Domenica 27 agosto 1989, ore 17
OMAGGIO A VON BALTHASAR
Partecipano:
Giancarlo Cesana
Sua Ecc. Mons. Paulo Josef Cordes
Augusto del Noce
Fratel Ettore
Antonio Smurro
Modera
Emilia Smurro
EMILIA SMURRO
Von Balthasar, concludendo al Meeting dell'84 il suo intervento su "Lo scandalo della croce e la follia di Dio", ha affermato che croce e follia non sono altro che l'espressione del fatto che la sapienza di Dio ci supera infinitamente. "Questa sapienza ci supera ma non ci è sottratta, noi l'abbiamo non come un possesso ma sempre come dono, e questo dono ci è dato non per noi ma per essere comunicato e questo dono liberatore si diffonde solo nella comunione. E' la comunione che libera ed è la liberazione che rende possibile la comunione. Ma noi non costruiamo né la libertà né la comunione: entrambe e la loro unità sono pura grazia di Dio".
Ho voluto rileggere per me e per tutti noi queste parole, proprio perché racchiudono il contenuto della nostra gratitudine, che è innanzitutto una gratitudine al Signore per il dono di questa comunione da cui si genera quello che noi siamo, quella umanità nuova che noi vogliamo testimoniare ovunque e di fronte a tutti.
Quello che ci sta più a cuore è il dono dell'incontro con Cristo che ci è stato fatto nella nostra vita e dentro questa storia, ed è per questo che nutriamo e che abbiamo sempre nutrito un amore grande e una gratitudine intensa per chi in questa storia ci ha aiutato e ci aiuta, ci ha sostenuti e ci sostiene, ci ha guidato e ci guida.
E' per questo che abbiamo voluto concludere l'edizione di questo Meeting con l'Omaggio a Von Balthasar. Balthasar è stato certamente la persona che più ci ha aiutato, che più ci ha confortato, che più ci ha difeso in questi anni. E per questo che siamo pieni di emozione, pensando che lui è sempre stato così paterno nei nostri confronti, che ha preferito difenderci per quello che dicevamo, anziché riprenderci là dove non siamo capaci di capire fino in fondo il suo pensiero. Ma in fondo anche il gesto conclusivo di questo Meeting, anche questo "Omaggio", è un impegno a studiare e a capire di più il magistero di Balthasar.
Per imparare a capirne di più il messaggio, abbiamo chiesto a Sua Ecc. Mons. Josef Cordes, di essere qui fra noi oggi pomeriggio e di aiutarci.
PAUL JOSEF CORDES
Soeren Kierkegaard - che Balthasar teneva in cosi gran conto - ci ricorda che uditori oceanici e plauso delle folle inducono l'uomo, facilmente, alla "falsità": è al cospetto della singola persona, che si rivela la nostra vera natura. Ebbene, Balthasar di fronte al singolo mostrava la sua amichevolezza, la sua cordialità profonda. Penso alle sue lettere, nelle quali dava risposte pronte e chiare ad ogni domanda, gremendole rapidamente di quella sua grafia così armoniosa. Penso a una visita che gli feci nel febbraio 1982 nella sua casa di Basilea; egli si concesse una mezza giornata da dedicare a me, che avevo bisogno di consigli e d'orientamento, senza dimenticare di richiamare la mia attenzione sul Museo d'arte cittadino, proponendomi di visitare alcune opere famose. Penso a un pomeriggio romano, allorché capitai per caso nel nostro Centro Internazionale Giovanile di San Lorenzo, e trovai lui che pregava, tutto solo, nella grave penombra della bella chiesina romanica.
Mi torna in mente anche una cena a cui fummo invitati entrambi da don Giussani a "Le Cappellette"; m'impressionò la sua stupefacente cultura in fatto di musica classica - sapeva a memoria i temi sia delle grandi sinfonie sia dei concerti solistici dei quali parlavamo; ma poi confidò d'aver dato via tutti i suoi dischi, per aver più tempo da dedicare al lavoro di teologo. E infine, l'incontro che ebbi con lui a Lugano ai primi di giugno dell'anno scorso con qualche amico di Comunione e Liberazione, dopo la sua
creazione a cardinale.
A tavola parlammo delle reazioni dell'opinione pubblica alla nomina. con un sorrisetto umilmente compiaciuto egli citò, facendola sua, una battuta pronunciata da Hermann Volk, vescovo e teologo tedesco, allorchè era stato fatto cardinale: "Visto che sono in tanti a rallegrarsene, dovrò pur rallegrarmene anch'io!". Ma non è solo in ragione della sua schietta e affascinante umanità che oggi ci occupiamo della personalità di quest'uomo, per quanto sia proprio essa a decidere della misura umana d'una persona. Vogliamo ricordarlo piuttosto per la sua possente intellettualità, che indusse un altro grande nostro contemporaneo, Henri De Lubac, a definirlo "l'uomo forse più colto del nostro tempo".
Al suo vasto periplo nell'universo culturale, Balthasar non fu mosso né dalla curiosità dell'indagine né dalla fama che arride al dotto. Egli fu prima di tutto pastore d'anime. E' sintomatico che - con tutta la sua formazione di gesuita - egli non decidesse di dedicarsi alla carriera universitaria: a trent'anni i superiori lo misero dinanzi alla scelta fra una Cattedra di Dogmatica e la Parrocchia della città universitaria di Basilea. Egli scelse il servizio presbiteriale (…). A spingerlo nella ricerca, è l'ansia per l'uomo e la sua salvezza. Ma un orientamento sulla via della fede, egli vuol darlo non solo nel dirigere spiritualmente le anime e nell'espletare il suo ministero sacerdotale. Egli si assume il compito di ripercorrere ancora una volta l'intero patrimonio ereditario della storia culturale dell'Occidente: la filosofia, dai presocratici a Heidegger; il tesoro teologico della patristica, attraverso i grandi Dottori della Chiesa, fino all'esegesi storico-critica e all'opera di Karl Barth. Si occupò delle modernissime scienze empiriche dell'uomo e - ancora in età avanzata - confessava che i grandi romanzi moderni esercitavano su di lui un'attrattiva così forte da non fargli ancora perdere il vizio di divorarli. "Mai si potrà accusarlo di disprezzare ciò che non conosce", afferma De Lubac riconoscendogli una qualità davvero singolare in un'epoca che vede il sapere accumularsi in montagne che toccano il cielo e che la massa degli uomini o schiva, grazie a incrollabili pregiudizi, o scala con la funicolare delle banalità giornalistiche. Balthasar, invece, abbozza un suo nuovo personale progetto per esporre quelle montagne alla luce della Rivelazione per amore dell'uomo.
Ascoltiamo ancora Henri De Lubac delucidare l'analisi balthasariana dell'umana condizione: ai nostri giorni il rapporto con Dio acquista "una più elevata urgenza; la dottrina biblica dell'uomo, icona di Dio, acquisisce un profilo più netto, e - senza che si debbano bruciare o saltare le tappe della conoscenza naturale - la rivelazione di Gesù Cristo gli si presenta come l'inevitabile risposta alla domanda che prorompe da tutto
il suo essere. Gesù - nella sua esistenza temporale e storica - si fa per l'uomo lo svelamento di quell'essere ignoto che l'uomo medesimo era a se stesso". In altre parole: in Gesù Cristo, Dio offre all'uomo reietto e ramingo un luogo e un'immagine perché possa comprendere se stesso. Osare di rendere consapevole l'uomo della presenza di Dio in Gesù Cristo: ecco un'impresa teologica degna di questo nome. In tre sfere tematiche inquadra - secondo la concezione di Balthasar - l'eredità dello spirito occidentale. Teo-estetica è il primo lemma della sua sistematica panoramica - laddove "aisthesis" significa non una "dottrina del bello", ma - più originariamente - il "percepire" (e quindi "veri-ficare") ciò che è creato e ciò che è avvenuto in Cristo; così come "aistheton", il "percepito", il "veri-ficato", che è amore in sè irradiante. L'opera a cui abbiamo accennato - e che in tedesco si intitola Herrlichkeit, cioè "splendore, magnificenza, beatitudine di bellezza" - resta sul piano della luce, dell'immagine e della visione. Ma questa è solo una delle dimensioni della scienza di Dio. L'altra si chiama "fatto, evento". Ecco quindi che Balthasar concepisce la Teo-drammatica: Dio opera nell'uomo. L'uomo risponde con la sua decisione, con l'azione. Qui la "missione" viene fissata definitivamente come concetto centrale della cristologia e della sequela di Cristo. Segue infine la Teo-logica, cioè l'esposizione di che cosa significhi "verità", nell'evento della
Rivelazione di Dio attraverso l'incarnazione del Logos; di quale rapporto si stabilisca tra la creatura e la verità divina; del come - dopo la Rivelazione - la parola umana possa testimoniare credibilmente la verità di Dio.
Nel 1965 Balthasar temeva ancora di non poter mai più recare a termine il suo immane disegno; altri - egli scriveva - avrebbero dovuto continuare il dialogo con i grandi del passato. E in realtà, anche nel suo stesso dettato si avverte la fretta a cui lo forza il tempo che scorre inesorabile; lamenta, infatti, di dover "sbrigare, comprimendoli in un misero paragrafo", argomenti che avrebbero preteso un intero libro. Eppure gli riuscì
di recare a termine l'opera, una summa che - con i suoi dodici volumi, di seicento pagine ciascuno - mozza letteralmente il fiato a qualsiasi lettore. Balthasar vuol porre Dio e la sua opera al centro del pensiero umano. E lo fa in un'epoca in cui il pensiero sembra inebriato d'euforia cosmica, un tempo in cui si spaccia quale scienza su Dio ciò che dovrebbe definirsi piuttosto antropologia. Ciò che lo muove non è la spinta teorica dello studioso, ma la profonda convinzione del pericolo che minaccia la salvezza dell'uomo. E innanzitutto il pericolo del razionalismo. Il voler spiegare tutto con la ragione - a detta di Balthasar - ha finito con lo sconvolgere e demolire le fondamenta del pensiero cristiano: gli articoli di fede non sono più il segreto oggetto della ricerca teologico cristiana, ma - con intendimento stravolto - sono proprio essi ad esser sottoposti all'inchiesta razionale, al fine di riformularli radicalmente riducendone i contenuti alla misura della plausibilità intramondana.
Il razionalismo - secondo Balthasar - è penetrato nella teologia come gnosi di nuovo conio, e vi reclama - più categoricamente che mai - diritto di cittadinanza, pretendendo d'esser metro e criterio d'un aggiornamento efficiente e precondizione dell'evangelizzazione nel mondo attuale. Si presume di trovare in esso la base comune su cui sia possibile sperare un'intesa con i non credenti e il loro intendimento, la loro comprensione per quanto è cristiano. Eppure il teocentrismo - per deciso e misticamente profondo che sia - non basta a tratteggiare compiutamente la fisionomia del nostro autore. Preso a sé stante, esso potrebbe gettare su di lui il sospetto di consigliare l'estraneità, la fuga dal mondo. Ma l'annuncio dell'assolutezza di Dio non è mai di dubbia lega, non dà mai la sensazione che egli propagandi un'autosufficienza spirituale o consenta l'assaporamento egoistico di suggestioni devote. Mai, infatti, egli si stanca di ripetere alto e forte che, se vogliamo essere cristiani, l'ora della verità scocca allorché abbiamo a che fare col prossimo. Non basta ancora parlare le lingue degli uomini, e degli angeli, conoscere i misteri e possedere le scienze; spostar le montagne a forza di fede e dare il corpo alle fiamme: senza 'amore tutto questo non serve a nulla. Solo esso ha la parola definitiva: "Credibile è solo l'amore". Ma come può l'uomo riuscire ad amare l'uomo, addirittura il nemico? Balthasar non si fa illusioni: l'uomo non è capace d'amare. Nell'incontro col suo simile finisce col morire d'asfissia. Se infatti nell'altro trovo solo ciò che conosco nel più profondo di me stesso: la limitatezza della mia natura; l'angoscia di quelli che sono i miei confini: morte, malattia, follia, avversità, perché mai il mio "io" dovrebbe perdersi per un "tu" che, alla fine dei conti, non posso vedere se non come me stesso? "No, se nel mio simile non incontro Dio; se l'amore non spira su di me un alito che abbia sentore d'infinito; se non riesco ad amare il mio prossimo d'un amore che provenga da ben più lontano della mia ridotta capacità d'amare; se quindi ciò che nell'incontro con l'altro porta l'augusto nome di amore non viene da Dio e non riconduce a Dio, l'impresa non vale la pena. Non libererebbe l'uomo né dalla sua prigione né della sua solitudine".
Nessuna meraviglia, perciò, che il Balthasar così turbato dal clima dell'ateismo odierno, alletti, inciti, forzi continuamente il lettore a rivolgersi a Dio. Soprattutto quando ribadisce che ogni servizio al Vangelo e ogni missione della Chiesa possono riuscire solo se partono dalla preghiera. Questa catechesi egli l'espone, ad esempio, nel libro intitolato Das betrachtende Gebet (La preghiera di contemplazione), che a ragione è stato definito "un'esposizione completa del mistero cristiano, di cui non si dà una più sostanziosa" (Henri De Lubac). La lettura d'una sola sua pagina ci faccia tutti, ancora una volta, qui, oggi, alunni di Balthasar.
"Tutto quel che della realtà di Dio possiamo testimoniare al prossimo, deriva dalla contemplazione: di Gesù Cristo, della Chiesa, di, noi stessi. Ma non può proclamare con durevole efficacia la contemplazione di Gesù Cristo e della Chiesa chi non ne partecipi egli stesso. Come non può disquisir di amore chi non abbia mai amato, o come non può parlare del sia pur minimo fra i problemi dell'universo spirituale chi non ne abbia avuto autentica esperienza, così un cristiano non potrà operare apostolicamente se - come la roccia Pietro - non annuncia quel che ha visto e udito. Scrive San Pietro: "Infatti non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere
la potenza e la parusia del Signore nostro Gesù Cristo, ma perchè siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre... Questa volta noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte" (2 Pt 1, 16-19)".
E, non senza malinconia, Balthasar prosegue: "Ma chi oggi, nei tanti "quaderni operativi" dell'attivismo cattolico, parla di Tabor? Del vedere, udire e toccare ciò che non può esser annunciato né propagato nemmeno con la sua zelante attività, se prima non lo si è sperimentato e conosciuto? Dell'inesprimibile pace dell'eternità, al di là d'ogni contesa terrena, ma anche dell'indicibile debolezza e impotenza dell'Amore crocifisso, dal cui "svuotamento" fino al "nulla", fino al farsi "peccato" e "maledizione", proviene ogni forza e salvezza alla Chiesa e all'umanità? A chi non ha appreso tutto questo contemplando, ogni parlare e perfino ogni operare in conseguenza restano affetti da una sorta d'imbarazzo e cattiva coscienza - a meno che anche questa cattiva coscienza non abbia finito con l'esser sepolta dall'ingenuità d'un molteplice affaccendarsi, che nel fondo è mondano, pur essendo definito, ma solo per malinteso, "ecclesiale"".
ANTONIO SMURRO
. Ringrazio Sua Ecc. Mons. Cordes che con questo intervento ha descritto visibilmente il tentativo e l'esperienza che stiamo facendo: Dio basta e basta nelle cose concrete della vita.
Anche quest'anno, come nel 1988, il Meeting intende concludere i suoi lavori con la consegna di un premio ad una personalità che si sia particolarmente distinta per la sua testimonianza umana, per il suo lavoro intellettuale e caritativo in difesa dell'uomo e della sua verità. Oggi intendiamo attribuire questo riconoscimento a due persone che in campi diversi, ma decisivi per la verità dell'esperienza cristiana, vale a dire la cultura e la carità, hanno offerto in questi anni a tutti noi un grande esempio di dedizione alla causa dell'uomo e della sua dignità. Si tratta del professor Augusto Del Noce e di Fratel Ettore Boschini. Leggo le motivazioni.
L'opera di Augusto del Noce è da tempo entrata di diritto nel novero delle grandi architetture filosofiche del nostro secolo, per l'originalità e la ricchezza delle prospettive che essa ha dischiuso. Fedele all'adagio hegeliano, secondo il quale "la filosofia è il proprio tempo appreso nel pensiero", Del Noce ha indagato con impareggiabile acume i motivi del controverso destino delle ideologie della liberazione sociale e politica. I molti lutti e le inedite forme
di asservimento che il moderno impulso rivoluzionario ha disseminato nella storia contemporanea, sono effetti indesiderati ma perfettamente coerenti con la premessa ateistica secondo la quale gli uomini possono trasformare il mondo a loro piacimento, ignorando l'ordine morale ed intellettuale originario che un Altro ha impresso nei loro cuori e nella realtà. Augusto Del Noce ha inoltre offerto, a partire dal secondo dopoguerra, un contributo difficilmente sopravvalutabile alla maturazione della coscienza sociale e politica dei cattolici italiani, rammentando il carattere irriducibilmente creativo della loro identità anche nella costruzione della sfera pubblica.
Infine, non possiamo dimenticare la simpatia con cui ha accompagnato la crescita del nostro Meeting lungo questi dieci anni.
Fratel Ettore Boschini, religioso camilliano, nell'affidamento al cuore amoroso di Gesù ed al cuore immacolato di Maria, da oltre dieci anni accoglie i diseredati che si raccolgono, sempre più numerosi, ai margini delle grandi aree metropolitane. Fratel Ettore ha iniziato la sua opera alla stazione di Milano, offrendo accoglienza ai "barboni" che vi si rifugiano, ha fondato la Casa di Betania a Seveso (ospita circa 120 persone) ed altre quattro Case nel milanese; da un anno la sua presenza si è estesa anche alla stazione Termini di Roma.
L'invito di Madre Teresa di Calcutta a Fratel Ettore, di circondarsi di amici consacrati a Dio, lo ha fatto rivolgere ad alcuni appartenenti alla "Memores Domini" di Seveso, perché potessero accompagnarlo con la loro amicizia.
Fratel Ettore, che partecipò al Meeting del 1981, costituisce nella nostra società il segno di una carità che è origine di reale comunione fraterna e luogo di sorprendente rigenerazione per l'uomo.
Credo che a questo punto sia giusto dare la parola al professor Del Noce e a Fratel Ettore.
AUGUSTO DEL NOCE
L'amico Smurro mi assegna un compito molto superiore alle mie forze, anche nel senso di poter esprimere quella commozione per un premio imprevisto e immeritato. Di che cosa parlerò allora? Lascerò da parte me stesso e parlerò un pochino di come si configura, almeno per me, il compito storico del vostro, nostro movimento.
Questo movimento nasce, o almeno prende forma, nel 1969, proprio negli anni della contestazione e con la contestazione ha un rapporto perché contesta l'esistente, mentre gli altri movimenti contestativi in fondo hanno contestato solo gli aspetti superficiali dell'esistenza. Il Movimento, invece, ha contestato quella "Repubblica delle Lettere", per usare un termine settecentesco, che ha ancora il reale dominio delle menti e che ha prodotto tutta quell'opera di secolarizzazione, di scristianizzazione, che è avvenuta in questo secondo dopoguerra. Questo potere dei padroni del pensiero non era stato combattuto abbastanza da altre forze di ispirazione cattolica. Prendiamo il rapporto con la Democrazia cristiana: la Democrazia cristiana ha grandissimi vertici, ma si formò in riscontro al fascismo e consolidò il suo potere, come partito, nella lotta contro il comunismo.
Intanto però cresceva, per il cattolicesimo e il cristianesimo, un altro avversario, che negli anni Cinquanta non poteva essere previsto da uomini già maturi, vale a dire quella che possiamo chiamare la forma di religione che è propria della società opulenta o consumistica. Essa è oggi l'avversario più potente e più pericoloso, assai più del comunismo. Occorreva allora una formazione nuova adatta a questa lotta, una sensibilità particolare capace di comunicare ai giovani. Questa sensibilità l'hanno avuta don Giussani e i suoi collaboratori e amici: essi sono veramente riusciti a incidere nell'animo dei giovani, come mostra questo Meeting, come mostrano queste manifestazioni che ormai durano da 10 anni e la loro riuscita.
Questa riuscita non trova riscontro nelle altre fiere dei vari movimenti e dei vari partiti. Di questo risultato non c'è che da compiacersi. Il problema è prendere sempre più coscienza di questo compito storico, di questo compito a cui voi siete stati chiamati dalla storia o dalla provvidenza e che comunque è un compito a cui state assolvendo, un compito relativamente nuovo rispetto alla tradizione cattolica recente, e che non può essere confuso con i compiti già assolti da altre formazioni. Questo non va confuso, come oggi si tende a fare da parte di molta pubblicistica, con un riassorbimento del Movimento nella politica. Ho letto anche recentemente sui giornali che CL, nato come ordine religioso, starebbe per diventare una corrente di partito, o starebbe per diventare soggetto ad un determinato clan. Ora, non c'è nulla di vero in questo. Il Movimento, essendo nato per orientare questi giovani nel mondo di oggi, non può non incontrare la politica, ma è in qualche modo metapolitico nell'aspetto di formazione ideale e non ha affatto i caratteri di una corrente di partito, semplicemente perché non mira affatto ad essere un partito. Un partito, logicamente, deve preoccuparsi del risultato e del successo; il Movimento, invece, della formazione morale e religiosa. Direi che in CL, a differenza di altri movimenti, esiste un intuito della realtà presente, un intuito degli avversari che il cattolicesimo incontra nella realtà presente, come pure un sicuro intuito nel non confondersi con altri movimenti cattolici, che pretendono di essere moderni ma che in realtà non soddisfano affatto le aspirazioni della gioventù di oggi. Alludo a movimenti di indirizzo in qualche modo modernistico, che vogliono essere post-conciliari e che, in qualche modo, in nome di questo spirito post-conciliare, vogliono gettare a mare tutta la tradizione precedente. Questo Movimento, che è accusato di essere tradizionalista - ed in un certo senso lo è, ma nel senso del Papa Giovanni Paolo II -, è aperto a quel famoso senso della storia di cui tante volte si è detto, e che tante volte i critici di CL mostrano di non possedere.
FRATEL ETTORE
Adesso vi pregherei di stare in piedi. Io non sono un teologo, mi inchino ai teologi, ho imparato dai miei genitori la carità fin da piccolo, quando i nonni o i miei genitori mi facevano portare un cucchiaio di legno con farina ai poveri: ho imparato grazie a loro la carità. Io ho delle visioni: vedo con gioia gli angeli che fanno capriole per la contentezza di vedere cosa succede qui a Rimini (…). "Il rosario è la mia preghiera prediletta, consueta": conoscete queste parole, da chi vengono: dal Papa, un bel battimani al Papa (…). Un indemoniato, interrogato su che cosa pensasse del rosario, rispose: il rosario è la rovina del demonio. Allora, cari fratelli e sorelle, affrettiamoci a rovinarlo completamente. Madre Teresa, che sul mio cammino è stata come una luce potente, forte e continua, mi ha istruito su come ordinare il servizio ai poveri, come essere forte affinché non continuino, coloro che avevano abbracciato una vita non buona, a farsi del male con il vino, con la droga, con la prostituzione ed altro e mi esortava dicendomi: "Fratel Ettore, circondati di anime consacrate". Cara, carissima mia Madre Teresa, il Signore mi ha esaudito, io l'ho pregato, e lui mi ha dato sei consiglieri del Consiglio Esecutivo, cinque di Comunione Liberazione e uno di Azione cattolica, forti come le rocce. Mi ha dato anche quattro confratelli camilliani. Grazie alla sofferenza di cui il Signore mi ha fatto partecipe, mi sento veramente forte, vorrei dire più forte della morte, perché l'amore è così, l'amore che viene da Dio e che si diffonde sul prossimo è forte come la morte o è morto prima di nascere. Madre Teresa diceva: "I più poveri non sono quelli che muoiono per le vie di Calcutta, non sono quelli che muoiono abbandonati peggio dei cani, ma i più miserabili sono coloro che non hanno il coraggio di accogliere una nuova vita, sbocciata sotto il grembo materno". Con Madre Teresa e con il secondo Mistero Gaudioso, che ci porta con Maria vicino ad ogni uomo che soffre, diciamo: "Padre Nostro che sei nei cieli ... ".
Il pubblico, invitato da Fratel Ettore, recita il rosario.
ANTONIO SMURRO
Ringrazio di cuore il professor Del Noce e Fratel Ettore per quello che ci hanno detto e testimoniato.
Diamo ora la parola a Giancarlo Cesana, per concludere i lavori di questo Meeting '89.
GIANCARLO CESANA
Leggo e commento brevissimamente il comunicato di chiusura del Meeting. Anche questa decima edizione del Meeting per l'amicizia tra i popoli, Socrate, Sherlock Holmes e Don Giovanni. Approccio, investigazione e possesso del1a realtà: nel paradosso ha costituito l'occasione di un incontro senza tattiche e strategie predeterminate, perché si può programmare un appuntamento ma non un incontro. L'incontro infatti è qualcosa che commuove, qualcosa che ferisce e non può essere oggetto di una strategia. L'incontro provocatorio, a volte scandaloso, ha costretto tutti, da chi vi ha partecipato a chi lo ha seguito attraverso i mass media, ad un paragone: non è che l'abbiamo fatto apposta, siamo così. Socrate, Sherlock Holmes e Don Giovanni hanno rappresentato gli aspetti della ricerca umana: Socrate la speculazione, Sherlock Holmes l'indagine e Don Giovanni il desiderio. Una ricerca umana che, nei suoi aspetti speculativi e di desiderio, tende ad una risposta ultima che non riesce mai ad afferrare, una risposta sulla verità dell'uomo. Paradossalmente, dato che abbiamo detto che questo è il Meeting del paradosso (paradosso vuol dire: contro le apparenze e l'opinione comune), la risposta è un Avvenimento che colpisce la vita e suscita un cambiamento. La risposta è quindi in un incontro. Questa è la nostra esperienza al Meeting e l'esperienza di tanti giovani e non più giovani che, gratuitamente, hanno collaborato alla costruzione del Meeting.
Io, soprattutto, voglio ringraziare questi. Lo dicevo l'altro ieri a quelli del ristorante, perché tutto quello che diciamo non avrebbe peso, non avrebbe risonanza se non ci fosse questa cornice resa possibile, prima di tutto, da quelli che collaborano a farla, e poi da tutti quelli che vi partecipano. Ciò vuol dire che anche voi siete responsabili di quello che diciamo, perché se non ci foste non varrebbe niente. Come laici cristiani, abbiamo accettato l'invito e il rischio di testimoniare la fede in opere che affrontino le circostanze i bisogni dell'uomo e facciamo riferimento alle indicazioni che ci sono state date dal Cardinal Biffi e da Monsignor Tonini, e cioè che i laici cristiani devono entrare nel mondo e affrontare i problemi del mondo: la politica, la cultura, l'economia, i soldi, gli affari. Ma appunto questo è un rischio, non un'accademia.
Abbiamo proposto con umiltà e decisione il nostro tentativo, cioè quello che stiamo facendo, perché la questione romana, che è venuta fuori in termini così imponenti sui giornali, è emblematica del nostro tentativo: emblematica nel senso che è esemplificativa come storia, emblematica nel senso che è il luogo dove l'attacco è più forte, è più radicale; noi abbiamo proposto con umiltà e decisione il nostro tentativo, senza sottrarci alla battaglia civile e culturale e politica che ciò inevitabilmente comporta. In questo si può sbagliare, come abbiamo detto, ma sarebbe un errore ancora più grande rifiutarsi di vedere quello che c'è dentro questo tentativo.
Comunque, quello che vogliamo dire è che la fede cristiana è un rischio dentro la storia: non si può eliminare questo rischio. E un rischio non è tanto fare cose che non si capiscono, quanto proprio accettare di fare le cose che si capiscono: questo è il rischio, perché spesso le cose che si capiscono, la verità, sono contro di noi e il rischio sta proprio nell'accettare di seguire la verità. Dopo, appunto, si può sbagliare, ma noi non desideriamo altro che di essere corretti. Una fede viva non può fare a meno di questa avventura, altrimenti sarebbe morta. La nostra avventura nasce proprio dall'urgenza di comunicare questa fede viva ai giovani sempre più lontani dal cristianesimo, perché il cristianesimo è un'umanità nuova, come c'era scritto nell'intervista di oggi del "Corriere della Sera": "Il cristianesimo valorizza tutto l'interesse umano: non lascia fuori niente" e il cristianesimo è proprio un'avventura, cioè l'affronto del rischio che è la vita, per scoprire sempre di più la verità che si è cominciato a intuire. Il cristianesimo è una strada sulla quale, seguendo Cristo, si arriva a scoprire il vero. Come ha scritto il grande pensatore francese Emmanuel Mounier: "E' dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia, il sentimento paziente di un'opera che cresce, di tappe che si susseguono. Aspettate con calma, con sicurezza: occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne".
Voglio solo ricordare che noi abbiamo pagato le cose che abbiamo detto. Anche questo decimo Meeting si chiude, non con un discorso programmatico, ma con una consapevolezza accresciuta di contribuire alla libertà di espressione, di aggregazione, di costruzione, in una società che, irrigidendosi in un clericalismo etico e disciplinare, come ha ricordato il grande teorico cattolico Cardinale De Lubac, "tenta inutilmente di arginare, di mascherare la tragica corrosione dell'umano". E' evidente, per tanti aspetti che caratterizzano la nostra società, che mentre cresce il livello di benessere, è corroso il livello di umanità, la dignità dell'uomo. Basti pensare ai fenomeni di disgregazione, di povertà, di droga, di miseria, ecc., di cui Fratel Ettore ci porta la testimonianza. Questa è una corrosione dell'umano: si cerca di fermare questa corrosione attraverso un irrigidimento formale, cioè un irrigidimento delle regole. Ma questo non cambia la situazione. Ciò che cambia la situazione è un fatto nuovo: noi siamo certi di essere dentro questo fatto nuovo e, bene o male, abbiamo cercato di renderlo presente. Certo, anche cercare di rendere presente il fatto nuovo è un rischio: è tutto un rischio e l'abbiamo corso, ma abbiamo la coscienza che questo fatto, anche per questo Meeting, va avanti.
Questo è il comunicato che abbiamo dato alla stampa oggi. Per chiudere, vorrei ringraziare in maniera particolare, perché sono i responsabili di questo Meeting, Antonio Smurro, sua moglie Emilia e l'On. Sanese, oltre a tutti quelli, soprattutto di Rimini, che hanno lavorato per fare tutto quello che stiamo facendo.
FRATEL ETTORE
Lasciatemi recitare il salmo n. 8: "0 Signore nostro Dio, quanto è grande il Tuo nome su tutta la terra (…).
Il mio superiore, uno dei miei superiori, che mi vuol tanto bene e che è l'ossigeno, con il mio Padre Provinciale e il Padre Generale, dell'opera - senza di loro morirei al più presto - mi ha chiesto: "Che cosa dici al Meeting?". "Parlo del cuore, punto sul cuore: fare di Cristo il cuore del mondo, fare del Papa il cuore di Cristo, fare del Cuore Immacolato il rifugio dei peccatori, fare del cuore di San Camillo il cuore del povero e dell'ammalato, fare del cuore dell'uomo la gioia dell'umanità. Così sia. Dò appuntamento a tutti per la festa di questa sera alle 21,15 (mi sono dimenticato di ringraziare anche Don Ugolini, ma lui è l'anima, tiene su tutto), ma guardate che la festa non è un momento di stordimento e di evasione: la festa è la celebrazione di una ragione di gioia: speriamo che abbiate qualche ragione da celebrare. Auguri a tutti. Un attimo: c'è un dono per il movimento di Comunione e Liberazione: ve lo leggo, questo simulacro di dono dei poveri di Milano con Fratel Ettore, è offerto con affettuosa gratitudine al movimento di Comunione e Liberazione, saggiamente guidato dal suo presidente, Monsignor Luigi Giussani. Gioiosamente, Fratel Ettore.
GIANCARLO CESANA
Lo prendo volentieri perché, come avete visto, ne abbiamo bisogno.