Incontro con
Sergevi Alekseevich Gordun

Sabato 24, ore 16.30

Relatori: Luigi Negri, Moderatore:
Sergevi Alek Seevich Gordun, Docente di Antropologia Filosofica Emilia Guarnieri,
rappresentante di Filarete, presso l’Università Cattolica di Milano Presidente Associazione Meeting
Metropolita di Minsk e Sluk, Sua Ecc. Mons. Sergio Sebastiani,
Esarca patriarcale della Bielorussia Segretario del Comitato del Giubileo
dell’Anno Santo 2000

 

Guarnieri: Padre Sergevi è qui in rappresentanza personale del Metropolita Filarete che, non potendo essere presente tra noi, non ha voluto comunque impedire questa occasione di concludere il Meeting con un incontro di carattere ecumenico, all’interno del rapporto con la comunità ortodossa. L’ecumenismo infatti non è un discorso ma una possibilità di rapporto e di amicizia che arriva ad abbracciare tutto, e cresce e si estende tanto quanto questo rapporto e questa amicizia abbracciano incontri e occasioni sempre nuovi.

Negri: La capacità ecumenica è espansione dell’amore alla propria identità e dell’amore alla tradizione della Chiesa. Questo incontro è il segno della grande personalità ecumenica del Metropolita Filarete – sebbene egli non sia presente fisicamente –, personalità di grandissimo rilievo della Chiesa Ortodossa, Metropolita di Minsk ed Esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, personalità nella quale la passione per la missione della Chiesa nella società è altamente significativa. In una felicissima intervista da lui concessa alla rivista La nuova Europa, egli spiega che non esiste cultura se non come espressione di un culto, ma d’altra parte un culto, una celebrazione liturgica e quindi una esperienza spirituale non si sostiene se non diventa cultura, cioè capacità di intervento significativo nella vita sociale. Questo amore alla Chiesa nella sua missione reale si accompagna ad un intenso amore alla unità della Chiesa: quanto più la Chiesa si incarna dentro un determinato ambiente, tanto più capisce di non esaurirsi nella sua esperienza di particolarità, perché la particolarità esige per sua natura il riferimento ad una unità più grande che la sostiene e la costituisce.

È su questa linea di rapporto fra particolarità missionaria e unità di tutta la Chiesa che si situa il tentativo che il Metropolita ha fatto in questi anni di favorire l’incontro operativo con le comunità cattoliche della Bielorussia, di cui ci daranno notizia, parlando in qualche modo a nome suo, i suoi amici. Nel grande orizzonte di amore alla Chiesa e di capacità di incontro e di valorizzazione di cui questo Meeting è stato ancora una volta testimonianza esplicita, questo incontro sia come un punto di particolare e commossa vibrazione.

Gordon: Vorrei anzitutto dire alcune parole in breve sul nostro paese. La Bielorussia è pari, come popolazione – circa 10 milioni di abitanti –, alla Grecia; è una delle 15 Repubbliche dell’ex Unione Sovietica ed ha avuto l’indipendenza nel 1991, quando si è sciolta l’Unione Sovietica. È proprio nel cuore della Bielorussia che i leaders delle tre Repubbliche, Bielorussia, Russia e Ucraina, hanno sottoscritto il documento sullo scioglimento dell’Unione Sovietica. La Bielorussia è dunque uno Stato molto giovane, e per questo non c’è da stupirsi che molti non la conoscano: tuttavia, il popolo bielorusso ha una lunga storia piena di glorie.

Il popolo bielorusso si è formato fra il XIII e XVI secolo sulla base di tribù slave che avevano popolato il territorio del nostro paese già nei primi secoli dell’era cristiana: alla fine del I e all’inizio del II millennio, queste tribù sono entrate a far parte della Rus’ di Kiev, e in seguito sul territorio dell’attuale Bielorussia si è formato un nuovo Stato, il Gran Principato Lituano, che nel XIV e XVI secolo è stato molto forte ed esteso. Già nel XVI secolo il nostro Stato aveva una sua Costituzione, che si distingueva per il suo carattere piuttosto democratico; agli inizi del XVI secolo – nel 1517/1522 –, il primo stampatore bielorusso, Francesco Scalina, ha pubblicato una traduzione della Bibbia e di altri documenti ecclesiastici. Nel 1586, in seguito al matrimonio del Gran Principe Lituano con la Regina di Polonia, il nostro Stato è entrato a far parte della Polonia; alla fine del XVIII secolo, dopo la spartizione della Polonia, le terre bielorusse sono diventate parte dell’Impero Russo. Quando poi queste ultime, dopo la rivoluzione comunista, si sono trasformate in Unione Sovietica, la Bielorussia è diventata una delle quindici Repubbliche dell’Unione. Era una delle Repubbliche a più altro sviluppo industriale: in Bielorussia infatti erano sviluppate l’industria metalmeccanica – in particolare per le apparecchiature di precisione – l’industria chimica, la petrolchimica... a questo si deve aggiungere anche lo sviluppo dell’agricoltura.

La Chiesa Cristiana in Bielorussia ha una storia millenaria: 1000 anni fa le attuali terre della Bielorussia erano parte della Rus’ di Kiev e per questo, non appena il Principe Vladimir di Kiev ricevette il Battesimo da Bisanzio, incominciò ad arrivare il clero; infatti a Polonk, nel 992 nacque la prima cattedra episcopale e fu nominato un Vescovo.

Il Cristianesimo nella sua forma bizantina, orientale, si è diffuso molto facilmente nelle terre bielorusse: per questo ai nostri giorni, dopo tanti sconvolgimenti e prove sopportate dalla nostra Chiesa, anche nel nostro secolo sotto il regime comunista, circa l’80% della popolazione bielorussa si ritiene ancora ortodossa. Al secondo posto per numero di fedeli in Bielorussia, c’è la Chiesa Cattolica, a cui appartiene circa il 15% della popolazione. Il Cattolicesimo ha cominciato a diffondersi sulle nostre terre nel XVI secolo: il Gran Principe Jagaiev, sposandosi con la principessa polacca Edvige, si convertì dall’Ortodossia al Cattolicesimo, e promosse anche la conversione dei suoi sudditi; diventando cattolici però i bielorussi hanno perso il carattere nazionale e sono diventati polacchi, così che anche oggi molti cattolici bielorussi si considerano polacchi e ufficialmente vengono riconosciuti nel nostro Stato come una minoranza nazionale. Per due secoli, dal XVII al XVIII, la Chiesa Ortodossa nello Stato polacco ha subito persecuzioni; allo scopo di cattolicizzare la popolazione bielorussa nel 1596 in Bielorussia è stata fondata una nuova confessione, la Confessione Unita, cioè un Cattolicesimo di rito orientale. Dopo la sua nascita, la Chiesa Ortodossa è stata dichiarata fuori legge: le chiese venivano chiuse ed i sacerdoti messi in prigione. In seguito a queste persecuzioni, il rapporto numerico fra le confessioni nelle terre bielorusse, verso la fine del XVIII secolo cambiò radicalmente: l’80% degli abitanti erano greco-cattolici, cioè uniti, il 10% cattolici uniti, e solo il 10% rimasero ortodossi. Ma quando le terre bielorusse sono tornate alla Russia, gli uniti hanno avuto la possibilità di tornare alla Chiesa Ortodossa da cui erano stati a forza separati. Attualmente in Bielorussia abbiamo circa 11 comunità unite, con 10/20 membri ciascuna. Questa esperienza storica testimonia che l’Unitismo non è un metodo per avvicinare la Chiesa Cattolica a quella Ortodossa, come viene riconosciuto ufficialmente da entrambe le Chiese.

Voglio ora ricordare le terribili persecuzioni del periodo sovietico. Dopo la rivoluzione comunista del 1917, in Unione Sovietica ci si era posti l’obiettivo di distruggere radicalmente la religione: negli anni ‘20 nel paese sono stati chiusi tutti i seminari, le accademie teologiche, i monasteri. Le chiese venivano chiuse ed abbattute e quasi tutti i sacerdoti negli anni ‘30 sono stati fucilati o internati. Era stato proibito insegnare in qualunque modo la religione e pubblicare testi religiosi. Dopo la seconda guerra mondiale, le persecuzioni sono state in parte attenuate; è stato dato il permesso di aprire qualche chiesa e alcuni seminari, ma tutta la vita della Chiesa si trovava sotto l’onnipresente controllo dello Stato e si limitava soltanto alle pure celebrazioni. Per di più, frequentare la Chiesa o manifestare in qualche modo la fede, implicava la discriminazione, il rischio continuo di licenziamento dal lavoro o di espulsione dalle Università. Tutto questo veniva accompagnato da una martellante propaganda atea attraverso la scuola, i libri, i giornali, la radio e la televisione. In quegli anni – e questo vuol dire per settanta anni! – la stragrande maggioranza della popolazione è stata esclusa da una normale vita di Chiesa, anche se molti venivano battezzati e in qualche modo continuavano a credere in Dio.

Nel periodo sovietico fra noi si sono diffuse molto le sette, come i Battisti, i Pentecostali, gli Avventisti, che si ritrovavano nelle case private per leggere le Sacre Scritture: attualmente in Bielorussia vi sono più di 500 di queste comunità. Dalla fine degli anni ’80-inizio anni ’90, nel nostro paese è cominciata una nuova possibilità di azione: oggi si può annunciare liberamente il Vangelo, si possono restaurare le chiese e costruirne di nuove, stampare testi religiosi, aprire scuole di catechismo per bambini e per adulti. Certo, accanto a questo ci sono nuove difficoltà: il paese deve affrontare una grave crisi economica, e per questo non ci sono mezzi per costruire e restaurare le chiese; i sacerdoti e gli insegnanti di discipline teologiche o di catechismo, sono troppo pochi. Questi problemi sono comuni agli ortodossi ed ai cattolici, ed entrambi cercano di trovarvi delle soluzioni.

Se negli anni Settanta e Ottanta in Bielorussia su 10 milioni di abitanti funzionavano circa 350 chiese ortodosse e circa 100 chiese cattoliche, attualmente gli ortodossi, circa l’80% della popolazione della Bielorussia, hanno a disposizione circa 1000 chiese, mentre i cattolici, il 15%, circa 400: come vediamo, la Chiesa Cattolica ha ottenuto in questo campo dei successi più grandi di quella Ortodossa, grazie all’aiuto finanziario da parte dei fratelli cattolici degli altri paesi occidentali. Come sacerdote ortodosso devo dire che il bisogno di nuove chiese è tutt’altro che soddisfatto per la nostra Chiesa: nelle grandi città le chiese sono sovraffollate e nei villaggi di campagna esse addirittura mancano, e la causa è la mancanza di mezzi. La Chiesa Cattolica ha meno difficoltà a risolvere i problemi, soprattutto quello della mancanza di preti, perché la Chiesa polacca manda regolarmente dei missionari in Bielorussia, sacerdoti che lavorano con grande attività in tutte le parrocchie: credo che i nostri sacerdoti ortodossi debbano imparare molto da questi sacerdoti polacchi. Oggi in Bielorussia – e questo è uno degli avvenimenti consolanti nella vita della Chiesa -funzionano a pieno regime due seminari ortodossi e uno cattolico. Non so come funzioni quello cattolico, ma del nostro ortodosso devo dire che ha grandi difficoltà: non ha la possibilità di pagare borse di studio per gli studenti, lo stipendio degli insegnanti è di circa 35 dollari al mese che con un livello di vita molto basso rappresenta circa un terzo di un normale stipendio di insegnante di una scuola laica. Ciò nonostante il seminario sopravvive da sette anni e ha già portato al diploma alcune annate di seminaristi. Inoltre a Minsk esiste anche la Facoltà Teologica, aperta nel 1991, anch’essa bisognosa di sostegno economico, e sta rinascendo la vita monastica: nel 1990 c’era soltanto un monastero aperto, adesso vi sono quattro monasteri ortodossi maschili e dieci conventi femminili.

Fra la Chiesa Ortodossa e quella Cattolica in Bielorussia corrono attualmente buoni rapporti, sia fra i Vescovi che fra i semplici fedeli. Posso farvi un piccolo esempio di questo: fino al 1980, nella capitale della Bielorussia, Minsk, su una popolazione di circa 2 milioni, c’erano soltanto 2 chiese ortodosse e neanche una cattolica. Su tutto il territorio bielorusso, c’era un Vescovo ortodosso, il Metropolita Filarete, e nessun Vescovo cattolico: Filarete ha appoggiato i continui ricorsi dei cattolici per far aprire una chiesa e grazie a questo nel 1980 a Minsk è stata aperta la prima chiesa Cattolica.

Oggi nella nostra capitale abbiamo 14 chiese e parrocchie ortodosse e 5 cattoliche, e speriamo che se ne possano aprire altre ancora: si sta costruendo una cappella in memoria di Chernobyl ed è anche in progetto la costruzione di una chiesa in ricordo delle vittime dello stalinismo. Nella primavera di quest’anno a Minsk, su iniziativa della Chiesa Cattolica, è avvenuto un avvenimento che mostra chiaramente il desiderio di entrambe le nostre Chiese di collaborare e di testimoniare insieme la presenza di Cristo. Il capo della Chiesa Cattolica della Bielorussia, il Cardinale Kazimierz Swiatek, si è rivolto al capo della Chiesa Ortodossa, il Metropolita Filarete, chiedendo di potere attingere nella cattedrale ortodossa il fuoco santo che ogni anno in modo miracoloso, si accende a Gerusalemme sul Santo Sepolcro e che viene portato in diverse chiese ortodosse. C’è stata una processione dalla cattedrale cattolica a quella ortodossa ed è avvenuta la consegna solenne del sacro fuoco da parte del Metropolita Filarete al cardinale Svontek. Vi sono altre iniziative recenti comuni agli ortodossi e ai cattolici, come la conferenza degli abati benedettini avvenuta in un monastero ortodosso a Gronna o la mostra della casa editrice Russia Cristiana che ha avuto luogo presso la Facoltà Teologica dell’Università Umanistica Europea a Minsk. Inoltre, e vorrei esprimere la riconoscenza alla Chiesa Cattolica nella persona dei Vescovi e dei sacerdoti qui presenti, un seminarista diplomato nel nostro seminario ortodosso oggi può continuare i suoi studi in un Istituto Teologico di Roma.

Anche i rapporti quotidiani fra gli ortodossi e i cattolici in Bielorussia sono improntati ad una grande semplicità, cordialità e benevolenza. Viviamo in condizioni simili, affrontiamo le stesse difficoltà, e ciò ci avvicina: ma ciò che ci avvicina innanzitutto è Cristo, nostro Signore e Salvatore, e il riconoscerci membri di un unico organismo divino e umano, il Corpo di Cristo, la Chiesa universale, che per noi non è un concetto o un’astrazione, ma una realtà che si manifesta in una moltitudine di piccole comunità ecclesiali unite dalla fede cristiana e dai sacramenti. In tutto il primo millennio della storia cristiana il Cristianesimo orientale e quello occidentale costituivano l’unica Chiesa di Cristo: in questa comune tradizione millenaria deve essere posto il fondamento della nostra collaborazione, mentre la divisione che esiste fra gli ortodossi e i cattolici, che è eucaristica, dogmatica e canonica, deve essere riconosciuta come un peccato e si deve fare di tutto per superarla. Uno degli strumenti per riavvicinarci è senza dubbio lo studio approfondito reciproco delle nostre tradizioni orientali e occidentali.

A conferma di tutto questo vorrei concludere osservando che in questo nostro primo viaggio in Italia io e miei colleghi abbiamo trovato molti buoni credenti che ci hanno accolto con amore e carità e che ci hanno circondato di attenzione e di premure. Abbiamo visto che in Italia la Chiesa è viva, e speriamo di collaborare a testimoniare insieme, nel futuro, Cristo nel mondo.

Negri: Conferendo la dignità cardinalizia al Cardinale bielorusso Swiatek, Giovanni Paolo II ha detto: "Lei appartiene agli irriducibili difensori della fede cristiana". Questa qualifica non tocca soltanto il Cardinale, ma appartiene a tutta la Chiesa Cattolica bielorussa e a tutta la Chiesa Ortodossa. Abbiamo avuto oggi la testimonianza di una irriducibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa: su questo patrimonio di fede, di sofferenza, di martirio, fiorisce oggi sia fra i cattolici che fra gli ortodossi il desiderio rinnovato della missione, di portare Cristo all’uomo di oggi, segnato dal secolare fallimento di una volontà autonomistica di un secolarismo che mostra ormai definitivamente la propria sconfitta. In questa missione noi ci troviamo vicinissimi e percepiamo di appartenere insieme ad un’unica realtà più grande di noi, e siamo certi che lo spirito del Signore ci aiuterà affinché questa unità diventi sempre più esplicita come coscienza e sempre più reale come esperienza.

Sebastiani: Nell’affrontare il tema del Giubileo del 2000, do anzitutto per scontata la vostra personale conoscenza della lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, che costituisce la magna carta del Giubileo del Duemila; e penso siate anche al corrente della costituzione e dell’organigramma del nostro comitato centrale per il Giubileo che è al servizio di cento comitati nazionali sparsi nel mondo. Data però la grande confusione che i mass-media hanno creato, vorrei cominciare dicendo ciò che non è il Giubileo: in primo luogo, non è un business, sebbene i mass-media continuino a parlarne in questi termini. Lo spostamento di tanti pellegrini verso Roma porterà ovviamente anche un benessere economico, ma non è questa l’essenza del Giubileo. Il Giubileo del Duemila non è neppure una forma di turismo, "turismo religioso": è invece un pellegrinaggio, ed il pellegrinaggio è espressione di forte valenza religiosa come esternazione di una interiorità, di sentimenti spirituali altissimi. Infatti il più grande esempio di pellegrino è il Papa, che non fa certo turismo. Ancora, il Giubileo del Duemila non ha niente in comune con il millenarismo, l’atteggiamento fanatico di quei cristiani – che io ritengo non cristiani – che credono imminente la parusia, cioè la fine del mondo. Infine, il Giubileo non è un "piagnisteo" di romei – la stampa ne ha fatto quasi una calata di nuovi barbari verso Roma! – e neppure una iattura per i romani che dovranno allontanarsi da Roma per mettersi in salvo.

Cerchiamo ora di capire cos’è il Giubileo, il suo senso profondo e la sua religiosità. Il Giubileo è innanzi tutto ricordare e celebrare con gioia e con gratitudine al Signore il fondamentale mistero della incarnazione. La memoria storica di quanto avvenne duemila anni fa non è solo una commemorazione, ma un evento memoriale, che rappresenta tutta la ricchezza, la bellezza della buona novella: occorre riscoprire la profondità di questo mistero, che ci dà una visione stupenda della nostra fede cristiana. Il Papa spiega esattamente questo nella Tertio Millennio Adveniente quando scrive: "Con l’incarnazione, Dio si è calato dentro la storia dell’uomo, l’eternità quindi è entrata nel tempo"; "Con l’incarnazione" – che è lo specifico della religione cristiana, ciò che la differenzia da qualsiasi altra religione – "Dio viene di persona a cercare l’uomo". In genere tutte le religioni – anche quelle animiste, che ho potuto conoscere stando in Africa per 10 anni – sono una ricerca di Dio da parte dell’uomo; con il mistero dell’incarnazione avviene il contrario, è Dio che va alla ricerca dell’uomo, lo prende quasi per mano per elevarlo a sé e farne come un suo figlio. Dio fa questo, dando Suo Figlio, perché Egli è Amore, perché – come scrive ancora il Papa -"ama eternamente l’uomo in Cristo e lo vuole elevare alla dignità di suo figlio".

In questo forte richiamo alla fonte stessa della nostra salvezza e alle origini della nostra fede, in questa consapevolezza di essere amati da Dio amore consiste la spiritualità propria e specifica del Giubileo del 2000. A ciò ovviamente si aggiunge come corollario la metanoia, la conversione; Dio ha amato talmente me, povera creatura, da dare Suo Figlio, e io non posso non ricambiare con il mio amore verso Dio, riconoscendo la mia povertà.

Il Giubileo è anche un evento di contemplazione: per far capire questo, mi riferirò al Vangelo di S. Luca (Lc 4,18-21). Gesù va alla Sinagoga, a Nazareth, la sua città, il giorno di sabato: si presenta per leggere le Scritture, apre il rotolo e legge un brano del profeta Isaia, "Lo spirito di Dio si è posato su di me (...) perché il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio agli uomini, (...) a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare l’anno di misericordia di Dio". E conclude Luca: "Tutti gli occhi erano fissi su di Lui". Anche noi possiamo tenere gli occhi fissi sul volto di Gesù, e in questo senso l’atteggiamento costante dei tre anni di preparazione al Giubileo deve essere proprio la contemplazione del volto di Cristo. Solo fissando lo sguardo su di Lui, crocefisso e risorto, toccheremo con mano la grandezza della misericordia di Dio Padre; solo fissando gli occhi su di Lui l’uomo smarrito di oggi può avvertire la nausea del peccato e ritrovare la via del ritorno al Padre; solo fissando gli occhi sul volto di Gesù, infine, si potrà progredire con passo sicuro verso l’unità ecumenica. Tenere gli occhi fissi su Gesù significa che tutte le iniziative, le proposte pastorali delle Chiese locali, dei movimenti, siano fissate sul volto di Gesù perché tutto possa essere riportato a Lui, al Messia, al Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre. Tenere gli occhi fissi sul volto di Gesù significa rimettere Gesù stesso al centro di ogni esperienza di fede e di ogni attività ecclesiale. Ognuno di noi, quindi, dovrà ripetere spesso, nella sua coscienza, la seguente domanda: per me chi è Gesù? È un amico oppure è un estraneo? Riscoprire la centralità di Cristo comporta la riscoperta anche della parola di Dio proclamata, meditata, incarnata, annunciata. Viviamo in un’epoca di frastuono, di rumore assordante, di troppe parole vuote... le nostre orecchie sentono troppe voci, ma forse nessuna di esse penetra nel nostro cuore, ed è per questo che c’è tanta tristezza intorno a noi. Occorre quindi ritrovare la parola in senso vero e autentico, il Verbo: questa parola non grida, è fievole come un soffio, come un vento, e per questo occorre il silenzio, occorre che ci avvolgiamo in un silenzio interiore per ascoltare la parola e perché essa entri nel nostro cuore, diventando come il buon seme che cade in terra fertile, ossia incarnandosi in noi giorno dopo giorno perché anche noi possiamo santificarci come Gesù ci ha chiesto.

Secondo il Papa (Veritatis splendor, n.42), l’obiettivo primario del Giubileo è il rinvigorire la fede e la testimonianza cristiane, obiettivo reso possibile dall’annuncio e dall’anelito in ogni fedele della santità, quindi da un forte desiderio di conversione e di rinnovamento personale in un clima di preghiera e di solidale accoglienza al prossimo, soprattutto ai più bisogni. Pertanto il cammino di preparazione al Giubileo del Duemila deve essere caratterizzato da un dinamismo spirituale che renda evidente la nuova primavera della vita della Chiesa iniziata con il Concilio Vaticano II: il Papa infatti connette strettamente il Concilio Vaticano II e il Giubileo dell’anno 2000. Il Giubileo è il tempo della nuova evangelizzazione, per imprimere all’inizio del terzo millennio un forte e rinnovato impulso all’annuncio del Vangelo, specialmente in Europa.

Molti osservatori del fattore ecclesiale si domandano se il modello di presenza dei cristiani nelle città del 2000 non debba essere simile a quello descritto dalla Lettera a Diogneto: una presenza cristiana, discreta, silenziosa, nascosta, ma alla lunga decisiva per il destino della società. Forse anche dopo il 2000 il problema centrale delle Chiesa occidentale e quindi italiana, sarà quello della secolarizzazione e della laicizzazione: tuttavia, mi sembra che si incomincino già a produrre gli anticorpi a queste malattie. Si intravedono infatti i segnali di una nausea nei confronti del secolarismo e del materialismo, nausea che si manifesta in un diffuso e impetuoso, anche se incerto, ritorno al sacro, in una specie di sincretismo – spesso anche contraddittorio –, di mania della magia e delle sette. La nuova evangelizzazione non può prescindere da questo fatto del ritorno al sacro. Non sappiamo ancora se questa nuova evangelizzazione sarà un movimento di ritorno – come avvenne tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 – oppure un movimento in avanti, con la elaborazione di una nuova cultura, di una nuova missionarietà, fatta anche di una nuova forma pastorale: comunque è certo che sotto questo aspetto, come qualcuno ha osservato, la Chiesa che si avvia al Duemila si trova in mezzo al guado, ovvero al termine di una lunga fase della sua storia e all’inizio di una nuova.

A mio parere questa seconda fase è già iniziata soprattutto con il Concilio Vaticano II, che ancora non è stato attualizzato nella sua sostanza e nella sua visione innovativa se non rivoluzionaria. Il Giubileo del 2000 dovrà proprio portare a compimento il rinnovamento iniziato con il Concilio Vaticano II, come scrive il Papa nella Tertio Millennio Adveniente: "La migliore riuscita dell’Anno Santo del 2000 sarà la realizzazione del Vaticano II".

Se volessimo delineare le caratteristiche, i tratti, le strutture portanti di questa nuova fase della vita della Chiesa, potremmo individuarli specialmente con il ruolo sempre più marcato che nella nuova evangelizzazione dovranno assumere i laici e la donna con il suo genio femminile di cui ama parlare il Papa. E qui si innesta l’importanza dei nuovi movimenti, laicali, come il vostro: il Papa ne ha fatto cenno anche nel messaggio che vi ha inviato, perché voi siete "uno dei doni dello Spirito Santo del nostro tempo". La nuova evangelizzazione, imbevuta dello spirito conciliare, dovrà dare le risposte agli angosciosi interrogativi della società moderna, soprattutto su due punti: il senso della vita e la gioia che la vita porta con sé, e, se noi siamo destinati alla gioia di vita alla gloria eterna, il senso che ha l’inverso, cioè la sofferenza. Frutto del secolarismo è infatti proprio quel diffuso senso di noia, di nausea, di dubbio e di vuoto che attanaglia tanti giovani – e anche meno giovani – fino a portarli al suicidio e all’evasione. Gesù di Nazareth ci offre le risposte giuste, anzitutto la consapevolezza di essere noi oggetto dell’amore di Dio, consapevolezza che colma di gioia il nostro cuore: siamo destinati alla gioia infinita di Dio, ad essere Suoi figli; è per questo che non ci soddisfano le gioie del corpo. Cristo crocifisso e risorto dà senso anche alla nostra sofferenza: le nostre sofferenze non sono fini a se stesse ma mezzo di catarsi per una gioia imperitura, piena e totale.

Concludo con un appello: la nuova evangelizzazione deve essere anche nuova catechesi, attraverso una nuova presentazione del messaggio di Cristo. Occorre riproporre con forza e chiarezza l’annuncio kerygmatico di Gesù, riaccendere e ravvivare il lumignolo fumante della fede dei troppi cristiani addormentati, apatici e confusi. L’evangelizzazione si qualificherà come nuova in primo luogo perché comporta un nuovo fervore, in secondo luogo perché si adatta al linguaggio e ai metodi di oggi. Occorre quindi fare uno sforzo notevole perché noi possiamo mostrare la bellezza, la freschezza e la forza trainante del Vangelo con una predicazione che non sia spenta, stanca, artefatta, magari dotta, ma poco attinente alla vita quotidiana.

Non è possibile che Cristo non attiri l’uomo del 2000: se l’uomo del 2000 è lontano dal Vangelo, non è colpa di Cristo, ma nostra, perché, spesso, non sappiamo far presa sulla gente, parliamo in forma troppo astratta, complicata e non attinente alla realtà quotidiana, avulsa dalla vita degli ascoltatori. Il Cardinal Martini osservava: piuttosto che pretendere di correggere i mass-media, dovremmo noi correggere il nostro modo di comunicare. Il titolo di questo Meeting, "Si levò un vento impetuoso da est e sicuri della loro guida navigarono fino ai confini della terra", si inquadra perfettamente nello stile del grande Giubileo dell’anno 2000: spero che anche i prossimi temi che sceglierete da qui al 2000 possano accompagnarci a seguire questo cammino, nell’ottica segnata dal Papa nella lettera Tertio millennio adveniente, che stabilisce il ’97 come anno di Gesù Cristo, il ’98 dello Spirito Santo e il ’99 di Dio Padre.