppi protestanti o "sette", è spesso responsabile di seri errori nella pastorale che deve fare fronte al proselitismo di gruppi evangelici, specie in America Latina. Più conosciute sono le sette nel senso proprio del termine: gruppi che rivendicano un'origine cristiana ma che certamente non rientrano da un punto di vista dottrinale in nessuna delle possibili linee di sviluppo del Protestantesimo, come i Testimoni di Geova, i Mormoni o la Chiesa Neo-Apostolica d’origine tedesca (quest'ultima con sede centrale oggi a Zurigo, costituisce un fenomeno internazionale da non sottovalutare con circa tre milioni di seguaci nel mondo).L’espansione di questi gruppi, noti per il loro grande zelo propagandistico, sembra avere raggiunto il suo culmine negli anni Ottanta (quando tra l’altro - secondo uno dei vari modi possibili di interpretare le controverse statistiche sul tema – l’Italia sarebbe diventato il paese del mondo con il maggior numero percentuale di Testimoni di Geova in relazione al numero degli abitanti); si era previsto un rallentamento, non la fine, della loro crescita per gli anni Novanta. Su scala internazionale, questi gruppi tuttavia contano molto sulle possibilità che la libertà religiosa apre nell’Europa dell’Est, dove stanno facendo confluire in modo massiccio uomini e fondi. I gruppi d’origine orientale sono giudicati spesso in declino, e questo è certamente vero per quelli d’origine indiana: coloriti nei gesti e nell'abbigliamento, Hare Krishna, "arancioni" di Rajneesh e altri gruppi hanno spesso attirato una particolare attenzione della stampa, ma la loro consistenza numerica è stata spesso sopravvalutata (In Italia sembra che nessun gruppo d’origine indiana abbia mai veramente superato il migliaio di seguaci). Sono però necessarie due precisazioni. In primo luogo i gruppi neo-orientali (ridotti quanto al numero di fedeli veri e propri) hanno avuto un'influenza "culturale" su una cerchia molto più larga della popolazione occidentale, contribuendo per esempio alla larghissima diffusione della credenza della reincarnazione (condivisa, secondo alcune inchieste, da un inglese su tre, uno svizzero su quattro, un italiano su cinque: e fra questi ci sono molti cristiani), mostrano bene come la nuova religiosità coinvolga molte più persone di quante non aderiscano formalmente alle nuove religioni. In secondo luogo non va trascurata la crescita delle nuove religioni giapponesi, di cui si parla assai meno (spesso hanno un vero e proprio culto del "profilo basso" e cercano di attirare il meno possibile l'attenzione della stampa) ma che costituiscono le nuove religioni che vantano oggi nel mondo il maggior numero di seguaci. In Italia la Soka Gakkai, d’origine buddista, e Sukyo Mahikari, un movimento sincretistico su base shintoista, hanno entrambi diverse migliaia di seguaci (più di qualunque gruppo indiano, anche se sono molto meno conosciuti). Infine un quarto "attore" sulla scena della nuova religiosità è costituito dai nuovi "movimenti magici", una categoria nuova in quanto organizza l'interesse per la magia, lo spiritismo, il satanismo che è, di suo, antico, in forme strutturate e organiche simili a quelle dei nuovi movimenti religiosi. Nel mio recente volume Il cappello del mago ho censito oltre duecento movimenti di questo genere, alcuni di dimensioni notevoli (migliaia e anche decine di migliaia di seguaci, come il Movimento Gnostico fondato dal colombiano Samael Aun Weor) e molti presenti anche in Italia. Se si volesse cogliere il significato culturale di queste tendenze (che si accompagnano ad un più generale boom dell'occulto, dei maghi, dei guaritori, degli astrologi, ma insieme se ne differenziano proprio perché si esprimono in movimenti formalmente organizzati) si dovrebbe parlare di un crescente interesse per temi di tipo dichiaratamente gnostico con riferimenti sempre più spesso espliciti, e non solo impliciti, agli gnostici antichi. Il discorso ci porterebbe lontano: tanto lontano, forse, da spingere a chiedersi se, dopo la fine del marxismo, temi gnostici non rischino di ricomparire anche nel pensiero teologico nato all’interno delle chiese maggioritarie, più influenzato da un certo clima filosofico e culturale (penso, tanto non per fare nomi, "all’etica mondiale" dell'ultimo volume pubblicato in Germania da Hans Kung. La trama. Cercare di individuare una trama nel dipanarsi delle nuove religiosità nella storia moderna potrà apparire semplicistico se non presuntuoso. Tuttavia penso valga la pena di prendere in considerazione un'ipotesi che vede nel progressivo emergere di "ondate" diverse di forme di nuova religiosità un processo di progressivo rifiuto degli elementi caratterizzanti della visione cristiana del cosmo e della storia, articolata (per seguire uno schema ispirato dalla Reconciliatio et paenitentia di Giovanni Paolo 11) in cinque elementi fondamentali: il mondo, il cosmos, che ha una dimensione sacra e a suo modo misteriosa che ne svela il carattere creato;
Il senso religioso (un tema particolarmente approfondito da Mons. Luigi Giussani), che sorge nell’uomo come domanda di fronte al mistero del mondo e della stessa esistenza umana; Dio, come risposta adeguata alla domanda dell'uomo; Cristo, come via necessaria perché l'uomo, nonostante il peccato, incontri in Dio la risposta alla sua domanda; La Chiesa, come luogo che permette e garantisce l’incontro con Cristo. In un processo in cui questi elementi vengono progressivamente negati, possiamo distinguere, certo semplificando un quadro assai più complesso, quattro tappe fondamentali: rifiuto della Chiesa ("Cristo sì, Chiesa no", secondo una formula famosa) in una corrente che, è importante notarlo, rifiuta anche la linea dei padri della Riforma, ritenendo (in collegamento con quella "Riforma radicale" che già si opponeva violentemente a Lutero) che la Chiesa sia così corrotta che non sia più possibile riformarla ma solo rifondarla; da questa rifondazione potranno emergere sia nuove organizzazioni gerarchiche e rigide (come i Testimoni di Geova o i Mormoni), sia comunità fluide e poco organizzate: ma si tratterà sempre di gruppi che vedono nella storia una separazione e una rottura (per cui si può parlare di "sette") e non una continuità, sia pure mediata da una riforma, con quanto era esistito precedentemente. Rifiuto del ruolo unico del Cristo ("Dio sì, Cristo no"): una ricerca, in altre parole, d’alternative non solo alla Chiesa Cattolica ma allo stesso cristianesimo, considerato incompatibile con il mondo moderno. Questa ricerca nasce (come ha mostrato per primo agli inizi del nostro secolo uno storico marxista, Albert Mathiez) con una certa ala della Rivoluzione francese, durante la quale nasce l’espressione stessa "nuove religioni , che non negheranno sempre un ruolo dei Cristo (lo vedranno, per esempio, come uno dei vari maestri di pace e d’amore dell’umanità), ma negheranno in ogni caso la sua unicità. Rifiuto del ruolo di Dio: "religione sì, Dio no", formula apparentemente contraddittoria, ma che caratterizza tutta una famiglia di nuove "religioni" contemporanee (di cui talora si nega appunto, e per questo, la natura di religioni) che propongono un sistema articolato di rapporti fra l’uomo, il mondo, il sacro - talora inventato più che ricavato da tradizioni precedenti - dove Dio però o viene negato (come nella citata "religione atea" raeliana) o svolge un ruolo secondario e quasi insignificante (come nella Scientologia e in molti gruppi del cosiddetto New Age). Rifiuto del ruolo della religione: "sacro sì, religione no" La formula, questa volta, non deve sorprendere se si considera che un rapporto con il sacro alternativo alla religione, per acquisirla, magia, intesa come manipolazione del sacro e i poteri (mentre l’uomo religioso si pone piuttosto in ascolto riverente del sacro, in atteggiamento di gratuità), esiste fin dai primordi dell’umanità, anche se, come si è accennato, solo in epoca relativa mente recente diventa un fenomeno organizzato nei "nuovi movimenti magici". Si potrebbe immaginare, naturalmente, anche una quinta tappa: la preclusione totale il e preconcetta, come aggressione o come indifferenza, nei confronti del sacro. Ma in questo caso si tratterebbe di un atteggiamento ideologico allo stato puro che cadrebbe fuori non solo dalla "vecchia", ma anche dalla "nuova religiosità". Questo atteggiamento si trova talora in qualche gruppo che ha qualche cosa a che fare con la nuova religiosità: in alcuni fra i più estremi dei cosiddetti "movimenti anti-sette" di origine laicista che, con il pretesto di attaccare le "sette" come fenomeni patologici, propongono in realtà un riduzionismo che medicalizza la religione, o almeno ogni forma di esperienza religiosa più intensa del consueto, riducendola a malattia. E’ anche questo pericolo va segnalato.
F. Santoro:
Ringraziamo il professor Introvigne perché non ci ha fatto solo una fotografia del vasto mondo delle sette, ma è entrato nel merito del giudizio di questo fenomeno. Su questo ci aiuteranno gli altri due relatori che, oltre ad essere studiosi della materia, sono anche pastori. Do la parola adesso a Monsignor Casale, Presidente e fondatore del CESNUR, che unisce all’attenzione critica e puntuale su questi fenomeni, la sua cura, la sua preoccupazione di pastore, di Arcivescovo di una diocesi importante del sud
Sua Ecc. Mons. G. Casale:
Le notazioni del dottor Introvigne ci hanno fatto comprendere che il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi merita molto più di una superficiale e occasionale attenzione, sull’onda di servizi giornalistici miranti a mettere in rilievo gli aspetti sensazionali di tali esperienze. La stessa azione pastorale non può limitarsi a registrare la pericolosità di alcuni nuovi movimenti religiosi e a respingerne il proselitismo. Nel recente messaggio per la "Giornata Mondiale delle Migrazioni", apparso sull’Osservatore Romano del quindici Agosto scorso, Giovanni Paolo II non si limita a mettere in guardia contro il pericolo rappresentato dal fanatismo e dallo zelo aggressivo d’alcune sette, ma traccia alcune linee interpretative del complesso fenomeno, facendo comprendere l’importanza di un serio studio scientifico, come premessa e sostegno per un serio impegno pastorale. Con questa finalità un gruppo di studiosi ha cominciato a lavorare insieme, dando vita al Centro Studi sulle Nuove Religioni che è una istituzione molto giovane: fondato nel 1988, è appena al suo terzo anno di vita. E’ un luogo che unisce insieme non solo studiosi cattolici, ma anche protestanti e ortodossi e che, senza sostituirsi alle numerose organizzazioni che si occupano dei problema a livello pastorale, vuole piuttosto fornire un supporto, una documentazione, un continuo aggiornamento su due livelli: un livello di seminari di studio, riservato ad esperti, e un livello più divulgativo. Di questi ultimi incontri abbiamo già pubblicato due volumi (il primo sui nuovi movimenti religiosi e l’altro sullo spiritismo), che rappresentano una nuova base di informazione scientifica. Come ho già accennato, lo scopo statutario del CESNUR consiste nel raccogliere dati e nel mettere in comune esperienze e ricerche nel settore delle nuove religioni, senza entrare direttamente sul terreno delle proposte e degli interventi di tipo pastorale. Noi riteniamo tuttavia che un’esperienza di rigorosa ricerca scientifica, condotta insieme da studiosi cattolici e non cattolici, sia una premessa indispensabile e favorisca le condizioni migliori per un autentico approccio pastorale. Come Giovanni Paolo II ricorda continuamente, la professionalità e l’amore per la verità da parte dello studioso e del ricercatore, costituiscono dei valori, connotano un orizzonte già denso di eticità in cui potranno fiorire valutazioni serene e un vero dialogo. Fatte queste brevi premesse, vorrei entrare nel tema specifico che mi sono proposto di presentare a voi: quale è l’atteggiamento da assumere di fronte alle nuove religioni? Senza cadere in facili irenismi e senza cedere ad isterismi allarmanti, la Chiesa, talora con toni diversi a seconda dei punti di vista e delle varie responsabilità gerarchiche di coloro che si sono espressi, ha ricordato insieme i due atteggiamenti di fondo sui quali voglio dire brevemente qualcosa: l’atteggiamento della vigilanza e l’atteggiamento del dialogo. Innanzitutto le ragioni della vigilanza. Per una serie di ragioni che peraltro ci proponiamo di esaminare in maniera più approfondita nel prossimo seminario del CESNUR che terremo l’anno prossimo in California, il cosiddetto "movimento contro le sette", o "movimento anticulti", è nato particolarmente negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia, non da ambienti cristiani (e particolarmente non da ambienti cattolici), ma piuttosto da persone impregnate di mentalità laicista. Le sette o i culti sono stati attaccati non per la loro opposizione alla logica cristiana dell’Incarnazione e della Grazia, ma piuttosto per la loro opposizione ad un modello di modernità che rifiuta e censura le esperienze religiose troppo "forti", bollandole come fanatismi. Il moderno movimento anticulti, come dichiarano continuamente i suoi esponenti di maggiore spicco, non si preoccupa tanto delle dottrine, quanto della pratica, non vuole discutere sulle dottrine, vuole semplicemente compilare elenchi di pratiche nocive, (dal cosiddetto lavaggio del cervello, nozione
peraltro molto ambigua e difficile da definire, alle violazioni delle leggi fiscali) che poi chiederà agli Stati di vietare. Il modello di critica del movimento anticulti non è dunque qualitativo, ma quantitativo, non distingue fra tipi diversi di esperienze religiose, ma pretende, atteggiamento pericolosissimo, di misurare la loro intensità. Quando un’esperienza religiosa è troppo intensa, si afferma, rischia di diventare nociva alla integrità psichica e all’ordine pubblico e deve essere regolamentata, se non vietata. Molte osservazioni del movimento antisette di origine laicista, prendono certamente lo spunto da abusi reali delle nuove religioni che noi cattolici non neghiamo indubbiamente. Però, come cattolici, noi non possiamo neppure accettare la visione positivista dell’esperienza religiosa che i movimenti anticulti di origine europea e nordamericana, (un discorso diverso si dovrebbe fare per l’America Latina), più o meno consapevolmente propongono. L’esperienza dell’uomo, e tanto più la sua esperienza religiosa, si dà, infatti, come un tutto e non può essere artificialmente divisa. Certamente il fine non giustifica i mezzi, ma non è possibile separare radicalmente il comportamento dalle dottrine, intensità e qualità, Grazia e natura. Se ci si chiude nel cerchio del positivismo, si potrà produrre una critica delle nuove religioni di notevole intensità verbale e densa di proposte apparentemente radicali, ma pericolosissime, specialmente quando devolvono allo Stato, allo Stato moderno, il giudizio su quali esperienze religiose siano o meno accettabili. Ma si tratterà sempre di una critica "debole", poco convincente nei confronti di chi è sedotto dalle nuove religioni, una critica esterna che per definizione si autoesclude dalla possibilità di "penetrare nel cuore" dell’esperienza religiosa vecchia o nuova che è di natura dottrinale. La vigilanza della Chiesa nei confronti degli aspetti negativi dei nuovi movimenti religiosi, deve distinguersi da questa critica debole di origine laicista e positivista, cercando invece di formulare una critica "forte", che vada alla radice degli errori delle nuove religioni, errori che sono essenzialmente di carattere dottrinale. L’errore principale che molte sette e nuove religioni manifestano, è appunto il rifiuto dello scandalo dell’Incarnazione con le sue conseguenze propriamente cristiane sul piano del perdono e della salvezza, della morte e della resurrezione in Cristo, della presenza e dell’Incarnazione nella storia attraverso una comunità. Il rifiuto della logica, insieme generosa ed esigente, dell’Incarnazione porta a sostituire la visione del mondo cristiano con dei meccanismi tramite i quali l’uomo è schiavo del destino e può riscattarsi solo attraverso una tecnica, una sorta di programmazione del suo futuro nel ciclo delle reincarnazioni. Ovvero - in movimenti di altro tipo – è attraverso una grande apocalisse che l’intollerabilità della condizione umana, privata di una presenza efficace della Grazia, farà percepire come imminente. Sta in questa critica forte, dottrinale, non nelle valutazioni quantitative sul numero di ore dedicate alla preghiera o alla meditazione, quello che distingue l’esperienza religiosa cristiana, (che non è una tecnica, come peraltro ha ricordato anche il recente documento della Congregazione per la Dottrina della fede sulla preghiera) dal tecnicismo talora esasperato con cui certe religioni impostano i problemi della vita spirituale. La stessa radice è presente nel cuore della distinzione tra l’autentica missione e il proselitismo in certe nuove religioni che (si pensi al caso tipico dei Testimoni di Geova) non si limitano a presentare la propria esperienza, ma attaccano anzitutto l’esperienza altrui, spesso purtroppo con toni violenti e diffamatori. Rifiutare l’idea della salvezza trasmessa nella storia attraverso la comunità e sostituirla con una pretesa di reinventare un rapporto con Dio a prescindere da qualunque tradizione, porta facilmente a non rispettare i diritti della comunità, delle comunità che da anni hanno sviluppato su un territorio specifico una propria cultura. E questa è la radice di certe violazioni, per esempio dell’identità nazionale e delle tradizioni popolari che si verificano specialmente in America Latina, dove sette e culti nati negli USA pretendono di "americanizzare" villaggi e nazioni da secoli cattolici. Si tratta di abusi che sono certamente denunziati dal movimento anticulti e che possono essere validamente criticati soltanto mostrandone, appunto, le radici dottrinali che sono più profonde di quanto la polemica spicciola potrebbe qualche volta supporre e che invitano ad una seria vigilanza. Se la vigilanza è fondata su una critica davvero forte non deve essere, tuttavia, sempre e pregiudizialmente rifiutato. Come per ogni dialogo interreligioso, ogni contatto, per essere fruttuoso, dovrà essere preceduto da un serio studio dei gruppi con cui ci si propone di dialogare, deve valutare i rischi sul piano pastorale, deve utilizzare ogni incontro innanzitutto come occasione per conoscere e farsi conoscere meglio, al di fuori da ogni pregiudiziale polemica, ma anche da ogni ambiguità. Non bisogna inoltre dimenticare che interlocutori del dialogo dovranno essere non solo i capi e i dirigenti, ma anche gli stessi fedeli o adepti delle nuove religioni che (quando è possibile, e purtroppo non sempre lo è) dovranno essere raggiunti almeno per mantenere un contatto che possa convincere chi ha lasciato la Chiesa della permanente e materna disponibilità di questa ad accoglierlo nuovamente quando ne maturino le condizioni. Vorrei infine aggiungere, sulla base della mia personale esperienza come presidente del CESNUR, che le sfere del dialogo sono molteplici. La Chiesa deve dialogare (talora) con i fedeli delle nuove religioni, deve anche approntare strumenti per dialogare con chi ha appena lasciato una nuova religione e si trova disorientato e deve essere aiutato a riscoprire la logica, esigente, ma insieme consolante, dell’Incarnazione. Deve anche saper dialogare a tutti i livelli con gli specialisti che studiano i nuovi culti. Più degli studiosi di altri settori meno controversi, gli specialisti di nuove religioni si trovano spesso in situazioni difficili. I dirigenti di alcuni nuovi movimenti religiosi cercano talora, con lusinghe, quando non con minacce, di assicurarsi da loro una "buona stampa". I movimenti anticulti, all’estremo opposto, li attaccano scambiando facilmente il rigore scientifico per debolezza o per relativismo. Ma il nemico più pericoloso, come è stato osservato, si trova all’interno di se stesso, nel rischio di disorientarsi, di non riuscire più a credere nell’oggettività della esperienza religiosa. Non pochi fra gli specialisti che hanno partecipato ai lavori del CESNUR hanno confessato di essersi trovati di fronte a tentazioni di questo genere, a momenti di disorientamento o di scoraggiamento. Gli specialisti del resto non sono macchine per classificare e schedare le nuove religioni, ma sono uomini che vivono a loro volta una propria esperienza religiosa. Sarebbe facile risolvere questo problema semplicemente sconsigliando lo studio delle nuove religioni e indirizzando i giovani studiosi verso settori meno pericolosi Ma si lascerebbe così senza risposta una delle maggiori sfide di questa fine del ventesimo secolo. In realtà la storia personale che ogni specialista di nuove religioni è in grado di raccontare e che spesso non è priva di aspetti affascinanti, mostra che dall’apparente disorientamento può nascere un forte riorientamento verso il Cristo quale centro del cosmo e della storia, anche religiosa, dell’umanità e che questo riorientamento sarà tanto più facile quanto più lo specialista si sentirà accolto con simpatia in una esperienza ecclesiale nella quale avrà bisogno sempre più di radicarsi. Da questo punto di vista anche lo studio serio e sistematico delle nuove religioni può rendere un’umile testimonianza a favore della logica dell’Incarnazione e questo, forse, spiega perché studiosi di vari paesi del mondo, che pure vivono in modo diverso la loro fede cristiana e alcuni anche una fede non cristiana, abbiano chiesto a un vescovo cattolico di presiedere un organismo internazionale di studio e di ricerca sulle nuove religioni.
F. Santoro:
Ringraziamo Mons. Giuseppe Casale che ci ha condotti ad affronta re il problema sul campo di una forte critica dottrinale e con coraggio ha richiamato l’atteggiamento di vigilanza e di dialogo. Cedo ora la parola a Don Karl Josef Romer che è stato professore in uno dei centri più caratteristici di sette protestanti e di culti afro-brasiliani. Dopo vari anni di ministero sacerdotale e di insegnamento in Salvador, è da vari anni professore all’Università Cattolica di quel coagulo di culti, di razze, di incontri, che è la città di Rio De Janeiro.
Sua Ecc. Mons. K. J. Romer
Grazie. Dopo le ricchissime spiegazioni del professor Introvigne e di Sua Ecc. Mons. Casale, è difficile parlare di cose interessanti, tuttavia vorrei fare alcune rapide osservazioni. La prima cosa, che potrebbe essere spiegata più profondamente in altra occasione, è un certo dualismo ideologico filosofico di certe sette secondo cui la lotta tra il bene e il male non è propriamente fatta dagli uomini in quanto si svolge tra Gesù e Satana. La setta è capace di liberarci dal potere di Satana; mentre l’uomo non ha propriamente una funzione nella storia della salvezza, solo la setta. Un’altra osservazione molto frammentaria è questa: sarebbe importante pensare, almeno qui in Europa, al collasso del marxismo non solamente come un insuccesso politico ed economico, ma come un risultato aberrante con radici molto più profonde. E d’altra parte questo collasso del marxismo non significa che sia giusto il materialismo pratico, il consumismo, l’edonismo; anche qui nell’occidente stanno morendo le radici della vita. L’ultima osservazione, breve, riguarda la Chiesa che deve domandarsi sempre se, e fino a che punto, essa non contribuisca al sorgere delle eresie e delle sette lasciando in ombra o trascurando aspetti parziali di verità fondamentali e di valori vitali. Passando al tema vero e proprio del mio intervento, affronterò due punti: un esame di coscienza della Chiesa in tutte le comunità e i movimenti e la sfida alla Chiesa per il prossimo futuro. Certamente già prima del Concilio esistevano bellissimi movimenti nella Chiesa, per esempio il movimento biblico, il movimento liturgico e anche il movimento ecumenico. Desidererei indicare alcuni punti in cui il Concilio non è ancora arrivato o la sua intenzione è stata semplicemente deviata. La teologia, subito dopo il Concilio, si è buttata sui suoi testi; dobbiamo riconoscere gli importanti lavori di grandi maestri, di eminenti teologi cattolici. Ma la teologia che ha avuto più ripercussione in mezzo al popolo, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, è stata quella che ha privilegiato i temi polemici, trascurando gli incomparabili impulsi dello Spirito Santo, gli appelli per una vera mistica del laicato in mezzo al mondo, l’invito ad un profondo rinnovamento della vita individuale comunitaria. La teologia è divenuta, forse, più accademica, ma non più ecclesiale. Tenta di comprendere tutto, ma non aiuta a credere. Dopo la malinconica esperienza di ogni specie di ecumenismo extra e, perfino, contro la Chiesa Cattolica, dopo l’abbandono di non pochi movimenti tradizionali, molti -anche sacerdoti - si sono buttati in un vero iconoclasmo contro forme liturgiche, contro la pietà popolare, contro il sacro. Anche dove non si sono verificati tali eccessi, quasi sempre a scandalo del popolo indifeso, prevale tuttavia nella pastorale certo immediatismo superficiale: cambiando la posizione degli altari, alterando riti e costumi senza accompagnare la formazione del popolo che possa comprenderli. Tutto ciò non aiuta il popolo ad interpretare il grande mistero dell’esistenza e della morte cristiana, neanche aiuta per capire le nuove forme come espressioni più piene, più complete di una vita radicata nella fede e nell’impegno del battesimo. In molti campi il popolo cattolico vedeva soccombere una Chiesa conosciuta, - vecchia forse, ma santa e misteriosa -, ma non riusciva facilmente a rincontrare nel nuovo quello che aveva di più sacro nell’anima e nella coscienza. C’è stata più riforma che rinnovamento. Essendo la struttura intima dell’Incarnazione e della Chiesa di ordine sacramentale, più importante del litigio circa forme rinnovate, è un nuovo accesso al mistero di Cristo che deve essere il contenuto velato e rivelato per mezzo delle forme dei riti. Voglio fare un solo esempio: l’adorazione, la meditazione, la gioia spirituale, non sono più i contrassegni che caratterizzano la vita delle nostre parrocchie ma, in verità, il mondo senza anima, senza purezza, senza perdono, diventa insopportabile. Questo mondo non si convertirà senza una pastorale ispirata da una profonda mistica. O riprendiamo la grande mistagogia o il popolo sentirà Dio emigrare dalla Chiesa. Si è svegliato nel popolo un grande interesse per la Chiesa e per la sua dottrina. Ma più spesso i teologi hanno parlato per divulgare controversie teologiche e questioni clericali. Irriverenti con la fede del popolo perplesso, hanno aggredito pastori, specialmente i Vescovi e il Santo Padre, che con senso di responsabilità cercano -di condurre il gregge che non è nostro, ma di Cristo. Ci siamo dimenticati che la Chiesa non è solo annunciatrice del Vangelo, ma lei stessa è parte del Vangelo, parte del mistero di Cristo. Così dice Puebla: "La lite clericale dentro la Chiesa ha messo in ombra tante volte il luminoso messaggio del Concilio, ha paralizzato forze vitali nell’anima mistica del popolo portando davanti al tribunale spurio e precario dell’opinione pubblica, questioni che dovrebbero essere risolte in spirito di orazione e con coraggio evangelico nel cenacolo della fraternità sacerdotale e non nella piazza pubblica". Una Chiesa che non unisce la sua apertura missionaria a una nuova chiarezza di dottrina e una coraggiosa unità di disciplinare, non risponderà alle ansie religiose dell'uomo moderno e lascerà il popolo impressionato dalla chiarezza fondamentalista e il rigorismo moralista delle sette. Se i pastori di Cristo, dimentichi della loro più sublime missione, danno spettacolo delle loro discussioni, il popolo sarà in pericolo di lasciarsi convincere dall’idealismo fanatico di quelli che non hanno il mandato apostolico, ma parlano il linguaggio del popolo. E’ imperiosa l’interazione i tra la fede e la vita, come pure tra la fede e la politica, ma nessuno può negare che in molte forme di teologia politiche è morto, o è stato messo in silenzio, l’incanto e la speranza più profonda della Chiesa: la fede, l’orazione, la virtù, la speranza nella carità e l’amore nella abnegazione. L’ultimo punto che affronterò riguarda le sfide alla Chiesa per il prossimo futuro. La missione della Chiesa non è lottare contro le sette, la missione inconfondibile della Chiesa è annunciare la Buona Nuova (Gal. 2, 19 - 20), vivere la testimonianza contagiante, perché il peccato è vinto e la nostra morte trasformata in partecipazione al mistero dell’immortalità di Cristo. Enumero due esigenze generali ed alcune esigenze pratiche concrete. In modo generale dobbiamo dire che la Chiesa non è fatta per le catacombe, ma , per gridare e testimoniare la sua fede e il suo amore a Cristo nella famiglia, in mezzo al mondo, nelle piazze, nelle scuole, nella politica. Dopo la scomparsa di molte forme di pastorale specifica come Azione Cattolica, Pastorale delle Donne Cattoliche, Pastorale della Gioventù Mariana, ecc… urge di nuovo occupare questi campi della vita tanto sensibili alla trasformazione travolgente della nostra civilizzazione. Ed ora alcune esigenze pratiche. Diocesi e parrocchie hanno bisogno non solo delle loro strutture locali, che sono importantissime, ma di movimenti capaci di trarre dinamismi propri. Tre contrassegni caratterizzano l’autenticità di un movimento: l’ecclesialità (senza diminuire la sua originalità), la capacità di condurre le persone alla fonte di Cristo, impegnare i suoi membri all’apostolato in settori concreti, senza clericalizzarsi in competizioni intraecclesiali. Concretamente, tutti gli organismi pastorali, e specialmente i movimenti, devono rinnovare la santità laicale, evangelizzare l’opinione pubblica, il mondo della cultura e della politica, creare uno stile cristiano di divertimento, suscitare nelle Chiese locali vocazioni religiose e sacerdotali. Questi movimenti saranno essenziali per la creazione non solo di nuovi spazi, ma di nuova dinamica e nuova espressione del Sacro. Urge una nuova felice identità veramente cattolica dei laici, dei religiosi e dei sacerdoti, o, come dice il Cardinale Joseph Ratzinger nel suo libro Rapporto sulla fede: "occorre una nuova evidenza, una nuova gioia, una nuova fierezza, che non contrasta con l’umiltà indispensabile di essere cattolici". Un’altra esigenza si collega con una constatazione: sembra che molti cattolici rapidamente restino delusi dalle sette, ma non tornino alla Chiesa cattolica, restando definitivamente lontani e spiritualmente sradicati. Probabilmente essi non avevano sperimentato nella Chiesa cattolica quello che invano sono andati cercando nelle sette: la sicurezza spirituale, l’appoggio umano, la fraternità, la testimonianza luminosa della fede. Le sette cercano persone perse nella vita, offrono loro benefici, bombardandoli con amore; la "catechesi" intensiva risveglia in loro la coscienza del "passato perduto", e la certezza della salvezza. Le comunità cristiane non devono ricorrere, né possono, a simili totalitarismi, dovranno invece risvegliare nei loro gruppi la coscienza dell’assoluta novità del battesimo e della responsabilità personale dell’individuo e dei gruppi, perché non si spenga il fuoco che Cristo ha portato a questo mondo. Diamo alla nostra gente una sorta di "patria dell’anima", come dice Ratzinger. Ogni movimento nella Chiesa ha bisogno di uno spazio proprio, sapendo però che è la Chiesa la linfa della sua forza e che ogni originalità gruppale deve portare all'unica Chiesa. Siamo realmente mossi dallo Spirito, che può sconcertare le nostre comunità e muovere molte cose troppo statiche nella Chiesa; ma abbiamo anche il coraggio di esorcizzare in noi e nei gruppi, gli anti-spiriti che dividono, seducono, o mentono? Saremo più divini se sacrificheremo i nostri egoismi e se diventeremo più umani. Quello che Puebla ha detto a riguardo dell’immenso campo della religiosità popolare, vale sotto molti aspetti per l’ingente numero di persone che anche in Europa stanno emigrando dalla Chiesa: "Si creerà un vuoto, che sarà occupato dalle sette, dai messianismi politici, secolarizzati, dal consumismo che produce tedio e indifferenza o dal pansessualismo pagano Quello che non è assunto in Cristo non è redento e si costituisce in un idolo nuovo con malizia antica" (Puebla 469). La setta è per molti il penultimo passo prima di cadere nell’indifferenza totale. Ma la sete del religioso che porta alle sette, è un’occasione reale per riaccendere in molti la luce della fede integrale. C’è una sete spirituale nell’umanità e Chiese locali e movimenti corrono il pericolo di non rispondere a questa sete profonda dell'anima umana. Citando una frase di Madellin (Pastorale Popolare 3), Puebla lancia una sfida alle nostre comunità e a tutti i cristiani, specialmente a quelli che hanno il privilegio di conoscere un movimento come Comunione e Liberazione: "Dobbiamo dinamizzare i movimenti apostolici, le parrocchie, le comunità ecclesiali di base, i militanti della chiesa in generale.... La Chiesa sta dinanzi al dilemma di continuare essendo Chiesa universale o di convertirsi in una setta" (Puebla 462).
F. Santoro:
Ringraziamo Mons. Romer e tutti gli altri relatori che ci hanno introdotto a capire qual è il punto di vista sintetico, critico e comprensivo, del problema delle sette. Potremmo sintetizzarlo in un punto forte e caratterizzante l'esperienza delle sette: l’esperienza della seduzione, del fascino. Una vita che non abbia fascino non può essere vissuta. Per questo i relatori, oltre ad una posizione critica, indicavano la riconquista, la riscoperta di un fascino dentro l’esperienza quotidiana. Il fascino nasce quando affermiamo qualcosa d’altro: se non affermiamo qualcosa d'altro ci ripetiamo nel conosciuto. Per questo l’esperienza che rende giustizia al desiderio d’incanto - diceva Mons. Romer -, di fascino, di seduzione, è l’affermazione di un altro, ma non un altro che rimane lontano, inafferrabile, ma un altro che si è fatto presenza, che si può sperimentare. Il fascino che nessuna setta può vincere, il fascino di una presenza che continua e alla quale anche noi, attraverso l’insegnamento di questi docenti e attraverso la nostra unità, diamo testimonianza. Grazie.
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