Le produzioni di qualità
nell’Unione Europea

Domenica 22, ore 16.30

Relatori:

Davide Barchi,
Assessorato all’Agricoltura della Regione Emilia Romagna

Paolo Falceri,
Conozo

Mauro Cifiello,
Direttore Commerciale Coop. Italia

Secondo Ricci,
Presidente Caviro-Corovin

Federico Scardovi,
Presidente Pro.In.Carne

Aldo Preda,
Membro della Commissione Agricoltura del Senato

Barchi: Le vicissitudini recenti, ma anche quelle meno recenti, hanno posto in evidenza la necessità di maggiore trasparenza nella produzione delle derrate alimentari verso i consumatori; questa trasparenza, tanto invocata da numerose parti, ha trovato gli strumenti che sono stati messi a disposizione dalle diverse amministrazioni pubbliche: dall’Unione Europea, dallo Stato italiano e in alcuni casi anche specificatamente dalle regioni, come dalla regione Emilia Romagna. Mi riferisco in particolare a quegli strumenti che sono i cosiddetti marchi dei prodotti tipici: la denominazione di origine protetta, l’indicazione geografica protetta, l’attestazione di specificità. In più l’Unione Europea, nel campo delle carni bovine, ha messo in piedi uno strumento che è ora agli inizi ma dalle grandi potenzialità, chiamato comunemente etichettatura: in realtà è l’applicazione del regolamento 820, regolamento che definisce il percorso della carne che arriva sulla tavola del consumatore, togliendo dall’anonimato la bistecca e dando la possibilità al consumatore di conoscere il percorso della fettina. Questo e molti altri strumenti qui in Romagna sono messi a disposizione della produzione.

In questo quadro cosa fa l’amministrazione pubblica? Svolge un ruolo che oltre a quello di essere propositivo – come nel varare questi strumenti – è di controllo e di vigilanza. Un controllo e una vigilanza che non riguardano l’aspetto della salubrità e della sanità delle derrate alimentari, in quanto questo aspetto è già assolto dalle norme nazionali e europee su tutti gli alimenti che vengono posti in consumo. Del servizio, a questo riguardo, se ne occupa il Servizio Sanitario Nazionale e l’aspetto di salvaguardia della salute del consumatore viene assolto dai dipartimenti delle diverse aziende USLL. Quello che invece danno in più questi strumenti è un’informazione al consumatore di varia gamma. Può essere un’informazione che va solo ad indicare l’origine del prodotto o un’informazione più completa che dà indicazioni sul processo produttivo. E su queste informazioni l’amministrazione pubblica ha una sorta di vigilanza e di controllo.

Falceri: Il Conozo, il consorzio che io rappresento, svolge specialmente due funzioni: offrire servizi e coordinare attività di macelli cooperativi; per questo, deve gestire i rapporti con le migliaia di produttori che hanno dato vita a questi macelli. Inoltre, gestisce un marchio di qualità che opera da più di dieci anni nel settore delle carni bovine. Per questo il Conozo si trova ad operare sia nel mondo della produzione sia in quello della distribuzione.

In tutta la nostra attività è ovvio che facciamo riferimento a quanto la Comunità norma sia con direttive sia con regolamenti. La Comunità, però, si trova oggi in una situazione abbastanza complessa e delicata in merito ai problemi della qualità perché per varie ragioni è passata da posizioni abbastanza rigide a posizioni di lassismo. L’aspetto sanitario, per esempio, deve essere un prerequisito perché un alimento possa essere messo in commercio dopo aver subito dei controlli previsti per legge. D’altra parte gli operatori del settore, quei produttori che intendono darsi degli ulteriori controlli anche sul piano sanitario, devono poterlo comunicare: oggi il problema è questo, perché le norme previste per l’etichettatura sembrano non prevedere questa possibilità. La soluzione normativa deve essere compatibile con le esigenze dei produttori e dei consumatori; questo attualmente è il problema della qualità.

Cifiello: Ognuno può accorgersi del fatto che oggi un bicchiere di coca cola costa più di un litro di latte di alta qualità nazionale, o che un pollo arrosto costa poco più che tre tazzine di caffè. Questi dati provocatori mettono in evidenza come noi stiamo vivendo in una economia distorta, perché ciò che sta dietro a un litro di latte (il lavoro, le filiere, il lavoro nel campo zootecnico) è molto diverso da ciò che sta dietro un bicchiere di coca cola. I cosiddetti incidenti allora, la diossina o la mucca pazza, sono solo punte di un iceberg, non sono casuali, sono piuttosto il risultato di un’economia che tutti quanti dobbiamo modificare. Il dato è che sempre più il concetto di qualità si sposa nel nostro immaginario col concetto di sicurezza, mentre molti anni fa la qualità era qualcosa di legato al sapore e al piacere che il prodotto suscitava.

Il compito odierno è mettere le mani nei meccanismi distorti di questa economia, altrimenti subiremo ripercussioni disastrose a livello economico; nelle settimane dello scandalo diossina, ad esempio, le vendite di polli in Italia sono calate del 50%, pur essendo i produttori di pollo del nostro paese assolutamente senza alcuna responsabilità. Questo ci insegna che il consumatore non può essere considerato come un oggetto di fronte al quale la produzione o anche la distribuzione può fare ciò che crede e ciò che ritiene più utile e più vantaggioso. Il consumatore è un soggetto attivo che in primo luogo è portatore di diritti, di cui il primo è il diritto alla sicurezza sui prodotti che consuma. Sarebbe utile immaginare una società in cui il consumatore abbia voce in capitolo nelle relazioni industriali: ciò significherebbe recuperare una opportunità, anche di fronte alla stagnazione dei consumi.

Ricci: Purtroppo spesso nella graduatoria dei consumatori di vino, i giovani sono pochi – lo dico perché qui invece vedo tanti giovani –, anche se magari bevono super alcolici: dico purtroppo anche se sono cosciente del rischio che c’è nel consumo vino. In Italia il consumo di vino era di 100 litri pro capite annuo, oggi invece siamo a poco più di 50 litri. Questo è positivo da una parte, ma lo è molto meno se pensiamo che siamo il primo produttore in questo articolo. È vero che un bicchiere d’acqua costa ormai come la coca cola o costa di più del latte, costa ormai anche di più del vino perché il mercato che stiamo vivendo unifica i prezzi a tutti i livelli, a tutte le nazioni. Questo mercato globale ci porta a ragionare in questa direzione. Anche nel settore del vino, che è un settore sostanzialmente ancora protetto all’interno della Comunità da una miriade di regolamenti e di norme, il mercato porta inevitabilmente, per effetto degli scambi internazionali, ad aprirsi e a competere col prodotto cileno, argentino, sudafricano.

Si pone ancora di più la domanda sulla qualità. Cosa facciamo per garantire al consumatore che non succedano più i fatti tipo quello del metanolo di 15 anni fa? Il consorzio che io presiedo rappresenta un gruppo di cantine che vede la presenza di produttori di diverse regioni d’Italia, commercializza 1.400.000 ettolitri di vino ed è la prima azienda italiana che imbottiglia – o meglio incartona, visto che molto del nostro prodotto porta i marchi della vendita in brick – Tavernello, Castellino, Poggese, i marchi che fan sì che la nostra sia la prima azienda italiana nel settore del vino e la quinta nel mondo. Uno dei motivi del successo è la certificazione del processo produttivo: noi siamo in grado di dire al consumatore da quale azienda proviene il nostro vino e come è stato prodotto.

Un altro aspetto del successo è l’innovazione di prodotto, come ad esempio il contenitore nuovo del vino, che quindici anni fa nessuno avrebbe immaginato, e l’innovazione del marketing, legata alle esigenze di spazio e di riciclo.

Un terzo elemento consiste nel farsi conoscere sul mercato con la propria identità e quindi lavorare su dei marchi, per far si che il nostro prodotto non sia uno dei tanti, ma sia invece un prodotto che proviene da un’azienda di un certo tipo, che investe in promozione e in pubblicità e che specialmente si identifica nel consumatore: il consumatore sa così che può trovare quel prodotto che ha un suo nome, che è uguale nel tempo, che viene presentato dall’inizio alla fine dell’anno sempre con quelle caratteristiche.

Scardovi: Da un anno in Emilia abbiamo attuato un’unica associazione regionale per la produzione di carne bovine: eravamo divisi in tre o quattro associazioni, ora invece ci siamo unificati e rappresentiamo oltre duemila soci, nonché oltre centomila capi bovini in Emilia Romagna:

L’associazione si regge sul disciplinare di produzione, a cui tutti soci sono tenuti ad adeguarsi e si adeguano, perché diversamente verrebbero espulsi: sono norme di produzione che tutti i soci attuano. Nel nostro campo, queste norme di produzione, poste a confronto con quelle di altri paesi europei, sono molto più restrittive, ma sono molto diverse in rapporto alle produzioni dell’America Latina, per le quali vengono utilizzati degli ormoni o dei prodotti anabolizzanti che aumentano la capacità produttiva giornaliera dei soggetti e quindi alterano il prodotto stesso. Come produttori zootecnici italiani, siamo stati i più danneggiati a livello mondiale da queste norme di produzione che noi stessi in un certo senso ci siamo dati, norme che abbiamo attuato a difesa del consumatore. Abbiamo subito il danno del calo del consumo del 30%, e diverse aziende purtroppo hanno dovuto chiudere.

Eppure, noi siamo ancora qui a voler produrre carne e a volerla produrre con quella serietà che è necessaria per garantire il consumatore; inoltre, come si diceva prima, si sono venute a creare norme legislative tali che consentono di qualificare un prodotto, e noi siamo esecutori di queste norme, che devono garantire la qualità controllata. Inoltre, come si diceva prima, noi come produttori abbiamo bisogno di avere una integrazione di comunicazione con il consumatore, che ci consenta di fargli capire che il nostro è un prodotto garantito. Solo in questo modo noi potremmo riuscire: se dovessimo riuscire a mantenere attive le nostre aziende con il confronto della carne e dei prodotti americani saremo sempre perdenti. Abbiamo bisogno per questo di comunicazione con i consumatori, e di comprensione, di integrazione: solo così il popolo italiano mangerà un prodotto italiano sano e tranquillo.

Preda: Dal punto di vista legislativo – e in particolare per quanto riguarda i rapporti tra la legislazione italiana e quella comunitaria –, mi sembra che abbiamo davanti tre problemi.

Il primo problema è che, come sistema Italia, abbiamo di fronte a noi delle regole comunitarie ed un sistema agricolo (quello degli altri paesi dell’Unione Europea) che non sono ancora stati recepiti dalle direttive comunitarie. Il secondo problema è che oggi abbiamo un mercato globale che non è più quello europeo: nel 2.000, secondo la recente indagine del CENSIS – e mi spiace per l’amico Ricci – avremo un consumo pro capite di 45-46 litri di vino, avremo un calo del consumo pro capite della carne bovina, avremo nella frutta una ripartizione analoga a quella dell’anno in corso sui 210 kg tra fresco e trasformato pro capite. Noi in Italia abbiamo il problema di adeguarci a questo mercato globale. Il terzo problema che è quello di capire a chi sono rivolte le produzioni agricole; esse sono rivolte al consumatore, quindi devono produrre per il consumatore.

Vorrei sottolineare l’importanza dall’ultimo problema, che è quello che dovrebbe innescare una serie di riflessioni. Cosa vuole oggi il consumatore? Il CENSIS in un’indagine di pochi mesi, identifica il consumatore italiano come un consumatore di un certo tipo, che vuole sicurezza, che vuole qualità, che ha un tipo di consumo più critico ed anche più selettivo, più repressivo di quello di una volta, non si fa più influenzare dall’etichetta generica come era un tempo, ha bisogno di sicurezza. Per questo, secondo il CENSIS, per avere la sicurezza abbiamo bisogno di qualità e di controlli, abbiamo bisogno di attribuire al consumatore la tentazione di ritornare alle origini, di ritornare alle sue tradizioni al prodotto tipico che consumava. Il problema della globalizzazione e quello dell’adeguamento alle norme devono tenere conto di questo fattore e devono da esso lasciarsi guidare.

La prima scelta che dobbiamo fare a livello legislativo, regionale e nazionale, è di andare a regolamentare i territori, i distretti agro-alimentari; ma questo non basta, dobbiamo regolamentare anche le associazioni dei produttori – ed è la seconda scelta –, per dare compiti precisi alle associazioni, compiti anche di valorizzazione dei nostri prodotti e delle varie nicchie di mercato. Oggi infatti il sistema produttivo agricolo italiano ha delle nicchie che devono essere messe in rete molto rapidamente: le sfide dell’Unione Europea con "Agenda 2000" sono infatti quelle di aiutare lo sviluppo delle zone rurali, e lo sviluppo delle zone rurali è assicurato anche curando le nicchie di mercato che le zone rurali possono avere. Infine, la terza scelta è quella della valorizzazione dei consorzi di valorizzazione e del sistema dei controlli sulle DOP: la valorizzazione di questi due fattori è strettamente legata, perché abbiamo bisogno di aggregare i produttori agricoli per valorizzare le loro produzioni, ma contemporaneamente abbiamo bisogno di assicurare dei controlli in modo che il consumatore abbia la sicurezza di quello che va a consumare.