Sabato 1 settembre, ore 17.00
L’IMPOSSIBILE TOLLERANZA?
Partecipano:
Fernando Moreno,
cileno, docente all’università di Lovanio, direttore dell’edizione latino-americana della rivista teologica Communio
Leopoldo Zega,
messicano, saggista, docente di filosofia presso l’università di Città del Messico
Armstrong Wiggins,
indio miskito del Nicaragua, già dirigente dell’Alianza para el Progreso de los Miskitos y de los Sumos (ALPROMISO), coordinatore del Progetto difesa dei diritti umani dei popoli indigeni del Centro e del Sudamerica presso l’Indian Law Resources Center di Washington (USA) dove vive in esilio dal 1981
José Miguel Oriol,
spagnolo, fondatore e direttore della casa editrice Encuentro, promotore e curatore dell’edizione spagnola della rivista teologica "Communio"
A quali condizioni nel mondo in cui viviamo la tolleranza è possibile? Domina nel nostro tempo la convinzione che solo chi è agnostico o scettico possa essere tollerante, realmente rispettoso delle posizioni altrui. In tale prospettiva il cristiano, l'uomo religioso viene perciò guardato con sospetto: è sospettato d'intolleranza per definizione. Secondo la cultura oggi predominante, infatti, la tolleranza non è possibile se non a patto che le diverse identità siano attenuate fino a farle scomparire. Occorrerebbe perciò, per il bene della pace sociale e civile, relativizzare le proprie certezze, occorrerebbe dimenticarsi di avere un volto, una storia, un'appartenenza. In realtà le cose stanno ben diversamente: soltanto, infatti, una società formata da uomini che abbiano proprie identità, proprie culture, proprie certezze può essere realmente democratica. Una società composta da uomini senza volto, senza identità è una società destinata inevitabilmente a diventare antidemocratica, totalitaria. Infatti, quando gli uomini non credono nell’esistenza della verità, allora non c'è più alcun limite alla volontà di potere.
F. Moreno:
La tolleranza, l'esigenza della tolleranza, e la virtù della tolleranza virtù eminentemente sociale suppongono la diversità come dato iniziale e g originario. Tollerare è sopportare il diverso, sopportare quello che è l'altro e, al limite sopportare l'altro come persona. In questo senso più fondamentale, la possibilità della tolleranza si confonde con la vita stessa. Non esiste vita senza tolleranza, non c'è vita umana senza tolleranza. Però la diversità è qui più che un puro dato nell'origine della tolleranza; in qualche modo essa stabilisce un diritto del diverso ad essere riconosciuto e ad esistere come tale. Per lo stesso motivo la diversità postula una certa unità; a dire la verità un’unità più radicata. In effetti, non c'è mai riconosci mento della diversità se non in funzione di una norma, di un modello comune. Ed è questo modello, o questa norma, che fonda direttamente e immediatamente il diritto di esistere del diverso. Bene, la diversità, che si proietta ‘in avanti’, se possiamo dirlo cosi, in un’esigenza sociale di unità, è i in modo paradossale, la proiezione di un'unità ancora essa stessa, e quasi più fondamentale, più precisamente di una doppia unità: di un’unità di ordine che risponde al piano del Creatore e che, in un certo senso, lo riflette, e subito dopo di un’unità antropologica, che altro non è se non la comunione in una stessa natura, in una comune origine, e in un destino comune. A questo punto si potrebbe parlare di unità di natura, di origine e di filiazione. In un certo senso, siamo tutti figli dello stesso Padre, che ci ha dato un essere fatto a sua immagine e somiglianza (Genesi 1,26.27;2,7-18.21-23), sebbene, in un altro senso, si deve dire che siamo tutti chiamati alla filiazione divina. D'altra parte l'unità di ordine suppone la ricchezza poliedrica dell'esse re nella complementaria diversità. In questo caso, la bontà della parte (in quanto è precisamente una parte) sta in funzione del tutto, nel quale il diverso stesso si supera in una certa forma. Nella prospettiva dell'atto creatore di Dio - e in quanto ciò che è nella causa in modo semplice e unificato, si trova nell'effetto in modo complesso e moltiplicato - 1a molteplicità e la varietà' del creato è ciò che permette di riflettere la perfezione di Dio, la bontà della sua causa. In questo senso, non potendo mancare all'opera di Dio 'il bene dell'ordine', la 'diversità e differenza delle creature' s'impone; detto ordine è un ordine del molteplice e del diverso. La diversità naturale non solo si riferisce ai regni, generi o specie create, ma anche agli elementi e individui che lo integrano. Nel caso dell'uomo, che è quello che qui ci interessa, il dato naturale è completato dal dato soprannaturale: il dono di Dio non beneficia tutti ugualmente. Ci sono diversità di doni' dice San Paolo (1 Corinzi 12,4).Dio dà 'a ciascuno secondo la sua capacità', come c’insegna la Parabola dei talenti (Matteo 25,14-30 e Luca 19,12-27).Così, di capriccio, se si può dire, di Dio viene come a rinforzare la diversità naturale originaria negli uomini. Questa diversità, in una o nell'altra forma, si esprime socialmente, e in quel caso deve essere direttamente o indirettamente assunta e rispettata, dalle persone stesse, dai diversi gruppi, e dallo Stato in quanto incaricato del sociale. Questo è ciò che chiamiamo tolleranza, e che determina tanto la sfida da essa posta come la sua strutturazione politica e il suo dinamismo culturale e sociale. Il diritto del diverso ha il suo complemento nel dovere di tolleranza. Allora, un tale dovere, nel tradursi in esigenza culturale, sociale e politica, postula una finalità comune, capace di operare normativamente in relazione ai comportamenti umani, e determinare, per questo, una relazione unificante. Questa relazione deve essere concepita come realizzantesi in universi diversificati, quelli che vanno dalla bipolarità affettiva o funzionale alla ‘società’ internazionale, passando per la famiglia, i diversi gruppi e la società politica stessa. In qualsiasi caso, il 'sopportare' la diversità, e, più ancora, il fatto di assumerla positivamente, suppongono un bene comune che essendo fine e norma di ciascun caso, opera allo stesso tempo, come A principio più fondamentale di unità. Vediamo, in questo modo, che la tolleranza trova nella unità il suo principio fondamentale della sua strutturazione. A partire da qui, si deve affermare che la possibilità della tolleranza, è radicata in un’esigenza naturale e morale. Proprio per questo, a questo livello, al di là di qualsiasi fenomenologia o di qualsiasi considerazione 'fattiva', empirica o storico-sociale, si deve semplicemente dedurre la possibilità della tolleranza. Essa è possibile, fondamentalmente, per il fatto di essere quasi inscritta nella 'natura stessa delle cose', non pregiudicando la sua possibilità socio-storica, e la sua possibilità concreta ed effettiva. In questo secondo livello, l'esigenza della tolleranza afferma la possibilità reale del suo esercizio nella virtù della tolleranza, così come nelle altre virtù ad essa connesse. Essa suppone, fondamentalmente, il riconoscimento dell'altro. Sulla base di quest'ultimo intervengono almeno due 'fattori': un senso ontologicamente diffuso della uguaglianza umana, e la percezione dell'altro come dipendente, lui come me, da un 'principio' che lo supera qualcosa', un 'qualcuno', e che ci supera. A partire da qui, riconoscere l'altro è scoprirlo e accettarlo nella sua alterità; è aprirci a lui per accoglierlo come altro. Questa apertura è a sua volta condizione di qualunque accoglienza più profonda, al limite del dono di sé all'altro, come altro me stesso. Però riconoscere l'altro è già, in qualche modo, farsi interpellare da lui, anche se questa interpellazione non comporta reciprocità. Non c'è riconoscimento dell'altro puramente passivo e nemmeno puramente materiale. Il riconoscimento dell'altro - se tale è, e non una caricatura nella quale l'altro si sfuma, o lo si confonde con una proiezione di se stesso, o della propria immaginazione - suppone, per dirlo in un solo giudizio, un dinamismo spirituale, anche se questo si ignora come tale. Il riconoscimento è come il fondamento etico-antropologico della virtù della tolleranza. questa una virtù sociale, e come tale ha a che fare con i rapporti tra persone e con la 'proporzionalità' (o la relativa eguaglianza che, giustamente, deve stabilirsi a partire dalla stessa capacità di relazione. Così, la virtù della tolleranza appare strettamente legata alla virtù, più generale, della giustizia. Il riconoscimento dell'altro come altro, che fonda il diritto della diversità, che sostiene la virtù della tolleranza, si fa effettivo nella giustizia. Quest'ultima, come virtù ordinatrice più generale, esige la tolleranza. Là dove la tolleranza è giustizia, l'intolleranza è ingiustizia. Tollerare qui, è dare all'altro quello che gli corrisponde sul piano globale dell'esistenza, e, in specie, in relazione alle culture, negli stili di vita, istituzioni, costumi, idee. Nel limite della coscienza morale e del bene comune, si tratta di accettare ciò che è proprio dell'altro, come fosse semplicemente il suo. E questo, tanto in termini di passato, come di presente e futuro. Così, e in un certo senso soprattutto, i progetti di vita sono già qualcosa di proprio, e, nei limiti del bene comune e della coscienza morale, una devono essere accettati, accolti, e anche assunti positivamente, il che implica l'accordare, o almeno facilitare, nella giustizia, le condizioni della sua realizzazione Qui appare la libertà come nell’orizzonte di quello che è richiesto dalla giustizia. E’ essa il ‘dato’ centrale e l’esigenza maggiore. Se è vero che l'uomo è un centro di libertà, la prima cosa che gli è dovuta in giustizia, è concedergli le condizioni di esercizio effettivo di questa sua libertà. Così, la libertà è il fine e la ragione dell'essere della tolleranza. In un certo senso tutto è sintetizzato qui
L. Zega:
I giorni che stiamo vivendo, e che sembrano il preludio ad un nuovo e maggiore olocausto, ci dicono che l'intolleranza è ancora la realtà predominante. Ma c'è qualcosa di più grave: in nome della tolleranza si giustificano maggiori espressioni d'intolleranza. La nostra è espressione del paradosso dell'intolleranza della tolleranza. I valori che furono alla base delle lotte e dei sacrifici di milioni di uomini durante le due grandi guerre, sono ora utilizzati come facciata per obbligare gli uomini a seguire determinati comportamenti. Coloro che lottarono per la libertà e l'uguaglianza, lottarono al tempo stesso per la giustizia e per un mondo più giusto in cui l'uguaglianza dei popoli, proclamata dalle rivoluzioni del mondo moderno, fosse garantita; paradossalmente in nome della libertà, la democrazia e la giustizia sociale oggi si limitano i diritti umani, si impedisce la libera determinazione dei popoli e si impongono ingiuste discriminazioni. Nei nostri giorni si sono creati centri di dominio totalitario che pretendono, in nome della democrazia e della giustizia sociale, di decidere qual e la democrazia adeguata ai popoli che la reclamano e che cosa è giusto nelle società da essi formate, così che abbiamo gli Stati Uniti come esempio di libertà e di democrazia nelle due grandi guerre: da allora si sono arrogati il diritto di guardiani, di poliziotti dell'ordine che si suppone esser proprio della libertà e della democrazia, decidendo, malgrado la volontà dei popoli, A governo ci, più conveniente per essi. A sua volta l'Unione Sovietica, in nome della giustizia sociale, impone il suo criterio di giustizia nell'area sotto la sua egemonia. E a loro volta, Stati Uniti e Unione Sovietica, si minacciano in nome della democrazia e della giustizia sociale Dicevamo che l'aspetto più grave dell’intolleranza dei nostri giorni risiede nel fatto che pretende originarsi dalla stessa tolleranza che sembrava aver trionfato nel mondo dopo lo spaventoso massacro. L'intolleranza della tolleranza: non più un paradosso, ma l'amara realtà. In nome di una possibile tolleranza si annulla il dialogo per dar luogo alle minacce. L'intolleranza si origina dalla supposta superiorità di una razza, di una società o di una cultura. Affronta gli uomini su cui deve imporre la propria razza, società e cultura. Però l'assurdo è che ora l'intolleranza si manifesta in nome ed in difesa della tolleranza. La tolleranza armata e poliziesca di chi decide il tollerabile e l'intollerabile. Si suppone che la tolleranza si origini nella ragione, nel logos inteso grecamente come ragione e come parola. Cioè come capacità per capire e farsi capire. La ragione, o logos, in questa doppia accezione è fonte di ogni tolleranza e la tolleranza è l'unica possibilità di convivenza. La tolleranza, la sofrosine o temperanza contro l’hibris, l'intemperanza a causa della quale l'uomo si rende simile alla bestia. Fin dal principio di questo mondo moderno, di cui non sappiamo se stiamo per vedere la fine, la filosofia ha fatto della ragione l'essenza dell'uomo. La ragione contro l'intolleranza da cui dolorosamente è sorto questo mondo nostro; l'insofferenza manifestandosi nelle brutali guerre di religione, in Europa, e nella espansione e conquista europea sul resto del mondo. Contro tale chiusura di mente, l'uomo rivendicò nuovamente il suo ruolo di ente di raziocinio. 'Il buon senso o ragione è, naturalmente, uguale in tutti gli uomini', diceva Cartesio, padre della filosofia moderna, affrontando l'intolleranza che divideva gli uomini del suo tempo. La ragione colei che uguaglia gli uomini e pone fine ad ogni discriminazione. La ragione, ancora una volta, limitando l'hibris, limita l'intolleranza La storia, però, ha seguito un altro cammino. L'intolleranza continuò a trionfare anche se ormai in nome della tolleranza, in nome della ragione stessa. Una ragione astratta che, proprio per essere astratta, uguaglia solo astrattamente gli uomini tra di loro La ragione trascendentale, che va al di là della vita concreta degli uomini che la fanno possibile, è per ciò intransigente, intollerante e severa con qualsiasi forma di deviazione da ciò che si suppone razionale. Gli uomini sono differenti tra di loro, su tali differenze si erige la ragione, per cui certi uomini si impongono ad altri uomini in nome della ragione stessa. Ed analogamente accade per quanto concerne i popoli e le civiltà. Com'è stato possibile fondare razionalmente questa nuova discriminaione, nuovo annullamento dell'uguaglianza sostenuta? E La chiave ce la fornisce lo stesso Cartesio: il buon senso o la ragione, ci diceva, è naturalmente uguale in tutti gli uomini: è per il buon senso o ragione che gli uomini si uguagliano tra di loro. Però aggiunge qualcosa su cui si fonderà una nuova discriminazione, e inevitabilmente si determineranno nuove forme d'intolleranza. Aggiunge infatti: 'Non basta, effettivamente, aver un buon ingegno; è fondamentale applicarlo bene. Ne consegue l'intolleranza di chi ben sa usare la ragione contro chi non sari usarla. Non tutti gli uomini sanno usare bene la ragione. Ed è nel saperla usare che certi uomini sono differenti dagli altri. I popoli formati da uomini che sanno fare buon uso della ragione si distinguono da quelli che non hanno imparato, né sanno usarla. Tutti gli uomini sono uomini per possedere la ragione, però si differenziano tra di loro per l'uso che ne fanno Gli altri, gli ottentotti, i pellirossa, gli indigeni di altre regioni della terra con il loro ritardo nella marcia verso la civilizzazione, con la loro barbarie, dimostrano la loro inferiorità rispetto agli uomini e ai popoli che hanno saputo usare la ragione originando la civiltà. Gli uomini non sono uguali tra loro malgrado Cartesio, la rivoluzione statunitense e quella francese. Gli uomini sono distinti tra loro naturalmente. diverso il recepire della ragione. La ragione è divisa equamente tra gli uomini, ma i suoi frutti dipendono direttamente dalla natura concreta di loro stessi Così, partendo dalla ragione, fonte di ogni tolleranza, si può affermare una nuova forma d'intolleranza. Non già l'intolleranza di chi crede e possiede la verità come fede, bensì quella dell'uomo che si fa possessore della verità grazie alle sue capacità di fare un buon uso della ragione. E se la fede innalza roghi, lo stesso fa il razionalismo autoritario che decide quello Che conviene o non conviene per uomini e popoli. La ragione non astratta, ma quella incarnata in un determinato individuo o popolo che fa delle sue peculiarità, del suo concreto modo di essere, del suo interesse, l'unica espressione di umanità e che conseguentemente agisce negando qualsiasi altra espressione di umanità che non sia la propria. Si rifiuta così l'Altro le sue peculiarità. E lo si fa partendo dalla propria originale peculiarità. Si fa della propria identità il metro per misurare le identità degli altri. Il fatto che gli altri abbiano delle peculiarità, come quello che li giudica, li fa non solo diversi, ma inferiori. Un'inferiorità, come direbbe Hegel, che potrà diminuire soltanto se giungono ad assomigliare a colui che li giudica, e se ciò non e possibile dovranno conformarsi ad essere eco ed ombra di una vita aliena. La ragione dunque, pur essendo uguale per tutti gli uomini, non li rende uguali. Cartesio stesso esclude questa possibilità riconoscendo come forma di disuguaglianza la diversa capacità di far uso della ragione. Ciò ci indica che non è nella ragione che deve ricercarsi la tanto anelata uguaglianza tra gli uomini, e che non è la ragione che porrà fine all'intolleranza. L'uguaglianza va cercata in qualcosa che tutti gli uomini possiedono prescindere dal buono o cattivo uso che si fa della ragione: nelle peculiarità e identità dei singoli. La tanto anelata uguaglianza va cercata, anche se questo sembra un nuovo paradosso, nella disuguaglianza. Ciò che rende gli uomini uguali è la loro differenza, l'essere diversi gli uni dagli altri: il possedere una determinata identità. L'uomo non è un'astrazione ma qualcosa di concreto Si può quindi affermare che tutti gli uomini sono uguali essendo distinti, non tanto divergi da poter essere considerati più uomini di altri, ma semplicemente uomini. Solo a partire da questo riconoscimento, si potrà accettare l'altro, la sua cultura, senza sminuire la propria. Ed è partendo da questa presa di coscienza che si avrà la possibilità di una relazione orizzontale di solidarietà, e non più una relazione verticale di dipendenza. La tolleranza, a sua volta, diverrà espressione di questa relazione di solidarietà contro l’intolleranza, che è propria di tutte le reazioni di dipendenza. Relazione con e tra uguali: uomini che si riconoscono tra di loro grazie alla loro peculiare concretezza, al di sopra di tutte le astrazioni discriminatorie.
A. Wiggins:
Desidero parlare a nome sia dei Miskitos che di tutti gli altri popoli indigeni d'America che non hanno avuto l'occasione di potersi rivolgere a voi tramite un loro rappresentante; l'occasione di parlare a voi giovani cristiani italiani. Ho capito che vi preoccupate dei diritti fondamentali di tutti i popoli del mondo, compresi i popoli indigeni, originari dell'America. Col permesso del fratello interprete, invece di leggere a testo che avevo già preparato, parlerò direttamente a questo grande pubblico, a questo popolo cristiano; parlerò così perché non mi piace leggere, mi piace parlare alla gente direttamente. Chi siamo noi indios? Siamo un popolo a nostro modo civilizzato, eredi della grande civiltà maya, della grande civiltà azteca, di tutte le civiltà indigene del Centro e del Sudamerica. Non guardatemi, per favore, come 'il povero indigeno'. Guardatemi come un essere umano, che capisce l'Europa, la Russia, gli Stati Uniti, e anche capisce le realtà del Centro e del Sud dell'America. In Bolivia e in Guatemala, per esempio, la maggioranza della popolazione è india, è indigena. Però questa maggioranza indigena è governata dalla minoranza di origine europea. Quando viaggio in Europa e in Africa sento molto parlare di tante maggioranze o minoranze oppresse; mai però del caso dei popoli indigeni d'America, ma per esempio del caso della Bolivia e del Guatemala. Non è soltanto in Sudafrica che una minoranza
bianca domina una maggioranza indigena; succede anche in Bolivia e in Guatemala. A volte in America gli indigeni sono oppressi anche in nome della rivoluzione e della democrazia, come ad esempio nel Nicaragua, dove il partito sandinista cerca di tenersi per sé una libertà, una pace e una giustizia sociale che sono non di un partito ma di tutto il popolo nicaraguese. Cinquantamila nicaraguensi sono morti per questo (nella guerra popolare che condusse alla caduta del regime somozista.A voi giovani che domani potrete essere chiamati ad essere presidenti primi ministri dell'Italia, ministri degli Esteri, vescovi, o anche padri missíonari nell'America del Centro e del Sud, m’interessa in modo particolare dire spiegare quale sia il nostro modo di concepire il mondo. Il non-indigeno giunge in America con un suo bagaglio d’idee, con una sua filosofia, con un'ideologia che, essendo proprie dell'Europa, non si conciliano, non si comunicano spontaneamente con quelle che sono proprie degli indigeni, di coloro che già vivevano in America quando vi giunsero gli europei. Ora è importante che troviamo invece il modo di comunicare, di capirci e quindi di mettere in comune i nostri rispettivi bagagli culturali. Questo è il grande problema da risolvere, ed anche - finché resta irrisolto - questa è la fonte di tanti disastri. Né la filosofia colonialista, né quella capitalista, né il marxismo-leninismo ortodosso, né lo stalinismo, né il maoismo di 'Sendero luminoso' nel Perù, né il trotzkismo appartengono all'America: sono tutte cose venute dall'Europa. E tutti coloro che, facendo riferimento a una di queste filosofie, giungono al potere, con gli indigeni si comportano nello stesso modo:0k non cercano di capirli, e nemmeno di trattare politicamente con loro. Hanno in mente una cosa sola: imporre agli indigeni il loro progetto politico, la loro cultura. In che modo? Con la forza militare, con la violenza. Ci si vuole imporre all'indigeno, lo si vuol intimidire, gli si vuole imporre la propria cultura perché si pensa che la cultura indigena sia arretrata, stupida, primitiva. Per noi invece tutte le culture sono ricche, in tutte le loro manifestazioni. Non c'è nessuna cultura, né l'italiana né la miskita, che sia meglio di un'altra. Colombo nel 1492 scopre l'America. Ebbene adesso io scopro l'Italia, sto scoprendo voi. E mi pare che le nostre due culture siano entrambe molto ricche, la vostra e la mia. Questo grande popolo italiano dispone di propri rappresentanti all'ONU; noi invece non ne abbiamo. Voi potreste dunque prendere un foglio di carta e scrivere ai vostri rappresentanti all’ONU, chiedendo loro di farsi carico anche della nostra situazione, della situazione di oppressione nella quale - come ora avete sentito - ci troviamo. Vorrei ora soffermarmi sulla grande domanda che si è posto questo Meeting: è possibile la tolleranza? In questo momento in America credo che non sia ancora possibile, ma lo diventerà quando tutti i popoli europei ed americani si renderanno conto e comprenderanno i sentimenti del popolo indigeno americano Noi non siamo meno americani degli altri. Io sono americano al 100%, sono più americano di Reagan! E non voglio essere un americano di seconda categoria Abbiamo bisogno che si sollecitino le Nazioni Unite, le delegazioni dei paesi rappresentati all’ONU ad approvare una legge internazionale di tutela delle popolazioni indigene: una legge in forza della quale i popoli indigeni siano riconosciuti in tutto il mondo come comunità che hanno diritto all'autodeterminazione in quanto popolo. So che in Italia c'è un partito democristiano. Nel Guatemala si spera che un partito simile al vostro partito democristiano possa giungere al potere nel 1985. Spero che tutti voi, e specialmente quelli di voi che sono membri del governo italiano, insistano presso i loro colleghi democristiani del Guatemala che non dimentichino che nel Guatemala gli indigeni sono la maggioranza della popolazione, e che ai problemi di questa maggioranza bisogna dare una risposta politica e non militare. L lungo questa strada che la tolleranza può diventare possibile in America.
JOS.~ MIGUEL ORIOL:
" Un atteggiamento autenticamente umano nei confronti della verità implica sempre la coscienza di una non-coincidenza rispetto ad essa: a nostro essere non coincide con il centro dell'Essere, il nostro essere tuttalpiù gira nell'orbita dell'Essere. Mai irradia luce, tuttalpiù la riflette. E’ proprio in questo riflettere – contemplando - sta il nostro compito Al contrario, il dogmatismo è la posizione di chi considera il suo rapporto con la verità come un rapporto di proprietà e possesso quindi come qualcosa che può maneggiare a suo piacere, che può brandire contro chi è distante ed estraneo a questa verità, con la quale naturalmente egli pensa di coincidere. Quest'atteggiamento denota, sprigiona, generalmente intolleranza. Ed è logico. t su questo che si basa A dogmatismo inteso come atteggiamento umano irrispettoso del dogma (poiché non si sente posseduto dal dogma, ma pretende di possederlo), anche se formalmente (esteriormente) sembra che lo affermi Contro il dogmatismo è stata costruita - in un parallelo di menzogna e nel ideologizzazione - l'ideologia del 'tollerantismo' che si presenta come l'unico modo per combattere il dogmatismo, che identifica, naturalmente, con l'affermazione di qualsiasi dogma, qualunque sia il modo di affermarlo. Infatti il tollerantismo (che sembra il portabandiera della tolleranza) è una delle espressioni e degli aspetti fondamentali della società della nostra epoca, del sapere legato ad essa e su cui essa si basa e del processo stesso attraverso cui questo sapere si costituisce, come quello delle pratiche culturali, sociali e politiche considerate legittime in detta società. Per il tollerantismo la verità non precede il sapere umano; poiché questo sapere storicamente procede in modo accumulativo, la verità, in fondo, non esiste; e in ogni caso, se esistesse, non sarebbe altro che un'asse di significato, qualcosa di asintotico, cioè qualcosa verso cui si tende senza mai raggiungerlo e che realmente perciò non esiste da nessuna parte, e risulta utopico. L'importante è cogliere l'intolleranza implicita, costantemente e sistematicamente, negli atteggiamenti dei membri del cosiddetto 'partito tollerantista'. Parallelamente a quanto dicevamo prima riguardo a coloro che si sentono possessori o proprietari della verità, i tollerantistico proprietari della tolleranza negano ogni diritto di cittadinanza a coloro che vogliono comportarsi secondo i propri valori che sanno essere differenti da quelli di molti altri e forse da quelli della maggioranza dei loro concittadini e desiderano vedere protetti legalmente questi loro modi di comportamento, nel momento stesso in cui affermano A diritto di tutti gli altri a comportarsi in accordo ai loro valori e anche a difendere legalmente i loro modi di vivere. In nome del principio: 'nessuno può imporre i propri criteri', il tollerantismo porta ad una filosofia secondo cui esiste solamente un generico soggetto statistico detentore del diritto: il cittadino astratto, senza volto e senza anima. Tutto ciò che fa parte del mondo dei valori viene relegato in un ambito interiore e ridotto a un 'diritto di coscienza' che non può manifestarsi nell'ambito pubblico. Tendenzialmente questa posizione porta a considerare regolarmente solo la vita economica e la dimensione istituzionale (cioè) politica ad essa legata. Interessa solo l'uomo che produce, consuma, paga le tasse e vota. Le espressioni tipiche del tollerantismo - che ci rivelano la sua veraismo, tutti natura ideologica - sono lo scientismo, il moralismo e A naturafl ideologie che fanno parte anche del contesto dominante, di atteggiamenti e moda ai nostri giorni. Tenterò di svelare l'intolleranza che sottintendono. Scientismo significa ridurre tutto il campo logico alla matematica-sia in senso stretto che per esteso-relegando nelle tenebre dell" irrazionale' tutta quella parte della realtà che non può essere colta dai processi matematici diretti o derivati. Si vede così la sua relazione col tollerantismo. Diproblemi non verificabíli scientificamente-diranno questi tollerantistinon vogliamo saperne nulla. Che ognuno pensi quello che vuole e se la veda lui con i suoi fantasmi e le sue pazzie. Ma-attenzione-nessuna ingerenza extrascientifica nel nostro campo: tutto quello -che vi penetra adducendo argomenti filosofici, di valori, religione, ecc... trasgredisce, in questo caso, si, la legge, legge che in molti campi ancora non ha preso lo statuto di diritto positivo, ma è già come se l'avesse.E ora il moralismo. Esso consiste nel ridurre l'etica al puro rispetto della legge. Della legge esterna, chiaramente, perché la legge è sempre, in qualche modo, esterna. Tu puoi pensare e sentire come vuoi. Puoi appartenere all'etnia, alla cultura, alla Chiesa che vuoi. In ogni caso l'importante è che rispetti le leggi. Il tuo 'ethos', la tua dimora, il tessuto dei tuoi rapporti, la ragione del tuo camminare, della tua compagnia, non ci interessa minimamente. Riguardo a ciò (su tutto ciò), siamo assolutamente tolleranti; tu però, per ciò che riguarda la convivenza sociale, rispetta la legge. Questo discorso finisce inevitabilmente con l'attacco del tollerantismo a ciò che chiama la morale oscurantista, chiusa e non valida universalmente, di ogni comunità particolare e concreta, sia questa religiosa, etnica o sociopolitica.Al terzo e ultimo punto abbiamo 9 naturalismo. Ultimo ma non meno importante. Già si è fatto allusione a ciò in alcuni interventi di questa settimana, come ad esempio quello di Alliende sul ritorno di forme pagane nella festa di origine cristiana, o il passaggio da un'antropologia che consi Sabato, l' settembre dera l'uomo come immagine di Dio ad una che vede le divinità come esaltazíoni umane o immagini cosmiche. Il naturalismo significa, ridurre lacapacità di percezione della bellezza al puro aspetto corporale, fisico,materiale, così come la natura ce lo presenta. Perciò impedisce di vedere e cogliere la bellezza morale-il bene-e la bellezza logica-la verità-. Non
considera il valore del lavoro umano-l'architettura, le arti che in funzione della loro comodità per il corpo. Non capisce A dramma né la musicasinfonica. Misconosce le forme dello spirito. Non è interessato alla percezione delle forme attraverso le quali il mistero si manifesta Quando la Chiesa ha incontrato popoli con culture e cosmovisioni religiose differenti, certamente in alcuni momenti ha provocato uno scontro. Questa è la limitatezza umana dei suoi membri. Noi. Di certo, però, non ha cessato mai di provare l'esperienza dell'incontro.La Chiesa ha sempre espresso un atteggiamento di ricerca e di amore e profondo rispetto verso ogni popolo che incontrava così da destare in esso una risposta disponibile e aperta al suo annuncio del Dio fatto uomo. E in questo consiste il genio del Cristianesimo, la forza del Ministero che la Chiesa porta in sé. All'intolleranza di chi brandiva la croce come spada,nella presuntuosa convinzione di possedere la verità, si è contrapposta sempre nella storia della Chiesa la tolleranza di chi, contemplando lo splendore del Vero, ringraziando per la fede e mendicando giorno per giorno la sua crescita e il progressivo vigore, ha annunciato con coraggio l'evangelo e quindi ha proposto il cammino cristiano della liberazione umana. Il primo atteggiamento, l'intolleranza, ha seminato dolore e morte,ultima gioia e vita. Ed il progresso umano di ogni civiltà nella storia,quest nella misura in cui esiste, come progresso, è prodotto da quest'ultima, non dalla prima 3Roberto Formigoni, conduttore della tavola rotonda, nel salutare e ringraziare i partecipanti al momento di parola con cui il Meeting '84 si conclude, coglie l'occasione per tracciare un bilancio del Meeting stesso
.ROBERTO FORMIGONI:
"( ... Abbiamo scelto A tema delle Americhe perché le Americhe ci sono sembrate uno scenario privilegiato attraverso cui guardare ai problemi centrali della convivenza tra gli uomini e i popoli. Abbiamo scelto le Americhe per tornare a interrogarci sul senso dell'esistenza dell'uomo e sul dramma della vita dell'uomo. Abbiamo quindi rifiutato l'approccio mitico all'America, l'America come mito inevitabile della pienezza della libertà jdell'uomo, o all'opposto l'America come antimito, l'America come fonte di tutti i mali, e ci siamo invece avvicinati a questi continenti proprio conquell'atteggiamento di apertura, di simpatia, di simpatia critica, perché l'apertura all'umano non toglie, ma anzi rafforza l'atteggiamento e l'uso della ragione per cui quando amiamo l'altro, il diverso da noi, nello stesso tempo sappiamo essere profondamente razionali e profondamente critici nel giudicare quanto c'è di buono e quanto c'è di vero e nel saper distinguere ciò che è vero da ciò che non è vero.Quindi ci siamo avvicinati con questo atteggiamento di simpatia critica, abbiamo innanzitutto incontrato l'America che è stata ed. è simbolo della terra promessa, vale a dire abbiamo studiato, abbiamo voluto conoscere l'America nata da quel desiderio degli uomini, dei primi che vi andarono per edificare una società giusta in cui gli uomini potessero vivere in pace, liberi dai condizionamenti del Vecchio Mondo. E ci siamo accorti che questo atteggiamento profondamente giusto e nobile, di voler costruire una società libera e democratica, molto spesso finiva col tradursi nel suo opposto. La terra promessa, la terra desiderata, della libertà e della tolleranza, nella realtà, quando si traduceva in istituzione, in realizzazione concreta, quando l'ideale della terra promessa diventava modo di produzione, struttura sociale, modo di convivenza tra gli uomini, molto spesso sirivelava essere meno di ciò che l'uomo si aspettava da essa. Nel Nord dell'America il progetto puritano della libertà e della pace si è rivelato incapace- di incontrare l'umanità degli indigeni e ha finito spesso col distruggere le civiltà indigene che ha incontrato. Nel Sud del Continente il magnifico progetto di Carlo v per una famiglia di popoli che convivessero nell'eguaglianza e nella libertà è subito crollato sotto il peso della cupidigia della brama di potere dei conquistatori. Credo che tutti noi che abbiamo vissuto questi giorni, abbiamo la profonda convinzione che il momento centrale dal punto di vista della razionalità della comprensione, di ciò che questo Meeting ci ha detto, il momento centrale di questi giorni, è stato l'incontro e la parola che ci harivolto il teologo Urs von Balthasar. Attraverso le sue parole ci è stato manifestato come la concezione autentica di terra promessa, l'idea di terra promessa che non tradisce, che non si rivolta nel suo contrario, è la concezione di terra promessa contenuta appunto nell'Antico Testamento e poi nel Vangelo.La vera terra promessa non sta al di fuori dell'uomo; la terra promessa che non tradisce sta all'interno del cuore dell'uomo dopo che l'uomo si è riconciliato con Dio per l'azione stessa di Dio. Ci siamo accorti che era profondamente giusto e profondamente vero l'atteggiamento di Cristoforo olombo e dei compagni e dei tanti che sono venuti dopo Crístoforo Colombo: questo atteggiamento, questa voglia di uscir fuori da sé, diSabato, P settembre E andare alla scoperta del nuovo, perché l'uomo è vero soltanto nella misurain cui si trascende costantemente, in cui sa andare al di là del proprio limite e di se stesso. Ma nello stesso momento ci siamo accorti che questo uscir fuori da sé dell'uomo è il passaggio fondamentale perché poi l'uomo rientri PI 1,,in sé e riscopra dentro di sé la verità della propria vita e la sorgente della verità sull'uomo. E ci siamo accorti che questo scoprire la verità della
propria vita dentro di sé è possibile soltanto per un intervento di Grazia di un Dio che sceglie di farsi uomo e di aiutare l'uomo a scoprire la propria verità. In altri termini, la terra promessa autentica, di cui von Balthasar ci ha parlato e di cui è possibile. fare esperienza, la terra promessa autentica non è un orizzonte lontano verso il quale l'uomo cammina; piuttosto la terra promessa coincide con l'orizzonte che si fa esso stesso incontro all'uomo, e si fa incontrare dall'uomo.Il compito che abbiamo dunque, il compito che ci è affidata, non è quello di trovare una terra promessa immaginaria, ma è quello di trasfigurare, di cambiare il volto a questa terra, a questa unica terra su cui noi abitiamo e viviamo. Il supremo realismo sta in questo: che ci è affidato una terra un popolo, ci sono affidate delle città, degli uomini, una vita; ed è R dentro questa vita che dobbiamo sapere operare la trasfigurazione, il rinnovamento. Il rinnovamento della vita della società non dipende dalla conquista del potere, dipende dal lavoro paziente di chi ha nel proprio cuore il dono di quell'annuncío di cui parlavamo prima. Ciò che crea civiltà, ciò che crea fatti nuovi di vita per l'uomo è la concezione della vita come dono. t questo il messaggio grande del Meeting di sempre, è questo il messaggio grande del Meeting di quest'anno. La concezione della vita e del rapporto con gli altri come gratuità, come dono che anche oggi ci è a 1stato testimoniato quando ci è stato detto che la tolleranza non è indifferen- za rispetto all'altro ma è passione profonda per il destino dell'altro e 1i1ì1~dísp,onibúità a lasciarsi arricchire del contributo dell'altro.E con queste convinzioni che noi possiamo guardare ancora una voltacon profonda apertura e con profonda simpatia a tutto il mondo e a tutto l'uomo nonostante le contraddizioni, le ingiustizie che noi vediamo ovunque. Nonostante questo, il Meeting si conclude con uno sguardo di profonda apertura e di profonda simpatia perché sappiamo che la condizione di contraddizione e di errori in cui la vita dell'uomo si sta svolgendo non definisce l'uomo, non è la parola definitiva sulla storia dell'uomo. Ecco perché siamo disponibili ad impegnarci a lavorare perché questa contraddizione sia vinta e sia superata. Il nostro non è l'ottimismo un po' ottuso deglisciocchi o l'ottimismo patetíco-moralistíco di chi punta sulla volontà; non èné l'ottimismo degli sciocchi né l'ottimismo della volontà dell'uomo. Il nostro è l'ottimismo che nasce dalla speranza, dalla certezza che è capitato un fatto che ha già salvato l'uomo, e che la salvezza, la liberazione dell'uorno è già accaduta: è una persona e questa persona è possibile incontrarla, e Il libro del Meeting '84 questa persona vive e continua a vivere m qualche modo anche nella compagnia degli uomini che noi siamo, nelle persone che noi siamo.i e aiutiamo tutti ad incontrare e reincontrareAiutiamo noi stessi, alutiamoc fatto, a vivere questa speranza e questa certezza.sempre questo