Venerdì 28 agosto 1981

INCONTRO CON IL REGISTA POLACCO KRZYSZTOF ZANUSSI

Moderatore:

Dr. Pier, Alberto Bertazzi

P. Bertazzi

Benvenuti tutti voi a questa nuova giornata del nostro Meeting. Anche oggi il Meeting ci riserva un evento culturale d’eccezione. E’ nostro graditissimo ospite il regista polacco Krzysztof Zanussi. Già l’anno scorso abbiamo proposto, nella prima edizione di questo Meeting, uno dei più significativi films di Zanussi, "Illuminazione". Ma quest’anno egli è qui, e ci porta non solo il suo film "Il Contratto" in anteprima nazionale, ma ha anche accettato di incontrarsi con tutti noi. Zanussi è nato a Varsavia, ma ha antiche origini friulane. Ha studiato fisica e filosofia a Cracovia e Varsavia e ha iniziato ufficialmente la sua opera di regista nel 1966, diplomandosi alla scuola di cinematografia di Lodz. Egli fa parte della cosiddetta "terza generazione" dei registi polacchi, i quali hanno, secondo le sue stesse parole, una caratteristica: un nuovo tipo di rapporto con il pubblico. Dice, infatti, Zanussi: "il nostro rapporto con il pubblico ha queste caratteristiche: noi lo rispettiamo, ci rifiutiamo di manipolare e perciò di ingannare, non vogliamo mentire, c’imponiamo di parlare di ciò che abbiamo conosciuto attraverso un esperienza diretta, personale di vita vissuta.". Zanussi oggi è tra i grandi nomi del cinema mondiale, e già, credo di poter dire, è considerato un maestro. Come voi tutti sapete, in questi giorni sarà proiettato, a Venezia, anche il suo film sulla vita di Giovanni Paolo Il "Da un paese lontano", e proprio domani Zanussi sarà a Castel Gandolfo per rivedere lui e per fare vedere per la prima volta al Santo Padre questo film sulla sua vita. Stamani l’incontro si svolgerà attraverso un dialogo, un dialogo tra noi sulla sua esperienza d’uomo, d’uomo di cultura, di regista. E’ un’esperienza che credo abbia profonde radici proprio in quell’Europa di cui noi andiamo parlando, "L’Europa dei popoli e delle culture", ed è proprio con un intervento su questo tema generale dei nostro Meeting che Zanussi intende iniziare questo incontro e la conversazione tra di noi.

K. Zanussi

Cari amici, in questa breve introduzione c’era una notizia che forse spiega un po’ il mio stato d’animo e il mio aspetto: attendo infatti che accada un avvenimento importante. Sono venuto qui sotto la pressione enorme di una prova, di un esame che avrò domani a Castel Gandolfo. Pensavo di incontrare una trentina di persone in una piccola sala dove avrei potuto improvvisare qualche cosa a proposito di questo tema, invece questa sala mi fa pensare ad un avvenimento sportivo, e stabilire un dialogo nella lingua straniera con un pubblico cosi numeroso, usando altoparlanti, è per me una cosa un po’ difficile. Se vi darò l’impressione di un imbecille, scusatemi, ma almeno spero che mi capiate. Comprendo bene perché oggi parliamo d’Europa. Ho esaminato questa mattina il mio passaporto polacco; non vi si dice europeo, vi si dice "polacco". E' un’esperienza particolare probabilmente per ognuno di noi, riconoscere la propria identità: quando siamo io polacco, voi italiani, quando siamo europei, quando siamo bianchi, quando siamo uomini. Sono livelli diversi quando cerchiamo di identificarci con un gruppo più largo d’uomini. Nella mia esperienza personale mi sono sentito europeo per la prima volta quando, otto anni fa, sono andato in America, negli Stati Uniti; negli Stati Uniti ho capito che ci sono certi atteggiamenti, certe idee che ho in comune con tutti gli europei che incontro e che si traducono male, che sono diversi nell’America. Ho capito che l’amicizia ha una connotazione particolare, in Europa; che cultura significa una cosa un po’ diversa, in Europa; che le parole più elementari come padre e madre, famiglia, significano una cosa diversa per me e per gli americani. invece con un italiano, con uno spagnolo, con uno svedese trovo che la connotazione di queste parole è simile. Quando sono nell’Europa Occidentale sento che molto spesso nascono equivoci sull’accezione dei termine Europa. Chi parla con me, paragonando la situazione dell’Europa Occidentale con quella della Polonia, dice spontaneamente: "Da noi in Europa, esclude cosi la mia parte la mia patria da quest’organismo europeo. Sento la rabbia che mi provoca quest’affermazione. Ricordo che Charles De Gaulle ha detto che geograficamente l’Europa comincia con il Portogallo e finisce sulle montagne degli Urali. Se questo è vero, noi polacchi non ci troviamo neanche nell’Europa Orientale, ma nell’Europa Centrale, invece voi siete occidentali. Ma questa è una mia sottigliezza. Dopo la seconda guerra mondiale si parla piuttosto dell’Europa pensando al M.E.C. e all’Europa Occidentale. Come polacco sento che questa è una grande ingiustizia e questo sentimento è ben fondato storicamente. lo non sono studioso di storia, ma fin dal liceo ho imparato, come penso sappiano tutti i polacchi, che la nostra parte dell’Europa, mille anni fa è diventata cristiana e come cristiana è entrata a far parte della grande famiglia europea. Ci siamo sentiti europei, questo è stato un momento di emancipazione dai barbari. Siamo stati accolti nella famiglia europea, abbiamo avuto molte speranze, molte illusioni che questo avvenimento avrebbe mutato le condizioni della nostra patria; era una cosa grande entrare a far parte della famiglia cristiana europea Poco dopo i Cavalieri Teutonici da Gerusalemme hanno cominciato la guerra contro di noi con il pretesto che tra di noi c'erano dei pagani, ed essi hanno avuto un buon pretesto per stabilire un altro Stato Teutonico sul territorio della Lituania e della Polonia. Poco dopo noi’, vivendo sempre ai confini dell’Europa, esposti per tre-quattrocento anni agli attacchi dei Turchi e dei Musulmani, ci siamo sentiti abbandonati dai Francesi, che hanno aiutato i Turchi contro i cristiani austriaci, con i quali siamo stati alleati. Vi racconto tutto questo per darvi l’impressione di una confusione profonda nella quale viviamo noi polacchi; ci domandiamo che cosa significhi essere membri di questa famiglia o se lo siamo. Ci domandiamo come è questa famiglia d’Europa: è una famiglia nobile, è una famiglia degna o invece è una famiglia che ha cambiato nome? Poi, questa mentalità dei popolo che vive ai confini dell’Europa è una mentalità particolare. Voi siete metropolitani, siete abituati al fatto che l’Europa siete voi. Noi invece abbiamo una prospettiva più lontana: pensiamo di noi come di un popolo di frontiera; siamo stati esposti all’islam, ai Musulmani, ai Turchi per tanti anni e siamo esposti anche alla Russia che appartiene all’Europa, ma con una funzione particolare. Molti anni fa ho assistito al film dei mio celebre collega russo A. Tarkovskij (il film si chiamava "Andrej Rublév"), che è stato trasmesso anche alla televisione italiana. Questo film è u n grande affresco storico che mostra che cosa significhi Europa per i Russi. E' l’epoca dei confronti con i Tartari, dei confronto con l’Asia, in cui i Russi cercavano la loro identità. E' naturale che un popolo di confine, di frontiera, abbia un rapporto complesso con la metropoli; è un rapporto di amore e di odio. E' l’amore per la bellezza dell’Europa, per questa Europa raffinata, ben stabilita, profondamente cristiana; dall’altra parte è l’odio per il materialismo, per l'ipocrisia, per questa facilità con la quale l’Europa si vende al commercialismo in tutti gli aspetti della vita moderna. Pensiamo che spesso le società ricche dell’Europa Occidentale abbiano tradito gli ideali della vecchia Europa, ideali di cultura, di amore, ideali di solidarietà; forse sono due facce della stessa medaglia, forse la produttività, se nasce dal materialismo produce anche un effetto negativo. Come regista non posso troppo teorizzare, perché rischierei di dire cose molto banali e molto superficiali. Posso solo fare riferimento ai miei films. Questo problema dell’Europa mi affascina sempre più perché viaggio molto in questi ultimi anni. Non ho viaggiato tanto quando ero giovane e questo mi permette di viaggiare ora. Io sono nato e cresciuto in un’epoca di guerra fredda e a quell’epoca non si pensava che i viaggi sarebbero stati possibili. Non avevo mai pensato che potessi viaggiare. Adesso quando vedo un biglietto d'aereo, vado subito senza chiedere perché, perché mi pare che questo abbia un valore in se stesso; un viaggio è la possibilità di vedere l’esperienza degli uomini degli altri paesi. Nei miei ultimi films, anche nel "Contratto", che presenterò questa sera, ho cercato di affrontare questo problema dell’Europa e di noi. Negli ultimi dieci anni in Polonia abbiamo vissuto un periodo di una certa apertura economica e politica verso l’Europa Occidentale, con tutte le conseguenze positive e negative, con un aumento di materialismo e con un aumento di consumismo. Nel "Contratto" questo personaggio che personifica l’Europa è una nevrotica ballerina il cui ruolo è personificato da un'attrice francese conosciuta nei cinema americani. Se voi vedrete questa sera il film, potrete forse riconoscere che facendo la critica della nostra società, facevo anche la critica dell’Europa Occidentale e di tutte le sue conseguenze negative. Ora ho fatto un film commissionato su Papa Woytila nel quale il vero soggetto è la Polonia. Il film si chiama "Da un paese lontano" ed è piuttosto sul paese che sul personaggio dei Papa. In questo film volevo ripensare anche ai nostri rapporti con questa famiglia europea, ricercando dove siamo diversi e dove siamo identici. Ho fatto poi ancora un film (terminato appena due settimane fa) di produzione tedesco-austriaca dove ho cercato di esaminare di nuovo questa difficoltà, questo complesso d’amore-odio tra i popoli di frontiera e l’Europa Occidentale. Quest’ultimo film si chiama "Tentazione". E' la storia di una polacca che sposa uno svizzero; ella non può vivere i suoi valori in una società diversa e non può ritrovare se stessa nella sua nuova identità. Sto preparando un nuovo film per questo inverno, dove voglio esaminare un altro aspetto della diversità della cultura europea: un confronto cioè fra il pensiero e l’influenza protestante e la religiosità ortodossa. Penso che noi polacchi, esposti maggiormente allo spirito. Dell’Oriente, siamo capaci di capire forse meglio questo linguaggio dei rito, questo linguaggio simbolico che per l’Oriente è comprensibile e chiaro mentre per l’Occidente ha smesso di funzionare, infatti non si comprende più il linguaggio dei riti e dei simboli, non si capisce questo genere di rapporto che non è completamente cerebrale, non è completamente intellettuale, ma è più integrale e totale tra l’uomo e Dio, tra il credente e Dio. Queste sono le mie preoccupazioni personali, questa e la conseguenza dei miei viaggi e se questo soggetto si svilupperà nei miei films in modo interessante, sarò molto felice. Altrimenti questo indicherà che è meglio restare nel proprio paese e non viaggiare troppo. Adesso capisco che dialogo e monologo non sono due cose identiche. Allora cerchiamo di ristabilire una possibilità di dialogo (perché le proporzioni sono un po’ sbilanciate: voi siete molto numerosi, io sono uno solo). Fatemi alcune domande o delle critiche o, non so, qualunque cosa vogliate fare con me.

Domanda:

Io cercherò di darle una mano per rendere il rapporto meno impari. Chiedo comunque a chi avesse domande da porre, di portarsi avanti in modo tale che possiamo anche riuscire a organizzare meglio questo dialogo. Innanzi tutto vorrei chiederLe una cosa io. In un’intervista abbastanza recente Lei ha definito l’uomo europeo, credo in particolare l’uomo occidentale, un albero le cui radici sono seccate. Vorrei chiederLe di spiegare questa affermazione.

K. Zanussi:

Non sono sicuro se questa è l’espressione giusta, ma è vero che ho affermato questo. Devo dire che questa è un’espressione forse un po’ esagerata: se l’ho detto, l’ho detto in circostanze particolari. Sento con timore che in questo periodo vi è un’accelerazione particolare nello sviluppo delle società, nello sviluppo della società europea. Questo volevo dire probabilmente. E’ un’osservazione che mi viene spesso quando osservo le società occidentali, soprattutto la Germania. I nostri vicini, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, pretendono che tutto sia cominciato ultimamente, che non vi sia storia, che non vi sia il passato. Invece penso che senza passato non possiamo stabilire la nostra identità e questo è necessario anche se il tempo ha prodotto un'accelerazione così spettacolare, come quella dei nostro secolo, dove tutto corre molto più veloce di quanto non corresse nel secolo passato, nei secoli passati, e dove è naturale che uno che si muove con tanta velocità, uno che vede che il mondo di ieri è tanto diverso dal mondo di oggi, ha un’illusione che tutto è cambiato. Invece io penso che molto è cambiato ma molto è rimasto uguale. Penso che ci sono queste radici della nostra identità che sono importanti: dobbiamo cercarle e dobbiamo riconoscerle.

Domanda:

Io ho potuto leggere anche di recente una recensione sui film Ai Contratto, dove, come Lei accennava, viene messo in luce come qualsiasi rapporto a livello della società, forse non solo polacca, ma dei rapporti tra gli uomini, è divenuto un contratto. Dico questo nel senso che non c'è più nulla di gratuito, non c’è più nulla basato su un valore ma si cerca solo ciò che serve, non ciò che vale. Mi pare che accanto a questa critica, nel suo film, ci sia anche un modo diverso di reagire, da parte dei due personaggi principali, a questo stato di cose. E’ giusto questo? E quali sono, cosa rappresenta questa diversa reazione da parte dei due personaggi?

K. Zanussi

Mi trovo un po’ in difficoltà a parlare di un film prima che il pubblico lo abbia visto; ma entriamo nei dettagli riguardo ai personaggi che voi non conoscete ancora E vero che riscontro una grande difficoltà di vita dovuta a questo processo di strumentalizzazione dei nostri rapporti, con tutte le conseguenze morali e intellettuali. Non trovo una soluzione facile a questo, perché nei miei rapporti personali non trovo la soluzione. Molto spesso non trovo più le risorse, diciamo, "umane" per riconoscere l’umanità di una persona con la quale mi incontro durante la giornata. Incontrando lo steward sull’aereo, incontrando un impiegato nell’ufficio stabilisco una relazione pratica, una relazione ridotta ad un contratto, relazione che si definisce per la funzione di questa persona in rapporto a me. Questo riduce la dimensione umana, questo è un elemento degradante. Ma con l’intensità dei rapporti, con l’intensità della nostra vita, io stesso praticamente non trovo un metodo per ampliare la mia sensibilità e le mie riserve al livello necessario per riconoscere un essere umano in tutta la sua dimensione, in ogni incontro, in ogni rapporto. Questo lo riscontro come un problema dei nostro tempo. Penso che forse questo definisce una difficoltà enorme, una frustrazione profonda della società moderna, perché non troviamo, non riusciamo a vivere a livello delle nostre aspirazioni morali. La velocità della vita, la complessità dei nostri rapporti non ci dà l'opportunità di renderli più umani.

Domanda

Volevo chiederLe se ci poteva raccontare come è nata l’idea dei film "Da un paese lontano".

K. Zanussi

Grazie per la domanda. Per dire la verità è una domanda a cui devo rispondere almeno quattro volte al giorno. Mi dispiace di non avere un disco che potrebbe dare una spiegazione migliore. Cercherò di fare presto e con precisione; spero di parlare non con giornalisti ma con persone vive. Devo spiegarmi bene, perché non voglio fare un attacco gratuito contro i giornalisti. Se faccio un attacco, è un attacco ben fondato. Ho sofferto molto perché vedo che c’è tanto desiderio di sfruttare il mio film sul Papa per scopi commerciali. Veramente per la prima volta nella mia vita debbo porre io stesso una certa censura per non parlare troppo, perché vedo che ogni parola viene gonfiata, deformata e interpretata sempre in modo per me un po’ imbarazzante. Spiegavo due giorni fa a una giornalista a Roma, che non sono mai stato un amico intimo, un amico personale dei Papa: sono trentacinque milioni i polacchi che pretendono di aver conosciuto il Papa da bambino. lo non voglio sfruttare questo. Devo dire che ho avuto modo di ascoltare il Cardinale Woytila tre o quattro volte, solo in pubblico, e questo non conta molto. Invece ho letto nella stampa che sono un amico da molti anni dei Papa. Per questo motivo ho paura dei giornalisti, perché capisco che, per le esigenze della stampa, chi deve far piacere al lettore deforma tutto per renderlo più drammatico. Ritorno alla domanda riguardo al film sul Papa. Non è stata una mia idea. Non ho concepito io questa idea. Quando sono venuto due anni fa per la prima volta a Roma, per incontrare i miei produttori, ho detto chiaramente che venivo solo per convincerli che non si sarebbe dovuto fare un film di questo tipo. Loro, malgrado questa mia riluttanza, hanno cercato di convincermi che era necessario fare un film sul Papa. lo sono tornato in Polonia e loro continuavano a fare preparativi per fare un film su Giovanni Paolo li. Quanto a me, ho sentito una pressione interna, ma soprattutto esterna dei miei colleghi, dei miei amici, dei miei connazionali, che sostenevano che non si doveva abbandonare il progetto, non si doveva abbandonarlo perché forse lo avrebbero ripreso gli americani; forse un altro regista; forse questo film si sarebbe fatto in un altro paese e noi Polacchi avremmo perso un’opportunità particolare di parlare dei nostro paese, di parlare della nostra esperienza. Ho capito che le mie riserve artistiche ed etiche hanno anche un aspetto negativo, un aspetto un po’ egoista. lo, come un artista che cerca di vivere la propria indipendenza, non volevo sacrificare la mia linea, le mie scelte libere, per fare un film su commissione e dopo parecchi mesi di esitazione ho corso il rischio e ho detto: "Bene, cerchiamo di fare qualche cosa! Se non lo facessi io, lo farebbe un’altra persona e sarebbe ancora peggio". Segretamente contavo sempre che questa idea non si sarebbe mai realizzata, e capivo bene che c’erano almeno tre centri di potere che dovevano approvare questa produzione: un potere finanziario, il produttore con l’affare commerciale; la Chiesa; il governo polacco che doveva dare a me personalmente il permesso di fare un film ed anche il permesso di farlo girare in Polonia. Non posso raccontare tutta la storia che il mio produttore ha scritto, il diario segreto dei produttore Giacomo Pezzali in cui racconta la drammatica storia delle nostre preparazioni. Ma dopo un anno di preparativi sono stato molto sorpreso, constatando che tutti e tre questi poteri erano d’accordo. Abbiamo prodotto la sceneggiatura insieme con due scrittori polacchi, uno che è un vero amico dei Papa da molti anni e che è adesso il Presidente della Unione degli Scrittori Polacchi; e l’altro, uno sceneggiatore di certi films di Wajda, che è anche direttore d’orchestra. Queste due persone hanno prodotto una sceneggiatura che mi è sembrata una proposta ottima per questo soggetto. L’idea di trattarlo è venuta dal film che ho citato oggi: "Andrej Rublév" di Tarkovskij; coi pretesto di fare un film biografico, Tarkovskij, senza inventare cose non esistenti, ha fatto un film corale che mostra la storia della Russia, il dilemma principale dell'animo russo, dei rapporto fra Oriente ed Occidente. Ho pensato che il caso dei mio film fosse un po’ simile. Così come non potevo fare -un film che mostrava la personalità dei Papa, perché non si può e non si deve fare un film a proposito di una persona che vive - infatti, chiunque essa sia, ha il diritto di difendere la propria vita privata, non si può entrare negli aspetti psicologici, non si può entrare a valutare le sue scelte perché questo sarebbe indiscrezione o comunque un’inaccettabile mancanza di tatto - così capivo che il personaggio del Papa doveva rimanere come un testimone dei tempo, ma un po' al margine della storia, come Rublév che dà il titolo al film, ma rimane al margine di questo affresco russo. Questa era l'idea di partenza per fare il film.

Domanda

Nel corso di questo Meeting è stato più volte messo in luce un elemento di crisi dell’attuale cultura europea, che è diventata troppo intellettualistica, dimentica di una memoria e staccata da una coscienza popolare. Lei crede che esista una crisi di cultura di questo genere, e dove individua questo elemento di crisi?

K. Zanussi

La mia risposta vera e spontanea è che tutto dipende molto dal tempo: qua, dove c’è il sole come oggi, dico che non credo nella crisi, quando piove sento che c’è una crisi profonda perché la reazione rimane sempre una reazione di tutto il corpo umano, di tutta la persona integrale. E’ una domanda che tocca l’essenza della nostra vita: se c’è la crisi anche io sono in crisi, se c’è la speranza, anche io ho la speranza. Senza dubbio la crisi esiste, ma la crisi esiste dalla nascita dell’Europa, questo mi sembra un fatto incontestabile. Abbiamo sempre avuto la crisi dell’Europa; la crisi dei Rinascimento probabilmente era molto più profonda che la crisi attuale. Poi abbiamo i casi precedenti, ma la domanda oggi è diversa: c’è speranza per l’Europa, c’è avvenire o no? Forse abbiamo terminato un certo cielo della storia e questa è la fine: l’anno 2000 segnala fine dell’Europa, arrivano le altre civiltà più importanti e noi riduciamo la nostra importanza sulla scala geografica. Vi ricordo che Mao Tse Tung parlava dell’Europa come di una penisola di poca importanza. Dalla prospettiva della Cina si vede che questa penisola dell’Europa è veramente qualcosa di trascurabile, quando si pensa ai problemi mondiali. La reazione a questa domanda di base, se c'è o non c'è speranza, e irrazionale: quando ho più fiducia in me stesso, quando ho più fiducia nel mio paese, quando ho più fiducia nella famiglia europea, in questo momento spero che ci sia speranza. Dico che questo ciclo non è ancora finito, come non era finito alla fine dei Medio Evo; abbiamo ancora di fronte a noi una nuova fase di sviluppo. Queste sono le cose che, dico quando fa bel tempo. Ma quando mi sento male, quando vedo gli aspetti negativi, quando sento che siamo andati al "cul de sac", in questo momento temo che forse non ci sia più avvenire per questa bella civiltà dell’Europa. Forse abbiamo sfruttato tutte le sorgenti della nostra vivacità. della nostra produttività, spirituale e culturale, e forse è tempo di dire che questo periodo bello è come è finita la grande, bellissima, ricchissima civiltà bizantina 600 anni fa. Allora finito, non posso rispondere sul serio, perché non lo so.

Domanda

Tempo fa alla televisione italiana fu presentata una serie dei suoi films accompagnati anche da una sua intervista molto bella, poi il fenomeno è rimasto isolato nella cultura italiana e ora conosciamo Zanussi degli ultimi due o tre films. Ora, visto questo primo Zanussi molto importante e pressoché sconosciuto in Italia, vorrei che Lei ci parlasse un po' di questo periodo dei suoi primi films.

K. Zanussi:

Per la verità io non sento ancora, non mi sento distaccato dai miei primi fílms; penso, ma forse mi sbaglio, che vi sia una continuità, mi sembra di fare sempre io stesso film, ma, forse, questa è una domanda a cui possono rispondere i critici. Anche io, leggendo le critiche, capisco meglio chi sono e che cosa faccio; non sento che sono cambiato tanto in questi dieci anni. Il mio primo lungometraggio l’ho girato nel ‘69: "Struttura di cristallo". Avevo 29 anni quando l’ho fatto. Non sono sicuro che potrei farlo anche oggi. All’inizio della mia carriera ero molto più innocente di oggi. Allora torse era un film più onesto dei films che faccio adesso, ma questa è una domanda aperta. Il pubblico sa meglio di me quale evoluzione è avvenuta in me stesso. lo, come soggetto, non vedo questa evoluzione con tanta chiarezza.

Domanda:

Io volevo fare questa domanda al regista Zanussi. Il sociologo Francesco Alberon, dice che per un membro di una grande chiesa e facile passare ad un altra grande Chiesa. Cosi secondo lui si spiegherebbe il passaggio del popolo Russo dall’Ortodossia clericale, ad un altra ortodossia, quella comunista. Perché, invece, con la Polonia non è stato così. Vi ha forse intanto a fatto di essere una grande nazione di frontiera ; Preciso meglio la domanda. Che cosa ha permesso ai cattolicesimo polacco di reggere, oltre al semplice bisogno di un’identità nazionale? Questo perché non credo che un semplice bisogno d’identità nazionale sia sufficiente per resistere.

K. Zanussi

Io direi che qui si toccano problemi molto complessi, non voglio dire con leggerezza, ma con un salto un po' troppo facile. Se ritorniamo alla semantica, quando diciamo ortodosso, parliamo della religione e non può tale parola essere riferita al comunismo con lo stesso significato. In tal caso la parola non significa la stessa cosa; è un salto un po’ demagogico, non è la stessa cosa, è solamente la stessa parola, ma il significato è totalmente diverso. Voi conoscete l’italiano molto meglio di me e voi sentite che questo è un salto un po’ demagogico. Ma se con la buona volontà cerchiamo di capire che cosa significa, possiamo andare più lontano, Guardiamo la storia della conquista del Messico e degli indiani Nordamericani. Il Messico, che aveva la struttura ben organizzata dello stato Azteco, dopo la conquista continuava a funzionare senza grande resistenza, perché ha adoperato le strutture dello stato che aveva ben sviluppate; invece i nomadi, molto meno sviluppati socialmente, gli indiani Nordamericani, hanno resistito molto più a lungo e sono stati meno disposti ad accettare la struttura dello stato Nordamericano. Lo dico come un esempio perché sono dilettante nel campo della storia, ma si tratta di un esempio che secondo me conferma che l'idea di continuità è un’idea generalmente giusta e non posso contestare (anche se dico che c'è un po' di demagogia in questa frase) che nella vita della Russia dopo la rivoluzione c: sono molti elementi di continuità con la mentalità formata dai secoli in questo paese. Non è così in Polonia perché la Polonia appartiene alla tradizione occidentale, e un paese cattolico, non ortodosso, che ha avuto un suo Rinascimento, al contrario della Russia che era fuori di questo cambiamento, continuava la tradizione bizantino-ortodossa. Non sono uno storico e non posso osare di parlare dei problemi storiografici al pubblico perché sono veramente dilettante. Ci sono però parecchi elementi che balzano agli occhi di tutti intanto la Chiesa polacca non è mai stata compromessa nella storia, nel senso che non e mai stata ricca, non è mai stata molto vicina al potere, cosicché abbiamo avuto una tradizione di tolleranza, approvata dalla Chiesa nell'epoca dell’inquisizione nella Spagna, nell’epoca delle guerre religiose in Francia, in Germania. In questo periodo la Polonia era aperta ai protestanti e agli ebrei, come un paese tollerante e liberale. Questo ha prodotto poi anche una calamità, perché siamo stati distrutti dall'assolutismo illuminato dei nostri vicini. Questo spiega un po' perché la posizione storica della Chiesa in Polonia è diversa. Negli anni ‘50, per esempio, moltissimi hanno suggerito che la Chiesa doveva arrivare ad un compromesso per sopravvivere, perché sembrava che lo scontro con lo stato (in senso stalinista) non potesse assicurarle la sopravvivenza. Qualcuno diceva che sarebbe successo quello che era già successo in Russia, dove l'istituzione della Chiesa sembrava ormai scomparsa. La scelta cosciente, fatta dall’Episcopato polacco, dal Cardinale Wyszynski, è stata quella di dire: "Non temiamo". Può darsi che seguendo questa linea finiremo per essere annientati anche fisicamente, ma io penso che questo è meglio per la Chiesa che non accettare il compromesso morale, perché con il compromesso morale la Chiesa non può sopravvivere Penso che scelte simili siano state prese anche in altri paesi in momenti della storia che io ignoro. Non sono sicuro che le scelte siano state giuste, tolse negli altri paesi c'era troppo compromesso e questo probabilmente ha provocato una perdita dei prestigio dell’autorità morale della Chiesa, ma questo non lo posso dire, perché non sono uno studioso di storia.

Domanda:

Commentando la situazione di violenza o di nichilismo che ancora sembra caratterizzare la vita dell’uomo europeo, Lei, se non sbaglio, diceva che per uscire da questa situazione ci sarebbe bisogno d’immaginazione. Cosa intendeva dicendo questo?

K. Zanussi:

Io ho detto questo, ma credo di aver sbagliato perché la parola immaginazione non ha nella vostra lingua lo stesso significato che ha nella mia. Immaginazione per me non significa sogno; indica piuttosto uno sforzo dell’anima per mettersi nella posizione dell’altra persona, uno sforzo dell’anima per capire lo stato d’animo dell’altro. Per me la parola immaginazione ha anche una certa connotazione morale; uno che è egoista non si dà il fastidio, non fa nessuno sforzo per capire un altro; pensa solamente ai suoi sentimenti e ai suoi bisogni. Invece se abbiamo abbastanza immaginazione per figurarci che cosa senta l’altro, quale sarà la reazione dell’altro, questo è un atto che per me ha anche una connotazione morale. Volevo usare la parola immaginazione perché penso che un atteggiamento di chiusura sia una mancanza di immaginazione. Tutti diventiamo pigri se non facciamo uno sforzo per capire che cosa sentono gli altri.

Domanda

Quale pensa che sia il ruolo attuale e quale pensa che possa o debba essere in futuro il ruolo della cinematografia europea, soprattutto occidentale, nel tentativo di creare una sempre più profonda coscienza di popolo, magari di popolo europeo?

K Zanussi

Una bella domanda, ma chi sa come si può rispondere? Posso fare parecchie dichiarazioni molto spontanee che credo siano giuste, ma invece sento il pericolo di entrare nel campo delle contraddizioni. Io vedo, guardando la cultura occidentale, la cultura dei consumo, una contraddizione molto drammatica, tra esigenze della democrazia e esigenze della preservazione dei valori. Come possiamo contestare il gusto delle masse, se le masse hanno sempre ragione? Chi ci da il coraggio di dire che questi films, che non piacciono a me o a voi, sono brutti se milioni di persone pagano biglietti per entrare e vedere questi films? In questo momento è constatato che il pubblico è manipolato per vedere cose di cattivo gusto, ma fuori della manipolazione che esiste, fuori della pubblicità che esiste, c'è una scelta libera. Allora la forza che noi abbiamo, è forza di persuasione. Io credo che la gente divenga migliore, se il pubblico ha aspirazioni più alte, se il pubblico sente il bisogno di aprirsi, di abbandonare un atteggiamento di chiusura; in questo modo la possibilità e le condizioni di dialogo per gli artisti dei cinema, per gli scrittori e per tutti gli artisti migliorano Ma dico questo per accentuare che c’è un aspetto morale: tutto dipende (l’atteggiamento del pubblico stesso, se rispettiamo questo pubblico, se gli diamo la libertà della scelta, vuoi dire che non possiamo più lamentarci che il pubblico ha scelto gli altri, ha scelto il film stupido, leggero, pornografico e non il mio. In questo momento c’è un problema molto complesso della politica culturale e penso anche dell'etica sociale; io non voglio dire che sono contro la democrazia; penso quali siano questo gusto e le conseguenze mi indicano che in un campo le condizioni per migliorare puramente etico tutto dipende da quali sono le aspirazioni etiche dei pubblico, quali sono le aspirazioni umane dei pubblico. Infatti se il pubblico vuole vedere i films migliori si troveranno artisti per farlo. La cosa più importante è avere un pubblico il più esigente possibile.