La missione dietro l’angolo
Lunedì 26, ore 15
Incontro con:
Juan Leuridan Huis
Giovanna Tagliabue
Juan Leuridan Huis è nato a Bruges (Belgio) nel 1937. Domenicano, ordinato sacerdote nel 1963, dal 1968 è missionario in Perù dove si è particolarmente dedicato ai giovani e all’ambiente universitario. È docente universitario e responsabile nazionale del Movimento di Comunione e Liberazione.
Leuridan: Il Concilio Vaticano II ha sottolineato come l’eresia più grande del nostro secolo sia costituita dalla separazione tra fede e mondo. Secondo questa tesi, la fede non significherebbe nulla per la vita concreta dell’uomo. Il movimento di CL mi sembra il tentativo più serio nella Chiesa di superare questo limite. Molti invece hanno creduto che la Chiesa, per disporre di un messaggio e avere una presenza nel mondo moderno, dovesse assumere le posizioni che si manifestano nella società e così la Chiesa non presenta un proprio messaggio, ma si limita a raccogliere e ad accettare l’esistente; essa dunque si fa serva di altri fini e di altri gruppi per appoggiarli. In questo caso si presenta come astorica e come luogo in cui non si vive e non si pensa, perciò viene meno l’interesse per essa e il dialogo con il mondo diventa una ripetizione. Il pluralismo giunge a volte fino a disconoscere la sua stessa posizione, si vergogna di parlare dell’essenziale della propria vita cristiana per poter continuare a sopravvivere nell’ambiente universitario dove sono molto radicate alcune idee che orientano i giovani nei loro giudizi, ad esempio l’anti-colonialismo, che spesso associa la Chiesa al colonialismo, un pregiudizio che continua ad esistere ben radicato dopo centocinquant’anni di indipendenza, di affrancamento dalla colonizzazione. In secondo luogo la fede nell’autonomia della scienza che pretende di consentire all’uomo di fare un salto qualitativo. Un altro limite è costituito dal dogmatismo; alcune ideologie politiche si propongono come fine il potere: professori e studenti, che fanno parte dello stesso partito, che seguono le stesse ideologie finiscono per opporsi ad altri senza ragioni fondate, con l’unico scopo di raggiungere il potere. La storia dimostra ampiamente che l’acquisizione del potere serve a soddisfare gli interessi personali di gruppi ristretti. Allora si pone la domanda: "Come si può ottenere una società nuova? Come si può cambiare una situazione?". Evidentemente non si può girare le spalle alla storia, non si possono ignorare, disconoscere tutti gli sforzi possibili degli uomini per avanzare sul piano scientifico e tecnologico. Si debbono riconoscere i grandi risultati ottenuti e i grandi sacrifici compiuti, tuttavia per cambiare le cose non è stato sufficiente un lavoro accademico serio, non è bastato denunciare le ingiustizie e correre il rischio di essere licenziati e maltrattati dal potere.
Per quanto riguarda la Chiesa, essa si esprime secondo due tipi di presenza, due modelli: l’uno aspira ad una società non capitalista e divulga un metodo scientifico di applicazione di questa ideologia. La sua pastorale consiste nel vedere, giudicare, agire: vedere la cattiva situazione dell’uomo, giudicare e respingere questa, sulla base delle spiegazioni offerte dal marxismo che accusa il capitalismo di tutti i mali dell’uomo, agisce appoggiando i gruppi ideologici che cercano di introdurre un socialismo scientifico attraverso la lotta di classe.
Il secondo modello di presenza della Chiesa è rituale, limita il messaggio cristiano al compimento di alcuni riti che non acquistano la dimensione della missione e della presenza nella problematica del mondo. Il primo modello non possiede un messaggio proprio nell’università, si limita a ripetere gli schemi di una ideologia, e il secondo modello non si manifesta, perché in esso il mondo rimane autonomo, al di là della vita eterna, cui aspira il cristiano. Il primo modello ha perduto la maggioranza dei giovani, perché pretende che il cristiano diventi il ripetitore di pensieri altrui, e il secondo vive nell’anonimato e nel timore.
Con il Movimento di Comunione e Liberazione ho condiviso un’analisi sociologica e psicologica dell’uomo, che porta a capirlo meglio per cambiarlo. L’annuncio di Cristo e l’incontro con Cristo rispondono alla necessità fondamentale dell’uomo, con le risposte a partire dalle quali si può affrontare la vita in tutte le sue dimensioni. Don Giussani mi ha fatto capire che l’oggetto indica la via, e i molteplici sforzi e le preoccupazioni dell’uomo acquistano il loro senso solamente in relazione con l’Altro. Cristo è il centro del cosmo e della storia; l’uomo non può essere la misura per se stesso né per gli altri. Le domande circa la situazione socio-economica e politica sono insufficienti se non includono le domande che concernono l’uomo stesso, vale a dire se non includono la definizione completa dell’uomo, quindi anche, e soprattutto, la sua dimensione religiosa. Spingere l’uomo ad una lotta socio-economica e politica significa farne un militante che denuncia una situazione e combatte all’interno della società per cambiarla, ma non è sufficiente; manca l’essenziale, perché l’uomo così non si pone in relazione agli altri, ma soltanto in relazione a se stesso. Si cerca una struttura nuova, ma non un uomo nuovo; la struttura nuova potrà continuare ad essere nuova, quando sarà sostenuta da un uomo nuovo, altrimenti nasceranno nuovi sfruttatori, e le strutture invecchieranno precocemente. Un uomo nuovo è colui che realizza l’incontro, nella libertà, con il mistero di Cristo, perché Cristo è l’unica verità, la verità centrale che permette di comprendere le altre verità relative. Cristo è la chiave ermeneutica della situazione dell’uomo, la sua persona è storica e trascendente e come tale mette in discussione tutti gli uomini di qualsiasi epoca, di qualsiasi etnia. Il ragionamento determinista scientifico è diventato di moda dimenticando che l’uomo si definisce, in primo luogo, attraverso l’incontro con la libertà.
Don Giussani mi ha consentito di capire meglio cosa sia la Chiesa, l’importanza dell’esperienza comunitaria in Cristo, la Chiesa luogo di incontro fra persone che si amano, dell’unione nell’amore, fra tutti i fedeli, il Papa e i Vescovi. Cristo è il vincolo che consente, che fa vivere questo amore. Le persone che lo riconoscono, ricevono la capacità di stabilire relazioni con una libertà più ampia. La Chiesa diventa luogo necessario di incontro, in cui le persone costituiscono i loro vincoli, i loro rapporti a partire dalle proprie libere decisioni, e in maniera diversa rispetto alla società in cui la cultura è il luogo in cui si uniscono e si disuniscono le persone, seguendo i loro particolari interessi.
Il terzo insegnamento di don Giussani si riferisce all’intima relazione tra la fede e il mondo, tra essa e la storia; il cristianesimo è una risposta per l’uomo moderno, nei suoi compiti enormi nello stabilire un nuovo ordine mondiale; uomini nuovi costruiscono strutture nuove, perché le loro relazioni sono cambiate per decisione libera e non a causa di meccanismi di sottomissione, di obbedienza a forze cieche. La persona è centrale nella società; né il Governo, né il partito sono proprietari della persona, e il cristianesimo consente all’uomo di affrontare le necessità con libertà, e in questo modo può agire con giustizia. La storia viva è dunque il mistero di Cristo, che unisce le persone, attraverso l’incontro, attraverso questi compiti permanenti; questa è la via della verità e della vita. I fini da perseguire, segnalati dalle ideologie, presentano il difetto della relatività totalizzante, e quindi il fallimento.
Mi sono sempre occupato di pastorale universitaria, vivendo in una Chiesa totalmente estranea al mondo universitario; alla fine ho scoperto che il cristianesimo è una esperienza, e non è invece una disquisizione teologica, uno spiritualismo o una scienza sociale. Il padre Francesco Ricci, responsabile di Comunione e Liberazione in America latina, ci ha fatto visita e ci ha insegnato, con la sua amicizia, con la sua presenza, questa via e questa esperienza. Vent’anni di vita in Perù mi hanno consentito di viaggiare attraverso tutto il paese e di approfittare quindi dei contatti per comunicare la scoperta di questo Movimento cosicché ha potuto crescere tanto che ora è presente nelle principali città del paese e nelle relative università: Lima, Trujillo, Chiclayo, Cajamarca, Huacho, Arequipa, Huancayo e Chimbote. Attraverso la fede, attraverso questa presenza, sono nate le comunità di professori e lavoratori nelle scuole superiori, in molte delle città citate; la maggior parte dei docenti si trova nei paesi, nella provincia di S. Pedro di Guadalupe. In modo speciale, desidero ricordare le numerose comunità di fanciulli nei quartieri emarginati di Trujillo; anche i genitori, le mamme fanno parte del Movimento e su loro iniziativa sono nate le mense popolari, che in qualche maniera confortano e aiutano a risolvere i gravi problemi della società peruviana.
Per gran parte degli universitari è necessario unire lo studio al lavoro e questo naturalmente limita il tempo della permanenza nell’università. I principali problemi dell’università sono creati dai partiti politici che non consentono l’introduzione di nuove idee, perché il potere è inteso come soddisfazione di ambizioni e di arricchimento personale e non come servizio; servizio invece al dogmatismo e al settarismo. Le materie di studio devono essere relative ad un solo pensiero, le persone che manifestano idee diverse o creano gruppi nuovi sono minacciate, perseguitate; impera il metodo classico del codardo che non ha altri argomenti che la calunnia e la diffamazione. Per queste ragioni, gli universitari di CL non impegnano il nome di CL nelle loro manifestazioni in università e si sono denominati "Movimento universitario cattolico".
Dopo quattro-cinque anni dell’esistenza del Movimento in Perù, hanno avuto inizio alcune piccole opere: un caffè nell’università di Troquijllo, un piccolo centro di fotocopie e copisteria nell’università di Lima, un piccolo collegio universitario nell’università di Chiclayo, l’istituzione di un teatro nell’università di Troquijllo, mense popolari nei quartieri poveri di Lima, Troquijllo e anche un centro di tessitura e confezioni in Lima. Si stanno rafforzando varie opere, tra cui quelle di suor Amelia, una religiosa che lavora nei quartieri emarginati della città di Arequipa. Il Movimento può contare anche su quattro programmi radiofonici; la più antica di queste attività viene svolta soprattutto dagli universitari a Lima, dove esiste da due anni, e costituisce una presenza importante.
Il Movimento si è esteso grazie a contatti fra persone e fra persone e gruppi; si parte sempre dall’individuo, dalla persona perché, grazie alla sua stessa disponibilità, e alla sua scelta libera, cerchi l’incontro con Cristo e con gli altri. Nei confronti di questa società fortemente segnata da comportamenti legati a interessi particolari, interessi che vengono in qualche maniera a determinare la formazione stessa dell’individuo, si è insistito in ogni momento sulla fiducia; don Giussani ha chiamato la sfiducia la malattia più terribile della società moderna. È preferibile sbagliare, fallire, commettere degli errori, e correggerli dopo, magari, perché nasca una vera esperienza assunta dalla stessa persona; quindi avere fiducia nella volontà di Cristo e riconoscere la sua presenza che dà senso all’incontro con gli altri che non sono soggetti liberati dalla casualità, ma compagni che portano in sé un destino. La presenza delle tre dimensioni di carità, missione, cultura fra i membri della comunità, è andata manifestando quella conversione delle persone che ha prodotto; la verifica del cambiamento nelle persone stesse è la realtà più palpabile, più evidente che si è andata producendo e manifestando con il tempo. Le visite alle comunità più lontane sono state per me una santificazione, un prodotto della missione; gli incontri con persone nuove che vivono e concepiscono la loro esistenza in una dimensione diversa, in una forma più comprensibile, e che generano così spazi per una umanità cambiata, mutata, rende evidente la realtà di Cristo.
Giovanna Tagliabue è nata a Carugo nel 1949. Nel 1971 lascia la professione di arredatrice e nel 1974 parte per lo Zaire dove lavora alla fondazione del Centro di Sviluppo Comunitario di Kiringye. Dal 1987 è in Paraguay nell’ambito di un progetto di cooperazione per lo sviluppo di un ospedale rurale a Villarica. È responsabile nazionale del Movimento di Comunione e Liberazione.
Tagliabue: Due frasi mi hanno colpito all’inizio della mia esperienza dell’incontro con Cristo, la prima è quella che ha detto a Zaccheo: "Scendi, oggi vengo a casa tua, voglio mangiare con te", e quell’altra quando ha detto: "Vi ho chiamato amici". L’incontro con una presenza appassionata alla mia umanità, e il conseguente riconoscimento della convenienza per la mia umanità ad aprire il mio cuore a questa gratuità, a questo bene che mi era donato, ha determinato tutta la mia vita e l’ha resa capace di aprirsi alla realtà, al mondo, senza paura. È l’incontro col vero che fa recuperare il significato di se stessi e della vita, e quindi, della vita degli altri. Ed è solo questa consapevolezza che ha comunque fatto riscoprire la vita come una vocazione, cioè una ricerca indomabile della verità di me, del mondo, degli altri, cioè della gloria di Cristo, perché ognuno di noi è chiamato a dar gloria a Cristo, là dove uno è. È questa la prima missione, è questa la verità della missione. Solo la coscienza e l’esperienza, dentro un compagnia, di questo compito, fa rendere appassionati alla vita dell’altro fino a diventargli amico e fino a dare la propria vita, come è l’esempio di tanti missionari, morti martiri in missione. La missione è proprio comunicare all’altro le origini di questa gioia, lo stupore dell’unica origine buona cui apparteniamo, e che l’unica origine, che si chiama Cristo, può rendere la vita felice. Se io sono partita solo per un impeto di umanità, adesso, dopo quindici anni di missione, posso dire che l’unica possibilità per cui uno può partire o può restare, è veramente la consapevolezza di questo amore appassionato e gratuito di Cristo alla tua persona. Ed è questa l’unica cosa che gli uomini aspettano, questo sentirsi dire chi sono io e che l’unica risposta è Cristo.
È da lì, da questa compagnia e da questa riscoperta che oggi, in Paraguay, sta crescendo, da sei anni più o meno, una compagnia di uomini felici e liberi, i quali continuano a ridirsi l’un l’altro: "Vieni con me sulla barca, perché in questa barca c’è uno che sa portarci sull’altra sponda", cioè c’è uno che ha la risposta al tuo desiderio del vero, che è al di là dell’apparenza. Per questo motivo i primi missionari sono partiti, è questo l’impeto dell’evangelizzazione operata dalla Compagnia di Gesù. Questa è stata una riscoperta grande per noi di CL del Paraguay che abbiamo scelto come tema della scuola di dottrina sociale l’evangelizzazione, dal momento che l’anno prossimo in Sud america si festeggerà il quinto centenario dell’evangelizzazione. Abbiamo voluto riandare all’origine, recuperando la nostra storia, che è iniziata con le Reducciones gesuitiche-francescane. Oggi vengono guardate secondo un’analisi sociale-economica e politica, mentre la grande ragione che permise il muoversi dei missionari e la conversione di interi popoli è dimenticata. Infatti le Riduzioni sono nate perché i missionari gesuiti, incontrando popoli indios nomadi, per il desiderio di una evangelizzazione, hanno proposto di mettersi insieme e da lì è nata una esperienza di popolo nuovo, in cui la disponibilità dell’ideale infinito fattosi esperienza, era diventato uno che abitava con loro.
Noi abbiamo pensato di esporre ciò che è rimasto dello spirito delle Riduzioni per affermare che ciò che è successo nel 1600 continuava a vivere, e che eravamo noi quelli che stavamo vivendo questa esperienza positiva della vita. Abbiamo pensato di fare una mostra di statue gesuitiche. Inizialmente si era pensato a didascalie e fotografie, poi, incontrando persone e appassionandosi a questo desiderio, è diventato un gesto culturale a livello nazionale. Ciò ha significato chiedere un sussidio all’organismo nazionale che si occupa di questi festeggiamenti. Questo ha voluto dire interpellare anche la Conferenza Episcopale Paraguayana, per poter muovere le statue che si trovano attualmente nelle chiese, ancora usate, delle riduzioni e nei musei antichi. Abbiamo realizzato un contatto diretto con la gente, col popolo; quando siamo andati a ritirare le statue ci dicevano: "Ma dove vanno i nostri santi?", perché per loro il santo è una presenza viva nel popolo, e quindi quando vedevano che arrivavamo con le casse a portargli via la Madonna o l’Arcangelo o un santo, era come strappargli qualcosa di loro; e quindi gli abbiamo spiegato il perché: che volevamo che la loro esperienza e la loro fede fossero conosciute anche nella capitale in modo che tutta la gente la potesse vedere. Questa esperienza assumeva un aspetto enorme, che superava le nostre forze, perché noi non siamo tanti, non arriviamo a duecento. Ciò ha significato un coinvolgimento, una consapevolezza, che era un miracolo grande quello che ci stava accadendo, perché il desiderio piccolo di dire agli altri chi eravamo, è veramente diventato la possibilità di un incontro grande, che ha voluto dire la responsabilità di ognuno, perché non potevano più essere i due o tre a gestire, ma era una responsabilità personale, perché volevamo che in questa mostra la gente incontrasse una presenza viva. Questo ha voluto dire che tutti hanno dato la disponibilità a fare i turni di guardia giorno e notte perché le statue sono opere d’arte e non avevamo i soldi per fare l’assicurazione. Oppure ci siamo preparati studiando i testi dei due padri gesuiti che avevano scritto l’esperienza di queste riduzioni, per accompagnare i visitatori e fargli scoprire il valore del vero che già viveva chi gli stava spiegando, e gli diceva: "Guardi che questa cosa che lei sta vedendo, siamo noi".
La mostra è stata per il Movimento una grande possibilità di incontro tanto che all’inaugurazione è arrivato il Presidente della Repubblica, ed è stato commosso da questo gesto che succedeva in Paraguay per la prima volta; anche le persone della comunità non conoscevano nulla delle riduzioni, non avevano mai visto le statue. La mostra ha stupito una città intera, tanto che alcuni vescovi, alcuni ambasciatori che sono venuti a visitarla hanno chiesto una disponibilità nostra a realizzarla in altri posti.
Abbiamo compreso che il problema non è numerico, non sono le forze fisiche o economiche, il problema è veramente il cuore con cui uno si muove, e con cui uno vive la vita con la coscienza di una definitività. Ed è questa che rende il piccolo gesto quotidiano una cosa grande; questa cosa, che per noi era un gesto semplice, è diventata una cosa grande, ma l’abbiamo vissuta con la consapevolezza, che comunque, al fondo, è Cristo che compie il miracolo: il problema è che il nostro cuore sia disponibile a questo.
Nelle università, nei luoghi di lavoro, quando insegnamo, il metodo è quello di aiutare ad aprire il cuore allo stupore del vero, cioè alla prima necessità che ha l’uomo, che è quella di sentirsi trattato da uomo. E questo vuol dire che nelle università, i ragazzi hanno inventato e creato il club del libro, che esprima il desiderio di rispondere a quelle che sono le necessità di tutti gli universitari: divertirsi, trovarsi al bar, poter avere testi economici, e quindi abbiamo realizzato delle convenzioni con le librerie, procurato uno sconto per le fotocopie, degli sconti nelle discoteche, nei bar. Tutto questo lavoro è in funzione di una appartenenza, perché comunque, incontrando una presenza, uno incontri la verità di sé; e questo è ciò che ci richiamiamo costantemente e di cui sempre più mi rendo conto (io che ho cominciato in Africa con un progetto grande di sviluppo comunitario e quindi con una pianificazione dei territori di salute pubblica, poi sono andata a Villarica in Paraguay a organizzare un ospedale, adesso sto dirigendo una scuola per infermieri dell’Università Cattolica) che il problema non è solo quello di fare delle strutture che rispondano ad un bisogno, ma quello di rispondere al bisogno di incontro con il vero, perché se ci dimentichiamo questo, le strutture cadono. Al contrario, questa grande libertà e grande fiducia nell’uomo possono veramente creare delle strutture definitive, perché create e volute da uomini liberi. Il grande messaggio di Cristo è l’unico messaggio che può sostenere la differenza linguistica e culturale, è veramente la possibilità di un’unità con tutto il mondo, di una carità e di una gratuità con quello che tu hai vicino o con quello che è lontano e che tu non conosci e che per un’obbedienza uno conosce.
Per questa mostra abbiamo preparato un video. C’è un pezzo in cui il padre Montoia racconta che era un musicista e aveva costruito diversi strumenti; il padre regionale gli aveva chiesto di costruire un organo, per poter rendere più belle e più vere le liturgie; è bellissimo leggere quando dice: "Nella mia riduzione, non avevo ferro, non avevo rame, non avevo alluminio, non avevo tutte le cose che mi servivano per costruire un organo, per cui sono andato nella missione di Tapua dove invece c’era l’altro padre che aveva tutte queste cose, e ho dovuto lasciare gli amici e gli indios e le riduzioni a cui ero affezionato, e per santa obbedienza sono diventato costruttore di organi". È bellissimo questo, perché è l’esempio dell’uomo nuovo, dell’uomo preoccupato a che il vero trionfi su quello che è il limite nostro umano. L’esperienza della missione per me è proprio l’esperienza della verità che in fondo l’unica cosa che vale nella vita è questo incontro amoroso, è questa compagnia di Cristo agli uomini, che per me è diventata una esperienza concreta, ha delle facce concrete. Cosa c’è di più affascinante o di più lieto che costruire questa bella storia che ci ha raggiunti, perché l’unica cosa di cui il mondo ha bisogno è veramente questa bella storia che ci ha raggiunti. E per questo io, quando mi hanno chiesto di venire a raccontarvi quello che sta succedendo da noi, e mi han chiesto il titolo, ho scelto: "La missione è dietro l’angolo", cioè è vicinissima ed è possibile per tutti.
Ho conosciuto l’uomo africano, ho conosciuto il sud-americano, il problema dell’uomo è uno solo: di essere amato e di essere trattato con la dignità che un uomo ha, e che Cristo ci insegna. Tutto il resto viene dopo. Voglio leggervi per questo la lettera di una ragazza, una "india-guarany" di quindici anni, che scrive queste cose dopo l’incontro con Cristo: "Non posso finire di scriverti senza dirti che veramente, in questo mondo, tutto, assolutamente tutto si distrugge, si perde al di fuori di questo sguardo. Perché? Perché è quello che mi permette oggi una amicizia con mio fratello, un affetto e un’attenzione verso i miei amici Carlos, Stella, Juan Carlos, una domanda per imparare a guardare mia madre, un desiderio che i miei compagni possano incontrare questa esperienza, e molte altre cose che io neppure avrei immaginato per me. L’unica cosa che permette tutto ciò è questo sguardo rivelatore dell’umano, attraverso alcuni volti molto concreti; ed è per questo che chiedo al Signore, che mai accada che io non dipenda da questo sguardo, perché ‘Che sarebbe di me, come dice Benson, che sarebbe della Maddalena se Cristo non fosse resuscitato, se non avesse più visto il suo amico?’". Questo vuol dire che il problema non è la razza, il problema è il cuore che fa un incontro definitivo alla vita.
Leuridan: Si è data una risposta alla domanda sulla comprensibilità del messaggio cristiano a tutte le culture dicendo che la natura umana è uguale in tutti gli uomini e che l’annuncio di Cristo è una risposta per tutti gli uomini. In questo senso, il cristianesimo possiede un annuncio proprio, originale che risponde ad una necessità fondamentale, una necessità di qualsiasi popolo, di qualsiasi cultura. L’incontro con Cristo non avviene se ci si limita agli studi, alle osservazioni delle situazioni culturali, sociali, politiche o economiche. Non è sufficiente partire da questi fenomeni per potere scoprire le vere risposte che cerca l’uomo.