Oltre l’ambientalismo e il consumismo.
La tutela ambientale come occasione di sviluppo
Mercoledì 25, ore 15
Incontro promosso in collaborazione con il Consorzio REPLASTIC
Relatori:
Roberto Formigoni
Ian Michael Adams
Salvatore Suriano
Ermete Realacci
Moderatore:
Dario Benetti
Benetti: L’impegno del mondo cattolico nei confronti della questione ambientale raccoglie l’invito dell’esortazione apostolica "Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato" del gennaio del 1991, esortazione ad una svolta culturale profonda per "fronteggiare il nuovo pericolo ambientale". La maggior parte della gente avvelena l’ambiente: nella vita quotidiana di ciascuno si privilegia, in modo quasi involontario, l’avere sull’essere. Questo non può non richiamarci alla necessità di una conversione della nostra quotidianità ad una prevalenza dell’essere sull’avere.
Roberto Formigoni, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Ambiente
Formigoni: Parto da una semplice osservazione. Oggi siamo abituati a parlare di piogge acide, di buco dell’ozono, di effetto serra, di inquinamento transfrontaliero, di effetto globale planetario, ma queste espressioni terminologiche sono entrate nell’uso corrente soltanto da poco tempo. Analogamente, se qualche anno fa ci fossimo chiesti quale era il motore dello sviluppo economico, avremmo risposto che è la crescita economica intesa come prodotto nazionale lordo, come somma delle merci e dei beni realizzati all’interno di ogni paese.
Ancora oggi la scienza economica è imperniata sul principio della domanda e dell’offerta, della produzione e del consumo. In un primo momento si riteneva che la produzione industriale fosse stata pensata o, meglio, giustificata dalla necessità di dare una risposta ai bisogni dell’uomo: occorreva creare, produrre, perché il bisogno alimentare, di salute, di abitazione, di lavoro potevano trovare una risposta attraverso la produzione di beni. In seguito c’è stata una seconda fase della produzione stessa che ha imposto la sua logica: non era più il bisogno dell’uomo a imporre la produzione, ma la produzione si giustificava di per se stessa. Invece che rispondere ai bisogni, creare i bisogni per poter dare risposta attraverso le merci.
Oggi siamo arrivati al massimo di sviluppo di questa logica e cominciamo già a superarla, perché ci rendiamo conto che occorre introdurre nella considerazione della ricchezza dell’uomo e della ricchezza delle nazioni un’altra variabile, una novità: materie prime ed energie non sono illimitate.
Questa constatazione ha messo in dubbio la stessa filosofia che da 400 anni governa la considerazione sull’attività dell’uomo ovvero il modello meccanicistico di Bacone, di Cartesio, Newton, che considerava il mondo soltanto dal punto di vista matematico. Per alcuni secoli, l’uomo è vissuto producendo e consumando allegramente nella convinzione che le risorse fossero illimitate. Questo è stato possibile per un periodo di tempo così lungo anche perché la ricchezza della produzione e del consumo riguardava solo un quinto della popolazione mondiale. Oggi c’è invece la consapevolezza che non si può continuare a perpetrare questa ingiustizia. Lo sviluppo non può e non deve più essere soltanto una crescita economica, non deve rispondere soltanto alla legge della domanda e dell’offerta, ma deve essere comprensivo anche delle quantità non illimitate o talvolta anche non rinnovabili di materie prime e di energia e dell’inquinamento ambientale. Il costo ambientale è dato appunto da queste due componenti, le risorse ambientali sottratte alla natura da una parte e i rifiuti derivanti dall’uso di queste risorse che ritornano all’ambiente in termini di inquinamento e di degrado.
Finora entrambe queste componenti non hanno avuto un valore economico: queste ricchezze sono state considerate come "res nullius", come proprietà di nessuno o, all’opposto, come beni comuni, che però non erano sotto la responsabilità di nessuno.
Fare una politica ecologica seria significa saper fare delle scelte che possono essere impopolari per l’elettore di oggi, ma che tengano conto dell’elettore di domani: inevitabilmente, fare politica ecologica significa chiedere a chi vota di esprimere il consenso per delle politiche che chiedono oggi qualche sacrificio, in vista del fatto di consegnare, alle generazioni che ci seguiranno, un mondo non totalmente degradato, non totalmente corrotto dal punto di vista ambientale. Ci sono gravi problemi che vediamo nella nostra vita quotidiana: basti pensare ai rifiuti solidi, che stanno sommergendo e soffocando le nostre città o inquinando chimicamente i nostri suoli, ai rifiuti liquidi, che rischiano di porre in pericolo le acque delle falde, dei fiumi, dei laghi, dei mari, rendendole sempre meno sfruttabili e adatte al mantenimento degli habitat naturali, o, infine, ai rifiuti gassosi che creano problemi ambientali ancora più drammatici, perché rischiano di portare conseguenze sullo stesso clima del nostro pianeta.
Da qui nasce l’esigenza di inventare una nuova politica economica, a supporto di un modello di sviluppo indicato nel linguaggio corrente come sviluppo sostenibile. Questa tematica dello sviluppo sostenibile, introdotta alla considerazione dell’opinione pubblica, attraverso il rapporto della commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite, vuole definire lo sviluppo che consenta all’attuale generazione di poter soddisfare le proprie esigenze, senza compromettere in termini di disponibilità di risorse, di energie e di qualità dell’ambiente, la vita per le generazioni future.
Quando parliamo quindi di sviluppo sostenibile, noi implichiamo una serie di principi: a) il principio dell’universalità, l’attenzione a tutte le generazioni e a tutte le latitudini; b) il principio dell’intersettorialità: la convizione che ambiente e sviluppo, non siano due settori separati o concorrenti, ma che devono essere integrati. c) l’internazionalità; le tematiche ambientali possono essere affrontate e risolte soltanto attraverso uno sforzo congiunto di tutti i governi del pianeta. Questo propone problemi politici gravissimi: ad esempio, quando i paesi sviluppati chiedono al Brasile o ai paesi africani di non procedere alla distruzione delle loro foreste, giustamente ci obbiettano che questo equivale a chiedere di non consumare alcune materie prime, quando noi occidentali le abbiamo allegramente consumate in questi secoli. L’interazione fra economia ed ecologia non è possibile senza una nuova coscienza, che va incoraggiata per sostenere e sviluppare alcune scelte. L’uomo deve riacquistare il suo rapporto con la natura e valutare questa ricchezza non solo in termini di quantità, ma anche di qualità. La riflessione di Giovanni Paolo II ha aiutato a togliere l’ecologismo da un certo fondamentalismo e nello stesso tempo ha messo in guardia contro il pericolo di distruggere risorse che sono state date all’uomo non perché le utilizzasse secondo il proprio arbitrio, ma secondo la crescita complessiva dell’umanità. Nella valutazione di uno sviluppo compatibile oggi c’è la necessità di chiedere all’umanità un ritorno a condizioni di vita preesistenti alla nostra e peggiori della nostra.
Dobbiamo realizzare un riequilibrio delle risorse, secondo criteri di solidarietà e di giusta distribuzione internazionale. L’ambientalismo serio è anche in grado di portare nuova occupazione: ad esempio, smaltire rifiuti in maniera intelligente e interessante, significa creare lavoro, creare tecnologia. Basti pensare soltanto alla costruzione ed alla gestione di discariche o di impianti di depurazione delle acque. Un altro settore in grado di creare occupazione ambientale è quello della prevenzione ambientale.
Le materie prime facili, il petrolio facile, le attività connesse con lo sviluppo non sostenibile, hanno spinto a guadagni rapidi e ad una crescita economica fasulla, che rischia di avere un effetto boomerang. Lo sviluppo sostenibile ha bisogno di risparmi, ma anche di una nuova coscienza, di alta e avanzata tecnonolgia, di gestione di sistemi di risorse umane, di educazione ambientale, di zone protette, di parchi naturali, di corsi specialistici, scolastici, universitari.
Benetti: Ascolteremo due esperienze concrete, di come, nella pratica, si può operare in modo corretto e equilibrato con l’ambiente.
Ian Michael Adams, Chimico, Direttore Scientifico del Bacino del Tamigi
Adams: Il Tamigi non è un fiume grande ma è il principale fiume del Paese; esso nasce nelle ‘Crossworth’, catena di collina calcare, e si snoda per circa 350 chilometri fino al limite di marea, poi per ulteriori 100 chilometri fino al mare.
Fino a poco tempo fa il suo bacino di raccolta al di sopra di Londra aveva un’estensione di circa 14.000 chilometri quadrati ed era un’area quasi completamente agricola. Quasi tutto il Tamigi è navigabile e prima dell’avvento delle ferrovie, rappresentava la principale via di transito per i commerci e per il trasporto di merci da Londra, verso l’interno del Paese. Lungo il fiume c’è un sistema di 43 chiuse e dighe di ritenuta, che facilitano la navigazione, anche nei periodi in cui il flusso è minore. La città di Londra si trova appena a valle del limite di marea.
A Londra, il Tamigi rappresentava la fonte di acqua potabile, nonché una delle vie di eliminazione delle acque di scolo e di altri prodotti di scarto. Prima del 1800, la rete fognaria londinese convogliava le acque di superfice verso il Tamigi, attraverso i suoi affluenti. Esistevano varie norme, che proibivano la discarica dei rifiuti sia domestici che industriali nella rete fognaria, che però venivano spesso ignorate.
Le abitazioni utilizzavano dei letamai, dei pozzi neri, privati e comunali, il cui contenuto veniva scaricato sui terreni agricoli circostanti. Verso il 1820, i servizi igienici erano divenuti comuni in tutta Londra, e i pozzi neri non avevano una capacità sufficiente. Cominciarono quindi ad essere scaricati nella rete di scolo delle acque superficiali. Gli affluenti del Tamigi divennero quindi delle fogne a cielo aperto ed il fiume finì per essere notevolmente inquinato.
Verso il 1840, rendendosi conto dei rischi ambientali che tutto questo comportava, i pozzi neri vennero eliminati e gli affluenti divennero un grande sistema fognario, che scaricava direttamente nel Tamigi. Le condizioni del fiume quindi, peggiorarono, al punto che il Parlamento stesso, che è sulla riva del Tamigi, si trovò avvolto dai miasmi che salivano dal fiume. Nel corso di questo periodo, il Tamigi a Londra continuò ad essere utilizzato come fonte di approvvigionamento idrico, e questo condusse anche a due gravi epidemie di colera (nel 1831-32 e nel 1848-49). La soluzione a questo particolare problema venne ideata da Sir Joseph Pazalghet; consistette nella costruzione di una rete di vie fognarie, che correvano a nord ed a sud del fiume, parallelamente ad esso, convogliando le acque reflue verso punti più vicini al mare; si costruirono delle vasche di raccolta, per poter effettuare lo scarico delle acque reflue nelle fasi di riflusso della marea. La rete costruita era estremamente avanzata e parte di essa è infatti tuttora in uso. Inizialmente il contenuto delle vasche di raccolta veniva scaricato senza sottoporlo a nessun trattamento. Ma verso il 1890 si realizzò un impianto di depurazione primario, che permise di ridurre notevolmente il grado di contaminazione delle acque reflue. Quest’opera di ingegneria civile permise quindi di risolvere il problema della qualità dell’acqua del Tamigi, che aveva interessato l’intera città nell’800.
Con l’aumento della popolazione, nel secolo seguente, si ripose il problema dello scarico delle acque reflue. Si progettò quindi un secondo impianto di depurazione, che cominciò negli anni trenta, e venne completato nel 1975. Negli anni 20 e 30, sempre per via dell’aumento della popolazione, venne creata una nuova rete fognaria, collegata ad un moderno impianto di depurazione a Modney che divenne operativo nel 1935.
Negli anni 50 venne formata una Commissione di Inchiesta, per definire le operazioni necessarie al ripristino alla qualità idrica del letto di marea del Tamigi: i modelli di intervento progettati erano talmente validi da essere tuttora in uso, anche se in una forma parzialmente riadattata. La rete fognaria progettata da Sir Pazalghet implicava un problema legato al sovraccarico di acqua piovana, apparso ormai chiaro dopo il trattamento della risorsa idrica del Tamigi. I temporali intensi nella zona di Londra possono infatti portare un forte afflusso di rifiuti e di detriti, verso il letto di marea, dove rimangono diverse settimane, muovendosi in su e in giù, insieme al mare. La riduzione nel tenore di ossigeno, che questo comporta, aveva ridotto l’idrofauna del fiume. Il problema è stato risolto nell’88, con l’introduzione di un ossigenatore estremamente maneggevole, che può essere mantenuto nella zona a maggior ipoossigenazione durante tutto il ciclo di marea. Questo ossigenatore è stato impiegato già 22 volte, ed ha prevenuto i possibili danni ambientali derivanti dagli intensi temporali. Una delle conseguenze è stata il ritorno del salmone nelle acque del Tamigi, dopo un secolo e mezzo di assenza, e la presenza di oltre cento varietà di pesci in aree precedentemente prive. Nel contempo si è anche verificato un notevole miglioramento del litorale alla foce del fiume.
Attualmente il Tamigi è uno dei corsi d’acqua più sfruttati del Regno Unito e forse anche dell’Europa intera.
Salvatore Suriano, Vice presidente del Consorzio REPLASTIC
Suriano: Cercherò di illustrarvi una esperienza italiana recente, voluta da una legge emanata dal Governo nel 1988: "Il Consorzio di riciclaggio della plastica". La legge ha obbligato una determinata categoria di soggetti a consorziarsi per risolvere un problema di natura ambientale; fino ad allora la problematica che riguardava la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti era demandata unicamente alle aziende municipalizzate. Ma i Comuni non avevano la capacità, la forza ed anche le possibilità tecniche ed economiche, per affrontare il problema del riciclaggio dei materiali.
Il riciclaggio dei materiali è iniziato dall’esperienza del vetro; riciclaggio significa prendere i materiali, lavorarli e trovare i mercati per poter considerare chiuso il ciclo del riciclaggio di questi materiali. Il riciclaggio del materiale avviene attraverso sei impianti; i metodi di riciclaggio sono essenzialmente tre: uno prevede una separazione dei vari tipi di plastica ed una loro successiva lavorazione per essere poi riavviati a produrre gli stessi soggetti che originariamente erano stati al consumo: un altro non separa i materiali e fa prodotti per arredo urbano, per materiale da giardino; il terzo metodo, infine, consiste nell’avviare il materiale a termodistruzione, con recupero energetico.
Un compito fondamentale e obbligatorio che la legge affida al Consorzio è fare comunicazione ovvero chiedere ai cittadini il sacrificio della raccolta differenziata, che presto sarà presente sul territorio nazionale.
A distanza di due anni e mezzo dalla nascita di Replastic, circa otto milioni di cittadini partecipano alla raccolta differenziata di contenitori in plastica. Insieme agli altri due consorzi obbligatori (del vetro e dell’alluminio) dovremo trovare, in accordo con le Aziende Municipalizzate, forme di raccolta differenziata, che garantiscano l’ottimizzazione della raccolta.
Ermete Realacci, Presidente della Lega Ambiente
Realacci: Vorrei iniziare con una battuta critica sul titolo del dibattito. Oltre l’ambientalismo e il consumo, significherebbe dire che l’ambientalismo ha vinto; ma purtruppo non è questa la situazione. Anzi, l’ambientalismo e l’ambiente in generale, sono a parole considerati rilevanti da tutti, ma nella pratica i comportamenti, le azioni, sono di segno sostanzialmente differente. Cosa è necessario dunque fare per cambiare strada, non tanto per andare contro l’ambientalismo, ma piuttosto per realizzare alcune intuizioni dell’ambientalismo? Sicuramente, è necessario agire almeno su due terreni, entrambi ricordati da Formigoni. Anzitutto, quello della responsabilità individuale, degli atti, dei comportamenti concreti, la modifica delle culture. Si tratta di un lavoro importante, lento, perché le modifiche culturali hanno tempi molto lunghi e seguono anche percorsi strani.
Il secondo terreno è quello delle scelte politiche di oggi, dalle scelte economiche. Non so fino a che punto le ragioni dell’economia e quelle dell’ecologia possano andare d’accordo, in futuro e per sempre; sicuramente, questo accordo talora si realizza. Il sistema tedesco sta utilizzando lo stimolo dei sistemi ambientali, per rinnovare l’apparato produttivo e per acquisire competitività sui terreni internazionali.
Ad esempio, la Germania esporta circa duemila miliardi di prodotti all’anno, e il livello delle esportazioni nel settore del risparmio energetico è cresciuto il quadruplo rispetto alle esportazioni negli altri settori manifatturieri. In Italia talvolta anche le leggi buone non sono state applicate ed hanno prodotto degli effetti negativi. Per esempio i principi del DPR 815 dell’82, la prima legislazione dei rifiuti nel nostro Paese, erano ottimi: ridurre la quantità dei rifiuti, riciclare, riutilizzare, smaltire correttamente... Tuttavia poco di questo è stato fatto.
Sono d’accordo con Formigoni sulla necessità di conciliare, in questo difficile periodo di crisi economica le ragioni dell’occupazione con quelle dell’ambiente. Occorre creare posti di lavoro che siano volti a favorire i rapporti industriali che danno competitività al sistema industriale italiano.
L’Italia ha perso molti treni su questo terreno, basta pensare al fatto che la Fiat è arrivata con molto ritardo ad installare le marmitte catalitiche ed ha perso delle quote sul mercato europeo. Qualcosa di analogo sta avvenendo adesso nel campo dei frigoriferi: le industrie italiane hanno molto ritardo nella produzione di frigoriferi senza CFC, gas che producono effetti serra. Se la politica governativa selezionasse, favorisse le industrie che scommettono sul futuro, su prodotti puliti, ci sarebbero dei grandi vantaggi anche dal punto di vista della competitività del nostro sistema.
Un problema italiano rispetto alle scelte economiche è legato alle opere pubbliche. L’Italia ha speso in opere pubbliche più di tutti gli altri Paesi europei: questo settore è padre di tutte le tangenti. Lo stesso vale per il settore dell’edilizia: il consumo di cemento degli italiani è enorme e spesso alimenta l’edilizia abusiva. Non si può puntare, come spesso si legge sui giornali, su questo settore per risollevare l’economia italiana. Occorre invece riqualificare le nostre aree urbane, difendere un patrimonio culturale unico al mondo. Le città italiane stanno soffocando in una cappa di smog, e sono le uniche, in Europa, in cui sono diminuite, nel corso degli ultimi dieci anni, le spese del trasporto pubblico, rispetto a quello privato.
Il titolo del vostro Meeting è: Accade qualcosa da Oriente: risolvere problemi ambientali è una grande occasione storica per il ruolo dell’Italia e dell’Europa. Consente di avviare con i Paesi in via di sviluppo una discussione sulle caratteristiche dello sviluppo stesso.
Benetti: L’impegno per l’ambiente non può essere soltanto l’impegno individuale di fronte a un pessimistico orizzonte del destino del mondo. E’ necessario un soggetto popolare forte, una comunità locale, una realtà che costruisca una cultura, sapendo distinguere ciò che è bene e ciò che è male nel quotidiano.