La democrazia è chiamata a ritrovare orizzonti più larghi: con gli individui chiedono di essere difese le culture, le etnie, le nazionalità, le religioni, chi vive senza mura in condizioni di assoluta precarietà.

L’ambiente stesso chiede il rispetto attraverso la democrazia

Martedì 25, ore 15,30

Incontro con:

Miguel Azcueta

Emilio Colombo

Gabriele Gatti

Piot Konopka

Moderatore:

Robi Ronza

 

Ronza: Coi nostri ospiti parleremo di cosa significhi costruire la democrazia in situazioni diverse. Ascoltiamo innanzitutto il signor Azcueta, che è stato sindaco di uno dei comuni della periferia di Lima, dove proprio ha conteso a Sendero Luminoso il consenso della popolazione in nome della democrazia, e questo vuol dire rischiare la vita 24 ore su 24. Lui è fra gli uomini e le donne che scelgono questo rischio per cercare di ricostruire la convivenza umana nella periferia di Lima.

Miguel Azcueta, consigliere metropolitano di Lima (Perù), responsabile dello sviluppo delle aree di periferia.

Azcueta: Stiamo attraversando anni veramente negativi. In Perù, negli ultimi anni, sono confluite tutte le piaghe, tutti i flagelli. Stiamo vivendo una crisi economica fra le più gravi del mondo, con un tasso di inflazione annuo del 3000%. Soffriamo una violenza politica che già ha fatto 26.000 vittime sia da parte di questo gruppo fondamentalista, terrorista che è appunto Sendero Luminoso, ma anche a seguito di un’azione negativa dell’esercito e delle forze di polizia. Ma abbiamo un altro flagello: mi riferisco al narcotraffico, che continua ad essere il problema numero uno del Perù, per il tipo di economia che genera, un’economia facile, e anche per la corruzione che il narcotraffico genera nelle istituzioni e negli individui. La foglia di coca, oggigiorno, è il prodotto principale che viene esportato dal Perù, e questo verrebbe risolto se invece di consumare droghe nei paesi sviluppati, si pagassero le materie prime a prezzi normali. Abbiamo avuto anche il colera, negli ultimi anni, e il 5 aprile di quest’anno abbiamo dovuto soffrire un "golpe" civico-militare. Ma al di là di questi flagelli, vorrei parlarvi, e vorrei trasmettervi il fatto che il popolo peruviano sta costruendo una democrazia a partire dalla base. La maggior parte della popolazione desidera vivere in democrazia e non in un regime dittatoriale. Desidera l’ordine e non il caos, l’efficacia e non la corruzione, l’istituzionalità e non l’anarchia. E tutto si fa, cerchiamo di farlo, dalla partecipazione, a partire dall’organizzazione, seguendo obiettivi reali, concreti di sviluppo.

Nel quadro nazionale del Perù e nel quadro Latino-Americano, la democrazia ha perso notevolmente di prestigio, i partiti politici hanno perduto rappresentatività, non vi è istituzionalità democratica e non siamo stati in grado di arrivare alla giustizia sociale, al benessere, non abbiamo ottenuto un progetto nazionale vero e proprio e nemmeno rapporti internazionali giusti.

Se parliamo di democrazia, essa esiste solo a livello locale. Una di queste esperienze è quella di Viglia El Salvador, una comunità popolare sorta nel deserto ventun anni fa. L’obbiettivo era quello di costruire un modello di sviluppo a livello locale con la partecipazione e la responsabilità di ogni persona, costruendo progetti di sviluppo puntuali, specifici, progetti di commercializzazione, di educazione, sul tempo libero, le attività sportive e così via. L’elemento importante è l’assunzione di responsabilità su obiettivi concreti. Nel caso che sto citando, sono oltre duemila organizzazioni di base, decine di migliaia di dirigenti di base, che hanno delle responsabilità concrete.

Quando parliamo di democrazia, dobbiamo saper unire in America Latina la democrazia, l’efficacia e la giustizia sociale, costruire una istituzionalità democratica, ottenere una partecipazione con potere. Vorrei ricordare che persino i documenti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale e della Comunità Economica Europea, tutti adesso parlano di partecipazione. Noi rispondiamo che non vi è partecipazione senza potere e democrazia significa partecipazione con potere. Questa esperienza va contro un modello di liberalismo selvaggio che invece viene imposto o cercano di imporre in America Latina e nella fattispecie in Perù, e contro un modello dittatoriale fascista come quello appunto di Sendero Luminoso. Ed è per questo che negli ultimi mesi molti sono i dirigenti popolari, i sindaci popolari, gli amministratori popolari che sono stati uccisi. Ma insistiamo in questo lavoro, insistiamo su questa strada.

Io non vorrei concludere questo intervento senza fare una riflessione sul ruolo che dobbiamo giocare tutti noi che in America Latina o in Europa, nel mondo sviluppato o nel terzo mondo svolgiamo e assumiamo un’azione sociale e politica partendo da un impegno cristiano. Abbiamo l’obbligo da un lato di introdurre l’etica nella politica affinché non vi siano differenze fra ciò che diciamo e ciò che facciamo, al fine di rispettare le differenze e di rafforzare la partecipazione di tutti per essere efficaci e lottare contro la corruzione, le ingiustizie e la violazione dei diritti umani. D’altro canto ci incombe l’obbligo di essere maggiormente solidali fra tutti noi. Ogni giorno di più si parla dell’universalizzazione e dell’interdipendenza dei rapporti, delle relazioni nel mondo attuale, ma questo viene vissuto in modo diverso. Sembrerebbe che il mondo sviluppato si stia chiudendo sempre di più in se stesso chiudendo gli occhi davanti alla povertà, davanti all’ingiustizia vissute nel Terzo Mondo le quali hanno ovviamente delle cause condivise fra noi e il mondo sviluppato. In Perù sono molti i problemi ma molte di più sono le nostre speranze ed è con questa speranza nella giustizia sociale, nella solidarietà fra le persone e i popoli, nella democrazia vera autentica che continuiamo a lavorare per l’Amicizia fra i Popoli.

Ronza: On. Colombo, lei è giunto al Ministero degli Esteri trovando un bel po’ di crisi nel piatto, da quella dell’ex Jugoslavia a quella della Somalia. Siamo certi che lei si sarà fatto un programma di politica estera pur nel rispetto della coalizione di governo, delle alleanza dell’Italia, che esprima la sua identità di cattolico e di uomo che milita sin dalla giovinezza in un partito popolare. Ci può dire in sintesi il suo programma di politica estera?

Emilio Colombo, Ministro per gli Affari Esteri.

Colombo: Sono molto incoraggiato da questa brevissima sosta, mentre mi avvio verso la Conferenza di Londra, che si deve occupare di una delle più gravi crisi che abbiamo adesso. Nonostante tutte le crisi che abbiamo davanti, ritengo che questa sia una fase preoccupante ma bellissima della vita internazionale, e quindi anche del nostro paese, perché abbiamo la fortuna di assistere a delle modificazioni sostanziali della storia dell’uomo, dove è in discussione la democrazia, intesa non come una regola formale, ma come i valori dell’uomo, della persona (persona è altra cosa che uomo; quando si dice persona questo implica la definizione dell’uomo nella sua caratteristica e nella sua proprietà di individualità e di alterità, cioè i suoi fini propri e il rapporto con gli altri, democrazia è dunque difesa dell’uomo, della sua individualità, ma è anche difesa di quella che forse non sempre in modo comprensivo si dice socialità, rapporto con gli altri). Fino al 1989, la politica estera era più facile perché ci muovevamo in un quadro definito, anche se in fondo da condannare, atroce, perché la pace non era il consenso, il desiderio, la voglia di costruire. La pace era un equilibrio basato sulla forza, sugli armamenti. da una parte l’impero sovietico, dall’altra non un impero, ma una alleanza di nazioni legate dal valore della democrazia, pur trattandosi di interpretazioni diverse della democrazia. In quella parte dell’Europa e del mondo che ha vissuto come sotto una coltre, i popoli non hanno perduto le loro caratteristiche, la loro cultura, la loro nazionalità, e quindi i loro nazionalismi ed ora tutto questo emerge. Dall’altra parte noi, avendo visto i limiti dei nazionalismi e della dittatura, stiamo costruendo l’integrazione europea. La politica estera oggi è difficile, perché bisogna costruire un nuovo ordinamento, fondato sulla pace, gli equilibri, la libertà, la democrazia. E’ brutto constatare tutto quello che c’è di negativo, ma il cristiano, messo di fronte a questa realtà, può costruire, deve costruire: "Beati gli operatori di pace perché possederanno la terra". Operatori! Ciò vuol dire che bisogna lavorare.

Ronza: Un osservatore esterno una volta ha detto: "Il Meeting è un posto dove spesso la storia passa prima". Passa prima perché noi cerchiamo di mantenere i rapporti con il resto del mondo. Le chiedo tre flash su Jugoslavia, Somalia e Iraq.

Azcueta: Volevo sapere qualcosa sui rapporti fra l’Italia, la Comunità Europea e l’America Latina, perché sentiamo, rileviamo l’importanza che ha l’Europa nel suo insieme e anche i cambiamenti che si stanno producendo nell’ex Europa dell’Est, nell’ex blocco socialista. Noi nel continente latinoamericano abiamo una democrazia formale da oltre centocinquantanni, i mali che citavo prima non sono il frutto di un sistema socialista, ma di un sistema democratico mal gestito. Le chiedo: qual è la posizione dell’America Latina nella visione europea attuale, e soprattutto in modo concreto nella visione italiana?

Colombo: Comincio dal rapporto fra Comunità europea, Italia e America Latina. Senza fare retorica, questi rapporti si basano sul fondamento di una comune civiltà, basti pensare agli italiani che ci sono in questi Stati dell’America Latina dove ci sono esperienze di dittatura, esperienze di democrazia formale, ed esperienze anche di democrazia sostanziale. Una di queste esperienze per esempio è la riconquista della democrazia nel Cile da parte dei democratici cristiani sotto la presidenza Aylwin; mi pare sia una esperienza riformista come era stata quella di Frei, il quale aveva affrontato anche i temi della riforma agraria. Ma vi sono altre esperienze che non sono altro che una trasposizione, dietro la facciata della democrazia, di forme di capitalismo che noi non potremmo accettare. Molto spesso compaiono i generali. Noi abbiamo sempre aiutato i paesi che lottavano per riemergere da esperienze non accettabili verso la vita democratica, e in ogni caso vogliamo mantenere sempre un rapporto di solidarietà. Sul piano economico con la Comunità Europea ci sono alcune cose che ci dividono, per esempio talvolta la politica agricola: perché il tipo di politica agricola che abbiamo in Europa non coincide con il tipo di politica agricola che vorrebbero molti paesi dell’america Latina. Poi noi facciamo cooperazione, investimenti, forse non abbastanza, ma lo facciamo, ed è questo rapporto che vogliamo mantenere.

Quanto all’Iraq io posso auspicare che si tutelino le minoranze, o quelli che hanno una religione o un’etnia diversa da quella dominante: Sciiti da una parte e i Curdi dall’altra parte. Perché se non lo facesse quel paese e ci fosse un genocidio anche lì come c’è altrove, voi dovreste insorgere. Credo però che si debba operare nel senso di non lasciare che i popoli o i credenti di altra fede religiosa, o diverse etnie siano conculcate, siano compresse in un paese da chi ha una concezione religiosa diversa. Voglio dire una cosa: non confondiamo gli Arabi fra di loro, perché ci sono delle diversità profonde. Non credo che gli arabi sarebbero felici di un dominio incontrastato, magari attraverso il possesso delle armi nucleari, dell’Irak, rispetto all’Arabia Saudita, al Kuwait, e soprattutto non crediamo che questa sia la pace nel Medio Oriente, perché nel Medio Oriente ci sta sempre Israele. E nel momento in cui si aprono le vie della pace in questa zona così tormentata, o sembrano aprirsi, bisogna non avere idee confuse.

Sulla Somalia. Nelle settimane scorse qualcuno ha detto: "Abbiamo nostalgia dell’Italia. Nostalgia, perché ci sono rapporti di amicizia, perché parliamo l’italiano, perché l’Università è stata costruita a Mogadiscio con mezzi italiani. La delusione perché ci hanno lasciato". Noi abbiamo dovuto abbandonare la nostra presenza e l’opera di soccorso quando era diventata assolutamente non garantita la vita di coloro stessi che dovevano operare per il soccorso delle popolazioni: due volte ci hanno distrutto l’Ambasciata. Dopo avere letto queste dichiarazioni io ho ritenuto di dover dare questa risposta: voi sentite questi legami con l’Italia, noi li sentiamo con la Somalia. Noi non vogliamo operare alcuna interferenza di carattere politico né imporre alcuna soluzione (lamentavano che la politica italiana precedentemente fosse stata unilaterale, cioè favorevole ad una delle parti in lotta). Noi non vogliamo imporre alcuna soluzione, se però c’è una tessitura da fare, se c’è un filo da ricollegare per aprire il discorso fra tutte queste fazioni in lotta, io, Ministro degli Esteri Italiano, sono pronto a venire in Somalia. Abbiamo finanziato il ponte aereo dell’Unicef, dando cinque milioni di dollari per il soccorso ai bambini, altri trenta al piano dell’Onu per i soccorsi alle popolazioni, ma se non si può passare e se si spara su coloro che portano l’aiuto, allora non si fa nulla. Quindi cercheremo di tessere la tela del consenso fra le parti in lotta.

Infine, la ex Jugoslavia. Io sostengo la tesi di intese operative: cessate il fuoco, rafforzare l’embargo per costringere a negoziare, rendere effettivo l’isolamento di coloro che non vogliono negoziare, e quindi il non riconoscimento sul piano internazionale di questi stati, o di questa federazione, e poi mandare anche dei nostri militari, insieme con la Francia, con l’Inghilterra, con altri ecc. per proteggere i convogli che trasportano gli aiuti alimentari, per costringere ad eliminare i campi di concentramento e per fare ritornare i profughi nelle zone di origine. E poi trattare su come si deve sistemare la Bosnia e l’Erzegovina. Se la Conferenza di Londra, che sta per iniziare, fosse questo sarebbe un successo.

Ronza: E’ presente il Segretario per gli Affari Esteri della Repubblica di S. Marino, On. Gatti, che porta il saluto della Repubblica di San Marino, diventata di recente membro dell’ONU.

Gabriele Gatti, Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino.

Gatti: La Repubblica di S. Marino è una piccola Repubblica che pure vanta sedici secoli di vita autonoma, e oggi, con la piena partecipazione agli organismi internazionali, è a pieno titolo una realtà di diritto internazionale. Ma San Marino, nell’ambito di questi orizzonti più ampi, è rimasto ancora e soprattutto un riferimento ideale. Se non proprio il "mito" esaltato mirabilmente da Aldo Garosci sicuramente si tratta dell’idea della Repubblica intesa come esercizio democratico del potere di cui tutti possono essere pienamente partecipi. E ciò significa che non è utopia il proclamato diritto degli Stati, quindi dei cittadini, a mantenersi liberi ed indipendenti, anche senza le armi, anche senza forze economiche, rispettati dalla comunità internazionale, sicuri di non essere condizionati né da fatti politici, né da situazioni economiche. E proprio da una Repubblica che trae la sua ragion d’essere dalla forza del diritto e che vuole essere riferimento ideale, non può non provenire in ogni sede internazionale, dalle Nazioni Unite alla Conferenza sulla Sicurezza della Cooperazione in Europa, al Consiglio d’Europa, una voce che non può mai essere sterile neutralità, ma che deve sempre affermare le ragioni del diritto, della pace, della giustizia, degli elementari diritti umani.

Ha scritto Dante che l’Inferno riserva le sue fiamme più ardenti a coloro che restano neutri nei tempi di grande crisi morale. Ebbene, credo che tutti noi, ognuno nel ruolo che ricopre, in questa società opulenta, non possiamo e non dobbiamo mai rimanere neutri ed insensibili di fronte alle immagini atroci di uomini che muoiono in guerra, che addirittura alle soglie del 2000 sono segregati in campi di concentramento, di bambini che muoiono di fame.

La Repubblica di San Marino come del resto voi amici del Meeting, crede nella forza delle idee, del diritto per cui fino a quando ci saranno uomini di buona volontà, uomini disposti a sacrificare qualcosa di proprio, ogni battaglia può essere vinta. Sono cadute dittature che sembravano invincibili, non con la forza delle armi ma con la grande forza delle idee. Non sono state le armi sofisticate dei nostri tempi a distruggere il Muro di Berlino, ma la testimonianza, la consapevolezza della forza ideale. Quando il 21 Novembre 1990, venne firmato dai paesi membri della CSCE e quindi anche dalla Repubblica di San Marino, la carta di Parigi per una nuova Europa, l’impressione generale era quella di avere raggiunto il traguardo, eppure pochi mesi dopo la guerra del Golfo, e poi ancora la tragica situazione della ex Jugoslavia hanno dimostrato il contrario. Forse i gravi problemi del momento che noi stiamo vivendo, le mancate o le precarie difese delle culture, delle etnie, delle nazionalità, delle religioni, dei diritti elementari della persona soffrono anche per insufficiente senso di tolleranza che si irrobbustisce e si consolida sempre attraverso l’esercizio della democrazia. Machiavelli ha scritto alcune ricette di buona democrazia. Quella che più mi piace è l’affermazione secondo la quale gli ordinamenti di uno Stato sono fermi cioè sicuri e garanti quando ognuno "ci ha sopra le mani". Ogni cittadino deve cogliere questa sfida. Perché la democrazia ritrovi orizzonti più larghi ognuno deve avere le mani sopra il potere nella difesa dei suoi diritti di uomo e nel rispetto e nella tolleranza dei diritti degli altri.

Piot Konopka, già collaboratore di Walesa e Ministro di Stato nell’Ufficio presidenziale, dal dicembre 1990 è segretario generale dell’Unione Democratica. E’ membro del parlamento polacco.

Konopka: Forse mai fino ad ora il problema dei valori ci è stato tanto chiaro sul proscenio internazionale. Si è parlato molto di democrazia, democrazia vista come valore. Ma qual è il vero contenuto di questo valore? Io penso che abbia a che fare con tre cose:

1. La fedeltà alla verità. Questo significa riscoprire la verità che è stata oscurata per anni e la verità che non era vissuta in piena luce o alla luce del sole;

2. Una certa giustizia reciproca, oserei dire, tra i cittadini, tra la maggioranza e le minoranze. Giustizia che è una delle più rare virtù della condizione umana;

3. Un impegno che si avvicini molto al termine di responsabilità. Responsabilità che spessissimo viene sostituita da un sentimento di stanchezza o di noia a causa di certa mancanza dell’istinto di responsabilità. Robi Ronza mi ha chiesto qualcosa sull’apporto o meglio, gli apporti della Polonia all’Europa. Anche tra di noi ci facciamo la stessa domanda: qual è il nostro posto nell’economia del libero mercato, nell’economia mondiale? Affrontiamo qui vari nodi, anzi vari dilemmi. Per oltre un millennio la Polonia è vissuta latina, cattolica e occidentale. Però due generazioni, le due ultime sono vissute in un sistema che ha rifiutato, calpestato i valori primi che abbiamo vissuto per il millennio precedenti. L’Europa è cambiata anche in questi ultimi anni, ha ritrovato la propria via, la propria strada per autorealizzarsi. Io penso che dobbiamo portare all’Europa ingrandita l’identità del Paese, con una storia, con una tradizione, con una cultura propria e con dei valori che mancano o si stenta a trovare nell’Europa unita di oggi. Forse era più facile parlare di tutto questo all’epoca di Solidarnosc, dire: abbiamo qualcosa da offrire all’Europa. Possiamo offrirvi il nostro sentimento di responsabilità per i fratelli ancora oppressi, possiamo offrirvi questo sentimento di collaborazione, possiamo apportarvi questa ricerca di valori. Dopo tre anni dalla conquista della nostra libertà, la risposta è ancora più difficile e complessa. Infatti la democrazia appena introdotta ha anche introdotto delle posizioni, dei modi di pensare, delle ottiche, che sono molto specifiche, che attengono al capitalismo selvaggio, e inoltre, la battaglia costante dei partiti politici fra di loro, le divergenze costanti nelle opinioni politiche. Spessissimo c’è il sentimento, da noi, che la situazione è diventata troppo complessa in Polonia, che i Polacchi non sono insomma capaci o in grado di autogestirsi fin dall’inizio o almeno in modo efficiente, che questi polacchi, tutto sommato, non sono preparati a vivere in uno stato di economia libera. Ebbene, penso che questo sia sbagliato, penso che questo punto vada chiarito. Infatti la democrazia è come il prato inglese. Il prato inglese è bello, e richiede tempo, tanto tempo e tanto lavoro. La vostra democrazia infatti è il frutto di decenni di lavoro, di sperimentazione, anzi a volte centinaia di anni, se vogliamo parlare degli inglesi. In Polonia la rottura, il periodo di rottura è durato abbastanza a lungo, sicché dobbiamo ricominciare da zero. Due o tre generazioni sono vissute senza conoscere i sistemi del mercato libero. Per questo a volte in Polonia si dice una cosa molto triste, che c’è un residuo del cosiddetto "homo sovieticus". Non so se in Polonia ci sia più residuo di homo sovieticus che negli altri paesi dell’Europa cosiddetta orientale ma penso che la Polonia, grazie alla sua tradizione e cultura cattolica, abbia ancora una mentalità e un senso dell’uomo libero, dell’uomo che noi possiamo conoscere e di un uomo che si adatta facilmente alle norme di una vita normale. Io penso che stiamo affrontando una svolta storica con vari conflitti: il conflitto nell’ex Jugoslavia è un caso, il peggiore, ma altri conflitti possono esplodere, non solo nazionali, ma anche economici, che possono avere un potenziale altrettanto pericoloso.

Una delle responsabilità dell’Europa è di impegnarsi non come o in qualità di paesi stranieri ma come paesi della stessa famiglia europea che sono corresponsabili dell’Europa centrale e orientale, dell’Europa balcanica, allo stesso modo in cui noi polacchi ci sentiamo responsabili verso la cultura europea. Circa i problemi ritengo debbano essere "europeizzati". E’ nota la cattiva tradizione nei rapporti tra Polonia e Germania. In Polonia quando si trattava del problema dell’adesione al mercato comune o del trattato tra Polonia e Germania, molti sostenevano che bisognava diffidare dei tedeschi perché è uno stato potente. La risposta è stata: ci sono due possibilità: o l’Europa germanizzata o la Germania europeizzata. Ho ascoltato con attenzione l’On. Colombo quando ha insistito sul valore dei negoziati, sul valore del contatto diretto tra le parti in conflitto. Però penso che la vera soluzione per la crisi Jugoslava o le altri crisi che possono sorgere è di non lasciare sole le parti in lotta: bisogna parlare con loro, bisogna impegnarsi con loro, non accanto o a fianco di una delle parti in conflitto, impegnarsi con una responsabilità europea comune.

Il futuro dell’Europa, secondo me sta nel ritorno alle radice romane, alle radici mediterranee, quando l’Europa era unita dalla struttura stessa di una medesima civiltà, era un continente in pieno slancio, in pieno sviluppo. Abbiamo vissuto poi il periodo della spartizione dell’Europa, della divisione dell’Europa come il periodo più pericoloso della storia. E la mia domanda è: saremo capaci di superare questo iato? E’ lì che bisogna dare una risposta vera: vogliamo veramente eliminare le barriere, le lacune, i vuoti, gli steccati alzati dai due sistemi frontisti?