Martedì 22 agosto, ore 11

SEGNI DI NOVITA' DELL'EST

Tavola Rotonda

Partecipano:

Sergej Chodorovic, Giampaolo Lehner, Vladimir Pores, Vladimir Zelinskij.

Modera:

Irina Alberti.

I. Alberti:

Il nostro tema, oggi, è se vi siano delle novità all'Est: con un punto giustamente interrogativo. Certamente ci sono novità nei paesi dell'Est europeo, e novità anche importanti: chi ha ascoltato ieri sera la straordinaria testimonianza data nel corso dell'Omaggio alla Chiesa dell'Est, non può avere dubbi su questo punto. Forse possiamo riassumere il tema delle novità usando una frase del testimone polacco, il padre che ha detto: "Stiamo assistendo alla sconfitta, alla bancarotta totale del comunismo, su tutti i piani". La cosa sorprendente e spesso, direi, sconvolgente, è il rifiuto di buona parte dell'opinione pubblica occidentale, e soprattutto dei mass media italiani, di riconoscere questo fatto. Tutto quello che di nuovo avviene all'Est viene attribuito, da chi pretende di informarci e addirittura di formare l'opinione pubblica occidentale, ad una magica trasformazione del vertice del potere sovietico, che sarebbe diventato improvvisamente liberale e rispettoso della persona umana. In fondo, questa nuova realtà dell'Est ci viene presentata come una vittoria del comunismo, anche se questo non viene esplicitamente dichiarato. Oggi noi abbiamo qui testimoni d'eccezione: tre di loro vengono dall'Unione Sovietica e sono di quelli sulla cui esperienza, sempre drammatica e spesso eroica, si è basata in passato gran parte della testimonianza mia e di altre persone sugli avvenimenti nell'URSS; questa testimonianza a qualcuno di voi non è sconosciuta. Indubbiamente le novità ci sono: ma che genere di novità? Nascono veramente dall'alto o sono il prodotto di una lunga, costante pressione dal basso? E qual è la risposta della gente, all'Est, in Unione Sovietica, a questa novità? Qual è la speranza reale per il futuro che ne può derivare? Penso sia questa la domanda alla quale cercheremo di dare una risposta oggi. E’ per me una straordinaria emozione presentarvi questi testimoni. Ciascuno di essi ha contribuito con una pietra, con un ramo, con il ramo della propria vita, ad erigere quella diga contro la quale la marea del comunismo ateo si è finalmente infranta, nell'Est. Ciascuno di loro si è assunto il compito, apparentemente impossibile, di dire la verità ed agire secondo la verità, sfidando un regime che sembrava onnipotente ed invincibile; ciascuno di loro, con i mezzi a sua disposizione, ha proclamato Cristo in mezzo al deserto che voleva creare l'ateocrazia. Ateocrazia è il nome che il filosofo francese Olivier Clement ha dato al regime sovietico, ed in senso più vasto al sistema comunista: è certamente un nome che ne riassume egregiamente la sostanza. Io vorrei dare la parola per primo a Sergej Chodorovic. Qualcuno di voi ricorda certamente il suo nome e la sua storia, se ne è parlato in Occidente. Sergej, ingegnere programmista elettronico, padre di famiglia, ad un primo sguardo superficiale un comune cittadino sovietico, è stato l'ultimo amministratore nell'URSS del Fondo di aiuto ai prigionieri di coscienza e alle loro famiglie, creato da Solzenicyn. A questo fondo lo scrittore ha donato tutti i proventi della vendita della sua trilogia Arcipelago Gulag, ed erano svariati milioni di dollari. Scopo del Fondo era aiutare i più poveri fra i poveri, quelli che erano rinchiusi nei lager per ragioni politiche, ideologiche, spesso religiose, e le loro famiglie che rimanevano senza mezzi di sussistenza. Chodorovic si assunse l'onere di amministrare il fondo dopo che i precedenti amministratori erano stati arrestati e costretti a lasciare il Paese. Sapeva benissimo come sarebbe andata a finire per lui, ed infatti così finì: lo arrestarono e nei lunghi mesi di prigione subì la tortura, poi prese la via dei lager al di là del Circolo Polare. È libero dal 1987, è un uomo di una modestia assoluta, al quale non si riesce a far raccontare nulla della sua biografia personale. Mi ha sempre colpito la frase con la quale egli risponde a chi gli chiede: "Ma perché hai accettato di gestire il fondo Solzenicyn, se non potevi non sapere che questo ti avrebbe sicuramente condotto nel lager?" E la sua risposta è: "Perché non potevo fare altrimenti". Le novità all'Est, nella misura in cui ci sono, sono l'opera di chi ha sempre resistito al potere dicendo: "Non posso fare altrimenti".

S. Chodorovic:

Nel settembre del 1973 lo scrittore Alexandr Solzenicym scrisse la Lettera ai dirigenti dell'Unione Sovietica, dove constatava che il nostro popolo si trovava in uno stato di decadimento morale e andava verso una rovina inevitabile. Scrisse a coloro che detenevano tutto il potere nel Paese, che esisteva una reale possibilità, usando il buon senso, di operare dei cambiamenti. Proponeva di trasferire il fulcro dell'attenzione dello stato e il centro della attività e degli affari nazionali dai problemi esterni ai problemi interni alla nazione, a tutti i livelli. Chiedeva che venisse abbandonata, prima di tutto, l'ideologia marxista. Nel 1974 Solzenicyn fu privato della cittadinanza ed espulso dal Paese. Dopo alcuni anni, le autorità furono spinte dall'ideologia a scatenare la guerra in Afganistan, e per otto anni lacerarono il piccolo Paese trasformando centinaia di migliaia di giovani del nostro Paese in assassini. Solo verso la metà degli anni 80, hanno cominciato ad alzare lamenti, accorgendosi che il Paese andava verso una catastrofe, che era necessario portare dei cambiamenti rivoluzionari. I sintomi di questa catastrofe incombente sono stati identificati nel fatto che il regime, dal vertice alla base, è corrotto, che l'economia si trova in una situazione di crisi, che l'agricoltura non è assolutamente in grado di assicurare al Paese i generi alimentari necessari e i cittadini sono passivi, hanno imparato a non lavorare. Dei motivi di questa situazione non si fa cenno; oggi si smascherano il culto di Stalin, il volontarismo di Kruscev, il ristagno dell'epoca brezneviana, ma i veri errori non vengono nominati, passano sotto silenzio, e in realtà sia Stalin, che Kruscev, che Breznev, appoggiandosi al partito, hanno costruito e rinforzato il socialismo. Erano tutti comunisti e leninisti di ferro. Gorbacev non si stanca di ripetere che la perestrojka è chiamata a dare un nuovo respiro al socialismo, che né lui né il suo apparato, saranno in grado di fare niente al di fuori del socialismo e che, questa volta, riusciranno a costruire il socialismo autentico. Tuttavia, né Gorbacev né la sua ideologia si danno la pena di delineare, almeno in qualche tratto, questo nuovo socialismo. Comunque i cambiamenti nel Paese avvengono, e i cambiamenti sono significativi. Sono cambiamenti grandi, prima impensabili, ma non sufficienti; non fanno che mettere in luce quanto ancora la vita del Paese sia lontana dalla normalità. Adesso molti russi ricevono il permesso di recarsi all'estero e sono pochi gli stranieri a cui viene rifiutato il visto d'entrata in Unione Sovietica. Questo può essere impressionante se lo paragoniamo con le epoche precedenti, ma se lo confrontiamo con la possibilità concessa da sempre ai cittadini stranieri di recarsi liberamente in viaggio nel mondo libero, allora l'entusiasmo si smorza: la procedura per ottenere i permessi, i biglietti di viaggio, la burocrazia per cambiare la valuta sovietica in valuta occidentale, rende praticamente impossibili questi viaggi per la maggioranza dei cittadini, specialmente se si considera il grande peso finanziario legato a queste procedure. La glasnost: sulla stampa sovietica dell'epoca della glasnost e della perestrojka, appaiono articoli scioccanti, cose che dalla rivoluzione in poi sarebbero costate il lager a chi le avesse pubblicate o solo scritte; ma tutte le riviste e i giornali si trovano nelle mani dello stato, e perciò dei comunisti. Io chiedo a voi, abituati alla stampa libera, di immaginare che nel vostro Paese tutti i mezzi di comunicazione di massa si trovino nelle mani di un monopolio: la cosa vi renderebbe felici? Se anche la radio e la televisione si trovassero nelle stesse mani, certamente non sareste soddisfatti, anche se parlassero liberamente di tutti. La glasnost, dunque, non è la libertà di stampa: adesso in URSS sono ammesse critiche a tutti i periodi precedenti del socialismo, a cominciare da quello staliniano. Qualcosa si può criticare del periodo leniniano e persino di quello gorbacieviano, ma la proposta di costruire qualcosa aldilà del socialismo, sulle pagine della stampa sovietica non si incontra mai: non perché non esistano queste proposte, ma perché non vengono fatte passare sulla stampa. Sono apparsi molti periodici indipendenti, ma non hanno l'imprimatur del regime ad esistere, cioè non sono legali; naturalmente le case editrici di questo tipo non hanno accesso alle tipografie e i loro testi vengono prodotti con la macchina da scrivere. Sono state ammesse per la prima volte elezioni al Soviet supremo, in cui erano in ballottaggio più candidati: è naturalmente un cambiamento significativo, anche se non si considera il fatto che per il momento i risultati delle prime elezioni sono poco consolanti. La percentuale dei comunisti in questo Soviet supremo si è rivelata la più alta in relazione a tutte le esperienze precedenti. Rimane tuttavia la speranza che in futuro le cose miglioreranno, se ancora sarà permesso di iscrivere più candidati nelle liste elettorali. Le case editrici sovietiche hanno il permesso di pubblicare molti scrittori che prima erano considerati all'indice, ma brecce in questo senso si erano aperte anche in passato: i classici russi di prima della Rivoluzione, specialmente Dostoevskij, sono stati pubblicati negli anni 50 e anche nel periodo del ristagno. Grandi cambiamenti si sono verificati anche nel rapporto fra il potere e la religione: loro continuano a restare ateisti convinti, ciò nonostante è stato proposto che d'ora in poi non si considerino più i credenti in Dio come cittadini di secondo grado. Le autorità hanno promesso solennemente di redigere la nuova legislazione religiosa, sul culto e sulla comunità. Tra i cambiamenti, inoltre, va annoverata anche la sostituzione del Presidente del Comitato per gli Affari Religiosi: per tutte queste cose, naturalmente, bisogna ringraziare. Tuttavia, la persecuzione accanita dei cittadini per la fede non è ancora terminata, e non basta: ai credenti è necessario che il potere riconosca un Dio sopra di sé. È evidente che prima di tutto i cittadini sono preoccupati dell'economia e dell’agricoltura: sembrerebbe che proprio qui ci si potesse aspettare cambiamenti sostanziali, ma non ce ne sono stati. L'ideologia ha giocato un brutto scherzo ai comunisti: i fondamenti dell'unica fede della dottrina materialista, la sfera dei rapporti di produzione, costruiti per 70 anni in base allo spirito e alla lettera della dottrina, hanno costruito l'economia socialista che non funziona. Sarebbe ragionevole abbandonarla e dare sviluppo a una economia fondata sulla libera impresa, già collaudata nei Paesi stranieri: ma che razza di socialismo sarebbe questo, senza l'economia socialista? L'ideologia non permette di arrivare a tanto, una economia libera significherebbe per i comunisti privarsi di una parte significativa del proprio potere assoluto. Ancora Lenin diceva che il problema principale è il potere.È un vicolo cieco, è la crisi del sistema; l'economia socialista è ancora in grado di produrre la carta moneta in quantità sufficiente, ma non è in grado di produrre merci che vi corrispondano. Nell'agricoltura la situazione è analoga: l'agricoltura socialista, l'orgoglio dei comunisti, è catastrofica, non soddisfa le necessità del Paese e le derrate alimentari mancano. Per questo motivo i comunisti sembrano già pronti a consegnare la terra in uso ai contadini, ma anche qui l'ideologia si fa sentire: concedendo la terra ai contadini, proibiscono poi di assumere operai salariati perché, in conformità all'ideologia, non ci sia possibilità di sfruttamento dell'uomo sull'uomo. La situazione del Paese è in uno stato veramente disperato, le speranze di una riforma che normalizzi la vita del Paese, se pure ci sono, sembrano finire nel nulla, cresce il numero delle persone che desiderano emigrare. Il futuro del nostro popolo apparirebbe, insomma, disperato, ma esistono anche alcuni cambiamenti che fanno nascere un ottimismo: negli ultimi due anni si è risvegliata una autocoscienza sociale, religiosa e nazionale. L'inerzia politica, la mancanza del desiderio di libertà, determinata dai fatti storici, il ritardo culturale dei popoli sottomessi al potere sovietico e in primo luogo del popolo russo, si sono dimostrati un mito. Una grande quantità di gruppi, associazioni, partiti indipendenti, in tutto il territorio si stanno rafforzando e gli esorcismi ideologici non hanno effetto su di loro. Anche questo è un cambiamento nuovo, fondamentale, irreversibile, che ha portato la perestrojka. È evidente che questo risveglio in massa delle autocoscienze nazionali non può non riflettersi anche sulle sorti dell'intero Paese, i capi non possono più ignorare questa circostanza, sono costretti a spostare l'attenzione dagli affari interni agli affari esterni, e gli affari interni si assommano, i problemi si accavallano, sotto la minaccia della stessa distruzione del nostro popolo. Di questi problemi non ci si disfa con discorsi altisonanti per rispondere alle esigenze materiali è inevitabile snazionalizzare l'economia e l'agricoltura e non impedire il loro sviluppo. Si rivela inevitabile dare uguali diritti a tutte le forme di proprietà, privata, cooperativa e statale. Il problema nazionale, nei 70 anni dopo la Rivoluzione, si è arroventato a tal punto che minaccia di far esplodere il Paese: ma le autorità lo ignorano e prendono qualche misura solo quando si arriva al sangue.La soluzione di questa domanda non si può rimandare a tempi migliori: per affrontarla e risolverla è necessario liberarsi di tutti i dogmi ideologici. È giunto il tempo di rendersi concretamente conto che l'unica fonte della moralità è la fede in Dio ed è necessario eliminare qualsiasi ostacolo sul cammino delle persone verso Dio. Se i comunisti non hanno abbastanza buon senso per fare questo, la loro ideologia li costringerà di nuovo a scatenare una lotta sanguinosa contro il popolo su cui hanno potere dall'ottobre del 1917. Questa prima guerra l'hanno, forse, vinta, annientando decine di milioni di persone, ma adesso la situazione è tale che devono retrocedere: la seconda la perderanno.

I. Alberti:

Ci si chiede come mai, quando ci sono testimonianze di questo genere, questa nostra stampa occidentale, in particolare italiana, debba rimanere sorda, chiudere gli occhi per non vedere come vanno le cose in realtà. Vi vorrei presentare ora brevemente il nostro testimone Vladimir Zelinskij, che molti di voi già conoscono perché è stato in Italia. È un altro di coloro che hanno posto un argine allo strapotere della ateocrazia e hanno gettato le basi della speranza per il futuro, se una speranza c'è. È uno scrittore e filosofo religioso dei più' importanti oggi in Russia, forse il più' importante, è un cristiano che testimonia Cristo con la parola e con la vita. Questa testimonianza gli è valsa in passato difficoltà immense, tanto più' dure da sopportare perché è padre di famiglia. Per anni non ha potuto lavorare, per anni è stato sorvegliato, perquisito, vittima di vessazioni di ogni sorta, costantemente sotto la minaccia dell'arresto e si ostinava a credere in Cristo, proclamare e testimoniare Cristo, creando intorno a sé un oasi nel deserto voluto dalla ateocrazia comunista. Vladimir Zelinskij è autore di molti saggi mai pubblicati ufficialmente nel suo Paese: alcuni sono apparsi in Occidente e, in particolare, in Italia, su L'altra Europa, la pubblicazione curata dal gruppo "Russia Cristiana", su "Il Sabato", su "Trenta Giorni". Un suo importante libro, intitolato Affinché il mondo creda, è stato pubblicato dalla casa editrice "La casa di Matriona". Oggi Vladimir Zelinskij è a Mosca, dove vive fra coloro che danno il contributo più' significativo all'opera di salvataggio dell' uomo do o il ciclone comunista.

V. Zelinskij:

Chiunque venga in occidente dall' URSS viene preso di mira da grandi domande, perché lo si ritiene un esperto di politologia: domande spesso serie e a volte meno, che sembrano ingenue e anche piuttosto complicate. Che cos'è, in fondo, questa perestrojka? Che cos'è la glasnost? Quali sono le vere intenzioni di Gorbacev? E sincero oppure no, che cosa ha fatto davvero per la religione e per la Chiesa?. E persino: che cosa pensa il popolo della signora Gorbaceva ? Queste domande, che possono sembrare ingenue, sono prodotte da un mito della realtà in cui vivete e rispondere è veramente difficile perché, in qualche modo, bisogna esprimere questa realtà che voi assorbite tutti i giorni con i cinque sensi. L'immagine del Paese che emerge da queste domande ricorda il protagonista di un romanzo classico che abbiamo letto tutti da ragazzi, un grande gigante che avvolge attorno alla forte mano i cordami e le vele di molte navi e le trascina dietro di sé. Queste piccole navi, portate dalla mano del gigante, possono simboleggiare ciò che si vuole, la gente, gli avvenimenti, i fatti, i popoli, le riforme, l'andamento della storia, ma il signor Gulliver, che tutti avete riconosciuto, è naturalmente il signor Gorbacev. Però qui il paragone finisce: nel romanzo di Swift, Gulliver serve un governo per combattere contro un altro governo e in questa guerra gli è stato ordinato di prendere prigioniera la flotta nemica. Nel romanzo che si chiama perestrojka, Gulliver non combatte contro nessuno, lo fa semplicemente per la propria buona volontà e anche le navi che lui trascina seguono di propria volontà il gigante. I cosiddetti conservatori fanno forse qualche piccola resistenza sotterranea: in questo modo può apparirci la perestrojka vista dall'Occidente, ma se la guardiamo dall'altezza di Gulliver, cioè dal punto di vista ufficiale, la perestrojka è il rinnovamento del socialismo concreto, così come è stato costruito nel nostro Paese. Infatti la sua prima edificazione è stata annunciata come definitiva nel '37. Il socialismo è definito un sistema nato nel nostro Paese come risultato della scelta storica fatta nel '17.Questa scelta storica è un termine assolutamente ufficiale, che vuol dire una rivoluzione ormai irreversibile, non solo nei fatti, ma anche in senso morale e addirittura provvidenziale: significa che nessuno ha il diritto di mettere in dubbio la legittimità, la definitività di questa scelta storica, vecchia ormai di 70 anni. In che cosa consisteva questa scelta storica? Tre mesi dopo la presa del potere armato da parte dei bolscevichi, questa scelta è stata posta davanti al popolo intero. Alle elezioni per l'Assemblea Costituente il partito, che già stava al potere e guidava la storia, ricevette soltanto un quarto dei voti: la maggioranza l'aveva avuta un altro partito, progenitore degli attuali socialdemocratici. In Russia il giorno della loro vittoria è stato anche il giorno della loro fine; dopo alcune ore dall'apertura dell'Assemblea Costituente, i marinai armati dichiararono di essere stufi di difendere l'assemblea stessa e ai deputati del popolo venne chiesto di abbandonare la sala. Perché i deputati assimilassero meglio la logica dei rivoluzionari, e la differenza fra questa logica e le chiacchiere parlamentari, gli puntarono contro i fucili (...). Da quel momento, la storia, doveva dispiegarsi a partire dalla tesi marxista che venne chiamata costruzione del socialismo (…). Il sistema che è nato in seguito a questa scelta storica, il socialismo, fu proclamato bene assoluto, per quanto alcuni momenti venissero poi condannati dal socialismo stesso come culto della personalità, periodo del volontarismo, epoca del ristagno: tutte le volte è stato necessario poi riorganizzarsi, fare una perestrojka, nella figura che rappresentava il partito al potere. Ogni volta ci si appellava alla vera, autentica dottrina leninista, che aveva quella elasticità sufficiente per essere usata nelle situazioni più diverse. La garanzia di verità della dottrina leninista era racchiusa nella stessa dottrina. Il fatto che il sistema nato a seguito di questa scelta storica fosse un grande beneficio per la Russia e per l'umanità trovava la sua affermazione soltanto nell'ideologia stessa. Proprio per questo il regime è condannato, di tanto in tanto, a riorganizzarsi, a fare la perestrojka. Ma proprio per questo resta anche sempre immutabile, chiuso in se stesso. Questo sistema costruisce la realtà, cioè l'economia, la cultura, i rapporti infraumani, sul modello di una conoscenza preconcetta, cerebrale, ideologica e impone questa conoscenza con tutta la propria,implacabile forza. Ma la realtà viva non è mai quella che ci si inventa. Anche per il regime esiste un limite di cecità. Dopo la morte di Stalin, era diventato impossibile ignorare l'esistenza di un intero impero costruito sul lager e allora è incominciata la denuncia del culto della personalità e delle sue conseguenze. Dopo l'epoca Breznev era diventato impossibile non vedere la crisi generale che aveva colpito tutto il sistema e allora è cominciata la perestrojka, circa un anno e mezzo dopo l'ascesa al potere del Segretario generale. Questo sembra legato a due eventi: innanzitutto la morte del dissidente Anatolj Marcinko, da molti anni prigioniero, causata dalle percosse in prigione, poi la liberazione, il giorno dopo la morte del primo, dell'accademico Andrej Sacharov. Fin dal primo giorno, la perestrojka è stata caratterizzata dalla morte e dalla liberazione. Dopo la liberazione di Sacharov, è cominciata una serie di liberazioni dalle prigioni e dai lager. Il regime non aveva mai riconosciuto l'esistenza di detenuti politici, eppure cominciò a liberarli, uno dopo l'altro. È vero che queste liberazioni erano sempre legate a condizioni umilianti e non sono mai state seguite da una riabilitazione o dalla revoca della sentenza, ma furono comunque liberazioni, una realtà più importante della crescita della glasnost e della possibilità di viaggiare all'estero che tocca, fra l'altro, una cerchia ristretta di persone. Nei primi giorni di queste liberazioni, io mi sono chiesto: ma questo sistema può restare saldo senza scegliere alcuni dissidenti e scontenti da eliminare? Ammetto che non ho ancora trovato la risposta. Il sistema è costruito in modo che alcune centinaia di prigionieri di coscienza, che sembrerebbero una goccia nel mare di un Paese così immenso, tengono la redini di milioni di altre persone, cittadini assolutamente benpensanti. Perché anche quelli che fanno i benpensanti, in realtà hanno pensieri proibiti che tengono gelosamente conservati, al sicuro, dietro un muro di paura e di autocensura. Ma che cosa succederebbe del sistema se questa paura scomparisse e se questi pensieri, e naturalmente dietro ai pensieri vengono poi anche le azioni, venissero alla superficie? Il regime totalitario, nell'anima di ogni persona, si apre da solo una specie di muro di Berlino, un muro che viene conservato con molta cura. Finché si cammina ai lati di questo muro non succede niente di male, ma appena si cerca di scavalcarlo, incominciano a spararti. La perestrojka è per ora inoffensiva verso questo muro e questo è un suo merito indiscutibile. È anche vero però che si è ripreso ad innalzarlo attraverso, ad esempio, le truppe speciali, gli scontri sulle piazze; ma i tempi sono cambiati, e il muro non è più lo stesso (…). Una volta acquistata la libertà interiore, la gente ha diretto il proprio affetto non al sistema, ma alla ricerca di qualcosa di completamente diverso. Basti guardare alle centinaia di associazioni non formali che sono sorte nel nostro Paese negli ultimi anni. Fra loro non ce n'è una che segua la linea ufficiale e che cerchi il volto umano nella linea del marxismo di stato. Il volto umano del socialismo, che è costato la libertà alla Cecoslovacchia nel 1968, da noi non interessa più nessuno. La gente cerca di mettersi insieme per altro Il problema principale della perestrojka sta nel fatto che cerca effettivamente di riformare un sistema paralizzato dalla scelta storica del '17. Il paradosso della perestrojka sta nel fatto che evidenzia la profondissima crisi del sistema che cerca di salvare. L'ideologia che l'ha guidata per questi sette decenni è esaurita e non ha più niente da proporre, a parte gli appelli a correre più veloci sulla via del socialismo perché si possa tirare questo nuovo respiro. Ma che fare, se la gente vuole andare da tutt'altra parte? Nel chiasso degli eventi che ribollono e si inseguono, al suono delle parole perestrojka e glasnost avviene qualcosa di diverso, di meno chiassoso: l'estinguersi del mito socialista. Il fatto che questo avvenga nella patria del socialismo vittorioso e totalitario è una cosa naturale e in un certo senso giusta. È la lezione principale che la Russia oggi può dare al mondo. Ma c'è anche un'altra lezione, molto più importante, che bisogna riconoscere (…). Io non credo che il nostro Paese possa passare alla democrazia e alla tolleranza con la facilità e la naturalezza della Polonia, noi siamo passati attraverso l'abiura e l'idolatria e per ritornare al mondo interiore e ad un'esistenza normale dobbiamo fare una penitenza. La penitenza è un dono che viene concesso sempre insieme alla fede. Oggi la gente cerca se stessa, il proprio volto autentico, la propria identità e scopre di esserne stata derubata (…). Ho parlato all'inizio della perestrojka: da un punto di vista puramente pragmatico, forse non è il modo peggiore per sfuggire alla catastrofe che incombe. Ma io sono convinto che l'avvenimento principale deve ancora arrivare ed è il ritorno del Vangelo. È qualche cosa di più ampio che il semplice ritorno alla Chiesa, è il risveglio nel cuore del popolo intero delle verità originarie dell'annuncio cristiano, dell’amore, della misericordia, della penitenza, della fede. Una nuova evangelizzazione non è una specie di lusso spirituale, ma una necessità vitale del nostro tempo, che da sola può farci uscire da questo nodo di odio, di offese, di divisioni e di inimicizia. La pace di cui abbiamo bisogno e che cerchiamo può venire solo da Dio, che lasciamo rinascere dentro di noi.

I. Alberti:

Questa lezione, che come dice Zelinskij ci viene dalla Russia, è stata pagata al prezzo di - gli storici continuano a discuterne - 40, 50, 60, forse più, milioni di morti. È possibile che ancora il mondo non la voglia sentire? Io vorrei ora conoscere il pensiero di un testimone italiano, Giancarlo Lehner: un testimone insolito, che va decisamente controcorrente. Lehner è uno storico che da tempo si occupa, con passione e incrollabile fedeltà, della verità dell'Unione Sovietica nei suoi molteplici aspetti. Egli è anche giornalista, in particolare collabora con l’ "Avanti", sulle cui pagine la rubrica "Vento dall'Est" ha suscitato spesso la grande ira dei comunisti e di chi li sostiene. È autore di un libro sull'URSS, Il giorno che sconvolse l’URSS, che è appena uscito e che verrà presentato qui al Meeting. Per Giancarlo Lehner l'Est europeo, e in particolare l'Unione Sovietica, non sono solo oggetto di studio, ma anche una profonda e, se non erro, sconvolgente esperienza personale.

G. Lehner:

Voglio parlare non da esperto, ma come un essere umano che cerca da anni delle risposte sul cosmo Est, perché è un habitat che spesso ci sfugge. Gli europei hanno schemi logici antichi, vecchi, spesso, e quindi è un approccio arduo, difficile, e serve essere umili. Io vado spesso a Mosca e in altri luoghi con questo spirito e con uno scopo: stare accanto al popolo. Non cerco i grandi leader, ma spendo ore e ore nel fare code, per esempio, nel chiedere alle persone reali. E lì, per l'appunto, proprio sull'onda delle risposte che ho avuto, ecco che ho un quadro, che credo vero, della perestrojka, della glasnost, delle riforme. Che cosa capita oggi in questo cosmo ? C'è un'atmosfera di morte. E che cosa muore? Muore, attenzione, la morte stessa, cioè uno stato, alcune regole contro l'uomo, che erano forme di morte. Allora, c'è nella gente una doppia spinta: c'è chi spera nella palingenesi, cioè crede che dalla morte sorga la vita e c'è invece chi crede che entro un anno, al massimo due, si arriverà ad una catastrofe storica, a nuovi orrori, ad altro sangue, ancora morte (…). Io chiedo spesso della perestrojka alla gente che incontro nelle code, uno dei compiti massimi rimasti al suddito sovietico, fare code, per comprare patate, mele spesso marce. C'è sempre una risposta: è una parola, soltanto una parola. C'è una sola cosa che invece funziona, ed è la glasnost. Funziona soltanto, è ovvio, sui temi scelti dal vertice. Io ho chiesto, per esempio, ad alcuni giovani, dati, commenti, idee, sui fatti della Cina ed essi hanno chiesto a me cosa era successo in Cina, non lo sapevano nemmeno. C'è il nuovo, certamente, ma è un nuovo insolito: si tratta di un altro paradosso, dire il nuovo è qualcosa di antico, è la vecchia cultura russa per esempio, è una militanza fortissima, una fede, che riaffiora con una consapevolezza molto ampia, certa, sicura. Quella stessa fede che aveva funzionato come scudo, oggi viene offerta, anche urlata. Ho visto scene sconvolgenti sulla via Arbat, sulla via Gorky, alla stazione; fedeli della Chiesa Uniate, umili, semplici contadini che celebravano Messa sulla strada, con la milizia intorno, spesso vittime di arresti eppure calmi, con una forza veramente enorme. Questa fede non è più soltanto schermo, ma forza di attacco. È una risposta, insomma, e io debbo raccontarvi un'esperienza personale. Io sono un uomo di cultura laica, uno scettico. Questo approccio con la militanza cristiana russa ha creato in me un travaglio, una crisi, un'angoscia, una scoperta, un paradosso. Io sono nato a Roma, il centro della Chiesa, e ho incontrato Cristo sulla via Arbat.

I. Alberti:

Grazie per queste parole, credo che per tutti noi qui presenti siano di grande conforto, per il lavoro che abbiamo sempre cercato di fare e che continueremo a fare. A Vladimir Pores chiederemo di chiudere questa testimonianza collettiva. Molti di voi l'hanno già conosciuto ieri, nel corso dell'Omaggio alla Chiesa dell'Est. Egli è ancora uno di quelli che con il ramo della sua vita ha costruito la diga e ha fatto tornare indietro la marea. È stato fondatore, ai tempi brezneviani, di un seminario cristiano indipendente, era uno di coloro che avendo trovato Cristo volevano vivere il suo insegnamento e portare ad altri l'incontro con nostro Signore (…). Questo gli è costato molti anni di prigione, di lager, di prove durissime, per lui e per la sua famiglia; oggi vive a Leningrado, si guadagna da vivere facendo un lavoro manuale perché, dato il suo passato 'criminale', non gli danno un posto di lavoro di maggior prestigio,o almeno così considerato nell'URSS che, teoricamente, dovrebbe essere la patria e il regno degli operai, ed è invece un Paese dove l'operaio è l'essere più disprezzato e maltrattato del mondo. Pores oggi continua a svolgere la stessa opera che aveva svolto allora, e intorno a lui, a Leningrado, c'è quell'oasi di fede e di vita di cui si parlava prima.

V. Pores:

Quando ci interrogano sulla perestrojka, ci fanno quella stessa domanda che noi poniamo a noi stessi, ma non conosciamo la risposta. Nel presentimento di un periodo torbido, nel caos crescente della nostra vita sociale, nella confusione di gruppi e correnti, è possibile intravedere i contorni del nostro futuro. Gli osservatori esterni chiedono che cosa ci aspetta, ma per noi che siamo dentro la situazione il futuro è aperto, volenti o nolenti siamo noi a definirlo, e corrisponderà alla nostra statura umana. Per questo uno dei nostri compiti inevitabili è comprendere che cosa è accaduto, che cosa sta avvenendo a noi stessi. Senza questo lavoro del pensiero, non ci sarà nessuna opera di nessun genere, ma è questa opera la cosa più difficile a farsi. Sei mesi fa, la televisione sovietica ha mandato in onda un programma speciale, una specie di incontro ai vertici fra filosofi: i filosofi sovietici più noti lamentavano il destino infelice della nostra filosofia, perché la distruzione di qualsiasi posizione filosofica libera è stata realizzata con pieno successo e per la prima volta abbiamo sentito dire in modo chiaro e preciso che da noi non c'è pensiero libero: se non c'è pensiero libero, non c'è pensiero tout court. Questa situazione non poteva non influire sulla qualità del nostro pensiero, e i danni che ha subito si manifestano non soltanto e non tanto nel fatto che è grigio e noioso, ma nel suo eccessivo accademismo, nella mancanza di un legame pieno di contenuto con i problemi reali della vita, o con le maschere di cui si copre e che tolgono ogni efficacia e forza al pensiero. Peggio ancora, il pensiero ha perso la stima della società, non si vede alcun interesse per la filosofia: negli ultimi anni, per quanto ne so, non è apparso neppure un libro di filosofia che sia stato considerato un avvenimento nella vita intellettuale. Per quanto riguarda l'ambiente dei credenti, domina più che altro un irrazionalismo noioso e irresponsabile, il dubbio e il disprezzo del valore della ragione. Se questo avviene per la verità filosofica, che dire poi della verità intellettuale? Coscienza e autocoscienza: i gravi danni dell'una e il disprezzo per l'altra sono le due facce di una sola catastrofe. Ciò che è avvenuto all'uomo nel mondo sovietico - la deformazione, forse definitiva, del volto umano, questa irresponsabilità, questa impotenza, spesso piena di odio, lo smarrimento e la paura di fronte alla necessità di scegliere da soli una via d'uscita - ci dice che la catastrofe che con tanta apatia attendevamo è già avvenuta, perché nell'uomo è rimasta paralizzata, o perlomeno infiacchita, quella energia di comprensione che ci permette di trovare una via di uscita anche nelle situazioni più difficili. La diagnosi che abbiamo formulato ci dà una risposta a senso unico: noi non abbiamo futuro (…). Si può supporre che se un uomo per 70 anni è stato schiacciato dagli stivali, ben difficilmente riuscirà a raddrizzare le spalle con rapidità: d'altra parte, non c'è da credere che ci sarà dato molto tempo per uno sviluppo relativamente normale, e ancora, è chiaro che l'aumento della attività sociale non significa una crescita della responsabilità. Per questo, pur con tutte le riserve, la diagnosi resta valida, noi soffriamo di una malattia grave e pericolosa e, come accade in qualsiasi faccenda umana, abbiamo un'unica medicina: l'autocoscienza. Non ci sarà mai nella società quello che non abbiamo nella nostra testa. La riflessione sulla nostra situazione umana è cominciata quando si sono manifestati per la prima volta i segni della nostra grave sventura; dopo la prima Rivoluzione del 1905, alcuni pensatori russi si sono messi a riflettere sui destini dell’intellighenzia. Nel 1908 è uscita un'antologia che si intitolava Pietre miliari. Gli autori dimostravano in modo acuto che si erano già costituiti, molto prima della rivoluzione, i tratti fondamentali dell'uomo totalitario. Dopo essere diventati cristiani, questi ex- atei come Nikolaj Berdiaev o padre Sergej Bulgakov, hanno introdotto uno spirito di libertà nuovo, mai conosciuto dal pensiero e dal cristianesimo russo; essi hanno dato una dimensione nuova alla riflessione sul significato della nostra storia. Ma nel 1921 sono stati espulsi dal nostro Paese e, una volta emigrati, hanno dovuto per forza perdere il legame vivo con la nostra realtà e soprattutto il legame con questa novità sostanziale e imprevedibile che si è verificata. Da allora la situazione è peggiorata in modo radicale, oggi noi abbiamo a che fare con una realtà assolutamente nuova e incomprensibile. Le diagnosi, le ricette dei nostri pensatori di un tempo ormai non fanno più per noi. Solzenicyn, che è un uomo dell'epoca sovietica, con forza inaudita ha indicato il fattore principale di questa realtà, l'uomo storpiato. Questo è l'elemento nuovo che hanno portato con sé la rivoluzione e il totalitarismo e che ancora è di difficile comprensione dall'esterno. L'anima dell'uomo sovietico è la realtà principale che determina la nostra vita e nella cui comprensione non siamo ancora andati molto a fondo; per ora tengono banco le passioni politiche, le valutazioni giornalistiche superficiali e i commenti pieni di disprezzo. Il nostro futuro è legato alla misura in cui noi sapremo risolvere seriamente questo compito, perché non si tratta di decidere chi sono i giusti e chi sono i colpevoli, ma di avere una responsabilità verso il nostro futuro. Il pensiero da solo non basta, l'uomo cresce prendendo coscienza dei propri gesti, il pensiero sarà efficace se assumerà la dimensione del gesto; in questo caso per me gesto è, ad esempio, riconoscere la totalità della nostra disfatta, la distruzione, dell'uomo e la nostra comune responsabilità. Non ci sarà una nostra vittoria se non avremo orrore della nostra disfatta, perché la vittoria dell'uomo è questa crescita dell'umano nell'uomo stesso. Insomma, soltanto la coscienza di questa mancanza di futuro ci darà la possibilità di costruirne uno, solo insistendo sulla natura catastrofica della situazione in cui siamo possiamo cercare di cambiarla. Il nostro futuro è in noi, nella nostra natura umana tanto danneggiata, e per questo un pensiero radicale è già una azione estremamente radicale. In tal modo la nostra natura sovietica, nel suo rifiuto di una responsabilità per il presente che è costato milioni di vittime, distrutte o calpestate, si pone non più la questione della comprensione, ma la questione del significato: perché tutto questo è successo, a chi è servito, che cosa vuol dire per noi questo sangue innocente o anche colpevole che è stato versato, o ancor peggio, questo sangue umiliato: salverà forse le nostre anime dalla dissoluzione, dalla paura, dalla impotenza? Qual è il significato umano di questo venire meno dell'uomo? E chi è il testimone? "Io avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero in prigione e siete venuti a visitarmi, voi avete fatto questo a uno dei miei fratelli più piccoli e l'avete fatto a me". Questa è la risposta umana, l'uomo-Cristo è un testimone; a questo semplice gesto umano Egli dà un significato religioso assoluto. In questa occasione Cristo non dice niente della fede; l'uomo non è una cosa insignificante fra cose oscure, egli ha un valore assoluto davanti a Dio, al di fuori di Dio e anche senza Dio; davanti al volto di Dio egli vive, davanti al volto di Dio cade e si rialza, davanti a Dio perde il suo significato e lo ritrova e perdendo il significato scopre ancor di più la propria assolutezza, con terrore oppure con entusiasmo, riconosce che non è niente, tranne se stesso, la sua assolutezza e la sua vulnerabilità ad un tempo (…). È fondamentale che la Chiesa dica una parola sull'uomo: nello stesso tempo, la Chiesa ortodossa russa non è mai stata così impreparata a farlo. Fra l'altro, dalla soluzione di questo problema che continua a chiarirsi sempre di più nella coscienza sociale, ma non in quella della Chiesa, dipende la stessa possibilità di vivere e l'efficacia della Chiesa nel mondo. La maggiore difficoltà sta nel fatto che all'interno della Chiesa non si pone affatto il problema dell'uomo. In un certo senso la Chiesa ha perso qualsiasi interesse per l'uomo, non lo nota, non si interessa ai suoi problemi, non stima le sue decisioni (…). Tutto questo ci dice che la Chiesa ortodossa russa ha praticamente perso l'uomo come valore. Le dichiarazioni sull'immagine e la somiglianza dell'uomo con Dio non spiegano niente se non chiariamo che cosa vogliono dire per noi. t un problema che si pone oggi, acutissimo come non mai, ma non c'è ancora risposta e qualsiasi tentativo di avvicinarsi si scontra con l'oscurità di un problema ancora più vasto: i rapporti della Chiesa con il mondo contemporaneo in generale. La Chiesa russa, a quanto pare, è un frammento del passato in una società profondamente secolarizzata e questo contrasto è estremamente più chiaro da noi che in Occidente. La Chiesa russa o il cristianesimo in generale si trovano da noi alla necessità di tornare all'uomo, a un Concilio Vaticano II. Per ora questo compito non è stato riconosciuto in modo serio. Spesso dall'Occidente ci chiedono come possono aiutarci: innanzitutto abbiamo un compito in comune, comprendere l'uomo sovietico come fonte principale della realtà sovietica. Senza capire questo, non riusciremo a trovare la soluzione giusta ed oggi è diventato evidente quanto manchi una comprensione chiara. Il nostro compito è doppiamente comune: che la perestrojka vada in porto o meno, che ci sia per noi un futuro oppure no, la Chiesa, finché resta di Cristo, avrà sempre un futuro (…).

I. Alberti:

Siamo giunti così alla fine di questo incontro estremamente denso. Ringrazio questi testimoni straordinari che ci hanno dato la loro visione della situazione sovietica, che influisce sul futuro del mondo e dell'umanità. Ancora una cosa: sono venuta al primo Meeting dieci anni fa. Si parlava della Russia, dell'Unione Sovietica, dei cristiani dell'Unione Sovietica, c'erano testimoni russi. In questi dieci anni abbiamo sempre continuato, qui al Meeting, a ricordarli, mentre tutto il resto del mondo se ne dimenticava. Penso che ci siano ragioni varie e profonde di affinità, perché il discorso che porta avanti CL è affine a quello dei nostri fratelli cristiani in Russia. Io vi sono molto grata di questa possibilità che ci avete sempre dato di ricordare a voi, e attraverso voi al mondo, questa straordinaria, terribile e meravigliosa storia che è stata la vicenda russa di questo secolo. Vi ringrazio.