SCENA 8 - Antigone insistente col vecchio immigrato: "Cos’è questo palazzo? È il luogo della

legge che decide della pace e della guerra, che decide della vita degli uomini?". "Neppure, è un animale che nutre se stesso".

La scena 7: Antigone, interessata, al vecchio immigrato: "Si fanno tragedie?" "Il teatro lo vedi sul piccolo schermo ogni sera, ma ti stanca, il dramma è altrove", in programma mercoledì 28 alle 15, non ha avuto luogo per una sopraggiunta indisponibilità dei relatori.

 

Giovedì 29, ore 11

Relatori:

Nasrallah Pierre Sfeir

Lutfi Laham

Andrè Bedoglouyan

Moderatore:

Roberto Formigoni

 

Formigoni: L’incontro che apriamo costituisce realmente un’occasione grande di conoscenza e di riconoscimento. Io sono profondamente grato a nome del Meeting e di tutti i partecipanti, ai nostri interlocutori, i Patriarchi cattolici della regione Mediorientale, per avere accettato il nostro invito, e proprio il fatto che non tutti abbiano potuto essere presenti, benché tutti i Patriarchi avessero accettato il nostro invito, dà un rilievo e una drammaticità ulteriore all’incontro di questa mattina.

Il nostro pensiero va anche alle comunità dei cristiani che hanno in loro i pastori, la guida, il punto di riferimento, in condizioni di vita spesso drammatiche e dolorosissime.

Il tema di cui vogliamo dare testimonianza è la situazione dei cristiani e dei cattolici orientali nel Vicino Oriente. Questo incontro riecheggia volutamente un analogo ed ovviamente ancor più importante momento che ebbe luogo nel mese di marzo quando Giovanni Paolo II, nei giorni immediatamente successivi alla fine della guerra, volle riunire attorno a sé i Patriarchi cattolici del Medioriente a significare la posizione chiara della Chiesa in favore dell’uomo e della libertà religiosa nel Medioriente.

Sua Beatitudine Nasrallah Pierre Sfeir è nato a Reyfoun (Libano), nel 1920.

Ordinato sacerdote il 7 maggio 1950, fu dapprima parroco a Reyfoun e quindi nominato segretario del Patriarcato Maronita. Fu pure professore di filosofia araba nel Collegio dei Fratelli Maristi. Nel 1961 fu consacrato Vescovo titolare di Tarso per i Maroniti con ufficio di Vicario Patriarcale.

Nel 1991 è stato eletto Patriarca di Antiochia dei Maroniti.

Sfeir: Cari amici, ci è gradito ringraziare Sua Eccellenza, il signor Presidente Antonio Smurro che ci ha gentilmente invitato a parlare sulla situazione dei Cristiani nel Libano davanti a questa grandiosa assemblea, convenuta su invito dell’"Associazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli". Tratteremo brevemente del passato dei Cristiani nel Libano, del loro "presente" e di qualche prospettiva del loro avvenire.

Il passato dei cristiani nel Libano. Il Libano è ben collocato nella storia. È citato numerosissime volte nella Sacra Scrittura. Gesù Cristo l’ha benedetto quando venne nella regione di Tiro e di Sidone e guarì la figlia della cananea fenicia. Il litorale libanese vide gran parte degli Apostoli portare il messaggio evangelico alle Nazioni, lasciandovi le primizie cristiane dell’evangelizzazione apostolica. San Paolo visitò i fratelli cristiani a Sidone, nel corso di un suo viaggio verso Roma. Il patriarca di Antiochia dei Maroniti continua la ricca tradizione spirituale di questa prima sede di Pietro, nel suo cammino provvidenziale verso Roma, sede definitiva del suo Primato apostolico.

La Chiesa Maronita deve il suo nome al santo sacerdote Marone, morto verso l’anno 410. Essa ha sempre mantenuto integra l’unità della fede e della piena comunione con la Sede Apostolica di Roma, pagando la sua fedeltà alla Chiesa cattolica a prezzo di numerose persecuzioni attraverso i secoli e un generoso tributo di sangue a cominciare con i 350 martiri.

Particolarmente dopo le crociate, i Maroniti hanno fatto del Libano la loro patria di predilezione per il libero esercizio della loro fede, una patria aperta, col tempo, a diverse altre Comunità e Confessioni convenute da varie parti del Vicino Oriente, in cerca di sicurezza e di pace.

Il Collegio Maronita di Roma, fondato nel 1584 per la formazione del clero, diede grandi Pastori come il Patriarca Douaihy, che rinnovarono la vita spirituale e culturale della loro Chiesa, e numerosi uomini di scienza e di cultura come Assemani, Al-Haklani, Assahyouni, che fecero conoscere le ricchezze umane e religiose dell’Oriente all’Occidente e promossero nel Libano l’educazione nelle scuole e, nel Vicino Oriente, il rinnovamento della cultura in lingua araba.

Tali valori umani e spirituali hanno contribuito alla formazione di un vero senso della Nazione libanese in seno all’Impero Turco, aperta a rapporti speciali con l’Occidente, preparando così l’edificazione dello Stato libanese moderno.

Fu l’Emiro libanese druso Fakhr-Eddine Al-Ma’ani a costituire l’unità libanese e a concludere trattati con le Repubbliche di Firenze e di Venezia, con larga apertura alla cultura italiana, il cui influsso è ancora manifesto nell’arte della costruzione e nella lingua araba che ha adottato numerose parole italiane come tawila (tavola), farmacia, fatura (fattura), cambiale... Simili rapporti politici e culturali venivano stretti con la Francia, mentre si facevano sempre più intense le relazioni con la Sede Apostolica di Roma.

L’estensione ed il valore di questi rapporti con l’estero manifestavano ed insieme favorivano il dinamismo e la validità della convivenza e della collaborazione delle diverse Comunità e confessioni della Nazione libanese. In questo clima di sincera cooperazione nazionale e di libertà religiosa fra cristiani e musulmani, divenne possibile vedere nel Libano numerose famiglie con un ramo musulmano e un altro cristiano, oppure intere famiglie musulmane passare al cristianesimo.

Così la nazione libanese si è trovata costituita di diciassette Comunità confessionali, legalmente riconosciute dalla costituzione libanese; sei Comunità cattoliche: Maronita, Sira, Melkita, Armena, Caldea e Latina; quattro ortodosse: Greco-Ortodossa, Siro-Ortodossa, Armena, Assira; una Comunità Protestante; cinque Comunità musulmane: Sunnita, Chiita, Druza, Alaouita, Ismaelita; una Comunità ebraica.

Presente dei Cristiani nel Libano. Su una superficie di 10.500 kmq circa, il Libano conta un po’ più di 3 milioni di abitanti, metà cristiani, metà musulmani. Tutti i cittadini hanno i medesimi diritti e doveri di fronte allo Stato che rispetta tutte le Confessioni senza adottarne una come sua propria, contrariamente agli altri Stati vicini della regione, in cui l’Islam è la religione dello Stato o del Capo dello Stato.

Il Libano gode di una libertà religiosa, specifica del suo regime democratico, in cui il Presidente della Repubblica normalmente cambia ogni sei anni e le elezioni legislative hanno luogo ogni quattro anni. L’ultima guerra imposta al Libano ha impedito queste elezioni da quasi vent’anni.

Dal 1948 vennero nel Libano circa mezzo milione di Palestinesi che hanno turbato l’equilibrio demografico e religioso fra cristiani e musulmani. Esisteva, infatti, fra musulmani e cristiani un Patto non scritto secondo il quale il potere pubblico era distribuito fra le comunità in modo tale che il Presidente della Repubblica fosse Maronita, la cui Comunità è numericamente più grande fra i Cristiani e la più antica di residenza nel Libano; il Presidente della Camera Chiita; il Presidente del Consiglio Sunnita. I Ministeri e i Seggi alla Camera dei Deputati dovevano essere distribuiti in proporzione con il numero dei cittadini di ogni Comunità.

In seguito si fecero sentire delle pretese, che la distribuzione del potere non era equa e che doveva essere riveduta, mentre i Palestinesi cercavano di affermarsi nel Libano, creando uno Stato nello Stato. Così iniziarono le violenze del 13 aprile 1975, trasformatesi presto in una guerra che durò sedici anni, fino all’anno scorso. Questa guerra ebbe vari aspetti: essa cominciò sotto la parvenza di una guerra confessionale poi civile per rivelarsi finalmente essere la guerra degli altri su territorio libanese. Le diverse fazioni libanesi ricevettero armi ed appoggio da parti estere che vi avevano interessi particolari. Ci furono successive feroci battaglie in diverse regioni del Libano, dal litorale fino alla montagna, in cui persero la vita più di centomila vittime, furono gravemente ferite centinaia di migliaia di persone e rimasero profughi più di mezzo milione di Libanesi, in maggior parte cristiani ancora impediti di ritornare nelle loro regioni, villaggi e case. Più di mezzo milione di Libanesi, in maggioranza cristiani, emigrarono all’estero. Decine di migliaia di cristiani hanno dovuto abbandonare le regioni in cui convivevano con i musulmani, allorché i loro villaggi furono rasi al suolo e centinaia di chiese e conventi furono totalmente distrutti o gravemente danneggiati; senza parlare del fenomeno selvaggio dei franchi tiratori e dei rapimenti che hanno reso la circolazione difficile e pericolosa. Tutto ciò ha distrutto le infrastrutture industriali, l’economia nazionale e svalutato la lira libanese, portando il dollaro dal valore precedente di 3 lire a quello attuale di 900 lire e riducendo la paga mensile media dell’operaio e dell’impiegato a 75.000 lire libanesi, cioè meno di 100 dollari al mese.

Potenze straniere, regionali ed internazionali, sono intervenute a sostegno delle parti in conflitto anche per rovinare l’economia libanese e forze armate straniere, tuttora occupanti il territorio libanese, si rifiutano di lasciarlo nonostante le decisioni espressamente emanate dalle Nazioni Unite per la loro partenza. Sono alcune di queste forze armate che detengono gli ostaggi occidentali e l’Occidente ne attribuisce la responsabilità al Libano, il quale è, in verità, egli stesso ostaggio per intero di forze straniere.

Gli ultimi accordi raggiunti hanno messo fine alla guerra e si spera di poter arrivare nella giustizia e nella libertà a una pace giusta e durevole nella piena indipendenza e sovranità del Libano.

Prospettive d’avvenire. I Cristiani potranno avere un futuro sicuro e prospero se sapranno coltivare la comune convivenza proficua tra cristiani e musulmani in una patria unificata sotto il segno della libertà e della vera democrazia, ugualmente aperta all’Oriente e all’Occidente. Tale fu la missione del Libano nel passato, lo è nel presente e lo deve essere nel futuro. Il Libano ha portato la civiltà dell’Occidente all’Oriente e quella orientale in Occidente. Vi sono però al riguardo vari pericoli. Se non ritornano gli emigrati cristiani partiti gli ultimi anni e se altri cristiani pensano ancora ad emigrare a causa di vari problemi nazionali non ancora risolti, il Libano indipendente perde la sua ragione di essere e il mondo perde un modello esemplare di convivenza islamo-cristiana, oggi più necessaria che mai. Né si può pensare a dividere il Libano per creare un’identità cristiana fra altre entità etniche e confessionali contrapposte in rivalità e contese razziste che non avranno fine, incontrando anche sempre più tenace la diffidenza e l’opposizione del mondo islamico circostante. La missione del Libano è quella di una civile e giusta convivenza umana e religiosa, una missione di civilizzazione.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ben definito questo ruolo del Libano: "Il Libano è più di un paese; esso è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente e per l’Occidente". Perciò il Santo Padre l’ha seguito da vicino con particolare sollecitudine durante tutto il tempo della crisi e con ripetuti appelli al popolo libanese e al mondo per il ritorno della pace al Libano martoriato.

Ultimamente, nel giugno scorso, in presenza di noi Patriarchi, Sua Santità ha annunciato un Sinodo Speciale per il Libano, allo scopo di fare un esame di coscienza generale, di ritornare alle sorgenti, di testimoniare dei valori cristiani in un mondo non tutto cristiano. E questo dopo che il Libano era stato travolto dalla guerra fra cristiani e cristiani, fra musulmani e musulmani, manovrati da interventi esteri tesi a distruggere il Libano e la sua testimonianza di verità e di convivenza pluriforme e pacifica.

Questo Sinodo ha la sua particolare importanza per chiarire le idee, purificare i cuori, sradicare l’odio e l’avversione, far dimenticare le distinzioni e ritornare all’autenticità dei valori cristiani. I nostri fratelli cristiani e musulmani hanno accolto favorevolmente l’iniziativa del Santo Padre perché essa è destinata a ravvicinare i cuori delle diverse Comunità libanesi per riprendere il loro ruolo di testimonianza, che il mondo aspetta, di una convivenza pacifica fra credenti di diverse religioni, particolarmente fra cristiani e musulmani.

Il Libano, che ha dato nel passato questa testimonianza, saprà portarla ancora se gli farà giustizia la Comunità internazionale che ha tutti i mezzi per aiutarlo a uscire dalla sua crisi, a liberare il suo territorio da tutte le forze straniere e a recuperare la sua piena indipendenza e sovranità. Perché il popolo libanese è laborioso e generoso, e desidera vivere con dignità delle proprie iniziative per contribuire da parte sua a consolidare la pace nella regione e nel mondo.

Nel ringraziare codesta spettabile assemblea della sua benevola attenzione, desidero augurare al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli il pieno successo della sua missione umana e culturale, pregando il Signore di colmare i suoi responsabili e membri delle sue abbondanti grazie per la concordia, l’amore e la pace fra le Nazioni ovunque nel mondo.

Lutfi Laham, dell’Ordine Basiliano Soarita, Arcivescovo titolare di Tarso dei Greci Melkiti Cattolici, è nato in Daraya nel 1933.

Ordinato sacerdote il 15 febbraio 1959, è stato consacrato Vescovo nel novembre 1981. È Vicario Patriarcale di Gerusalemme dei Greci Melkiti Cattolici.

Laham: Cari amici, porto a tutti quanti qui radunati un messaggio fraterni e spirituale, il saluto e la benedizione della Chiesa Madre di Gerusalemme e del luogo della Resurrezione. Prima di lasciare Gerusalemme per venire a questo Meeting, sono andato al mattino presto alla tomba del nostro Signore Gesù Cristo che è a 300 metri dal patriarcato, per pregare lì per tutti quelli che avrei incontrato nel mio viaggio.

Vi porto il saluto di Gerusalemme, che è la città della nostra Fede! vi porto il saluto della Terra Santa che è la Terra Santa per noi tutti cristiani perché, come ha detto il Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Redemptoris Mater, "la Palestina è la Patria spirituale di tutti i cristiani perché è la patria di Gesù e di Maria". Però come dice san Gregorio di Nazianzo "la santità di questa terra non è un monopolio di santità, ma un punto di partenza di santità per tutta la terra!". E così saluto l’Italia come Terra Santa, perché la Santità della Terra Santa di Palestina raggiunge anche l’Italia.

I nostri cristiani sono in maniera speciale concittadini di Cristo e cittadini di questa Terra Santa. I nostri diritti in questa Terra Santa non vengono solo da una ragione politica benché abbiamo veri e propri diritti politici come tutti i cittadini del mondo. Questi diritti non vengono solo per appartenenza etnica, benché abbiamo veri e propri diritti etnici come tutti i popoli della terra. Ma molto di più, abbiamo diritti che riassumono tutti gli altri diritti, abbiamo il dovere e il diritto di essere presenti in Terra Santa per portare il messaggio di questa terra per tutti i suoi abitanti che sono cresciuti in essa da secoli e secoli, cristiani, musulmani ed ebrei, anzi abbiamo il diritto e il dovere di portare questo messaggio di questa Terra Santa al mondo intero!

Questi diritti e doveri sono più chiari quando voi considerate che i cristiani di questa Terra Santa sono presenti in maniera continua da duemila anni e sono una comunità apostolica nel senso più stretto della parola. Inoltre come arabi e palestinesi, musulmani e cristiani sono presenti in questa Terra Santa da migliaia di anni prima di Cristo e perciò non siamo figli di ieri in questa terra, anzi, tutti i credenti delle tre religioni vi sono presenti da secoli e secoli ed è questa la base dei nostri diritti come di quelli degli altri.

Qui voglio mettere in luce il carattere molto speciale e spirituale di questa Terra Santa e specialmente della città di Gerusalemme. Gerusalemme non è e non può essere una capitale politica per uno Stato qualsiasi, ma è e deve essere sempre considerata come una Città Santa, anzi la Città Santa del mondo intero. Gerusalemme è la città della nostra fede! Dovunque andiate nelle strade piccole e strette di Gerusalemme incontrate in un modo o nell’altro Cristo e le sue tracce. Perciò i cristiani della Terra Santa, ed i cristiani del mondo intero, devono avere una sovranità spirituale su Gerusalemme e in Gerusalemme e debbono far prevalere e capire questo diritto imprecettibile. E così Gerusalemme non può essere considerata come Città Santa per un gruppo senza l’altro e nessun popolo può far prevalere i suoi diritti esclusivi di sovranità su di essa. E perciò voglio fare un appello ai cristiani del mondo intero e dire a tutti quanti che non possono essere disinteressati della causa di Gerusalemme, del suo avvenire, del suo status e della sua pace. Senza la pace di Gerusalemme non c’è pace per il mondo intero. Gerusalemme è e deve rimanere una Città Santa per tutti i cristiani del mondo, per i miliardi di cristiani e non soltanto per quattordici o diciassette milioni di ebrei.

Anzi la pace della Terra Santa e di Gerusalemme è importantissima per il futuro della presenza cristiana in Terra Santa e direi in tutto il Medio Oriente, perché i cristiani lasciano la Terra Santa a causa dell’instabilità della situazione politica, economica e religiosa molto grave e gravante su tutti quanti. Perciò la pace in Terra Santa deve interessare tutto il mondo e soprattutto il mondo cristiano. Tutti i cristiani del mondo devono intervenire come individui e come Stati e istituzioni per dire la loro parola, il loro parere e affermare i loro diritti riguardando il futuro di Gerusalemme. Di più, i cristiani in Terra Santa sono i partenari, i veri protagonisti del dialogo naturale, diretto e quotidiano con l’Islam e col Giudaismo, un dialogo che noi abbiamo imparato da secoli e secoli e continuiamo a praticare.

Cari fratelli, care sorelle, vorrei mettere anche in rilievo che noi, i cristiani arabi, siamo gli ambasciatori del mondo arabo ed islamico nel mondo cristiano e siamo di più, il lievito del Vangelo nella pasta del mondo arabo islamico. Non è una cosa occasionale, è un destino, è una vocazione essere in un mondo arabo e al 90% islamico. Vorrei aggiungere un altro punto. Questa Terra Santa deve essere il punto di attrazione, il posto e il luogo di accoglienza dei pellegrini che troveranno lì la loro patria e la loro madre Gerusalemme poiché ognuno è nato in Gerusalemme. Perciò aspettiamo dopo la crisi e la guerra del Golfo, con gran desiderio, di vedere tornare i pellegrini in gran numero come veri pellegrini, come il popolo di Dio pellegrinante nella terra del pellegrinaggio, la Terra Santa. Perciò vi diciamo: "Venite, venite, vi aspettiamo, con amore per portare con noi il messaggio di questa Terra Santa!".

Cari fratelli e sorelle, per tutti questi aspetti e motivi, vorrei fare un appello a tutti i cristiani del mondo intero di appoggiare gli sforzi della pace per la Terra Santa affinché questa soluzione non sia soltanto una soluzione politica, ma una soluzione di giustizia, di riconciliazione e di pace, basata sui valori religiosi, di tutte e tre le religioni della Terra Santa e non soltanto di una religione senza l’altra. La Terra Santa rimane e rimarrà una Terra Santa per tutti quanti: cristiani, musulmani ed ebrei. Noi aspettiamo da voi questo appoggio spirituale, morale ed anche materiale, ma vogliamo affermare che non abbiamo bisogno di un pesce per mangiare e rimanere nella nostra fame per domani, abbiamo bisogno di strumenti validi per poter pescare noi stessi. Non vogliamo mendicare il pane dell’elemosina, ma siamo un popolo che chiede giustizia, una patria, una identità, la sua dignità e la sua indipendenza. Insultare un popolo, schiacciarlo e schiacciarne la libertà, sottoporlo a trattamenti ingiusti, non può che far nascere l’odio ed aumentare la violenza e l’insicurezza. Non ci sarà pace per gli Ebrei senza la pace per gli Arabi e per i Palestinesi. Non c’è pace laddove si vuole far prevalere un popolo ed escluderne un altro. Speriamo che gli stati che hanno fatto la guerra insieme nel Golfo siano capaci, anche adesso uniti, di far la pace, di essere "Pontefici". Questa è la vera sfida. Speriamo che gli Stati che uniti hanno fatto la guerra possano fare prevalere uniti questo nuovo ordine che vuol dire per noi un cambiamento interiore, nel profondo dell’animo, una vera metanoia, un passaggio dalla mentalità della guerra, della violenza, della forza, del potere, del colonialismo ad una mentalità del dialogo, della giustizia, della riconciliazione, di comunione e liberazione, una mentalità di comunione e liberazione e dell’unione dei popoli, per far realizzare la soluzione pacifica. Questo è veramente il nuovo ordine, al quale Dio stesso ci ha chiamati tutti quanti, a cui ci chiama il santo nostro Vangelo e non i potenti di questa terra. Se noi lasciamo la direzione del mondo ai potenti e non poniamo il Vangelo come vera carta di pace, non arriviamo a nulla. Perciò chiediamo, come noi preghiamo nella liturgia orientale: "Per la pace che vien dall’alto e per l’unione di tutti i popoli, preghiamo il Signore".

Cari fratelli, care sorelle, cari amici di questo Meeting per l’Amicizia tra i popoli. Vorrei, prima di finire, indirizzare a voi tutti e ai figli e alle figlie di questo nobile popolo italiano il saluto e gli auguri della resurrezione e della vita. Resurrezione e vita sono i grandi valori cristiani, e oggetto della grande sfida al mondo di oggi. In questo mondo ci sono tante croci, tanti Golgotha, ma sono pochi i luoghi della Resurrezione e della vita. In questo nostro mondo ci sono tanti poteri di distruzione e di violenza, ma pochi luoghi di vita e di speranza, di resurrezione. In questo nostro mondo ci sono tanti venerdì santi, tanti giorni di tristezza di sofferenza, di croce, di violenza, ma noi vogliamo ed auguriamo giorni di domeniche, di resurrezione e di vita. Noi veniamo da questa santa città, Gerusalemme, che è chiamata città della Resurrezione. Veniamo da questa Chiesa che si chiama, in Occidente, la Chiesa del Santo Sepolcro, ma che chiamiamo noi, nella nostra lingua, nella nostra tradizione cristiana, la Chiesa della Resurrezione o semplicemente la Resurrezione. Nella Chiesa Orientale la Pasqua, il passaggio, la festa della Resurrezione e della vita, si prolunga su tutto l’anno liturgico dove le 52 domeniche sono tutte domeniche della Resurrezione. Ogni raduno cristiano vero non può essere che un raduno di resurrezione. Anche il Meeting è un incontro di riconciliazione. Questo grande Meeting qui a Rimini è sicuramente anche un raduno attorno a Cristo vivo e risorto. Lui l’ha già detto: "Dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Dunque il nostro raduno oggi è un raduno di vita e di resurrezione! Perciò vi saluto tutti quanti, qui presenti come figli e figlie della resurrezione, come è stato il titolo dei primi cristiani in Siria, in Libano e in Palestina: "figli e figlie della resurrezione".

Il nostro raduno oggi realizza quello che ha detto Cristo e ne ha fatto lo scopo della sua vita: "Son venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza". Perciò facciamo adesso in questo raduno, in questa sala, assieme, questa vera professione di fede. Acclamiamo, come si fa in Oriente per il giorno della Pasqua e diciamo gli uni agli altri, al Cristo vivo, la nostra proclamazione: "Cristo è risorto! È veramente risorto! Cristo è risorto! È veramente risorto! Cristo è risorto! È veramente risorto!".

Infine voglio ringraziare quelli che hanno organizzato questo grande Meeting, e che ci hanno invitati da Gerusalemme e dal Medio Oriente per godere assieme la nostra fede comune.

Sua Eccellenza Mons. Andrè Bedoglouyan è vicario di Sua Beatitudine Jean Pierre XVIII Kasparian, Patriarca di Cilicia degli Armeni.

Bedoglouyan: Vi saluto fratelli e sorelle in nome di Sua Beatitudine Monsignor Giovanni Pietro Kasparian, Patriarca degli armeni cattolici.

Vi porto il saluto della comunità armena cattolica del Libano; piccola comunità fra le 17 comunità che formano il Libano, mia cara patria sinistrata.

Vi saluto, fratelli e sorelle, con le stesse parole di San Francesco di Assisi, dicendovi: "Vi saluto buona gente", qui radunata in nome dell’amicizia fra i popoli. Siete radunati qui mentre la Chiesa sta festeggiando oggi la decapitazione di San Giovanni Battista martire, primo martire della verità e della libertà. Questo ci invita ad essere apostoli di verità e di libertà.

Vi saluto a nome del Libano, unico nella sua formazione come modello di coesistenza pacifica fra le due grandi confessioni, cristiana e musulmana, esempio di ospitalità umana, terra di accoglienza verso tutti i rifugiati assetati di libertà. Questo Libano, che ha aperto largamente le sue porte davanti a noi armeni 70 anni fa dopo il nostro genocidio, commesso dai turchi ottomani durante la prima guerra mondiale (1915-1918), dove abbiamo perso un milione e mezzo di vittime.

Questo Libano, che ha accolto fraternamente nel 1948 il più gran numero di palestinesi, malgrado il piccolo spazio del suo territorio (10.452 Km quadrati).

Questo Libano, piccolo geograficamente ma grande in valori, pluriconfessionale unito nella fede di tutti i suoi figli, cristiani e musulmani. Fede in un solo "Dio" personale, unico creatore, onnipotente e buono, giusto e remuneratore... merita l’amore e la riconoscenza di noi tutti.

Questa credenza comune in un solo Dio era ed è tuttora la base della sua esistenza, come è motivo di gloria per le sei comunità cattoliche: maroniti, greci melkiti, armeni, siri, caldei e latini. Gloria per le quattro comunità cristiane non cattoliche: greci ortodossi, armeni ortodossi, siri ortodossi e protestanti. Gloria per le sette comunità non cristiane: sunniti, sciiti, drusi, alauiti, ismaeliti, kurdi ed ebrei.

La credenza comune in un solo Dio ci dava pace finché era vissuta sinceramente. "Pace", dolce parola che Gesù venne a darci ed usò per saluto "la pace sia con voi". Ora la Chiesa, per voce dei Sommi Pontefici, ce la vuole ridire ancora e ce la vuole ridare. Pace, pace interiore che nasce nel cuore, riempie l’anima per ridonarla al di fuori. Pace con Dio.

La pace di cui godevamo nel Libano prima della nostra crisi era una pace precaria, perché Dio non regnava completamente, come altre volte, sull’individuo, sulla famiglia e sulla nostra società.

Il materialismo moderno si era infiltrato già prima della guerra nella nostra società. Il materialismo moderno sorgente di ogni specie di immoralità è entrato da noi, ha allontanato l’uomo libanese da Dio e gli ha fatto dimenticare il suo Creatore e i suoi obblighi verso di lui.

Quando Dio non è al suo posto nella vita dell’uomo non c’è pace per l’uomo e quando pace non c’è ci sarà la guerra.

In altri termini, prima di cominciare la guerra fra di noi eravamo già in guerra con Dio... Il flagello più grande è quando l’uomo, questo nulla, dichiara guerra a Dio Onnipotente. Sì, prima di litigare fra noi eravamo in litigio con Dio, con il Creatore!

Questa triste realtà fece dire allora al Presidente del Consiglio musulmano Rachid Karame che la crisi libanese era il flagello di Dio contro un popolo che lo ha rinnegato.

Però oltre l’indebolimento morale c’erano altri motivi sociali e politici, interiori ed esteriori, che hanno provocato la nostra crisi e ci hanno condotti alla distruzione quasi totale del nostro Paese.

Sul piano interno c’era: la lotta interconfessionale fra diciassette comunità; la lotta delle classi meno favorite contro quelle più favorite; la lotta dei partiti; le ambizioni e gli interessi personali; la gelosia e lo spirito di dominazione.

Sul piano esterno c’era: il conflitto armato palestino-israelita del 1967 che ha introdotto sul nostro territorio la lotta armata dei palestinesi e dei loro alleati dell’estero. Questa lotta venne a implicarsi nel conflitto per il dominio del Medio Oriente ricco di petrolio!

Questa lotta, cominciata nel 1975, durò sedici anni. Ha preso la forma di un tremendo ciclone, ha lasciato dietro di sé delle rovine incommensurabili, spettacoli apocalittici, una desolazione senza fine. Ha travolto nel suo impeto una civilizzazione multimillenaria. Ha distrutto valori naturali e soprannaturali che formavano il patrimonio nazionale e culturale del Libano. Il ciclone ha messo il Libano e i libanesi in una doglia generale. Le vittime si contano per parecchie centinaia di migliaia: morti, feriti, invalidi di guerra, senza contare i profughi, i rifugiati, gli spostati, le vedove, gli orfani, i senza casa che costituiscono più della metà della popolazione.

Tutto questo dramma inumano si è svolto in questo secolo che si è chiamato secolo del diritto e della libertà, il secolo della giustizia e dell’uguaglianza, della fraternità e dell’amicizia, della luce e dell’uomo. Sì, proprio in questo nostro secolo, dove l’uomo ha raggiunto il culmine della civilizzazione con delle realizzazioni meravigliose e fantastiche. Il Libano, che è stato uno dei fondatori e coautore della Carta delle Nazioni Unite, è stato abbandonato nei giorni più tristi della sua esistenza da questa stessa organizzazione.

Solo il Vaticano, lo Stato che non ha esercito, non ha armi, né potenza fisica si è mostrato accanto a noi. La voce paterna e sollecita del Sommo Pontefice Papa Giovanni Paolo II ha scosso la coscienza internazionale con i suoi 150 discorsi, appelli, S.O.S. indirizzati ripetutamente a tutti gli Stati e a tutti i popoli per indurli ad aiutare il Libano, paese piccolissimo ma prediletto dal Santo Padre. Al Capo della Chiesa visibile ed universale, vero difensore della pace, della giustizia, della vera libertà e della vera amicizia, al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II va l’immensa gratitudine e la riconoscenza senza limite di tutto il popolo libanese.

Fratelli e sorelle, il mondo ha assistito con stupore e meraviglia al pronto ed efficace intervento internazionale per liberare il Kuwait, piccolo paese ma ricchissimo di risorse naturali, dall’occupante iracheno. Mentre il Libano, perché piccolo paese, povero in risorse naturali, è stato dimenticato durante sedici anni dalle potenze grandi o piccole che pretendono essere i difensori della libertà, della giustizia e della legalità internazionale. Quasi tutti sono stati dei falsi testimoni, tutti hanno mancato nell’assistenza non solo di persone ma di un intero popolo in pericolo. Bossuet dice che chi passa indifferentemente davanti a un crimine è complice dello stesso crimine...

Fratelli e sorelle, la guerra è finita ormai, grazie a Dio, ma una triste e tremenda eredità morale ne è risultata come conseguenza; eredità che preoccupa tutti i responsabili del nostro paese. Le vittime della guerra e dell’immoralità ci fanno paura. I giovani fra i 15 e i 35 anni hanno subito più o meno l’influenza di questa guerra, specialmente quelli che erano nelle milizie al fronte. Durante questi 16 anni di guerra si è formata una nuova etica secondo la quale non si esita, anche per un motivo futile, litigare, molestare, uccidere, violentare e ad appropriarsi dei beni degli altri. È vero che la guerra di distruzione è finita, ma la guerra di ricostruzione materiale e morale deve ancora cominciare. Tutti siamo chiamati d’urgenza. Sul fronte interno, lo Stato libanese e le Chiese locali, come tutti i laici, cattolici o cristiani impegnati, hanno bisogno di un aiuto esteriore efficace e pronto per riuscire nelle loro nuove responsabilità che assumono oggi. Più che mai la ripresa spirituale e morale è legata alla ripresa economico-sociale.

È vero che lo Stato libanese del presidente Heraoui è al lavoro per un’opera di riappacificazione e di ricostruzione, però non è capace di eseguire da solo tutti i piani e tutti i progetti di ricostruzione. La sua riuscita dipende dall’esecuzione e dalle promesse fatteci dai Paesi occidentali e arabi.

La Chiesa locale ha assunto il compito principale di rifare l’uomo libanese, il cristiano libanese. Munita dalle direttive del Santo Padre, la Chiesa locale sta preparando il Sinodo generale per il Libano, che ha per meta di riformare spiritualmente il popolo libanese, per risanare le piaghe morali che hanno colpito i nostri fedeli durante la guerra, per rieducare le generazioni di guerra e quelle a venire nella fede cristiana cattolica e per vivere la loro vita cristiana.

È dovere della Chiesa locale aiutare le scuole cattoliche per continuare la loro missione educativa verso la gioventù presente ed a venire. La missione delle nostre scuole è la missione della Chiesa stessa. Il Libano manterrà il suo sigillo cristiano finché ci saranno le scuole cristiane.

La Chiesa affronta con ansietà e con perplessità un altro problema; quello degli ammalati e degli ospitalizzati, quello dei senza lavoro, dei senza casa, quello dei giovani che non possono formare una famiglia e quindi prendono la via dell’emigrazione. Più di quattrocentocinquantamila cristiani, in maggioranza giovani, hanno già lasciato il Libano per cercare altrove pane, lavoro e vita. Disgraziatamente l’esodo dei cristiani libanesi sarà seguito fatalmente dai cristiani di altri paesi mediorientali e forse nell’anno 2000 o un po’ dopo non ci saranno più cristiani in Oriente, come lo prevedono certe correnti integriste non cristiane. È utile ricordarsi che prima della prima guerra mondiale c’erano in Turchia quattro milioni di cristiani, oggi ce ne sono soltanto 150.000.

Fratelli e sorelle, bisogna intervenire con la massima urgenza per aiutare il mio Libano a risorgere, a vivere, a crescere, affinché possa testimoniare e irradiare i principi e i valori celesti.

Spero che il Meeting per l’amicizia fra i popoli, tenuto qui a Rimini, diventi un vero palazzo di giustizia, di libertà, di fraternità e di vera amicizia verso il popolo libanese.

Difatti abbiamo bisogno di veri amici che facciano risvegliare la coscienza internazionale e la costringano ad aiutarci a vincere la nostra guerra pacifica contro le conseguenze della guerra distruttrice. Abbiamo bisogno di chi ci procuri il lavoro, di chi ci aiuti a far funzionare le nostre scuole cristiane, ad avere la possibilità di ospitalizzare i nostri ammalati. Abbiamo bisogno di chi ci aiuti per impedire l’emigrazione dei giovani universitari, futuri intellettuali e responsabili del Libano futuro. Perciò bisogna perfezionare le nostre università perché i nostri giovani le frequentino con delle borse gratuite per non andare all’estero e staccarsi dalla Patria madre. Abbiamo bisogno di amici che si sentano solidali con noi e accettino di curare i nostri bisogni, e di risponderci praticamente, ciascuno secondo le proprie possibilità anche minime. Pascal diceva: "Tutto il mare cresce per una pietra che vi si scaglia".

Il Libano è un paese giovane, ricco di possibilità spirituali e morali. Merita di essere soccorso in questi momenti difficili della sua storia; siate sicuri che il Libano ve la frutterà il centuplo.

Terminando vorrei andare con Dante a bussare alla porta di un convento negli Appennini per dire al superiore: "Io sono Dante e voglio la pace nel vostro convento". Il Libano bussa alla porta di questo Meeting per l’amicizia fra i popoli per dire: "Voglio la pace fondata sulla libertà". Senza il vostro aiuto la nostra pace rimarrà fragile.

Glaudustone sollecitava aiuto all’Armenia sinistrata dicendo: "Aiutare l’Armenia è un aiuto fatto alla civilizzazione". Io direi: "Aiutare il Libano di oggi è un aiuto fatto alla civilizzazione, è un aiuto fatto ad un paese modello di convivenza islamo-cristiana, aiutare il Libano è un segno di amicizia fra i popoli liberi, è un aiuto alla libertà".

Formigoni: Abbiamo ascoltato stamattina alcuni degli interrogativi che noi poniamo sul tema del nuovo ordine mondiale, facendoci eco di popolazioni, di gruppi, di comunità che vivono nella terra drammaticamente all’ordine del giorno del Medio Oriente. Vogliamo ricordarci del fatto che la Terra Santa è santa per tre religioni e per miliardi di uomini in tutto il mondo. Vogliamo ricordarci che è la terra dove hanno avuto le loro origini e dove sta la patria di popoli diversi che hanno esattamente gli stessi diritti. Vogliamo ricordarci, nel nuovo ordine mondiale, del Libano, dei Palestinesi, di milioni di uomini e di donne ancora costretti a vivere in esilio, lontano dalla loro terra. Sono delle domande dalle quali non vogliamo abdicare. Se le cancellerie mondiali, i ministri degli esteri, i governi non vogliono fare della sola propaganda è a queste domande che devono rispondere.