Giovanna D’Arco: la storia ed il miracolo
Domenica
21, ore 17Relatori:
Maria Luisa Spaziani
Régine Pernoud
Maria Luisa Spaziani, poetessa
Spaziani: Per quale ragione Giovanna D’Arco incarna così straordinariamente le varie facce dello spirito umano? Vorrei ricordarvi il segno della Croce, che segna l’intersezione di un piano orizzontale con uno verticale. Il piano della nostra vita mortale, pratica, quotidiana, e il piano della nostra personale trascendenza, della nostra possibilità di elevarci verso delle zone che non siano quelle della pratica. Giovanna D’Arco è stata da un lato un grandissimo spirito che parlava con l’Angelo – di questo io sono profondamente convinta – e dall’altro è stato un esempio di genio pratico. Se voi pensate che cosa deve avere fatto, quello che deve avere organizzato, quello che è riuscita a realizzare nella sua vita, è qualche cosa che ha del miracoloso. Quando pensiamo ad una battaglia, di solito pensiamo alla strategia, ma dobbiamo pensare anche alla tattica, dobbiamo pensare alla sussistenza, alle infinite ragioni pratiche che un capo di esercito deve avere.
Giovanna, secondo la testimonianza dei suoi contemporanei, aveva anche un occhio molto preciso a tutte queste cose, non era soltanto una sognatrice in azione, ma era l’azione incarnata. Quando mi sono imbattuta in Giovanna D’Arco, per i primi anni ho accettato, non in modo acritico, ma di confidenza, la tesi della Chiesa, che ha sposato un certo tipo di biografia, condivisa anche dai più grandi storici: la vita della pastorella che riesce quasi miracolosamente a raggiungere il Re, a convincerlo a liberare Orléans, ad incoronare il Re a Reims, che poi viene presa prigioniera e bruciata sul rogo.
Questa interpretazione mi è andata bene per qualche tempo, finché in Francia non mi è capitato di imbattermi in un gruppo di persone, che non erano storici, ma curiosi o giornalisti, o più genericamente persone portate ai misteri della storia. Tutte queste persone continuavano ad insistere con conferenze, libri e così via, sulla possibilità che la biografia di Giovanna D’Arco fosse da scrivere in un’altra maniera. Tutto questo è cominciato nel 1910; questa nuova interpretazione era soprattutto di matrice comunista e socialista, e infatti sostenevano che tutto il lato trascendente di Giovanna D’Arco era un’invenzione dei secoli successivi, una leggenda fortunata che aveva messo ampie radici. La storia vera però era riducibile a delle misure molto, molto più modeste. Secondo questa teoria, Giovanna D’Arco era la figlia adulterina di Isabella di Baviera, moglie di Carlo VI, la quale, separatasi dal marito in preda a tremende malattie del tempo – nonché a una specie di follia – era diventata l’amante del Duca di Orléans, e aveva concepito una figlia nel 1407. Questa bambina scomodissima, anche perché il Duca di Orléans è stato massacrato qualche giorno dopo la sua nascita, viene poi mandata a balia dalla famiglia D’Arco. Questa sarebbe Giovanna: una buona bandiera da istruire, a cui dare un cavallo e un vessillo per poi mandarla tra i soldati a dire che la profezia del mago Merlino, "Verrà una Vergine a salvare la Francia", stava per realizzarsi e a tentare di sollevare il morale della truppa e del popolo.
Naturalmente, se tutto questo fosse vero, non rimarrebbe più niente della figura di Giovanna. Secondo tale ricostruzione, Giovanna non sarebbe morta sul rogo, ma sarebbe stata salvata, avrebbe sposato un capitano, e sarebbe finita in un feudo in Champagne, in Lorena, e poi le sue tracce si sarebbero perdute.
Io sono stata attratta da questa storia, anche senza crederci fino in fondo, per diverse ragioni. La prima è che mi permetteva di prolungare la vita di Giovanna D’Arco e di farla parlare in prima persona: infatti abbiamo i documenti del processo, abbiamo qualche testimonianza, ma non abbiamo una sua autobiografia o sue confessioni ragionate. Farla parlare, dunque, poeticamente, su due temi molto importanti: il fuoco e la noia(1).
La seconda ragione è stata più storico-pratica. In tutti i circa 7500 libri della bibliografia ufficiale di Giovanna D’Arco, si parla profondissimamente dei vari personaggi e parenti che l’hanno circondata. Dei suoi parenti, noi sappiamo tutto fino ai minimi particolari, fino al cugino, fino ai compagni di scuola; c’è però un personaggio che è sempre in ombra, la sorella maggiore, e non si capisce perché nessuno ci sappia dire niente su di lei. Toccando i vari personaggi della vita di Giovanna D’Arco, e proprio il punto in cui si dovrebbe parlare di questa sorella maggiore, io ho sentito un vuoto, come quando nei castelli si cerca un tesoro, ed a un certo punto si battono le nocche contro il muro e il suono è diverso. Ho sentito che c’era qualche cosa di nascosto, qualche cosa che non bisognava dire, su cui non bisognava indagare, su cui gli storici non sapevano assolutamente che cosa fare. Osservando l’albero genealogico della famiglia D’Arco – l’ho visto anche recentemente nel piccolo museo folcloristico, interessante e divertente di Rouen –, si vede che questa sorella maggiore sarebbe nata nel 1407, mentre Giovanna nasce nel 1412. Per quale ragione non ipotizzare che effettivamente questa sorella fosse la figlia della Regina Isabella, mandata poi a balia dalla famiglia D’Arc? Questa ipotesi metterebbe a posto tutte le congetture, e spiegherebbe anche per quale ragione Giovanna, figlia di contadini, quasi pastora, abbia indirettamente ricevuto una educazione e una cultura. Quando alla Corte è venuto in mente di fare questo colpo del mago Merlino, hanno mandato qualcuno per istruire la prima figlia, Caterina. Giovanna, di conseguenza, avrebbe imparato il francese e ad andare a cavallo, avrebbe studiato la storia di Francia, avrebbe saputo la teologia e tutto quello che poi avrebbe costituito in seguito la grande sapienza da cui sono scaturite le sue risposte al processo di Rouen. Questa è dunque la mia ipotesi. Gli storici grandi, scientifici, come Régine Pernoud, da un lato respingono questi argomenti, perché dicono che i documenti non sono abbastanza provanti; dall’altro, devo sottolineare che Régine Pernoud ed io abbiamo in comune la grande esigenza di valutare la profonda incidenza che Giovanna ha avuto sia nel campo dello Spirito che in quello della Storia.
Il contributo della signora Spaziani è proseguito attraverso la recitazione di un canto del suo poema "Giovanna D’Arco", edito da Mondadori, ad opera di Silvana Strocchi, che ha portato per la prima volta questo poema sulla scena nel ‘91 (n.d.r.).
Régine Pernoud, scrittrice, studiosa della civiltà medievale
Pernoud: Desidero in primo luogo farvi rilevare un fatto: proprio qui, in questo stesso palazzo, a pochi metri, vi è una esposizione notevole e ammirevole per precisione di documentazione, ricca di manoscritti del tempo e ricca soprattutto dell’intelligenza che è stata posta nell’organizzarla. Da questa mostra si sprigiona una profonda emozione facendo rivivere la storia più paradossale che ci sia, perché, rimanendo ancora sul terreno umile della vita quotidiana quale appare da questi documenti, la storia di Giovanna D’Arco rimane paradossale. Piccola contadina che diventa capo di guerra, giovine analfabeta che giungendo dichiara di non sapere l’abc, che riesce a fare incoronare il suo Re: ecco Giovanna D’Arco.
I fatti parlano attraverso di lei, nel momento forse più critico mai attraversato dalla storia di Francia e d’Europa. Tutta l’Europa Orientale faceva parte della Francia dell’epoca: quello che noi chiamiamo Borgogna andava fino all’Olanda e al regno Germanico. In una Francia tagliata in due da una guerra civile (i Borgognoni, da un lato, che sono dalla parte degli Inglesi, e dall’altra gli Armagnac, rimasti fedeli al trono di Francia), ci troviamo anche di fronte a una guerra straniera, con gli orrori che comportava.
A quei tempi, gli uomini d’arme venivano ingaggiati, provenienti da ogni parte per battersi. Questi uomini al soldo di un signore, al soldo del Re, non sono un gran male: è dopo, finita la guerra, che la loro presenza fa sì che la pace sia più terribile di ciò che l’aveva preceduta, perché questi uomini, non più al soldo del loro signore, non lasceranno un angolo di Francia libera dal saccheggio e dagli orrori quotidiani. La guerra straniera proveniva da oltre Manica, ed era stata scatenata da signori che erano usurpatori in casa propria. Non dimentichiamo che si tratta di una dinastia di usurpatori, di una dinastia che ha cominciato con l’uccisione dell’ultimo legittimo discendente dei Plantageneti, Riccardo II, per installarsi sul suo trono. Questa dinastia di usurpatori durerà 60/70 anni, andando a concludersi negli orrori di una guerra, anche questa assai dura, combattuta in Inghilterra: la guerra delle due Rose. La guerra civile e la guerra straniera, dunque, fanno la Francia a pezzi.
Grazie a un trattato poi debitamente sottoscritto, l’ultimo erede, il figlio del Re di Francia, che era impazzito, è stato allontanato dal trono. Il Paese si trova in una profonda confusione, nelle brume più impenetrabili: ove sono il diritto e la legittimità? Da queste brume appare Giovanna, che infallibilmente sembra indicare la linea diritta da seguire. Ella si presenta, dà la propria fiducia al legittimo erede della Corona e dà quello che lei stessa chiama il suo "segno": "Conducetemi a Orlèans, vi mostrerò il segno in nome del quale e per il quale sono stata inviata". Questo segno è proprio quello di liberare Orléans, la città che si trova tra le due France, la Francia del mezzogiorno, rimasta fedele alla dinastia legittima, e la Francia del settentrione, invasa dagli Inglesi. In meno di otto giorni Giovanna libererà questa città dall’assedio che dura da sette mesi, per poi intraprendere una intera campagna segnata da una vittoria sorprendente e schiacciante dell’Armata Francese e per condurre infine il Re a Reims, il luogo in cui i Re vengono consacrati tali.
Questa la storia, che tutti o quasi conosciamo bene, e di cui conosciamo anche il seguito. Quanti stavano da parte inglese, e soprattutto gli universitari parigini, gli intellettuali di allora, coloro i quali si fan vanto di seguire l’onda della storia, consideravano oltraggioso che il loro piano fosse stato mandato all’aria da una giovane analfabeta. Siamo nella seconda fase di una vita pubblica che dura solo due anni: questa seconda parte è quella della prigione e della morte.
Poiché questi sono gli avvenimenti che hanno reso la Francia a se stessa, un commento si impone. Può sembrare anche questo un paradosso ma non v’è stato miracolo nell’azione di Giovanna. Ella ha a che fare con persone ormai abituate ad essere sconfitte, sono ormai dei vinti, e da vinti intraprendono il cammino. La popolazione di Orléans, ormai pronta a darsi allo straniero, ha perso fiducia nell’ipotesi francese. Ebbene, Giovanna non parte da vinta, tiene testa a chi la fronteggia.
Se studiamo il suo comportamento in battaglia, ci troviamo a confermare che non v’è stato alcun miracolo: Giovanna è la prima ad andare all’assalto e l’ultima a proteggere una eventuale ritirata che finirà anch’essa per trasformarsi in vittoria. Ma Giovanna va avanti. Ad Orléans non trascorre più di otto giorni, ma questi otto giorni non le bastano per calmarsi dalla sua collera. È una ragazza incollerita, perché non si accontenta della vittoria. I Francesi, gli uomini d’arme, sono sempre soddisfatti della loro opera: "Oggi abbiamo conquistato una piazzaforte! Bene, la giornata è finita". No, secondo Giovanna, invece, bisogna andare oltre, bisogna continuare, sempre all’attacco, questa è la strategia, questo è il suo segreto, non accontentarsi mai di una vittoria, andare oltre. In ogni combattimento, Giovanna fa sì che si giunga sempre alla fine; quando alla mattina dice: "Stasera entreremo in città, attraversando un ponte, un ponte tagliato dal nemico!", ebbene non cesserà di battersi finché non avrà ottenuto la liberazione di quel ponte.
Miracolo? No. Giovanna combatte a fianco a fianco degli altri, viene ferita al pari d’altri e si rialza e riprende il cammino. Non appaiono fatti miracolosi nelle sue gesta. Allo storico appare curioso e divertente osservare come intorno a Giovanna molti storiografi, romanzieri, cineasti si ingegnino a far nascere miracoli. Recentemente un eminente accademico, in un film, dipingeva Giovanna come personaggio miracoloso di cui si era già udito parlare, un personaggio chiamato dal Re, che riusciva a dare luogo sulla sua strada a una serie di miracoli, giungeva poi dal Re, veniva ricevuta e compiva la sua missione. Ma la storia non è così, è un cammino passo dopo passo, in grande semplicità, senza mai fare ricorso a fatti miracolosi. In definitiva, allo storico appare come cosa stupenda che nel processo, pur brutto, che le è stato fatto (processo ove si sono fronteggiati una sessantina di teologi, dottori, persone cariche di diplomi, di quelli che si troverebbero oggi al CNR o nelle cattedre universitarie: costoro di fronte a una fanciulla che aveva detto di non conoscere l’abc), tutti gli accusatori si ingegnano a riconoscere nell’azione di Giovanna delle stregonerie, delle diavolerie. Ma Giovanna non una sola volta pronuncia il nome del diavolo, e con un gesto allontana ogni allusione alla stregoneria, per rispondere con una chiarezza tanto disarmante, che questo processo per noi storici diventa specchio miracoloso di un’anima limpida, trasparente, di un’anima che mai ha cercato di forzare il destino con mezzi miracolosi, ma che è sempre stata animata dall’unico desiderio di essere fedele alla voce in essa che la spinge.
Mai Giovanna si è creduta Santa: il suo unico timore è quello di non riuscire ad obbedire con precisione a questa voce. Noi storici non smettiamo di sorprenderci di come si vadano a cercare spiegazioni, ragioni, mentre la verità ci appare con tanta semplicità, e perciò con tanta grandezza.
L’azione di Giovanna non può essere classificata in una qualsiasi categoria miracolosa, rimane nel campo dell’azione quotidiana. Anche quando i dottori con gesto abominevole rivolgono a Giovanna la domanda: "Cosa ti accadrà, cosa suggeriscono le tue voci circa il tuo futuro?", anche in questo momento Giovanna risponde con una semplicità per noi disarmante: "Le mie voci mi dicono: 'accetta tutto ciò che ti viene dato, non temere il tuo martirio, tutto ciò ti porterà al regno del Paradiso'". "Dobbiamo intendere la parola 'martirio' pensando alle pene ed alle avversità sofferte in prigione"? "Non so, dice Giovanna, se ne soffrirò di peggiori, ma per tutto mi rimetto al Signore nostro".
Non un istante apparirà Giovanna come un essere che fa dei miracoli: rimarrà sempre la semplice giovinetta che morirà sul rogo. E possiamo, a guisa di conclusione di tutta questa storia, dire che non ha fatto miracoli perché è lei il miracolo, è un miracolo per la sua perfetta corrispondenza all’azione di Dio su di lei. Giovanna è colei che ha sempre risposto "sì" all’azione divina; si ha l’impressione che se il Signore non le avesse chiesto nulla, non sarebbe stata meno santa, perché nulla in lei è diverso da una totale accettazione dell’azione divina. E il riconoscere in Giovanna il miracolo si esprime perfettamente nella preghiera. Il cancelliere che annotava le risposte – in quel suo francese incerto – di Giovanna al tribunale, ha trascritto che ad un certo punto, quando le è stata rivolta la domanda: "Come preghi?", lei, semplicemente risponde pregando: "In onore della vostra santa passione, o Dio, se mi amate, vi prego di insegnarmi ciò che debbo rispondere a queste genti di Chiesa". "Se mi amate": questo "se" non è condizione, è affermazione, "se mi amate" è nel senso "visto che mi amate, dato che mi amate, poiché so che mi amate, vi chiedo di dirmi come rispondere a queste genti di Chiesa". Questa la preghiera di Giovanna, questo il suo essere profondo, totalmente rivolto a rispondere all’amore di Dio. Si ha l’impressione che ella non abbia cercato se non nel suo battesimo questa risposta prodigiosa a tutto quello che il Signore le chiedeva.
Non v’è altro da dire sull’azione di Giovanna o su di lei: la conosciamo molto bene grazie alle sue semplici risposte, grazie al processo che le è stato intentato; altrettanto bene conosciamo l’impressione che gli altri avevano di lei, grazie al secondo processo che le è stato intentato a 18 anni dalla morte, il cosiddetto processo di riabilitazione. Questi due processi danno due ritratti di Giovanna: Giovanna vista da se stessa il primo, Giovanna vista dai testimoni il secondo, due ritratti sovrapponibili, indistinguibili, due ritratti del medesimo personaggio, che non ha in sé altro che quella semplice risposta all’amore di Dio che è l’unico suo pensiero, l’unica sua filosofia, l’unica sua gioia.
NOTE
(1) La noia è un elemento – in senso chimico – che l’antichità quasi non conosce: credo che i primi segni dell’attenzione verso la noia risalgano al 1700, quando la si definiva come quel tipo di impotenza sentimentale che ci prende, quel "vorrei e non vorrei", "penso di fare una cosa ma non ne ho voglia".
La noia di Giovanna è quella di chi riconosce che il destino si è spezzato, che una delle maglie del destino è venuta meno, per cui invece di essere una freccia che vola dal suo arco al bersaglio, si trova ad essere una freccia pigra che fa dei giri, non ricordandosi bene dove deve andare a conficcarsi. Tema meraviglioso: ero molto attratta di continuare la vita di Giovanna nella più profonda solitudine, nella più profonda desolazione, dopo che il Re e l’Angelo tacevano, quando nessuno veniva in suo aiuto.