I diritti dell’uomo: verità e teoria
Martedì 25, ore 11.30
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Relatori:
Irina Ilovajskaja Alberti, Direttrice della Rivista "La Pensée Russe" di Parigi
Vittorio Sgarbi, Deputato al Parlamento italiano e Storico dell’Arte
Alberti: Mentre cerco di districare una dall’altra, la verità dalla teoria nel contesto di un tema nel quale rientra in un certo modo la globalità della vita dell’uomo e del creato, la memoria del cuore mi ha portato a ricordare due episodi, entrambi legati alla Francia, e non a caso, perché la Francia è pur sempre - ed è giusto che sia così - fiera di chiamarsi la patria dei diritti dell’uomo.
Il primo riguarda il film del grande regista polacco Wajda, che non ebbe troppo successo, anzi, si fece decisamente un tentativo di passarlo sotto silenzio. Il film si chiamava Danton e attraverso la storia personale di questo protagonista della Rivoluzione francese, raccontava la rivoluzione stessa, in un modo che allora non era ancora accettabile per la maggior parte della Francia, cioè cercando la verità e scartando la leggenda. L’episodio di questo film al quale mi riferisco è quello dove il figlio di Robespierre sta imparando a memoria, per regalo al padre, il testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e lo ripete mentre viene lavato in una rudimentale vasca da una donna dal viso tormentato e spietato, che punisce ogni errore o esitazione con colpo o un pizzicotto sul corpo nudo e indifeso del ragazzino piangente. In mezzo ai singhiozzi, con voce tremante e terrorizzata, egli recita questo testo. La scena, breve come tutte le grandi scene di Wajda, è così densa di significato che mi è rimasta impressa più di tutto il resto del film con tutta la sua drammaticità.
Ed è immediatamente tornata alla memoria del cuore quando, qualche anno dopo - è il secondo episodio al quale vorrei riferirmi - uscì il libro del cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi (uno dei suoi molti libri ma per me particolarmente importante) che si chiama I diritti dell’uomo grazie a Dio (Dieu merci les droits de l’homme). Il regista polacco aveva scelto per tema la Rivoluzione francese, ma attraverso questo capitolo della storia, si rivolgeva, certamente come sempre fa, al cammino dell’uomo in questo mondo, alla sua molteplice e pur unica realtà. Il grande uomo di Chiesa, francese, proveniente da una famiglia di ebrei polacchi che ha perduto ad Auschwitz sua madre, una fra i milioni di vittime della Shoah (ed entrambi i fatti - quei milioni e quell’unica vita umana, quella di sua madre - sono una ferita sanguinante nel suo cuore), ha dato la risposta nelle pagine di questo libro e già nel suo titolo - grazie a Dio, i diritti dell’uomo - al quesito esistenziale posto da Andrey Wajda.
Il nostro secolo, questo strano secolo in cui luci e ombre si sono come condensate ed hanno acquistato un particolare rilievo - ciò che è ombra è veramente ombra e ciò che è luce è talvolta incredibilmente luce - volge alla fine in mezzo a un dibattito più che mai vivo; per la verità, sul drammatico tema dei diritti dell’uomo. All’alba del Novecento il grande poeta russo, ebreo e cristiano, Ossip Mandel’stam, morto di fame e freddo in non si sa quale lager del gulag sovietico - ancora non ci sono, in realtà, dati assolutamente precisi sulla sua morte - battezzava il secolo nascente "strangolatore di lupi". È un’immagine tratta dal folklore di un paese dove il lupo occupava, nella fantasia di una civiltà contadina, il posto del nemico, ma l’accento è posto sul termine strangolatore. Un secolo devastato da due guerre, ma soprattutto da due totalitarismi ugualmente atroci, e questo secolo non poteva non rivolgersi attivamente ai diritti dell’uomo, se l’uomo voleva sopravvivere e salvare, sia pure malamente, il creato.
Oggi ci sono storici e filosofi, tra i quali vorrei ricordare in particolare Vittorio Strada, che cominciano a dirci e a dimostrarci non solo che l’orrore dei due totalitarismi - nazista e comunista - fu uguale e in tutto paragonabile, ma anche (e questo mi sembra il perno del problema) che furono in realtà un unico fenomeno, e che il totalitarismo, qualunque sia l’ideologia o la leggenda di cui si ammanta, è sempre la stessa cosa. Un attacco contro l’uomo, e questo, forse, l’abbiamo in parte capito - in parte soltanto, perché se ci guardiamo intorno vediamo, ancora e sempre, tante tentazioni e tanti tentativi, più o meno ben travestiti, di nuovi totalitarismi.
In fondo, se guardiamo più in profondità e con maggiore umiltà, vedremo che il totalitarismo è sempre una ribellione contro Dio, che è la fonte e la ragione dei diritti dell’uomo. Perciò il cardinale Lustiger ringrazia Dio per questi diritti prima di parlarne.
Volge alla fine questo secolo, nel quale l’orrore, la disumanità e il terrore hanno forse raggiunto il massimo vissuto nella storia umana, ma nel quale c’è stata anche una reazione, la comprensione sempre più chiara da parte di molti che l’alternativa era fra la vita e la morte, e per salvare la vita occorreva difendere e salvaguardare la libertà e la dignità dell’uomo, cioè i suoi diritti fondamentali. C’è stato chi ci ha annunciato che non dobbiamo avere paura e con tutta la forza del suo amore per gli uomini ci ha chiamati ad aprire le porte a Cristo. Pochi giorni fa avevo ospite da me un sacerdote della Chiesa ortodossa russa, questa Chiesa così tormentata e dilaniata dall’interno, ed egli mi diceva, parlando di Giovanni Paolo II: "il più grande Papa della storia cristiana dopo san Pietro". Aveva gli occhi pieni di lacrime. Rispondeva allo splendore di amore che emana dal santo Padre e che è lo stesso amore di Cristo. Sì, il nostro secolo ci ha dato anche Giovanni Paolo II. Ci ha offerto molti spiragli di luce.
Penso che spiraglio di luce sia anche la presenza del grande tema dei diritti dell’uomo, ormai in ogni forma di attività umana e in tante realtà, piccole e grandi, individuali, associative, addirittura politiche, nelle innumerevoli organizzazioni non governative che cercano di fare del rispetto per l’uomo la base autentica e forte dei rapporti fra uomini e fra popoli e della struttura sociale del nostro mondo. Arriviamo anche a capire che il rispetto per l’uomo e la salvaguardia dei suoi diritti sono inscindibili dalla difesa del creato nella sua globalità, e con questo implicitamente (anche se per molti è ancora difficile riconoscerlo, e molti altri si oppongono coscientemente e a volte rabbiosamente a questa comprensione) ammettiamo che, in effetti, tutto ha un solo inizio ed un’unica sorgente, che è Dio.
Vorrei qui fermarmi un attimo per raccontarvi di una lettera che ho ricevuto recentemente. Il nostro giornale e anche la radio che abbiamo a Mosca ricevono numerose lettere della gente più varia dalla Russia; recentemente abbiamo ricevuto la latera di una donna che ha trascorso tredici anni nel gulag e che racconta un episodio emblematico. Un gruppo di prigionieri condotti da un lager ad un altro viene fermato da un militare che li conduceva, perché di fronte a loro era apparso un militare in divisa e con spalline che indicano un alto grado. Il comandante di questo gruppo di prigionieri dice loro: tutti in ginocchio, perché davanti a voi si trova un cittadino dell’Unione Sovietica. Si devono allora mettere in ginocchio: lui è un cittadino dell’Unione Sovietica, loro, in quanto prigionieri, non lo sono. La donna che mi ha scritto questa lettera si chiama Matriona, una sorta di simbolo di tutto quello che la casa editrice "La casa di Matriona" ha fatto per la Russia. Matriona scrive con profondo dolore: tutti si sono messi in ginocchio, eprché sapevano che se non lo faecvano sarebbero stati seduta stante eliminati. Ma la donna ha vissuto questo come una estrema umiliazione, come una scomparsa di ogni senso di dingità e della coscienza dell’uomo che è uomo e che non ha da mettersi in ginocchio davanti a qualcuno soltanto eprché questo qualcuno prota delle spalline.
Prima di venirvi a parlare qui, sfogliavo due libri, entrambi legati alla Russia, com’è per me naturale, perché continuo la battaglia iniziata tanti decenni fa perché la Russia esca da quella gabbia mentale da cui nasce il totalitarismo. Uno di questi libri, uscito già qualche anno fa, descrive (ironicamente e pittorescamente, ma ne risulta una tragedia umana) le condizioni di vita nell’esercito sovietico: l’esercito di uno stato totalitario, che doveva dunque essere per definizione e per eccellenza la negazione ideologica e la distruzione pratica di qualsiasi concetto di libertà e dignità dell’uomo e dunque dei diritti dell’uomo.
L’altro libro è un libro scritto oggi, da un uomo di trentasette anni, dunque nato e cresciuto ancora sotto il totalitarismo, sia pure un po’ annacquato, e che cerca per il suo paese la liberazione, appunto, dalla gabbia mentale della disumanità. Ho ritenuto dalle molte pagine di questo libro, una raccolta di saggi pubblicato sotto il titolo Prigionieri liberati, due passaggi. Il primo è una citazione dagli scritti di padre Sergji Bulgakov, sacerdote e teologo degli inizi del secolo, di cui Russia Cristiana - La Casa di Matriona - ha appena pubblicato la traduzione italiana di un’opera fondamentale, Alle mura di Chersoneso: parlando della Russia alla vigilia della Rivoluzione, egli dice che il paese cresceva economicamente, con impeto e intensità e nello stesso tempo si disfaceva spiritualmente. Da lì parte per lui la spiegazione di quanto è avvenuto dopo. L’altro passaggio che volevo qui citare è legato ad una riflessione di Vladimir Solov’ëv sull’inutilità di ogni sforzo umano anche, il all’apparenza più nobile e bene intenzionato, se non contiene e non porta con sé quel che Soloviev chiama "l’ispirazione del Bene". Bene con la maiuscola: generosità, bontà, solidarietà, amore. Tutto ciò che viene da Dio.
Oso dire che la differenza tra la realtà dei diritti dell’uomo, che è nata ma resta ancora tutta da costruire, affinché non degeneri in strumentalizzazione o in certe forme di fanatismo in cui in nome dei diritti si calpesta la vita, e la teoria, che esiste già in modo abbastanza sicuro e difficile da annullare, forse a seguito delle tante immane sofferenze del secolo che volge alla fine, la differenza in queste parole, unite da Solov’ëv in una regola di vera vita: l’ispirazione del Bene.
Sgarbi: È inquietante, nella conclusione di Irina Alberti, il dubbio che - in tempi così avanzati in cui le garanzie sembrano espresse da una civiltà giuridica matura e da una coscienza umana e religiosa sempre più larga e sempre più profonda - i diritti dell’uomo siano ancora limitati o minacciati e che per essi occorra far riferimento a qualcosa che va al di là della ragione e delle regole, le quali non esistono per umiliare l’uomo, ma per impedire che venga umiliato.
Non possiamo accettare nessuna regola, nessuna norma, nessuna legge che porti alla violenza contro l’uomo: c’è quindi un primato della vita, della libertà, della condizione umana, della coscienza che va oltre la legge e impone di violarla. La figura più alta e a cui ognuno vuole o punta ad ispirarsi, è quella di Cristo, è la figura di uno che viola la legge, e prima di Cristo la figura di Socrate, anche lui un uomo che viola la legge. Perché questi uomini, a cui noi guardiamo con una così forte tensione morale, violano la legge? Perché le leggi da loro violate sono sbagliate; e sono sbagliate perché sono in realtà delle espressioni del potere, di quella prepotenza che è la manifestazione indiretta, ma più esplicita e più facile del potere.
In questi giorni molti argomenti ci consentono di sviluppare sul piano della cronaca questi temi, perché ci pongono e hanno posto a commentatori, generalmente diligenti, il tema del rapporta fra la forma e la vita, la legge e la coscienza, la retorica e la persuasione. Faccio queste contrapposizioni perché il tema fondamentale della vita e della forma è un tema affrontato da un laico pieno di dubbi qual era Luigi Pirandello, il quale ha espresso in tutta la sua ricerca letteraria e di pensiero il contrasto tra la vita e la forma, il contrasto tra le persone per le quali esistono una serie di contraddizioni e di dubbi sull’esistenza e le persone che invece si consolano, nell’esistenza stessa, di forme che sono come la soluzione di ogni problema. Queste forme invece non sono la soluzione di ogni problema, sono chiusura del dubbio per certezze di natura fideistica, ma non relative alla coscienza, relative alla ipotesi della perfezione della norma.
Ma io laico - benché educato in un collegio salesiano, e forse in virtù di quell’educazione -, molto attento alla resistenza individuale in nome della coscienza e anche della libertà, continuo a dubitare di alcune cose che sento dire quotidianamente: in nome di valori legati all’esistenza, alla vita, alla libertà, ho fatto e continuerò a fare alcune considerazioni molto drastiche, e quando penso alla legge mi rendo conto di quante volte questa legge rischia di portare alla determinazione della rinuncia alla vita.
Il caso emblematico è lontano nel tempo, ma è vicino alle questioni di cui si è parlato in questi giorni, e riguarda un grande politico, un grande cattolico e anche un grande laico, Aldo Moro. Il tema di Aldo Moro è un tema forte, perché egli è un martire che è stato sacrificato da un partito che porta nel nome la parola cristiano ed è stato tentato di salvare da un uomo che oggi è considerato come una sorta di fogna di Hammamet, che faceva riferimento ad una cultura socialista certo legata ai temi dell’umanità, ma non legata ai valori cristiani della persona. In quell’occasione, alcuni importanti esponenti della Democrazia Cristiana che hanno creduto e che credono nel valore della vita e avrebbero fatto tutto perché non si uccidesse Moro, hanno deciso che la legge era più importante della vita di un uomo. Proprio per questo, se in quel momento erano ancora cattolici, portano con se un peccato definitivo che li porterà all’inferno, e parlo dell’inferno vero al quale occorre credere perché se non c’è l’inferno non c’è né la libertà né la vita. Allora è sicuro che, nonostante la simpatia umana per chi adesso deve pagare colpe che non ha, Andreotti andrà all’inferno, è sicuro che Scalfaro andrà all’inferno, è sicuro che quanti hanno congiurato per la morte di Moro andranno all’inferno. Cosa hanno fatto in quel momento? Hanno stabilito che non si tratta con le Brigate rosse, neppure secondo le modalità indicate da Craxi, che erano quelle di cedere alcuni pseudo prigionieri politici in cambio della vita di Moro. Secondo costoro, trattare, anche nell’emergenza, sarebbe stato minacciare la forza, ossia la prepotenza, della legge. Il nodo è chiaro: Moro è morto sull’altare della legge, è evidente che quella legge era sbagliata, perché se la legge produce un solo morto, quella legge è illiberticida. Il fine giustifica i mezzi, diceva Machiavelli: chissà cosa sarebbe successo se avessero trattato. Invece, purché lo Stato resista con le sue regole, muoia pure Moro; allora è evidente che anche la reminiscenza tardiva e improbabile dell’attuale Presidente della Repubblica che dice di avere avuto dei dubbi e di avere ipotizzato la trattativa per salvare Moro, altro non è che in articulus mortis la confessione al sacerdote per non andare all’inferno. Scalfaro in quella circostanza non ha certo pensato che una vita sola vale più di tutte le leggi.
Sono stato amico di un vostro amico, Giovanni Testori, il quale una volta mi disse: come non è stato impossibile uccidere Moro, non è neppure impossibile che domani arrivi da un mondo nemico, ma che va guardato con lo spirito cristiano della fratellanza, arrivi un terrorista islamico che tiene in mano un bambino che contro la Chiesa cattolica dica "se non fate saltare la Cappella Sistina io uccido questo bambino". State certi che quel bambino morirà, diceva Testori, state certi però che è più importante la vita di un bambino che la Cappella Sistina (sebbene questa sia una affermazione orripilante per l’arte e la sua conservazione, che sono ciò per cui io vivo sul piano tecnico). Certo è una ipotesi assurda anche perché in realtà la Cappella Sistina è come un bambino vivo perché è viva, in quanto l’arte è una espressione della vita oltre la morte: però l’esistenza di quella cosa che è vita, che dà vita e che conferma che Dio esiste, rimane un oggetto, animato finché volete, ma oggetto, e la dialettica estrema, la chiamata alla scelta finale imponeva al cattolico storico dell’arte Testori la distruzione della Cappella Sistina in nome della vita di un bambino. È chiaro che se accettiamo questo - e non possiamo non accettarlo non perché cattolici, bensì perché non abbiamo alternative - siamo di fronte alla continua ipotesi della contraddizione tra le forme e la vita.
Abbiamo subito questa estate due testimonianze traumatiche e benché diverse tra loro altrettanto tragiche, del contrasto tra la norma - e i seguaci comunisti della norma - e la vita; il primo caso è quello del contrasto tra un uomo formidabile, Luigi Lombardini, morto perché ucciso in una circostanza talmente complessa da non consentire alternative di interpretazione, e i magistrati, la legge. Come si è svolta la dialettica tra queste due parti?
Ci sono ferie per tutti e non c’è persona che più prediliga le ferie di un magistrato: un magistrato vive in ferie, è in ferie sempre, lavora qualche ora al giorno, essendo autonomo ed indipendente da tutto, anche nel lavoro. Un magistrato prende le carte relative a Fornasieri e per la contiguità associativa - la stessa che ha riguardato anche il senatore Andreotti e il sottoscritto - apre un fascicolo e per un mese studia il caso Fornasieri, dovunque egli sia. Il magistrato infatti non deve stare in ufficio, timbrare il cartellino, deve solo aprire una serie di inchieste le quali portano spesso a conclusioni fallaci perché partono - come è capitato sempre nel caso di Andreotti - dal principio ‘prima troviamo il colpevole, poi cerchiamo le prove’. È un metodo semplice, l’opposto del mio, è un metodo deduttivo. I magistrati dunque in un lungo periodo della loro esistenza tendono a ‘delavorare’, specialmente ad agosto: il senso della mia polemica è che le procure d’Italia, non cercano di stanare il male, bensì il bene - pensate a un altro caso emblematico, quello di Muccioli - perché il bene è più comodo, lo si vede ed è a portata di mano, mentre invece il male disturba. In questa attività continua di ricerca del bene da punire, noi abbiamo una sosta dell’attività delle procure durante il mese di agosto e metà di quello di settembre. Naturalmente rimangono aperti alcuni uffici nei quali c’è generalmente una persona sola. A Palermo ce ne sono cinque, lavorano solo ad agosto e devono agire secondo urgenza ed emergenza.
Ed arriviamo così al punto del caso Lombardini, punto che non ha capito il modesto e pavido Flick: non conta che il magistrato abbia interrogato e non torturato Lombardini, non conta che l’interrogatorio sia statoregolare. Il dato è preliminare: era veramente, per un solo magistrato o per un solo italiano o per un danno alla società, urgente ed emergente andare l’11 agosto con un commando militare di trenta poliziotti a Cagliari per interrogare Lombardini? Qui si apre la questione: per il tipo di lavoro, assolutamente scientifico, quale quello che io svolgo quotidianamente, devo dire che non c’era né urgenza né emergenza. Tutto quello che Lombardini poteva dire e il problema che ha aperto la sua morte, cioè il tema del rapporto con le leggi o con una legge, poteva essere discusso il 20 settembre, il 20 ottobre, il 4 novembre, qualunque giorno, ma non l’11 agosto, quando tutti sono in ferie, quando tutte le procure sono chiuse, e solo a Palermo ci sono cinque falchi pronti, con un aereo pagato da voi, ad andare con armi, bagagli, mitra, pistole non per intimidire, ma per interrogare. Non è affatto normale, è anormale; è logico che successivamente l’interrogatorio sia regolare, ma non è affatto normale andare lì con questa struttura di commando la quale presuppone un’urgenza.
Lamento che l’urgenza non ci fosse perché rispetto ad esempio al fatto da tutti sentito che nella canicolare estate del 1998 i boschi si incendiano, in Sardegna, in Sicilia, in Calabria, il commando anche se potrebbe andare non va. Ma se non si prende il piromane adesso, non lo si prende più, mentre invece si può aspettare per Lombardini. Vi risulta forse che abbiano preso un solo piromane in Sicilia, che il commando armato sia andato con delle automobili normali, sia pure con molte scorte, per arrestare chi appiccava il fuoco? Non risulta. Eppure quella è una palese emergenza ambientale e una palese urgenza, per la quale è evidente che sia giusto che un ufficio abbia una apertura, che abbia in qualche modo un turnista. Un commando della natura di quello per Lombardini o per il cardinale Giordano è come un gruppo di medici pronti all’emergenza di un infarto di un ictus... e in questa follia di una emergenza impossibile ed inesistente c’è l’assurdo della forma, delle regole, del GIP, dell’autorizzazione, mentre intanto non c’è un solo cittadino italiano che debba lamentare un danno che gli sia venuto dal dottor Lombardini o dal dottor Grauso.
E allora qual è l’emergenza sociale? Io posso lamentare il danno dei boschi incendiati, posso lamentare il danno di un furto, posso lamentare il danno di una automobile a cui hanno sottratto l’autoradio, ma che danno si può lamentare da parte di Lombardini? Qui abbiamo il paradosso: grazie al metodo Lombardini, la donna per la quale il Papa fece una dichiarazione in un suo discorso invece che morta è viva, e perché è viva? Perché qualcuno ha violato una legge sbagliata, perché se avessimo accettato la loro regola, Silvia Melis sarebbe morta.
Silvia Melis in realtà è viva, quindi il danno non c’è, e i sequestratori non vanno cercati con il commando; c’è però un altro problema, ricostruito perfettamente quando Valerio Riva trascrisse le ultime dichiarazioni di Lombardini. Grauso, uomo onesto perché ha dichiarato di avere fatto tutto non per amore dell’umanità ma per pubblicità, è andato a trattare con i rapitori contro la legge, perché non lo poteva fare il padre. Ha poi detto di avere pagato; ma la legge dice che non si può pagare il riscatto. E allora? Si arriva a dire che si è liberata da sola. Non esiste nella storia dei sequestri sardi, uno che si libera da solo. I sequestratori le hanno messo una tendina fuori casa, con delle catenelle, così si è liberata da sola e se ne è autoconvinta, così come tutti. A questo punto quell’ammiccante all’usura, che è il di lei padre - questo è il mestiere che pare praticasse - vuole che gli vengano ridati i suoi soldi. Si convince da solo, ragionando così: avete detto che non ho speso niente, è la verità pubblica, allora ridatemi i miei soldi. Su questo argomento evidentemente avrà fatto qualche flebile dichiarazione ai magistrati, i quali hanno aperto la famosa inchiesta, e hanno accusato un uomo onesto di essere un estorsore. Così Lombardini ha vissuto tutta la vita per liberare, e di fatto è riuscito, decine di sequestrati, e si ritrova ad essere chiamato amico dei sequestratori ed estorsore. La debolezza psicologica è certo un passaggio ulteriore, un’altra questione, non possiamo entrare nell’insondabile dimensione del suicidio. Soltanto Tito Melis dunque poteva lamentare un qualche danno che motivasse quella urgenza, un danno però come quello di tutti coloro che hanno una casa in cui c’è un inquilino che non esce, ma non risulta che ci sia nessuna procura che muove una inchiesta con urgenza per cacciare un inquilino.
Non passano dieci giorni che ci troviamo di fronte al secondo caso emblematico: una persona che conosco bene e che stimo, il cardinale Giordano. So che il cardinale Giordano - glielo si legge in faccia - è un uomo che ha fatto il prete (che già non è la cosa più comoda del mondo), anzi il prelato, poi è diventato monsignore, poi si è comportato bene da uomo di curia ed è diventato vescovo e cardinale. Ci può essere uno la cui vita è cristianamente volta al bene degli altri, che diventa usuraio? Come è possibile al mondo pensarlo? Possiamo pensare che Solzenicyn diventi comunista? Possiamo pensare che Fidel Castro diventi un prete? Possiamo pensare che il cardinale Giordano diventi un usuraio? Non possiamo neanche pensarlo! E chi lo pensa è un criminale! Questo è il dato di fondo, altro che discussioni sulle forme e sulle regole! C’è l’esempio di una vita e ciò pone sullo stesso piano un santo laico e martire come Lombardini, e un santo religioso come Giordano. ‘Santo’ vuol dire una persona che ha fatto per gli altri, nel nome dell’uomo o nel nome di Dio. Non voglio guardare le carte dei processi o entrare nel merito: però, so che a Lombardini si devono, contro una legge sbagliata che è la legge Moro, libertà di persone altrimenti morte, e so che il cardinale Giordano ha combattuto nel territorio più difficile contro camorra, delinquenza, usura. Una persona che ha una vita esemplare ad imitazione di Cristo, non può diventare usuraio, é contro il senso stesso della sua esistenza.
Queste vite sono state ribaltate da una cieca fede nella norma. I comunisti, più dei cattolici e in malafede, dividono il mondo in buoni e cattivi: un non comunista è cattivo, un prete, un monsignore, un cardinale è nella visione alla Dario Fo’ un possibile ladro. Devo dubitare del cardinale perché appartiene al potere della Chiesa. Allora, come assurda conseguenza, dobbiamo attenderci l’avviso di garanzia al Papa - diceva il cardinale -, perché non poteva non sapere. È logico, è conseguente, è un teorema.
Mi pare, in un caso e nell’altro, di non aver fatto altro che osservazioni logiche e per tentare di salvare il bene più importante che è l’integrità e il senso di una esistenza. Mettere in dubbio, quando una vita è avanzata, il suo stesso senso, diventa qualcosa di talmente violento che già nei titoli dei giornali c’è qualcosa che fa saltare ogni regola. Voi sapete che tra i peccati capitali c’è l’ira: avete visto la bonomia, sia pure nella sofferenza, del cardinale, e avete letto su "La Stampa", giornale di Agnelli "l’ira del cardinale". Invece, il cardinale non era affatto irato: l’ira sarebbe un peccato grave. Oppure, su "La Repubblica": "Giordano contro i giudici" Come Giordano contro i giudici? Mi pare invece che fossero i giudici contro Giordano: Giordano stava tranquillo, dava i soldi ai poveri, faceva il vescovo.
Non sto parlando solo dei casi di questa estate: ne ho qui un piccolo elenco. Tra gli inquisiti su cui ho concentrato la mia attenzione, c’era Giorgio Strehler, prosciolto da ogni accusa, poi morto. Tra gli inquisiti prosciolti da ogni accusa, c’era il fratello del cardinale Sodano, trattato come un ladro: prosciolto. Fra gli inquisiti arrestati con le manette e ostesi al pubblico ludibrio cèe anche padre Frittita, un cappuccino, che abbiamo visto con le manette perché ha fatto quello che insegna il Manzoni nell’esemplare figura del cardinal federigo, che va dall’Innominato, parla con lui, gli dispiace di non essere andato prima e si ripromette di ritornare perché ha aperto nel suo cuore un varco, la luce della fede. Ciò che ha fatto il cardinal Federigo non lo può fare padre Frittita, perché c’è una regola imposta all’arcivescovado di Palermo, per cui il prete può andare a trovare il mafioso solo una volta, semel in vita. Ma se un prete ha nella sua causa pastorale la possibilità di redimere un solo peccatore (la pecorella smarrita della parabola), ci va e ci torna, e lascia le altre per andare da quella. Questo non vale più perché la legge ha acancellato anche il vangelo. Ai nostri tempi, il cardinal Federigo avendo frequentato l’innominato avrebbe ricevuto un avviso di garanzia per associazione innominata. Non ho neppure dimenticato quando una pretura o una procura circondariale di Torre Annunziata mandò l’avviso di garanzia al lontano ma da me difeso in linea di principio arcivescovo di Barcellona. Anch’egli é stato prosciolto con formula piena. Però abbiamo letto sul giornale che l’arcivescovo di Barcellona aveva ucciso Ilaria Alpi, aveva trafficato in droga e aveva fatto la serie dei mercati più laidi possibili: una volta prosciolto, non ne ha parlato più nessuno. Non è un caso, due casi, cinque casi, dieci casi, ma decine, da Tortora in avanti.
Devo concludere facendo riferimento a quello che mi sembra il dato più grave di questa epoca, che è la mancanza di spirito combattivo, una sorta di tolleranza guerriera; mi trovo troppo spesso con figure di diplomatici che cercano di conciliare l’inconciliabile, e che arrivano a dire le cose più inaudite. Ad esempio, Montanelli scrive che c’è un 10% di autentici eroi, i soliti eroi, i magistrati, Caselli, pronti a sacrificare carriera e vita (quelli del commando!), e che c’è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo e speriamo che questo e soltanto questo sia il caso anche del povero Lombardini. La smania di protagonismo secondo Montanelli dunque non è di Caselli, è di Lombardini, del quale non sapevamo nulla fino a quando non si è ucciso. Possibile che uno attribuisca smania di protagonismo ad un uomo che avrebbe liberato anche sua figlia? Quello ha smania di protagonismo, perché si è ucciso, quello che è andato con il commando armato è un eroe. Come è possibile che tutto sia ribaltato?
Nella solitudine nella quale mi trovo in questi anni io sento una assenza di spirito, un eccesso di garanzie per chi le garanzie non garantisce, un eccesso di formalismo per chi viola le leggi. Tutte le tragedie - Contrada, Andreotti... - che vediamo sono niente, perché sono state rispettate le forme, anche se sono quelle forme orribili che negano il senso della vita. Tutto è regolare, tutto è giusto nel rispetto della forma.
Spero e credo che ci sia un momento in cui voi - questa è una chiamata - non siate più disponibili a farvi prendere in giro, non siate più disponibili ad accettare che possa essere incriminato un cardinale da chi dice di essere nella legge. Ma quale legge? La legge che spinge a mandare trenta finanzieri con le macchine alla curia di Napoli per la perquisizione, essendo un normale atto di indagine? È normale solo rispetto ai paesi comunisti, quando uccidevano Padre Popieluzkco, quando impedivano le processioni a Cuba - che peraltro impediscono tuttora -, quando uccidevano i monaci nel Tibet... Non risulta normale ciò che non è nella norma: io non ho mai visto trenta poliziotti che arrivano, entrano, salgono, vanno in curia con le pistole in mano. Se per loro questa è la norma io sono in lotta con loro, sono in trincea.
Da questa trincea cerco di difendere i diritti dell’uomo, che non possono essere difesi flebilmente, non possono essere difesi con delicatezza, devono essere difesi con forza ed energia, necessaria perché questi sappiano che voi non vi lasciate intimidire, che non c’è la possibilità che la vita di un uomo sia ribaltata. La vita di un uomo è la cosa più preziosa, deve essere rispettata dal primo magistrato in vacanza in giù. Quando dico questo, penso ai martiri del comunismo, ma penso anche alla storia, con i nomi di Galileo, per cui la stessa Chiesa ha manifestato il pentimento, di Giordano Bruno, penso alla fine a Socrate, e penso soprattutto a Cristo. Davanti a Cristo c’erano dei giudici, Caifa, Pilato. Per me i giudici anche oggi sono come Caifa e Pilato, e chiunque subisca una violenza innocente è come Cristo, è un Christus patiens. E molti ne ho visti nella mia non breve esperienza, mi son trovato a verificare in carcere persone che sono rimaste per tredici mesi e che poi sono state dichiarate completamente innocenti. Certo, è stato fatto nelle regole, ma più delle regole conta la vita della persona.