Famiglia patrimonio dell’umanità
Mercoledì
24, ore 17Relatore:
Guzman Carriquiry
Antonio Guidi
Elio Sgreccia
Moderatore:
Giuseppe Fabiani
Sua Ecc. Mons. Giuseppe Fabiani, Vescovo di Imola
Fabiani: Il tema di oggi è: "Famiglia patrimonio dell’umanità". Viviamo in un momento di crisi di verità, particolarmente di crisi di concetti; è alterato il concetto della verità dell’uomo, del matrimonio, della famiglia. Si ha l’impressione che stia avvenendo quello che descriveva Orwell nel suo romanzo 1984, quando osservava che il linguaggio, invece di essere, come dovrebbe, un mezzo di comunicazione della verità, sta diventando uno strumento per nascondere la verità, così che si ha uno sradicamento culturale che poi è uno sradicamento esistenziale delle persone. Forse qualcuno, prima di leggere il rapporto in preparazione della Conferenza internazionale sulla popolazione e sullo sviluppo, si sarà stupito degli interventi pressanti fatti dal Santo Padre e dalla Santa Sede: lettere ai capi di stato, colloqui con Clinton, con la segretaria di questa conferenza, la signora Sadic. Non solo la stampa italiana, ma un po’ tutta la stampa internazionale è rimasta sconcertata, come se vi fosse un tentativo della Santa Sede di imporre una sua visione della realtà. Vi ricordate che Amleto quando parlava ai comici che erano andati presso di lui osservava che compito dell’operatore drammatico è quello di presentare come uno specchio di fronte alla natura per far conoscere alla virtù le sue bellezze, per dare al vizio la possibilità di vedere le sue brutture, per dare al paese attuale, al tempo in cui viviamo, la possibilità di conoscere il proprio significato e la sua impronta. Il Pontefice e la Chiesa hanno proprio questo compito: di far conoscere la verità della virtù con tutte le sue bellezze, di mettere il vizio davanti all’umanità con le sue brutture e di fare conoscere al nostro tempo, a questo nostro presente la sua impronta e la sua figura. Ma il Pontefice non ha soltanto questo compito di affermare la verità, ha anche l’impegno preciso, proprio perché è capo della Chiesa e quindi il successore di Pietro e quindi insieme con la Chiesa successore di quella ricchezza immensa che Cristo ha dato alla Chiesa, di indicare all’uomo la sua identità profonda e la strada da percorrere, e nello stesso tempo di fornire, se l’uomo lo desidera, nella sua libertà, le grazie che Cristo ha portato all’umanità con la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione e con il dono dello Spirito.
Se avete letto il rapporto, che sarà presentato e discusso a questa conferenza internazionale, vi sarete accorti che, purtroppo, l’umanità in questi 2000 anni non è affatto cresciuta nel rispetto della dignità dell’uomo. Appena l’ho letto mi è venuto in mente il Gorgia di Platone ed in particolare la risposta che Callicle dà a Socrate. Quando Socrate cerca di portare questo giovane alle sue responsabilità, egli risponde: "La legge, con mano sovrana, muove e giustifica qualsiasi ingiustizia". Chi è ricco, chi è intelligente, chi è potente ha il diritto di dettare la legge ed ha il diritto di strumentalizzare tutti gli altri, perché chi è povero, chi non ha cultura, chi non ha potere non ha vera dignità nella città. Che era quello che osservava, ancora nel VII secolo a.C., il poeta Alceo quando, richiamando un detto del re di Sparta, Archidamo, osservava: "Il denaro è l’uomo, il povero non ha dignità, non ha potere".
Nel rapporto fra parentesi quadre sono racchiusi i concetti non accettati da tutti e che quindi verranno trattati in un modo particolare nella conferenza, per vedere se è possibile trovare una unanimità. Tra parentesi è anche questa affermazione: "La popolazione è la ricchezza di una nazione". Evidentemente non tutti sono convinti di questo. C’è una battuta molto interessante di Proudhon: "C’è soltanto un uomo che è di più nell’umanità e di cui l’umanità farebbe volentieri a meno e questo uomo è Malthus". Purtroppo le teorie di Malthus sono ancora presenti nella nostra società.
Un altro punto non accettato da tutti è quello che afferma che le persone, ed in particolare i coniugi, hanno diritto di stabilire in modo libero, senza condizionamenti e senza coercizioni, il numero dei figli. Voi comprendete che il Papa aveva il diritto di intervenire, anche in una forma piuttosto accorata, perché la ricchezza di un popolo sono i cittadini, la ricchezza di uno Stato è la popolazione che lo abita. Quando nel 410 Alarico attaccò Roma e la saccheggiò orribilmente, Agostino osservò: "Roma è i suoi cittadini e finché i cittadini romani vivranno, anche la città di Roma avrà la possibilità di vivere". Questo rapporto, invece, considera la crescita della popolazione in contrasto con qualsiasi sviluppo, mentre la storia presente ci dice che i popoli più ricchi normalmente hanno una popolazione maggiore degli altri, come densità popolativa: pensate al Giappone, all’Inghilterra, alla Germania, pensate agli stessi Stati Uniti. I popoli ricchi hanno una popolazione, per densità, molto elevata e al contrario dei popoli poveri che sono tali perché manca l’attrezzatura tecnica, mancano i prestiti, manca quel sostegno di cui c’è bisogno.
La libertà è il dono massimo che l’uomo abbia; in un rapporto presentato ad una conferenza internazionale non può essere limitata la libertà dell’uomo. Pensate a quello che sta succedendo in Cina: in città non si può avere più di un bambino, in campagna non più di due. In India, dove le donne, in media, vivono più degli uomini, mancano 7 milioni di donne circa; in tutto il sud est asiatico più di 100 milioni di donne. L’unico stato dell’India in cui le donne sono in maggioranza, quasi 200 mila di più, è il Cherala ed il motivo penso sia ovvio, perché nel Cherala c’è una presenza cristiana piuttosto accentuata. Quando alla signora Sadic è stato chiesto qual è il punto in cui non si trova d’accordo con il Papa, ha risposto: "Il Papa parla di coppia, noi parliamo di individuo". Ma quando si parla di individuo si intende nell’uomo quello che è più negativo, una sua scelta per il possesso, per il potere, per l’affermazione, per problemi che sono particolaristici, soggettivi. Quando invece si parla di coppia si parla di persona, si parla di un uomo che non si sente soltanto spirito e corpo, ma sente la necessità di relazione, la necessità di impegnarsi nell’amore per costruire una sua famiglia, per avere un senso profondo nel tempo che sta vivendo. Si ha l’impressione che questo rapporto, e quindi anche la Conferenza, non soltanto non abbia il senso della dignità e della libertà che spetta a ciascuna persona, in modo particolare la famiglia, ma non abbia neppure il senso della dignità della vita.
Diceva un filosofo italiano, Severino, che è inutile parlare della dignità della vita, dell’uomo quando non si riconosce una verità sulla vita ed una verità sull’uomo. Noi cattolici sappiamo che l’uomo è un essere nato da Dio e che un giorno incontrerà Dio nell’eternità; sappiamo che fra tutte le cose create ha un valore assoluto, che è più importante dello stesso Stato, il quale ha la sua ragione di essere soltanto se è a servizio degli uomini. Quando parliamo di uomini non intendiamo l’uomo generico, astrattamente considerato, ma intendiamo ciascun uomo, ciascuna donna, che ha un suo passato, un suo presente, delle sue aspirazioni, che ha un suo progetto di vita, che vive una realtà concreta. Per parlare di famiglia fondamento della società è necessario avere idee chiare su che cosa si intende per famiglia, su che cosa si intende per società, su che cosa, in modo particolare, si intende quando si parla di uomo, quando si parla di vita umana.
Guzman Carriquiry, sotto segretario del Pontificio Consiglio per i Laici
Carriquiry: Ha detto bene chi presiede oggi il nostro incontro: chi è stato attento, e lo sono stati gli organizzatori di questo Meeting, sa bene dell’estrema preoccupazione manifestata dal Santo Padre circa la già così prossima Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo, indetta dalle Nazioni Unite, che si svolgerà dal 5 al 13 settembre prossimo, dove questioni cruciali sono in gioco. Oggi la battaglia si combatte alle fonti stesse della vita, nell’ambito della responsabilità della creazione, intrecciandosi come mai domus e polis, famiglia, popoli, stati, in condizioni che richiamano alla salvaguardia della dignità trascendente della persona umana. La Conferenza del Cairo, che segue di 20 anni quella di Bucarest e di 10 quella di Città del Messico, rilancia e radicalizza politiche demografiche sempre più limitate all’ossessivo disegno del controllo della natalità. Lo scopo che si propone, lo sappiamo, è quello di stabilizzare, nel giro dei prossimi 50 anni, la popolazione attorno ai 7 miliardi e mezzo di individui. Come? Promuovendo ogni mezzo considerato tecnicamente efficace per raggiungere questo fine, superando il piano approvato nella conferenza di Città del Messico, il quale almeno segnalava che in nessun caso l’aborto doveva essere promosso come metodo di pianificazione familiare, raccomandando anche ai governi di prendere le misure necessarie per aiutare le donne ad evitare l’aborto. Oggi l’impostazione prevalente vorrebbe rilanciare e considerare anche l’universalizzazione dei mezzi contraccettivi, di sterilizzazione di massa, abortivi, come parte integrante di ogni politica demografica nel quadro di una cresciuta pressione per il cambiamento permissivo di legislazioni e costumi dei Paesi membri. Per riuscire a questo scopo, sostenere questa strategia neomalthusiana si propone di procedere ad un sostanziale, moltiplicato incremento dei fondi destinati alla popolazione dentro la già molto limitata disponibilità dei fondi per l’aiuto allo sviluppo ed alla cooperazione. Sono ormai trent’anni che importanti centri di potere della società americana, la Fondazione Rockfeller, la Fondazione Ford, la Fondazione Mellon investono milioni di dollari per diffondere la causa del self-control all’interno degli Stati Uniti, ma soprattutto nei cosiddetti paesi del Terzo Mondo. A partire dagli anni ‘60 i governi americani – e non solo – hanno considerato come dato acquisito della loro politica di aiuto ai paesi in via di sviluppo, la fornitura e di fatto anche l’imposizione, dei family planning programs. Ora, con ingenti fondi richiesti ed impegnati per il programma proposto, sembra diventare nuovamente attuale quanto dichiarava il Presidente Lyndon Johnson nell’anniversario delle Nazioni Unite: "Dobbiamo agire tenendo presente il fatto che meno di 5 dollari investiti nel controllo delle nascite equivalgono a 100 dollari investiti nello sviluppo economico". Non è dunque per caso che nella bozza preparatoria della Conferenza sulla popolazione e lo sviluppo ci siano poche, insufficienti, insipide, grigie pagine dedicate allo sviluppo. Niente, ma assolutamente niente dell’afflato e delle speranze di un accelerato, sostenuto, solidale sviluppo dei popoli che, seppure con intrinseche limitazioni e mitologie, si dibattevano nei decenni ‘60 e ‘70. Oggi nella crisi di teorie e modelli di sviluppo, nell’abbandono di politiche di cooperazione, tutto diventa tendenzialmente affidato alle regole di mercato che lasciano crescenti moltitudini di uomini, popoli interi, in situazioni esplosive di emarginazione, di miseria, di violenza, mentre le diverse barriere protezionistiche che si alzano nella redistribuzione del potere mondiale tendono a diventare muri di contenzione, di protezione al servizio delle aree privilegiate. Ma il muro più resistente è quello dell’indifferenza, neppure scalfito da una solidarietà più retorica che efficace, né dai sussulti epidermici e passeggeri di scioccanti, ma episodiche, immagini di miseria, di violenza – ieri in Sudan, oggi in Rwanda. In questa cappa di indifferenza, di distrazione covano i timori diffusi, le oscure paure che le situazioni esplosive del Sud minaccino la confortevole tranquillità delle minoranze privilegiate dell’habitat mondiale. Bisognerebbe procedere, lo ha detto il Papa nella sua prima enciclica, lo ha ripetuto nelle encicliche sociali, ad una revisione profonda delle strutture dei meccanismi finanziari mondiali, monetari, produttivi, commerciali che, poggiandosi su diverse pressioni politiche, reggono l’economia mondiale rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri; ma si sa che tutto ciò, il procedere di una autentica solidarietà, potrebbe realizzarsi solo se mosso da una vera rivoluzione culturale, spirituale, in un Occidente disposto a rivedere i propri modelli di vita, di consumo, disposto ad una condivisione umana dei beni che è ben lontana dall’essere possibile oggi nel clima di utilitarismo dominante. Si vuole invece seguire la più spiccia via del limitare ad ogni costo i commensali al banchetto della vita: è l’egoismo dei ricchi, tuonava già il capo della delegazione della Santa Sede vent’anni fa alla Conferenza di Bucarest, e non la fecondità dei poveri, la causa portante di un iniquo disordine mondiale.
Ma la preparazione della Conferenza del Cairo sorprende anche per uno spostamento di filosofia, di ideologia che ne sorregge scopo e strategia. Nel documento preparatorio non si avverte più tanto quella prospettiva lugubre, apocalittica che agitava lo spettro della population bomb, gonfiando cifre e previsioni di apparente scientificità circa una prossima catastrofe ambientale ed ecologica e l’esaurimento delle risorse alimentari ed energetiche. Questo viene lasciato alla propaganda di massa, ora considerata insufficiente, inefficace; in crisi di credibilità anche le teorie di un rapporto di causalità diretta, univoca, ignorante dei diretti contesti, condizioni e fasi storiche tra una forte crescita demografica e un crescente sottosviluppo. Una politica demografica a scala mondiale è oggi obbligata a considerare una grande pluralità e diversità di situazioni, nelle quali adesso non posso entrare.
L’ideologia onnipresente in tutto il documento preparatorio della conferenza è quella di un esasperato individualismo. L’universalizzazione dei mezzi contraccettivi, sterilizzanti, abortivi sarebbe una conquista degli individui, consacrando il diritto di ogni individuo a gestire la propria sessualità, il proprio potere di riproduzione, mettendo in risalto – categoria nuova dentro i documenti delle Nazioni Unite – presunti diritti soprattutto della donna, incluso quello di essere sempre la sola a decidere, senza alcun ostacolo, a semplice domanda, di interrompere o meno la propria gravidanza; per di più si pretende che questo diritto individuale a disporre di tutti i servizi relativi al controllo delle nascite venga allargato anche agli adolescenti ed ai bambini, come dice la bozza, fino ad assicurare loro che il segreto sarà mantenuto nei confronti degli stessi genitori.
La Chiesa non è certo nuova nella critica all’individualismo oggi riproposto in modo selvaggio nell’ambito di un liberalismo universalmente imperante; che cosa è una presunta tolleranza in uno Stato agnostico, assolutamente neutro nei confronti dei valori, cornice asettica dell’esercizio dei diritti individuali, quando permette e promuove la peggiore delle intolleranze che è la distruzione del rispetto della stessa vita umana? Il liberalismo porta in sé la minaccia della corruzione della libertà, sganciata da ogni riferimento, da ogni criterio etico, oggettivo, che assicurino il bene, la verità, la vita delle persone, una libertà staccata dal peso delle responsabilità e che nega ai deboli, agli innocenti la condizione elementare di ogni libertà, cioè il diritto di vivere: questa non è libertà, è tirannia.
Se la gestione della propria sessualità è un diritto individuale ("Il Papa pensa in termini di coppie, noi pensiamo in termini di individui") la sessualità non è più domanda di incontro nel linguaggio della comunione. Si aggrediscono i fondamenti della realtà della famiglia che la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riconosce come la cellula naturale, fondamentale della società; sacrosanta ragione del Papa nel denunciare questo tentativo di tradimento di principi su cui è fondata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, di un anno della famiglia che potrebbe rischiare di diventare un anno contro la famiglia. È impressionante l’osservazione del P. Martin, capo aggiunto della delegazione della Santa Sede al Cairo, protagonista nei dibattiti preparatori della conferenza a New York, quando segnalava che due parole ne sono state totalmente assenti, anche se si trattava di questioni relative alla trasmissione della vita: neanche un solo riferimento al matrimonio e meno che mai un solo riferimento all’amore. Si sa, il potere ed i suoi burocrati preferiscono parlare all’individuo isolato, spogliato dai suoi legami di appartenenza e prima di tutto della sua famiglia, e perciò più esposto all’influsso di mentalità e di comportamenti di chi detiene il potere di esercitare tale influsso. Così come preferiscono parlare di una popolazione generica, astratta, uniforme, più comodo oggetto di manipolazione, che di popoli concreti, con le proprie tradizioni storiche, culturali e religiose e con i propri bisogni e speranze. Ma a quali diritti e libertà individuali ci si riferisce quando è ben chiaro che i family planning services si diffondono preferibilmente nei paesi poveri tra persone in situazione di estrema necessità, scarsa istruzione, mediante diverse modalità di incentivi economici, di pressione sulle famiglie, di martellante propaganda? Forse il diritto individuale della donna contadina del Brasile o dell’India, sterilizzata senza che sappia a che cosa abbia dovuto sottoporsi o costrette ad abortire in cambio di un transistor? C’è una storia di inganni, di violenze nell’applicazione di questi piani malthusiani. Quali diritti dei popoli quando l’aiuto e lo sviluppo e i crediti internazionali così necessari vengono apertamente o di fatto condizionati e legati all’accettazione di questi programmi? Più si proclamano astrattamente il diritto e la libertà degli individui, più la concentrazione del potere e dei suoi mezzi tecnologici e l’opera di persuasione indotta, capillare, universale dei suoi strumenti di comunicazione di massa tendono a manipolare, lo diceva già un documento pontificio, non solo l’essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza di uomini e i loro modelli di vita. La diffusione delle politiche neo-malthusiane poi è associata alla marea di gaio nichilismo, di edonismo assolutizzato, diventato lo spirito del nostro tempo, dove al crollo degli ateismi messianici segue il regno dell’ateismo libertino di massa, nuovo oppio dei popoli, perché soffoca le domande, i desideri, gli ideali grandi del vivere e del convivere, dell’amare, del lottare per affrontare i problemi dell’uomo e dei popoli con una passione per il destino comune. Affermato un potere discrezionale dell’uomo sulla vita e sulla morte, le conseguenze sono incalcolabili. La storia recente ci ha propinato troppi esempi di etnocidi e genocidi, di sterminio di ogni tipo. Possiamo far finta di dimenticarli nella distrazione, nel divertissement? La Chiesa non può non impegnarsi perciò nella salvaguardia della dignità trascendente della persona umana di fronte alle minacce di questo nuovo "Leviatano". Essa confida nel destarsi della coscienza di tutti coloro che hanno a cuore il bene e non la distruzione della persona, il bene e non la distruzione della famiglia, l’autentico sviluppo umano solidale dei popoli, confida nella tradizione delle grandi religioni monoteistiche, come risorse preziose per questo compito, nella consapevolezza che dove Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita. Confida nell’arduo processo educativo delle persone verso una paternità e maternità responsabili, confida che le politiche neo-malthusiane siano avvertite dagli uomini di retta coscienza non come segni di un nuovo ordine, ma di decadenza nel disordine iniquo in una regressione di civiltà. Sa che la sua missione è soggetta oggi alla sfida di come vivere cristianamente e comunicare le ragioni di una novità di vita in un mondo non cristiano. Quanta risonanza dunque in quell’affermazione del filosofo americano, Mac Intyre, che vale la pena leggere in conclusione, per tutto ciò che evoca: "Un punto di svolta decisivo si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’Impero romano e smisero di identificare la continuità della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale Imperium. Il compito che invece si prefissero, spesso senza rendersi conto di ciò che stavano facendo, fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità".
Antonio Guidi, ministro per la Famiglia e per gli Affari Sociali
Guidi: Io credo che la Conferenza del Cairo, ma anche la conferenza quotidiana che tutti noi abbiamo nella sfida costante del nostro potere di essere vivi per difendere la qualità della vita di chi ci sta vicino, non può essere ridotta in termini di quantità. È una delle mistificazioni più grandi, più egoistiche ma anche meno scientifiche dei nostri giorni. Il senso di colpa dei Paesi occidentali si sta proiettando in questa conferenza in maniera storica. Si tende alla quarta colonizzazione. Nella prima con lo schiavismo abbiamo privato troppe persone delle loro braccia e le popolazioni di materie prime. La seconda colonizzazione aveva imposto una politica di sviluppo assolutamente irrispettosa delle culture locali, non sempre perfette. Del resto in ogni popolo ci sono contraddizioni, non esiste popolo idilliaco, c’è sempre un mix costante di sofferenze, di dolori, ma anche di capacità e di creatività. Noi abbiamo amplificato le sofferenze e i dolori, abbiamo limitato in molti, in troppi popoli le capacità e la creatività. C’è una terza colonizzazione, ed è quella dei media, che hanno imposto a popoli di profonda cultura, con la violenza di immagini che non potevano verificare, una cultura dell’opulenza e del consumo che ha portato più danni delle colonizzazioni precedenti, l’insoddisfazione di vivere una vita stentata ma dignitosa, difficile ma piena di storia (e non sto mitizzando un mondo idilliaco, sicuramente dei mondi complessi, diversi, in difficoltà, ma con patrimonio storico di dignità irrinunciabile). Il piccolo schermo, una falsa mitologia di novità ha sradicato intere popolazioni dalle proprie abitudini, anche crudeli, da propri riti, anche non condivisibili, da abitudini lavorative spesso faticosissime e penalizzanti. In alternativa a questa difficilissima vita quotidiana abbiamo dato dei modelli di riferimento assolutamente improponibili, perché già falliti da noi. Abbiamo imposto la penultima colonizzazione, quella della insoddisfazione. Questo ha sradicato la dignità, difficile, di milioni se non di miliardi di persone. Hanno cambiato lavoro, abitudini, si sono persino sentiti in colpa delle nostre colpe, hanno perso persino l’irritazione verso l’Occidente che gli dava la voglia di reagire. Sono passati da "vittime", ad assistiti, il che è sempre peggio. Si sono agglutinati, questo è il termine, in grandi città, hanno abbandonato i loro territori, spesso inospitali ma che li avevano ospitati per migliaia di anni, hanno cominciato a creare un alveare, un agglomerato di persone che si definisce sovrappopolazione. Ma esiste famiglia nella megalopoli? Esiste dignità? Esiste il valore della vita, in una situazione di invivibilità imposta da regole esterne? Io mi chiedo: come andiamo a Il Cairo? Con l’orgoglio dei ricchi per imporre nuove regole per la quarta colonizzazione, dicendo: vi abbiamo privato anche della dignità, oltre che delle risorse, oggi ti priviamo anche del diritto alla vita? Io non ci sto.
In questa situazione di strana cultura, che identifica la sovrappopolazione soprattutto nelle grandi città, non parlando di redistribuzione dolce nel territorio, di apertura delle frontiere, di valorizzazione della cooperazione allo sviluppo auto-determinata, l’unica vera ricchezza che possiamo scambiare con i Paesi del Sud del mondo è il volontariato. Quel nostro formidabile volontariato forse a qualcuno fa paura perché è l’espressione più alta e forse unica della nostra democrazia, di fatto e non a parole. Sono allora contro un controllo delle nascite? No, io sono favorevole anche all’autodeterminazione di un controllo delle nascite, valorizzando la famiglia come soggetto di diritto che può essere chiamata tribù, single, famiglia monoparentale o allargata, diamogli un diritto di scegliere, ma diamole veramente questo diritto di scegliere. E non ponendolo come centrale alla conferenza de Il Cairo, ma come elemento di una strategia più generale nella quale è evidente che il controllo non può essere l’aborto, perché non lo è. L’aborto non è controllo delle nascite, è negazione della vita. E solo chi trae da questo capitolo importante, ma uno dei mille capitoli della conferenza de Il Cairo, un potere diretto o indiretto, fa di questo tema il tema centrale. È una conseguenza tristissima l’aborto e mai come regolatore delle nascite. Quindi il primo punto è una ridistribuzione sul territorio di risorse, di intelligenze, in una cooperazione allo sviluppo che era la nostra sfida e alla quale abbiamo tristemente rinunciato. Abbiamo rinunciato ad aiutare chi soffre, preferendo imporgli la negazione delle vite, non solo della vita nascente ma di tutta la vita in tutte le sue stagioni. E questo non è accettabile.
Cosa bisogna fare allora? Io non lo so. Se c’è qualcosa che mi nego è il diritto ad avere ragione su tutto. Il laico che vuole avere ragione su tutto e su tutti ha creato nel Novecento e forse anche prima i peggiori torti e i peggiori massacri della storia. Io non voglio avere la presunzione di dare ricette complessive e condivise da tutti. Io credo che però qualcosa debbo dire. Primo, aiutare i popoli all’autodeterminazione, dando degli aiuti economici, ma anche di persone, soprattutto valorizzando il volontariato che è la nostra ricchezza più grande. Secondo: non considerare questo momento di agglutinamento nelle grandi metropoli nel mondo come una realtà da accettare passivamente perché è evidente che lì non c’è più né vita né diritto alla vita e alla famiglia; se tutto rimane com’è, non solo l’aborto, ma persino la sterilizzazione è giustificata, giustificabile e perfino auspicabile. Questo non può essere accettato da nessuna persona civile. Quindi: ridistribuzione delle persone, non più considerate come numeri scomodi che gravitano come un macigno, come un pericolo sulle vite sonnolente e egoistiche dell’Occidente, ma come ricchezza da autovalorizzare e da eterovalorizzare. Contribuire a vivere meglio non più nelle megalopoli ma su tutto il loro territorio, ma anche aprire loro in maniera intelligente le frontiere in un’osmosi non di disperazione, ma di ricchezza. Loro da noi con le loro culture da rispettare, ma anche da giudicare con severità, perché nulla è perfetto, portando le loro culture, le loro fedi, le loro discrasie, le loro contraddizioni, ma l’osmosi dev’essere reciproca. Noi dobbiamo andare da loro, portando persone, volontariato, culture anche nostre da rispettare, perché non tutto in Occidente è negativo. C’è tantissimo da valorizzare in noi, c’è una ricchezza, soprattutto personale, di speranza, di professioni, di volontariato che può essere una ricchezza per i Paesi del sud del mondo. Che cosa fare allora? Determinare una politica complessiva dello sviluppo nella quale non esista l’assistito e chi ha l’orgoglio di assistere dall’alto perché sta al Nord. Esiste una sfida negli anni 2000 che coinvolge tutti noi, dare a quanti abbiamo tolto troppo qualcosa di noi, ma non basta. Occorre avere la voglia, l’umiltà intelligente che sa che nel momento in cui diamo, riceviamo qualche altra cosa in uno scambio di dignità reciproca. Dicevo: controllo delle nascite, ma prima o parallelamente alfabetizzazione anche dell’adulto, anche della donna, perché abbia la possibilità di scelta, nel rispetto intelligente delle culture sulle quali andiamo ad interferire, sapendo che avremo uno scambio. Le megalopoli non dovranno più esistere, perché sono agglomerati dove non è più possibile vivere, ma non per motivi numerici, ma per mancanza di spazio. Occorre riproporre alle famiglie di tutto il mondo, anche alle nostre, la sfida di un’inversione demografica che qualcuno vive come valore, mentre chi non sa investire nel futuro dei propri figli non ha ancora capito che ha introitato una sconfitta totale, rispettando i metodi naturali autoctoni, ma soprattutto incentivare l’autodeterminazione dettata dalla alfabetizzazione senza l’imitazione di modelli improponibili.
Ma c’è un’ultima sfida, importantissima, di cui nessuno parla e che mi rende profondamente insoddisfatto: si declina, giustamente, su tutti i mass media nazionali ed internazionali, il diritto della donna, però per difenderla non dobbiamo strumentalizzarne il nome, troppo facile da usare semplicemente considerandola una incubatrice per stranissimi esperimenti. In questi giorni ad Erice si è parlato del pericolo del plutonio, della radioattività, delle malattie genetiche; stiamo attenti, oggi ci hanno messo muro contro muro per parlare in maniera impropria solo dell’aborto e non della sfida del Cairo. Abbiamo parlato di una pagina dolente, ma non di tutto il libro; né fra qualche anno, il rischio è lo stesso, non parleremo del vero pericolo della donna incubatrice, della manipolazione genetica. Tra qualche anno, già adesso, milioni di embrioni, nelle ghiacciaie, milioni di ovuli e sperma giacciono non morti né vivi, ma sospesi. Sospesi per che cosa? Per una vita futura? Non lo so, so che ci può essere la sfida di una scienza che dia più salute alle future generazioni; ma ci può essere, come sempre, l’orrenda contraddizione della scienza senza morale, la scienza senza fede, la scienza senza ideali. Cosa faremo di questi potenziali figli? Li faremo stare meglio? E chi deciderà se avranno il diritto di nascere o no? Se saranno handicappati non avranno diritto, perché disfunzionali al mercato, come è stato fino ad ora. Io sono molto disfunzionale al mercato, quindi non esisto, sono una apparizione virtuale per qualcuno che vorrebbe che io non fossi mai nato. Ebbene, questa "apparizione virtuale" vi dice in piena umiltà che questi embrioni, questi spermatozoi, questi ovuli in una scienza non amica possono diventare – perché le regole del mercato giustificano sempre se stesse, le regole del mercato possono diventare la neo-etica – oggetto di scoop sui giornali o di manipolazione genetica. Il robot umano, che sarà molto meno costoso del robot bionico o addirittura elettronico, può diventare la persona di 30 cm. per lavorare a basso prezzo in miniera, altissimo per lavorare senza gravità, forse sulla Luna, asessuato dove non serve lo stimolo del sesso, senza possibilità di generare, perché magari deve durare 300 anni ed essere poi disattivato, con tre cervelli perché deve essere un computer umano o completamente idiota perché serve solo muscolarmente forte.
Questa è la nostra sfida, non è solo il controllo attuale della quantità che deve diventare qualità di vita, ma deve anche coniugare la scienza con la coscienza, perché diversamente alla negazione della vita recente oggi o a quella della vita negli istituti per anziani e per handicappati o alla negazione della vita nella cintura metropolitana delle mega città, domani si sostituirà la manipolazione genetica che forse è già in atto. Non ho altro da dirvi, se non questo: la società italiana, la società mondiale è piena di contraddizioni, di violenze, di guerre, ma è anche piena di formidabili possibilità che non possiamo autolimitare. È piena di creatività al polo come all’Equatore, a Roma come in Bangladesh. Voi nei siete una prova.
Sua Ecc. Mons. Elio Sgreccia, segretario del Ponticio Consiglio per la Famiglia
Sgreccia: La qualifica con cui i delegati della Santa Sede vengono ammessi alle conferenze internazionali promosse dalle Nazioni Unite è quella di "osservatori". In questo anno 1993/1994 ho avuto la possibilità di avere più volte questa qualifica, ma ho cercato anche di investirmi della parte, cioè di osservare attentamente e non soltanto ciò che si riferisce alla conferenza del Cairo – la conferenza del Cairo è stata preparata da almeno due conferenze preparatorie, una a Ginevra ed un’altra a New York che ha preparato il documento che ora sarà approvato – ma anche le conferenze aventi per tema l’anno internazionale della famiglia che sono state quattro, indette dalle Nazioni Unite.
Da questo panorama eccezionale abbiamo avuto modo di ricavare una valutazione delle sfide che si pongono alla famiglia oggi. Vorrei evidenziare quattro problemi di fondo. Il primo problema – che a mio avviso è il più decisivo – è quello del fondamento della famiglia. Vi prego di prendere in seria considerazione questa sfida: noi abbiamo avuto sempre nella nostra cultura questa certezza, non soltanto nella cultura cristiana, ma nel panorama culturale di tutti i popoli, che la famiglia sia fondata sul matrimonio, su un patto, diversamente celebrato secondo le varie culture, su un impegno solennizzato, riconosciuto, tra un uomo ed una donna, per una reciproca integrazione e per l’apertura alla procreazione. A sua volta il matrimonio, per la riflessione secolare e plurisecolare, non soltanto cristiana, ma anche pre-cristiana, è fondato sulla natura umana, che è sessuata, uomo e donna. Dunque fondamento della famiglia è il matrimonio, fondamento del matrimonio la natura stessa dell’uomo. Ora questo fondamento sta per essere sconfitto, starei per dire negato. Io credo che non si riuscirà a sconfiggerlo, perché è fondato sulla natura umana. Lo diceva già Aristotele: l’amicizia tra l’uomo e la donna è un’amicizia del tutto speciale ed è la prima forma di incontro integrato fra la persona umana uomo e la persona umana donna.
Nelle conferenze a cui abbiamo assistito, specialmente quelle relative all’Anno internazionale della famiglia, si è tentato di dire e si è scritto, nelle relazioni finali, nei rapporti ufficiali, che non esiste la famiglia, ma le famiglie, quindi si può parlare solo del plurale, perché c’è una pluralità di forme, e che la famiglia non si fonda sul matrimonio. Nei rapporti conclusivi delle conferenze preparatorie sull’anno della famiglia, la parola matrimonio non è stata mai ammessa, e non è stata una dimenticanza. Io stesso mi sono fatto premura in una di quelle conferenze, con l’appoggio di alcune delegazioni, di far presentare una proposta nella quale si diceva, almeno dal punto di vista descrittivo, che in gran parte della società attuale, anche quella occidentale, ci sono diverse forme di convivenza, ma esiste tuttora la famiglia fondata sul matrimonio. Questa proposta non fu accettata, e mi si spiegò poi da uno dei relatori, che la parola matrimonio non poteva essere introdotta nel rapporto finale delle Nazioni Unite perché in alcune aree culturali ha un significato repressivo. Noi sappiamo chi è che ha teorizzato questa repressività del matrimonio, la famiglia come prigione, il matrimonio come repressione. È stato Herbert Marcuse; pensavamo che questa cultura fosse ormai in declino, avesse fatto il suo tempo, ma evidentemente questo radicalismo sopravvive nascosto dal mondo politico macroscopico, si è infilato nel mondo del costume ed è entrato profondamente, almeno in questa classe che ci rappresenta, nelle assemblee universali. Ecco allora il punto fondamentale: se la famiglia non è fondata sul matrimonio, su che cosa si fonderebbe? Sulla scelta libera del soggetto che è variabile e può verificarsi anche fra uomo e uomo, o tra donna e donna: questa è la sconfitta, la presunta sconfitta della natura umana, e la ideolizzazione dell’individualismo. Questo è il punto focale del problema, più grave ancora del controllo delle nascite che non è che un aspetto di questo primo fatto, la fondazione della famiglia non più sulla natura umana (e noi da cattolici diciamo sul progetto di Dio, uomo-donna, non repressi ma donati l’uno all’altro per una pienezza di vita, con una donazione naturalmente libera). Questo progetto che viene ad essere rifiutato è il progetto che noi dobbiamo riproporre e rinnovare in questa società, è il primo impegno, è la prima sfida. Naturalmente per la Chiesa Cattolica è un impegno di evangelizzazione, ma per tutte le culture è un impegno di riflessione, perché, ripeto, che la famiglia sia fondata sul matrimonio, e che il matrimonio sia fondato sulla natura umana, non è una invenzione della religione cristiana, semmai la religione cristiana ha reso più evidente, più bello, più plenario, più consistente questo progetto.
La seconda sfida è quella – di cui già si è parlato – della pianificazione familiare, una questione più profonda di quanto possa sembrare. Quando Paolo VI pubblicò nel ‘68 l’Humanae vitae, si pensò che fosse un problema serio e grave quello della denuncia della contraccezione che rende possibile la disunione dell’aspetto unitivo da quello procreativo, la divisione tra amore e procreazione, una specie di vivisezione dell’atto coniugale. Oggi noi capiamo che il valore della Humanae vitae non era solo in questo, ma anche nel fatto che faceva riflettere sul pericolo di una dominazione di carattere politico della procreazione: disgiunta dall’atto coniugale essa diventa dominabile, chimicamente, tecnicamente e politicamente. Questa è l’ultima forma di colonizzazione, ed è la peggiore. Non è sempre facile snidare le insidie sul fatto della pianificazione familiare nel documento preparato per Il Cairo, e in generale nella cultura che viene disseminata dai mezzi di comunicazione. Sono due: la prima è di nascondere sotto formule belle delle cose orribili. "Il diritto procreativo, la salute procreativa, la regolazione della fertilità, l’aborto sano, senza rischio": sono tutte formule che vanno alla ricerca di un aborto legalizzato e liberalizzato. La parola salute, che è sacrosanta, in un libro pubblicato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, intitolato: Twenty years of reproductive health (Venti anni di salute procreativa) viene identificata col pieno benessere fisico, psicologico, sociale. Questa è una definizione piuttosto utopica ed edonistica. Nella procreazione umana la donna ha diritto alla salute, e quindi quando vien meno il suo personale, pieno benessere fisico, psicologico, sociale, ha diritto di accedere a tutti i mezzi per recuperare il suo pieno benessere, quindi ha diritto, e nel libro si parla soprattutto di questo, alla contraccezione, alla sterilizzazione e all’aborto. Il concetto di salute viene rovesciato e diventa copertura e ipocrita legalizzazione dell’aborto concepito in questo caso come mezzo per la salute, addirittura come ingrediente del diritto alla salute. Sul problema della pianificazione familiare va pure detto che l’impegno di evitare che l’aborto sia usato come mezzo di regolazione delle nascite diventa sempre più difficile, perché per volontà delle politiche di ricerca internazionalmente finanziate, e per connivenza di un settore della scienza, la gran parte dei preparati di contraccezione sono non più contraccettivi, ma abortivi. C’è tutta una serie costruita apposta per interrompere la vita dell’ovulo già fecondato; altri prodotti sono ancora presentati come contraccettivi, ma per modificazioni di dosaggio hanno un alta percentuale non di contraccezione, cioè di impedimento della fecondazione dell’ovulo, ma di abortività, perché tesi a impedire l’attecchimento dell’ovulo già fecondato nelle tube o nell’utero. Nel volume citato si dice in finale che d’ora in poi la ricerca in campo internazionale, finanziata ed organizzata, sarà rivolta soprattutto alla messa a punto di questo tipo di preparati, che non chiamo farmaci, perché sono preparati chimici contro la vita. La questione della regolazione della fertilità umana diventa un problema da impostare nuovamente e culturalmente attraverso la rivendicazione di quella che il Ministro giustamente ha chiamato l’auto-responsabilità, e di quello che la Humanae vitae chiama la procreazione responsabile, quanto a decisione, quanto a etica decisionale, e l’adozione dei metodi naturali quanto ad etica dei mezzi. Oltretutto questi metodi restituiscono la sessualità, la scelta procreativa alla volontà, all’accordo delle coppie, ubbidiscono anche ad un intento di ecologia del corpo umano. Non possiamo spendere fiumi di parole perché si conservi l’ecologia del territorio, dell’aria, dell’acqua e delle campagne, e nello stesso tempo permettere che il corpo umano non abbia più un’ecologia, un rispetto, ma sia fonte di sfruttamento economico da parte di tanti professionisti; soprattutto il corpo della donna è sede di ogni tipo di inquinamento. C’è qui una proposta quindi, che il mondo cattolico deve saper gestire, che ha un valore di civiltà e di cultura e di smascheramento delle vere insidie che stanno dietro al concetto di regolazione delle nascite.
Un terzo problema che tocca la famiglia, una terza sfida, sulla quale giustamente il Ministro ha richiamato l’attenzione, è quello della procreatica. Dentro la procreazione artificiale non passa solo lo scoop giornalistico, non passa soltanto il lauto guadagno di tanti ambulatori più o meno conosciuti anche da coloro che riscuotono le tasse, e di lauti guadagni di cliniche che hanno migliaia di embrioni congelati; dentro questa procedura ci sono almeno tre conseguenze che bisogna guardare in faccia, con grande senso di responsabilità: culturale, scientifica e morale. Primo: c’è un incremento dell’aborto. Un’altra forma per abortire è quella di procreare e di costruire embrioni in vitro; come sapete su uno che ne attecchisce, nove ne vanno perduti o congelati o abbandonati alla sperimentazione. È un’altra strada che sfugge anche alla 144, dalla quale sembra che nessuna forma di aborto possa sfuggire. Un’altra conseguenza della procreazione artificiale è rappresentata dalla distruzione della parentalità; non ci siamo accorti che qui si inaugura una parentalità plurima. Ci sono tre madri, due padri, per uno stesso individuo, che vuol dire che non ce n’é nessuno. Laddove c’è la donazione di gameti, ovuli, sperma, o di entrambi, la donazione di utero, la parentalità diventa evanescente, plurima, assente, mentre un figlio che nasce ha diritto a conoscere i suoi genitori veri, i genitori che gli hanno dato il sangue e la psiche profonda, e che gli possano dare la paternità giuridica e assumersi la responsabilità educativa. Questo tra i diritti umani è il più sacrosanto dopo il diritto alla vita, e non capisco perché non possa essere denunciata apertamente la frode che viene fatta attraverso la legalizzazione delle procreazioni, attraverso la donazione, eterologhe.
Ho letto su Avvenire qualche tempo fa un grande elogio della legge francese sulla procreatica, forse perché all’inizio ci sono dei bei principi altisonanti: è riconosciuto il valore della maternità, contro la commercializzazione del corpo umano, contro la madre surrogata, ma si ammette la congelazione degli embrioni, la formazione degli embrioni in vitro, la sperimentazione sugli embrioni, quando è necessaria – si dice – per la scienza. Si ammette soprattutto la fecondazione eterologa, cioè il fatto che si possa dare al figlio più genitori, più mamme e più padri, negandogli il diritto di avere un padre ed una madre riconosciuti. Ma attraverso la procreazione artificiale passa un’altra cosa ancora più grave, denunciata fortemente da alcuni scienziati, specialmente in Francia, e, tra i primi, alcuni dei pionieri della procreazione artificiale, come ad esempio Testardt: passa la selezione del genere umano, passa l’eugenismo. Quello negativo è già diffusissimo, sia l’uso selettivo della diagnosi prenatale, sia l’uso più selettivo ancora della diagnosi pre-impiantatoria. Gli embrioni che vengono fecondati in vitro vengono guardati con il microscopio elettronico, vengono buttati quelli che si ritengono non idonei all’impianto, viene scelto il sesso (in Francia ed in Inghilterra si butta la femmina perché non è voluta dai genitori): da una parte si dice che l’embrione precoce non è niente, però allo stadio di otto cellule già diagnosticano il sesso; ciò significa che si tratta di un individuo già ben determinato tanto che si elimina il sesso non voluto. Ma oltre questa eugenica che si chiama negativa, cioè attuata attraverso il rifiuto di ciò che si ritiene non accettabile, oltre questa può essere impiantata all’interno della procreazione artificiale l’altra tecnica, quella che giustamente il Ministro ha denunciato, quella dell’ingegneria genetica, che consente di fare dell’eugenica positiva, cioè di dare al soggetto mentre è lì, nelle mani del bio-tecnologo, quel tratto di gene, quel tratto di codice genetico che può potenziare la sua forza fisica o la sua presunta predominanza intellettuale, o altre caratteristiche, perché una volta lasciato l’embrione in vitro nelle mani dello sperimentatore egli ne è il padrone, e questa è una delle ragioni per cui la teologia cattolica, ma il buon senso, dovrebbe rifiutare questo tipo di medicina.
L’ultima sfida che si pone alla famiglia, e mi auguro che anche in Italia su questo punto si inverta il percorso, è il riconoscimento in positivo della soggettività della famiglia. Il soggetto di diritto non è soltanto l’individuo, soggetto di diritto sono anche i corpi intermedi, e la famiglia è il primo corpo intermedio, voluto dalla natura stessa, non foss’altro per la continuità della specie, ma voluto anche per la tutela del figlio, per la sua alimentazione e per la sua educazione. E allora questo corpo intermedio naturale, il primo, come è scritto del resto nella nostra Costituzione, come molte costituzioni riconoscono, come, abbastanza vagamente, ma pur riconosce la Dichiarazione dei diritti umani dell’Onu, questo tipo di corpo intermedio, la famiglia, deve avere la sua soggettività, dev’essere riconosciuta la sua consistenza giuridica, dev’essere tenuto in conto quando si legifera e anche per le politiche fiscali, affinché ci sia possibilità di formarla la famiglia, di poter accogliere la vita all’interno della famiglia: non dev’essere un eroismo, ha detto il Papa, poter diventare madre per una donna. Per consentire ai genitori di svolgere il loro compito educativo, anche nei rispetti della scuola, compresa quella statale, la Chiesa Cattolica nell’81 ha codificato i diritti della famiglia, e noi attendiamo che questi vengano riconosciuti anche nelle sedi legislative dei singoli stati.
Concludendo e lasciando molte altre considerazioni vorrei fare due citazioni: una di Giovanni Paolo II, tratta dalla Familiaris Consortio (n. 3), che vorrei lasciare come impegno comune: "In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di attacco da parte di numerose forze che cercano di distruggerla, o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia, sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso popolo di Dio. Noi crediamo in questo modo di fare un servizio alla società, quella nazionale e quella internazionale". L’altra citazione è di carattere ottimistico; qualche volta, quando ho modo di esporre questo quadro dei problemi morali della famiglia, alla fine qualcuno mi dice che la visione che dò è troppo pessimistica, che ci sono anche tante brave famiglie. Io però credo che esistano due modi per essere ottimisti, uno di chi non vede la realtà, o fa finta di non vederla, e questo tipo di ottimismo è molto infantile, è molto simile alla sciocchezza, alla superficialità. Un altro modo di essere ottimisti è quello di guardare bene in fondo, fino in fondo, la realtà che la storia e la società ci presentano, e di avere nello stesso tempo la certezza che il nostro impegno e le forze che Dio ci ha dato, mi esprimo come Chiesa, sono capaci di portare al risanamento di queste piaghe, e a proporre nuovi e positivi orizzonti nel cammino della società: non è la prima volta che è successo. E un’altra ragione dell’ottimismo è che non prevarranno i pensieri, le teorizzazioni, le ideologie fatte a tavolino da persone che pianificano secondo il più spietato e gelido utilitarismo sociale, ma la storia ancora una volta, e anche su questo punto io me lo auguro, ma direi quasi lo vorrei profetizzare, la storia ancora una volta – come è stato detto – camminerà a piedi scalzi, cioè con i piedi dei poveri e delle popolazioni che conservano in sé tutti i valori della natura.
Fabiani: Io ho l’impressione che il quadro sia ancora più nero di quello che ha presentato Monsignor Sgreccia, perché è venuto meno il senso di una verità oggettiva e gli stati sono portati a legalizzare tutte le deviazioni, purché non si tratti di toccare il patrimonio. Quindi dopo divorzio, aborto, ci sarà l’eutanasia, ci sarà tutto, perché lo Stato ormai non riconosce più nessuna trascendenza. Quando c’è di mezzo il danaro, il successo, il potere, tutto è possibile. In alcuni recenti documenti si nega che sia una persona non solo l’embrione, ma anche il bambino appena nato, la persona in coma o che abbia perduto l’uso della ragione, perché, si dice, non ha o non ha più l’autocoscienza. Noi ci troviamo di fronte ad una realtà che sarà sempre più grave anche perché si è verificata in tutte le branche del sapere umano quella divisione che Cartesio aveva operato nella persona umana fra spirito ed estensione. Il corpo è soltanto un oggetto, di cui si può disporre a piacimento perché ha perduto qualsiasi simbolica metafisica. Il quadro, dunque, quindi è piuttosto brutto.
In quanto cristiani sappiamo che ci deve essere l’impegno per una legislazione che favorisca aiuti, sostenga la famiglia in tutti i suoi aspetti, e la sua ricchezza, ma non sarà mai questo che risolverà il problema, che farà della famiglia un’autentica culla dell’amore e della vita, la cellula fondamentale della società. Quello che è necessario, di necessità ineluttabile, è un cambiamento di mentalità, è quella conversione, è quella metanoia, a cui ci invita pressantemente il Vangelo con le parole di Cristo: "Convertitevi e credete al Vangelo". Siamo imbarcati nell’esistenza, ma nonostante le apparenze non siamo in balia delle onde, perché Cristo ha risposto alle più profonde esigenze dell’uomo; con la Sua parola, la Sua morte e la Sua Resurrezione ha garantito ogni libertà a chi si affida a Lui ponendosi nella Sua sequela e colma di grazia chi si impegna per il bene. In Lui la battaglia decisiva nella storia della salvezza è già stata vinta, anche se il combattimento con il male ed il peccato sarà sempre duro, perché sempre ci saranno uomini afferrati dalla concupiscenza del sesso, dalla bramosia della ricchezza o del potere per il potere. Lui ha assicurato di essere la Via, la Verità e la Vita, è vivo e presente oggi, come lo sarà domani e sempre. A noi non resta pertanto che aprirci a Lui, alla verità, ed impegnarci per viverla con coerenza, coraggio e tanta fiducia, nella quotidianità, nella vita individuale, familiare, culturale, sociale e politica. La famiglia vivrà di tutta la sua bellezza, di tutta l’intensità di amore che la caratterizzano nel piano di Dio, se tutti i suoi componenti sentiranno il legame familiare come luogo in cui si esprime la loro libertà, la loro responsabilità, la loro capacità di donarsi e di costruirla, come una realtà per cui vale la pena spendersi completamente. Se questo cambiamento, questa conversione saranno attuate in ciascuno di noi e nelle nostre famiglie, allora noi constateremo, per usare una frase di Péguy, come l’opera, la testimonianza del cristiano, abbia il potere di trasformare l’acqua torbida in acqua chiara. E daremo alla società quell’apporto di onestà, laboriosità, solidarietà, novità, di cui ha estremo bisogno. Il laico Huizinga nel 1943, quando l’Europa era funestata dalla Seconda Guerra Mondiale, scriveva: "Noi non disperiamo, perché al mondo ci sono ancora coloro che gioiscono nel giorno di Natale". Noi siamo di quelle persone, che nel giorno di Natale gioiscono, perché sanno che Dio è entrato nella storia dell’uomo, e per questo, nonostante che i tempi siano particolarmente difficili proprio per il venir meno dell’adesione ad una verità ontologica e quindi oggettiva, noi siamo certi che con l’aiuto del Signore, potremo fare in modo che la nostra presenza, che la nostra opera, possa veramente dare alla famiglia tutto quel valore, quella dignità a cui ha diritto, ed alla persona umana quel rispetto che le è proprio, perché creata da Dio per un destino eterno.