Mercoledì 27 Agosto, ore 17

C’E’ NOTIZIA SENZA ESPERIENZA?

Partecipano:

Pablo Antonio Cuadra,

poeta, direttore del quotidiano "La Prensa" di Managua in Nicaragua.

Tadeusz Styczen,

docente di Etica Filosofica presso l'Università Cattolica di Lublino e presso l'Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia "Giovanni Paolo II" all'Università Lateranense di Roma; Membro della International Academy of Philosophy con sede in Liechtenstein.

Desunto da una famosa frase di Walter Benjamin, il titolo della tavola rotonda conclusiva vuole riassumere ed approfondire il tema generale della comunicazione proposto quest'anno dal Meeting. Non esiste possibilità di comunicare se non a partire da un'esperienza. La vita genera il bisogno di comunicare se stessa: solo un uomo vivo, attento e consapevole, è capace di incontrare ciò che accade, gli avvenimenti che si verificano nella storia, di accoglierli nella propria interiorità e quindi comunicarli agli altri. Si tratta di una capacità di incontro umano dove l'informazione, il dare notizia di qualcosa, non ha funzione di conferma di un sistema ideologico, di un potere, ma si configura piuttosto come la scelta di una posizione etica che accetta di confrontarsi con ciò che accade e di lasciarsi cambiare dagli avvenimenti: il fatto non è mai neutro. E l'avvenimento è dunque un uomo che si presenta: contenuto dell'informazione deve essere l'incontro con la verità di quest'uomo. A colloquio il filosofo polacco Tadeusz Styczen e il poeta nicaraguense Pablo Antonio Cuadra, direttore del quotidiano "La Prensa" di Managua, recentemente chiuso per la sua opposizione al regime sandinista. Dopo un breve saluto del Ministro delle Telecomunicazioni e delle Poste, On. Antonio Gava, l'On. Vincenzo La Russa consegna a Pablo Antonio Cuadra il primo premio "Rimini" di giornalismo come testimonianza - sono le parole di Roberto Formigoni che presiede l'incontro - "della gratitudine che portiamo a Cuadra per la sua presenza tra di noi e per il lavoro fecondo da lui svolto in tutti questi anni".

A. Gava:

(…) Rispetto alla società del duemila, io penso che vi sia una maggiore possibilità di presenza per quelle forze che nel mondo si ispirano ad ideali. C'è uno spazio immenso, per la realizzazione di una coscienza planetaria. (…) Da questo vostro incontro possono discendere suggerimenti anche per chi ha il compito di dirigere in questo momento la politica delle Telecomunicazioni nel nostro paese. Sorgono i problemi del controllo delle fonti di informazione, la regolamentazione del sistema radio televisivo, quanto meno europea. Dobbiamo evitare i rischi di una colonizzazione culturale di un paese nei confronti degli altri. Se riusciamo a far questo, come ha detto nell'indirizzo a voi rivolto il Sommo Pontefice, la Chiesa nulla ha da temere dallo sviluppo dei Mass Media, anzi essa vuole che i suoi figli vi siano impegnati in prima fila, affinché ciò che è opera dell'uomo sia veramente al servizio della crescita integrale della persona. (…) Voi avete fatto una provocazione importante, avete racchiuso in tre parole "Tamburi bit messaggi" un problema di grandissima attualità nel nostro Paese (…). Diceva Eliot: "Non siate troppo curiosi del bene e del male, non cercate di contare le onde future del tempo, ma siate soddisfatti di avere luce abbastanza per trovare il giusto passo, per trovare un sostegno". (…)

V. La Russa:

Il premio "Rimini" istituito nell'ambito del "Meeting per l'amicizia fra i popoli", al fine di dare un pubblico riconoscimento agli operatori dei Mass Media che abbiano dato un contributo significativo, con la loro opera e i loro scritti, all'affermazione dei valori della pace, della libertà e della solidarietà tra le genti, viene assegnato alla sua prima edizione a Pablo Antonio Cuadra, direttore del quotidiano di Managua, "La Prensa", chiuso dalle autorità del governo del Nicaragua il 26 giugno 1986 perché non condivideva la politica del regime sandinista. Pablo Antonio Cuadra è poeta, autore di diverse raccolte di versi dove canta anche il dolore, ed i soprusi patiti dalla sua gente con serena religiosità cristiana. Professore universitario, già deputato al Parlamento di Managua, presidente dell'Accademia Nicaraguense della lingua, Cuadra, che ha conosciuto due volte il carcere durante la dittatura di Somoza, è la figura più importante della cultura nicaraguense contemporanea. Egli ha scelto di restare per sempre nella sua patria che soffre, nonostante le angherie del regime, come recita in una sua poesia breve che vi leggerò: "Lottai tutta la notte, guarda le mie mani fatte di sangue, lottai tutta la notte per uscire dalla terra. Ahi! Quando fui fuori, vidi sul muro l'effige del tiranno e ricordai che non ero libero".

P.A. Cuadra:

(…) Noi americani dobbiamo all’Italia la scoperta del nostro mondo e dell’ "altro mondo". Il sogno audace di Colombo che vince il mistero del mare. E la poesia sublime di Dante che fa un po' di luce nel mistero della morte. L'Italia ha occhi scopritori, occhi di aquila romana. Dante ci rivela l’ "altro mondo". E’ un viaggiatore intrepido perché va e ritorna dal mondo dal quale non si torna. E’ il cronista audace del mondo senza tempo. E’ il primo giornalista dell'eterno. L'occidente scopre l'Asia grazie ad un altro viaggiatore e cronista italiano. Il Milione di Marco Polo precede di due secoli e mezzo la scoperta dell'America compiuta da Cristoforo Colombo, anch'egli italiano; ma è l'impulso commerciale provocato dalle notizie su Marco Polo, che determina il fenomeno della navigazione in Europa, con Enrique il Navigante del Portogallo, il quale si lancia sul mistero dell'Africa, e dopo con Cristoforo Colombo, che dalla Spagna si dirige verso l'Asia di Marco Polo, per incontrarsi con l'insperato continente della speranza, già previsto dall'occhio di Dante Alighieri. L'occhio di un Veneziano e quello di un Genovese aprono all'Occidente - al risveglio dell'era moderna - le vie dell'esotico. Il viaggio di Marco Polo deve la sua forza promotrice al fatto che si tradusse in una cronistoria allucinante. E’ la notizia o la cronaca nel suo valore primordiale; la notizia che si manifesta nella sua carica dinamica, stimolante della civilizzazione. I giornalisti non hanno riconosciuto a Il Milione di Marco Polo il posto che gli spetta come precursore del grande giornalismo contemporaneo. Marco Polo rivela il mondo meraviglioso dei viaggiatori e dei cronisti. Sboccia un turismo reale ma anche immaginativo. Nasce un commercialismo audace, viaggiatore e gastronomico. E da una cronaca ne nasce un'altra. E si ritorna a leggere con immenso piacere i cronisti dell'antichità. Quasi contemporaneamente a Marco Polo, un altro italiano, Frate Giovanni Da Mont-Corbin, visita la Persia, l'India e la Cina. n altro italiano, anch'egli francescano - Odolico da Persenone - arriva fino a Pechino. Ma questi viaggiatori, come gli antichi (e come i giornalisti di oggi) non solo raccontano ciò che vedono ma anche ciò che viene detto loro. E a volte dicono di aver visto quello che hanno soltanto udito. E l'Europa si riempie di favole. Come dice Germàn Arciniegas: Quando Colombo dirige le sue caravelle verso l'Occidente, non va incontro all'ignoto. Si muove verso una realtà magica. Va incontro ad un'altra già occupata: a terre conquistate e popolate dalla favola. L'uomo medioevale, della cui società fa parte l'ammiraglio Cristoforo Colombo, crede più nell'immaginario che nel reale e tangibile. I giganti ed i pigmei della selva romanzata esistono per sapienti e ignoranti con la stessa certezza di quella gente con cui essi si ritrovano gomito a gomito al mercato, in piazza, in Chiesa .....

Nelle isole o nella terra ferma del nuovo mondo devono esistere ciclopi, mostri, uomini dalla faccia di cane, amazzoni auree, fonti della giovinezza, città d'oro e pietre preziose…Tutto quanto si era accumulato nelle cronache, nei viaggi immaginari trovava un possibile posto (in America tutto era possibile), ma la cosa più interessante è che gran parte dell'America reale si fece per la forza favolosa dell'America immaginata. Tutti i miti confluiscono in America: dalle Amazzonie di Erodoto al Paradiso terrestre che Dante vide nelle alture andine, sotto la luce della Croce del Sud, e Colombo alla foce dell'Orinoco. Questo contatto costante ma impossibile dell'americano con il mito dovette influire sul suo modo di essere. L'utopia ci circonda, ci tenta, ci spinge e ci fa perdere persino le nostre realtà.Siamo adesso un continente con una grande letteratura - con un grande potere favolistico - ma nello stesso tempo siamo un continente con una politica generalmente vergognosa che ha, tuttavia, alcune eccezioni miracolose. In politica siamo un rosario di utopie e delusioni. Ancora una speranza! Dante colloca il purgatorio - la montagna del purgatorio - in America. Se un viaggiatore medioevale avesse seguito i dati che Dante dà sul suo viaggio in Purgatorio, sarebbe arrivato in America prima di Colombo. Dante vede prima di Cristoforo Colombo, la nostra costellazione della Croce del Sud. Il purgatorio è il luogo dell'attesa o della speranza. L'America è stata definita il continente della speranza. Ma il problema è che continuiamo ad aspettare. Questa attesa è per noi come un supplizio. Siamo l'America o il purgatorio. Siamo l'utopia che non diventa realtà. In questo senso ci viene data dalla storia una lezione che dovrebbe toccarci di più, facendoci riflettere. E’ una lezione che ci viene data dallo stesso nome di America. Colombo scopre l'America ma la sua "imago mundi" è utopistica: i suoi occhi non vedono la realtà, bensì la favola che ha in testa. Crede di essere arrivato a Cipango. Quello che scopre non sono uomini di un nuovo continente, ma indios, uomini di un'India immaginaria, per la quale si continua a dare ancora il nome di indios ai nativi di America. Colombo è affascinato dalla favola. In compenso un altro italiano, il fiorentino Amerigo Vespucci, - un uomo di importanza secondaria nella storia delle scoperte - fa due cose molto realistiche: fissa la posizione reale del Nuovo Mondo nella Mappa ed al posto di Cipango o delle Indie scopre che l'America è un "nuovo continente". Per questo toccare con mano la realtà, per questo porre le cose al loro posto, il nuovo mondo non si chiama Colombia bensì America. L'America non dà il suo nome a chi resta a guardare le stelle e perde la realtà, ma a colui che usa le stelle per fissare e conquistare la realtà. L'America non rifiuta l'utopia ma condanna implacabilmente le Utopie che deprimono la realtà o che opprimono l'uomo. L'America, attraverso la sua storia, ha imparato a discernere che l'utopia può essere il frutto dell'orgoglio e della prepotenza o il frutto dell'amore. Vi è un'utopia che è il prodotto babelico dei cosiddetti "sogni della ragione" - che produce spesso dei mostri - e c'è un altra utopia che produce l'Amore in cerca della felicità dell'uomo. L'utopia del potere, da Platone a Carlo Marx, è l'utopia di un mondo vecchio che ha perso Dio. E’ l'utopia farisaica e ingannatrice che afferma che l'uomo è per il Sabato. L'utopia di un mondo nuovo è l'utopia cristiana che proclama con Cristo che il Sabato è per l'uomo. La storia del giornale "La Prensa" che io dirigo e che adesso è stato soppresso in Nicaragua, è la storia della lotta tra queste due utopie: quella del Potere e quella dell'Amore. In Nicaragua, ci lanciammo nella realizzazione di un'utopia per l'uomo. Ci lanciammo in una rivoluzione nuova che potesse realizzare gli aneliti di giustizia senza però perdere i diritti alla libertà, perchè la libertà è anche una conquista rivoluzionaria, perché la libertà è l'essenza dell'America. Ma uno dei gruppi che fecero con noi la rivoluzione, uno dei gruppi che occultano la propria ideologia e le proprie intenzioni, approfittando della forza delle armi, ha imposto regressivamente la vecchia idea dell'utopia del Potere: l'utopia del potere che sempre cerca di crescere a spese dell'uomo. Una bella rivoluzione è stata così sviata dalla sua concezione originaria e al posto del nostro sogno americano ci vogliono imporre, con una nuova dittatura, il fallito sogno di Marx. Non un'utopia dell'uomo e per l'uomo, ma un’utopia dello Stato e per lo Stato. Il nostro giornale ha lottato strenuamente perchè la nostra evoluzione non tradisse il suo destino americano. Volevamo e vogliamo che costituisca la risposta dell'America alla sfida della nostra storia. La risposta dell'Amore. Ma il Potere vuole copiare lo schema della Russia, vuole imporci l'imitazione contro la creazione: per questo ci tolgono la libertà. Animati da questo premio "Rimini", continueremo nella nostra battaglia pacifica. Sappiamo di lottare con lo spirito dell'America, Spirito umanista che non accetta la giustizia senza libertà, Spirito Cristiano che sa che l'amore è creatore. Mai l'odio.

T. Styczen:

Io vengo a voi con una notizia, non con una lezione sulla notizia o sulla comunicazione. Porto un messaggio dalla Polonia degli anni '80. L'importanza di questa notizia deriva dal fatto che essa vuole rendere possibile qualcosa che è contemporaneamente usuale ed eccezionale: l'intuizione e l'esperienza della verità più essenziale intorno al prossimo ed all'uomo in generale per mezzo dell'esperienza della verità di se stessi. Essa vuole, attraverso la scoperta di se stessi, aprire la strada all'incontro con qualunque altro uomo. L'importanza di questo messaggio consiste inoltre nel fatto che, per l'esperienza e la scoperta in esso contenute, è stato pagato - e continuamente viene pagato - un prezzo altissimo, quale l'uomo può pagare soltanto per salvare la verità sulla grandezza della sua stessa umanità. Davanti a questo mi tornano irresistibilmente alla memoria delle parole, di cui non vorrei abusare, ma che qui soprattutto non posso fare a meno di pronunciare: "Guai a me, se non evangelizzassi". Proprio per questo voglio comunicare un annuncio e non solo parlare della comunicazione. D'altro canto, è difficile per me non solidarizzare con la notizia che dice: "All'opera, cui seriamente ci accingiamo, Si addice una seria parola. Quando giuste parole lo accompagnano Allora più vivace scorre il lavoro".

Fr. von Schilier,

Canzone delle campane

La notizia, il messaggio, ha una sua verità (…) Come si può riabilitare l'informazione oggi svalutata o addirittura compromessa; quella informazione che così spesso serve alla disinformazione o alla manipolazione? (…)

Alcune parole sulla comunicazione

Non esiste comunicazione senza esperienza, perché senza esperienza non c'è testimonianza, e questa è il nocciolo della comunicazione. (…) E’ una testimonianza, per mezzo della quale il soggetto della comunicazione desidera rendere possibile al destinatario della comunicazione il fare un'esperienza personale della verità che gli viene comunicata e si costituisce in tal modo come suo testimone (…). Una tale testimonianza può però essere resa solo a ciò che si è sperimentato come valore autentico. Una tale testimonianza ha come suo fondamento il rapporto personale con il valore di ciò a cui si rende testimonianza. ed insieme la certezza personale della sua importanza per colui a cui si rende testimonianza. Ciò implica, d'altro canto, soprattutto la convinzione personale dell'importanza di colui al quale si rende testimonianza sulla verità incontrata. L'esperienza della dignità di colui al quale si comunica e l'esperienza del valore di ciò che gli si comunica sono le coordinate che esprimono il nocciolo della comunicazione e la grandezza in essa immanente. L'amore alla verità comunicata ed alla persona a cui tale verità viene comunicata è lo spirito di ogni comunicazione degna di questo nome. Al tempo stesso, si tratta di un tentativo di costituire un vincolo comunionale con l'altro per mezzo della verità che gli viene comunicata; un tentativo di uscire da se stessi per incontrarlo "in una fiduciosa apertura" (K.C.Norwid, Blizcy) unendo la relazione con la persona alla relazione con la verità. (…) Se oggi di fatto i soggetti della comunicazione la riducono a merce, il cui valore dipende unicamente dalla sua capacità di eccitare le sensazioni o di manipolare la debolezza umana, assai peggio per loro che per le vittime del loro modo di agire. E’ bene qui ricordare il monito del grande filosofo dell'Agorà di Atene, Socrate: "E’ cosa migliore patire ingiustizia che compierla". La situazione critica del mercato dei mezzi di comunicazione di massa non giustifica la rassegnazione ma invita piuttosto a lavorare per un cambiamento. Per questo bisogna partire non dal rifiuto di una positiva definizione della comunicazione, ma dalla riabilitazione del suo oggetto, dalla riabilitazione della comunicazione stessa. Se la comunicazione ha cessato di essere testimonianza, che possa al più presto tornare ad esserlo! Che essa torni ad essere degna di colui che comunica, e di colui al quale viene comunicata! Qui sta l'antidoto al male della mercificazione della comunicazione e della manipolazione del suo destinatario: cominciando dai mezzi di comunicazione di massa per arrivare fino a ciò che spesso anche sulle cattedre universitarie si contrabbanda come antropologia, sia ad Oriente che ad Occidente. La filosofia dell'uomo attende il ritorno di Socrate... Quando S.Francesco passava per le cittadine ed i villaggi della sua Umbria ed annunciava "L'amore non è amato", la gente pensava che fosse impazzito. E se fosse vero il contrario? E se fosse la gente a condurre una vita alienata e demente, e se questa vita fosse considerata l'unica normale, l'unica appropriata e confacente ad un uomo che vive e lascia vivere gli altri? S. Francesco agiva in modo da distruggere questa "santa pace" della gente, voleva svegliarli dal letargo di una apparente normalità, destarli e scuotere le loro pericolose illusioni. Essi erano folli ed egli era l'unico ad essere sano. Egli metteva nel proprio annuncio tutto se stesso: il proprio amore agli uomini ed alla verità. Egli testimoniava a colui con il quale comunicava, qualcosa di cui faceva egli stesso esperienza. Egli dava una prova evidente del proprio amore all'altro e del fatto che proprio in forza di questo amore gli annunciava una verità, difficile a diversi, ma che era anche l'unica ad essere degna di lui. Oggi, dopo molti secoli, dobbiamo - nei diversi ambienti ed in situazioni diverse - ripetere il medesimo esperimento, tornare ad una testimonianza cui sia immanente un'esperienza. Che la comunicazione sia di nuovo testimonianza! Che la parola sia un gesto, segno non mediato e non adulterato, della verità.

La comunicazione di Kowalsky '86

(…) Il 'Kowalsky' dell'anno '86, cioè l'uomo comune polacco di oggi, è forse più vecchio dei Kowalsky dell'anno 1944? Possono avere più o meno gli stessi anni: 20, 30, 40 o 50... Non c'è nemmeno differenza, almeno in linea di principio, per ciò che riguarda la libertà. Quello del 1944 era pronto a dare tutto "per la vostra libertà, e per la nostra". Sul cammino che porta "dalla terra italiana a quella polacca", nei giorni assolati del maggio 1944, solo sulle pendici di Monte Cassino rimasero più di 100 Kowalsky. Non so quanti altri riposino a Bologna, a Loreto o in altri posti. A molti altri invece riuscì di tornare in patria. E’ tuttavia più facile essere un eroe della libertà per cinque anni di guerra che per quaranta anni senza guerra. Che nessuno scagli la prima pietra contro Kowalsky se esita, quando nei quaranta anni di pace si sente dire: firma e sarai libero. Non ci si meravigli nemmeno di coloro che, con le mani tremanti, hanno firmato, che sono liberi e non riescono a dimenticare il prezzo di questa loro libertà. lo vorrei dirvi adesso proprio ciò che ha da dirvi quel Kowalsky, che non ha firmato, ed è rimasto là dove ancora adesso è. Perché non ho accettato la libertà che mi è stata proposta? Che significato ha questo tremito? Perché proprio alle mani? Immaginate di sedere in un confessionale, per giudicare... Questo implica una scoperta di sé. E’ una affascinante e sconvolgente lezione di antropologia e di etica. Tremendum et fascinosum mysterium hominis. Kowalsky disintegra un atomo del suo stesso "io", penetra nel profondo del suo proprio mistero. Kowalsky vede, in una sintesi abbagliante, che non può ignorare la verità, una volta che l'ha conosciuta e riconosciuta, senza ignorare, anzi, ancor di più, senza distruggere e cancellare se stesso in quel medesimo atto. Salvare se stesso significa salvare una ineguagliabile libertà che è più profonda e più importante di quella che i carcerieri offrono a Kowalsky in cambio della sua firma, con cui egli dovrebbe sottoscrivere la negazione della verità. Salvare la propria libertà, salvare la propria fedeltà alla verità incontrata e conosciuta e salvare se stessi: sono, questi, tre lati o aspetti di un unico atto umano! Kowalsky vede la indissolubile unità che li lega. Tale folgorante ed abbagliante scoperta non gli consente di avere alcun dubbio su questo: nella situazione che il Potere gli impone, si può essere veramente liberi solo se si accetta di rimanere nell'ingiusta prigionia. Kowalsky può accettare la liberazione solo se essa gli viene offerta senza condizioni. Oppure non può accettarla affatto. Meglio restare "in prigione, ma liberi". Chi ha detto questo? Non è importante chi lo abbia detto, perché è Kowalsky stesso a vederlo, a sperimentarlo. Sì, Kowalsky vede, Kowalsky fa esperienza. Bisogna trarre da questo la conseguenza che per imparare l'antropologia e l'etica, per imparare a "conoscere l'uomo", bisogna rivolgersi agli studi carcerari ed imparare da coloro che non frequentano né le chiese né le università ma piuttosto le prigioni? Risponderò: Platone non era prigioniero, ma avrebbe egli creato la sua Accademia se non fosse stato per l'esperienza dell'incontro con Socrate, che volle rimanere nel carcere mentre proprio lo stesso Platone gli proponeva di aprirgli - grazie alle sue amicizie influenti - la strada della libertà? E Cristo non volle forse essere prigioniero di Pilato per mostrare ai Pilato di tutti i tempi, che sfuggono da se stessi nell'illusione di un mondo "al di fuori della verità", la via della testimonianza, della verità sulla loro stessa umanità? "Ciò che non poté la parola, può il sangue" (Karol Wojtyla, Stanislaw) Forse anche oggi, per ritrovare noi stessi, è necessario che abbandoniamo le lusinghe ingannevoli dei Protagora del nostro tempo, che vogliono convincerci che siamo noi stessi i creatori della nostra verità, e seguiamo la traccia della riflessione e della decisione di Kowalsky, di questo soldato senza stellette, prigioniero volontario. Quella che egli comunica, è la più importante notizia sull'uomo. Quando faccio esperienza di una verità che accade sotto i miei occhi non posso rimanere neutrale. Il semplice atto con cui la conosco mi obbliga a riconoscerla come verità. Io prendo dimora in quella verità. Ad essa io mi lego. Da me stesso mi vincolo ad essa! Le appartengo ed assumo il ruolo di suo testimone. In questo consiste la mia autonomia! Io stesso determino le condizioni dell'adempimento giusto ed umano del mio dovere verso di essa, del mio "posso ma non sono costretto a farlo", le condizioni della realizzazione della mia libertà. La mia libertà consiste nel fatto che io stesso, con un atto di mia scelta, posso affermare o negare proprio quella verità che io stesso - nel mio atto di conoscenza - ho conosciuto e riconosciuto come verità. Io non posso però affermare me stesso se non affermo, con un atto di libera scelta, la verità che precedentemente ho riconosciuto nel mio atto di conoscenza. E’ vero anche il contrario: non posso essere infedele alla verità che ho riconosciuto senza essere infedele egualmente a me stesso. Non posso disprezzare con il mio atto di scelta la verità che ho conosciuto, nemmeno se essa fosse poco importante ed in apparenza futile, senza provocare una scissione in me stesso, che giunge nel profondo dell' "io". Guai a me se, dopo avere incontrato la verità e dopo averne fatto esperienza, non ne divento un fedele testimone fino in fondo, non la scelgo. Vae mihi! S. Paolo vede tutto questo fino in fondo e per questo ammonisce in modo così drammatico se stesso. La verità, anche se io la tradisco, rimane ciò che è: verità, e giudica il mio atto e me stesso che ne sono l'autore. Non è dunque la verità, bensì io stesso ad essere gravemente in pericolo, se mai la rinnego. L'atto del tradimento è un colpo mortale inflitto a me stesso, un suicidio. Solo la fedeltà alla verità mi può salvare. Solo la scelta della verità mi difende dall'autodistruzione. Solo la verità rende liberi… Kowalsky non ha alternative, se non vuole compiere un assurdo suicidio. Può essere libero e può rimanere se stesso - cioè può essere libero con una pienezza di libertà e mantenere la pienezza della sua identità - solo se resta nel carcere. Questa non è l'unica scoperta di Kowalsky. Essa ne contiene una seconda. Scoprendo il suo autentico "io" Kowalsky scopre la struttura di ogni altro "io" umano, cade nella trappola della verità sull'altro, su qualunque altro. (…) Pertanto ciò che assolutamente non mi è lecito fare al mio "io" non mi è lecito - per la medesima ragione - farlo a nessun altro "io" senza eccezioni. Riconoscendo l'altro per mezzo della struttura del suo stesso "io" mi accorgo che solo se affermo la sua dipendenza interiore e libera dalla verità che ha conosciuto ("dal centro"), sono in grado di corrispondere alle esigenze della verità su me stesso! Kowalsky deve accorgersi adesso di come sia difficile la via del ritorno a se stesso, della autentica affermazione di sé. Nel corso di questo cammino, egli deve incontrare ed affermare ogni altro uomo per se stesso. (…) Questa scoperta rivela poi ancora un'altra dimensione, profondamente ottimistica. (…) Anche l'altro, come me, cade nella trappola della verità su ogni altro "io", scoperta nel suo stesso "io". (…) Non sono in grado di ritrovare e di reincontrare me stesso se non ritrovo ed incontro nel cammino verso me stesso ogni altro uomo individualmente e tutti insieme comunitariamente. Sono "condannato" all'altro, a ciascuno degli altri: non posso compiere il mio destino e liberare me stesso se non attraverso l'affermazione di ogni altro uomo. Ed ogni altro è "condannato" a me. Non può realizzare e liberare se stesso se non affermando ogni altro, compreso me stesso. Tutti insieme e ciascuno individualmente siamo "condannati" ad una radicale solidarietà. La verità su di noi ci "condanna" a scegliere, la comunione nella verità, cioè ci condanna ad un radicale reciproco amore. Il prossimo mi è tanto vicino quanto lo sono io a me stesso. Ed io sono tanto vicino all'altro quanto egli lo è a se stesso. Se non sa questo, egli ignora la verità più importante su se stesso. Scelgo veramente per me stesso solo se in questa scelta affermo contemporaneamente qualunque altro uomo. Se in tale scelta afferma ogni altro uomo compreso me stesso. Proprio per questo gli altri sono prossimi nel senso più radicale della parola, e non rivali né nemici! Proprio per questo, solo nella reciproca comunione - che cresce nella comunicazione della verità - ritroviamo noi stessi ed incontriamo infine la liberazione. Comunione è liberazione! Non è possibile dirlo in modo più conciso e più profondo, sia come espressione della verità su di noi che come programma che cresce sulla base di questa verità. Kowalsky scopre e vede tutto questo nella sua cella... E se il suo vicino persevera sulla strada della violenza e della forza? Kowalsky, che ha scoperto la verità sulla grandezza dell'uomo, rinuncia una volta per tutte alla possibilità di far uso della violenza perfino contro coloro che la usano contro di lui. Gli rimane a disposizione l'arma di difesa più difficile da utilizzare e pure l'unica veramente efficace: tentativo di svegliare nel prossimo che si è fatto aggressore.... l'uomo, con la forza della testimonianza resa alla verità della grandezza dell'umano nell'uomo. Rifiutando la sua firma, Kowalsky salva la propria umanità ma al tempo stesso risveglia nel modo più efficace l'umano nel suo oppressore. Gli offre un segno di solidarietà nell'umano, non rompe il suo legame con lui ma anzi stringe con lui il vincolo più profondo che sia possibile in questa situazione. Il suo rifiuto è una testimonianza resa alla verità sull'uomo verità che è presente nell'oppresso come nell'oppressore. Proprio per questo, anche quando è solo davanti alla sua scelta nella cella del carcere, Kowalsky non è mai - e non si sente mai - "un'isola solitaria" Egli sa di costruire attraverso la propria scelta il legame della più profonda "unità con l'umanità intera" (John Donne), un legame con tutti e con ciascuno in particolare sul fondamento della solidarietà nell'umano. Questo vincolo raggiunge anche tutti coloro che vogliono opprimerlo con la forza - estorcendogli una firma menzognera - distogliendolo dall'unica strada che conduce l'uomo all'uomo: all'altro ed a se stesso, e sempre giungendo attraverso l'altro a se stesso. Kowalsky non può tradire nemmeno gli oppressori. Anche per essi egli è responsabile. Li tradirebbe se cedesse alle loro pressioni, se facesse ciò che essi desiderano. Sottomettersi sarebbe rinunciare ad un'occasione per creare un'inquietudine, ad una possibilità di risvegliare o... di convertire. "Non poté la parola, può invece la testimonianza…" Non fu il disprezzo per gli ateniesi, ma l'affetto per loro ad indurre Socrate a rispondere loro di "no". Non furono l'alterigia né l'ambizione, ma il rispetto e la benevolenza verso Enrico VIII, ad indurre Tommaso Moro a rispondere "no" al suo re. Forse Kowalsky non sa in quale buona compagnia si sia venuto a trovare. Ed anche se forse non gli passa nemmeno per la testa di scrivere lettere dal carcere, egli stesso è una lettera aperta a tutti i fratelli nell'umanità. E’ un rimprovero vivente, anche se non accusa nessuno. Ma guai a me se, avendo conosciuto Kowalsky, non vi annunciassi la notizia della sua carità e della sua testimonianza senza parola. Kowalsky riabilita la comunicazione riabilitando l'uomo. In sua compagnia si trova anche Colui che dovette sostenere la prova più dura sul senso della propria testimonianza, la prova della domanda di Pilato "Che cosa è la verità?"; Colui col quale provarono a trattare da una posizione di forza: "non sai dunque che è in mio potere il liberarti o il mandarti a morte?"; Colui, infine, del quale lo stesso Pilato - cedendo alla forza ed al fascino di una testimonianza disarmata - pronuncia l'immortale: Ecce homo.