Lo sviluppo è il nuovo nome della pace
In collaborazione con Unioncamere
Sabato 29, ore 10.30
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Relatore:
S. Ecc. Mons. Jean Luis Tauran, Segretario per i Rapporti con gli Stati
Tauran:
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i Papi, nella ricorrenza del 50° anniversario della sua proclamazione
1. Sono passati cinquant’anni, dal 10 dicembre 1948, quando l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, composta allora da 58 Stati, proclamava solennemente la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essa fu adottata senza alcuna opposizione. Da quella data, il testo è stato spesso citato, e io mi domando se è stato anche letto abbastanza... Dopo cinquant’anni, forse si sono percepiti troppo i diritti dell’uomo unicamente attraverso le loro molteplici violazioni. Questo anniversario è dunque un’occasione propizia per riflettere su tutto ciò che di positivo noi dobbiamo a questo testo, su tutte le iniziative al servizio dell’umanità che ha ispirato, e sul cammino che resta da percorrere. Nella mia qualità di segretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, vorrei ugualmente profittare dell’occasione che mi viene offerta per illustrare rapidamente l’atteggiamento che i Papi, succedutisi dal 1948 ai nostri giorni, hanno adottato di fronte a questo storico documento.
2. La Dichiarazione del 1948 non è la costruzione teorica di qualche filosofo o teorico del diritto: essa è stata, innanzi tutto, un grido di disperazione e di speranza dell’umanità dopo le due guerre mondiali. Un’umanità sconvolta dai milioni di soldati caduti sui campi di battaglia, dai milioni di civili innocenti uccisi, dalle masse di popolazioni gettate sulle vie dell’esodo. Un’umanità prostrata davanti alle fosse comuni dei campi di sterminio e spaventata dalla bomba atomica. Credo che, per comprendere questo testo, occorra avere nella mente il grido degli uomini e delle donne del 1948: "mai più questo!". Il secondo considerando della Dichiarazione è evocatore: "il disconoscimento e disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità". Occorre dunque lavorare, continua il testo, per "l’avvento di un mondo dove gli esseri umani godono della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno".
3. In cinquant’anni, la Dichiarazione ha senza alcun dubbio portato dei frutti:
- la definizione dei diritti primari, quali l’uguaglianza e la libertà di ogni persona, la non discriminazione, la difesa della vita umana, la sicurezza personale, l’integrità fisica;
- il consolidamento dei diritti civili derivanti dalla dimensione sociale della persona umana;
- l’affermazione dei diritti politici che si incarnano nella libertà di pensiero, di espressione e di associazione;
- i diritti economici, sociali e culturali, con l’accento messo, in particolare, sul diritto al lavoro e alla libertà sindacale.
Tutti questi principi trovano la loro origine nel testo del 1948 e sono stati oggetto di dibattiti e di convenzioni che attestano che la persona umana è divenuta un riferimento centrale del diritto internazionale. E ciò a tal punto che la tutela dei diritti umani è ormai uno dei limiti alla sovranità statale: uno Stato non può più invocare il principio di "non ingerenza negli affari interni" per dispensarsi dall’effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali di ciascuno dei suoi cittadini!
4. Nel 1993, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha convocato a Vienna una "Conferenza mondiale sui diritti dell’uomo". Fu un’occasione particolarmente significativa perché la comunità internazionale affermi forte e chiaro che questi diritti sono indivisibili e universali, poiché non sono concessi da nessuno: essi derivano dalla comune natura umana e dall’uguale dignità di ciascuno. Questi diritti e queste libertà, radicate nella natura umana, precedono il diritto positivo che ne è l’espressione. L’art.1 della Dichiarazione non esita ad affermare: "tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
Da questa convinzione fondamentale derivano tre conseguenze: i diritti dell’uomo sono indivisibili, universali e interdipendenti. Indivisibili, perché non si può invocare un diritto per giustificare la violazione di un altro. Universali, poiché derivano dal fatto che gli uomini partecipano della stessa natura. Interdipendenti, poiché i diritti civili e politici non sono effettivamente assicurati all’uomo se non quando egli possa di fatto godere dei suoi diritti economici, sociali e culturali. E ciò senza che una cultura, una congiuntura politica o una crisi sociale possano dispensare dal loro rispetto effettivo da parte di tutti.
5. Questi diritti dell’uomo proclamati, codificati e messi in pratica, costituiscono allo stesso tempo il più solido fondamento della pace tra le nazioni. Essi aprono la via verso la solidarietà umana. L’art.28 della Dichiarazione è eloquente al riguardo: "Ogni uomo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati". I diritti dell’uomo rendono, in effetti, l’umanità più unita poiché essi concernono le aspirazioni di ogni uomo a vedere rispettata la propria dignità naturale, anteriore ad ogni potere umano. In un mondo fatto dall’uomo e per l’uomo, è imperativo che tutta l’organizzazione della società riposi sulla dimensione umana. Nessun popolo, nessuna razza, nessun gruppo umano dovrebbe d’ora in poi veder frustrati i propri diritti alla vita e alla libertà in tutte le loro forme da una potenza o da una istituzione, sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale. Laddove i diritti dell’uomo sono violati, è la pace che è messa in pericolo. Dove la pace non esiste, il diritto perde la sua dimensione umana: il diritto favorisce la pace e, a sua volta, la pace favorisce il diritto. E fondare la pace sui diritti dell’uomo equivale a fondarla sulla giustizia: "opus justitiae pax". Abbiamo qui tutta una dinamica della pace, compresa come dono del meglio di sé, come attenzione all’altro, come moralità politica. Una pace, dunque, che è molto più che assenza di guerra. Rispettare l’uomo in tutte le sue dimensioni significa in qualche modo dare un’anima a questo grande corpo dell’umanità, di cui le istituzioni internazionali costituiscono l’ossatura.
6. Questo lungo e perseverante sforzo della comunità internazionale a favore del bene concreto dell’uomo ha trovato il sostegno della Chiesa cattolica, manifestato continuamente dai Papi, dai rappresentanti pontifici presso le diverse istanze internazionali, dagli episcopati, dalle università cattoliche e da numerose organizzazioni internazionali cattoliche. Ciò non dovrebbe sorprendere: in fondo, parlare dei diritti dell’uomo significa affermare un bene comune dell’umanità, lavorare alla costruzione di una comunità fraterna e adoperarsi per un mondo "ove ciascuno sia amato e aiutato, come suo prossimo, suo fratello", per riprendere l’espressione dell’Enciclica Populorum progressio del papa Paolo VI (n. 82).
Non ho l’intenzione di fare una lista di tutti gli interventi dei Papi e della Santa Sede dal 1948 ad oggi. Sarebbero troppi per essere evocati anche brevemente. Desidero semplicemente segnalarvene alcuni, che mi sono sembrati particolarmente significativi.
Se Pio XII è stato discreto nelle sue dichiarazioni pubbliche sul testo del 1948, non si possono dimenticare le parole vigorose sulla dignità dell’uomo contenute nella sua enciclica Summi Pontificatus, del 20 ottobre 1939, né i suoi messaggi di Natale del tempo di guerra (penso in particolare a quelli del 1942 e 1944). La storia sarà un giorno più giusta al suo riguardo, ne sono convinto, per conoscere ciò che egli si sforzò di fare a favore degli ebrei perseguitati, e di cui gli undici volumi di "Actes ed Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale" danno un’idea. Avendo davanti agli occhi ciò a cui conducevano certe ideologie, egli sottolineò nel 1945 la grandezza della persona umana, "che Dio ha posto alla sommità dell’universo visibile facendola, nell’economia come nella politica, la misura di tutte le cose" (lettera alla 32ma Settimana sociale di Francia, 14 luglio 1945). E, nel 1950, rivolgendosi al Katholikentag di Berlino, egli dichiarò: "Prima del potere, la fede pone il diritto e soprattutto i diritti dell’uomo e della sua famiglia. Questi sono originari e inalienabili, indipendenti da ogni potere terreno, anche dallo Stato. Lo Stato ha il dovere di riconoscerli e di difenderli. Per nessun motivo essi possono essere sacrificati al bene comune, ed è per questo che essi fanno parte integrante dello stesso bene comune".
Papa Giovanni XXIII, nella sua enciclica Pacem in terris dell’11 aprile 1963, consacra numerosi punti della Dichiarazione del 1948. I nn. da 12 a 26 sono al riguardo significativi. Essi trattano del diritto all’esistenza e ad un livello di vita decente; dei diritti relativi ai valori morali e culturali; del diritto di onorare Dio secondo la giusta esigenza della retta coscienza; del diritto alla libertà della scelta di uno stato di vita; dei diritti relativi al mondo economico; del diritto di riunione e di associazione; del diritto di emigrazione e di immigrazione; dei diritti di ordine civico. D’altronde, sin dall’inizio dell’enciclica si può leggere: "In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili" (n. 5). Queste convinzioni hanno impegnato senza alcun dubbio i dibattiti del Concilio Vaticano II e permesso la redazione della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes e della Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.
L’insegnamento di Paolo VI a favore dei diritti dell’uomo è stato estremamente forte. Ho citato poco prima la sua enciclica Populorum progressio. Ma vorrei menzionare il bellissimo messaggio indirizzato alla Conferenza di Teheran per il 20° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell’aprile 1968, e citare il suo Messaggio del 13 dicembre 1973 all’ONU, in occasione del 25° anniversario della stessa dichiarazione: "Noi vogliamo ancora una volta cogliere l’occasione per esprimere la nostra grande fiducia, e nello stesso tempo il nostro fermo accordo, per ciò che riguarda l’impegno costante dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la promozione sempre più precisa, più autorevole e più efficace, del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo... La Chiesa, prima di tutto preoccupata dei diritti di Dio... non potrà mai disinteressarsi dei diritti dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza del suo creatore. Essa si sente ferita allorché i diritti dell’uomo, qualunque essi siano, siano misconosciuti e violati".
Nel suo storico discorso alla sede dell’ONU, il 2 ottobre 1965, Paolo VI, dopo aver fatto l’elogio della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, "pietra miliare posta sulla strada lunga e difficile del genere umano", precisa così il suo pensiero: "Questa Dichiarazione, in effetti, ha toccato realmente le radici molteplici e profonde della guerra, nel suo significato primario e fondamentale, sorge e matura laddove i diritti sono violati. Vi è là una nuova visione, profondamente attuale, più profonda e più radicale, della causa della pace" (n. 12).
Ma di tutti i Papi, dal 1948 ai nostri giorni, Giovanni Paolo II è colui che, senza ombra di dubbio, si è più spesso riferito alla Dichiarazione del 1948 e ai diritti dell’uomo in generale. Poco meno di due mesi dalla sua elezione al pontificato, indirizzò un messaggio al segretario generale delle Nazioni Unite in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione e vi consacrò un lungo paragrafo della sua prima enciclica Redemptor hominis, del 4 marzo 1979, al testo del 1948 e ai diritti dell’uomo (n. 17). La sua prima visita alla sede delle Nazioni Unite, il 2 ottobre 1979, fu per lui l’occasione di menzionare la Dichiarazione e di attingere una specie di "lista" dei diritti umani, cambiandone un po’ l’ordine di presentazione. Dei primi cinque diritti che figurano nel testo del 1948, egli non ritiene che il diritto alla vita, tanto è vero che, più che i diritti dell’uomo, il Papa difende la dignità dell’essere umano. Non posso qui esporre tutto il ricco insegnamento del Papa al riguardo. Occorrerebbe ricordare diverse delle sue encicliche, i suoi discorsi rivolti agli ambasciatori venuti per presentare le loro lettere credenziali e tanti altri discorsi di circostanza, penso in particolare a quelli pronunciati in occasione delle visite pastorali fuori Roma. Mi limiterò tuttavia a citare ciò che Giovanni Paolo II diceva al Corpo diplomatico riunito per la presentazione degli auguri, il 9 gennaio 1989. Riferendosi alla Dichiarazione che ci interessa, egli commentava: "Nella misura in cui essa è stata voluta ‘universale’, questa Dichiarazione riguarda tutti gli uomini, in tutti i luoghi. Malgrado le reticenze, ammesse o meno da certi Stati, il testo del 1948 ha messo in rilievo un insieme di nozioni - impregnate della tradizione cristiana (penso in particolare alla nozione di dignità della persona) - che si è imposta come un sistema universale di valori". Più avanti, il Papa precisa: "Dalla natura stessa dell’uomo derivano il rispetto della vita, dell’integrità fisica, della coscienza, del pensiero, della fede religiosa, della libertà personale di ogni cittadino; questi elementi essenziali all’esistenza di ciascuno non costituiscono l’oggetto di una ‘concessione’ dello Stato che ‘riconosce’ solamente queste realtà anteriori al proprio sistema giuridico e che ha il dovere di garantirne il godimento. Questi diritti sono quelli della persona, necessariamente inserita in una comunità, poiché l’uomo è sociale per natura. La sfera inviolabile delle libertà deve dunque includere quelle che sono indispensabili alla vita di quelle cellule di base che sono la famiglia e le comunità dei credenti: è nel loro seno che si esprime questa dimensione sociale, dell’uomo. È dovere dello Stato assicurarne il riconoscimento giuridico adeguato". Credo che sia stato detto tutto!
7. La Dichiarazione del 1948 ha dunque raccolto la stima della Chiesa cattolica. La Santa Sede non aveva mancato, a tempo opportuno, di esprimere la sua perplessità per l’assenza della menzione di Dio. E gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi dell’America latina insistettero, quindi, per tale menzione. Il Brasile propose che l’art. 1 affermasse che tutti gli uomini "sono creati a immagine e somiglianza di Dio". Ma la proposta fu immediatamente avversata dall’Ecuador, Francia e Russia... Si è dunque optato in favore di un vago razionalismo internazionale e laico! Il contenuto del testo tuttavia è parso globalmente accettabile. Se lo si confronta ad esempio con la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, si è costretti a riconoscere che il testo del 1948 è molto meno individualista, riconoscendo i diritti sociali dell’uomo e i diritti delle collettività umane: la famiglia, la scuola, la religione, le associazioni e i raggruppamenti di persone. L’art. 3 menziona "il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona" e per "ogni individuo". L’art. 18 definisce positivamente la libertà di religione: il diritto alla manifestazione ufficiale, pubblica e collettiva del culto; il compimento dei riti; il diritto all’insegnamento religioso. La sola divergenza dottrinale riguarda il "diritto al divorzio", evocato in maniera indiretta dall’art. 16 che parla di "uguali diritti" dell’uomo e della donna "riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento". Ciò che senza dubbio fece scrivere a Giovanni XXIII nella Pacem in terris: "Su qualche punto particolare della Dichiarazione sono state sollevate obiezione e fondate riserve. Non vi è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità internazionale mondiale" (n. 75).
È vero anche che il terzo alinea dello stesso art. 16 afferma che "la famiglia è il nucleo naturale della società e dello Stato". Infine, è opportuno rilevare che, contrariamente a un testo come la Dichiarazione francese del 1789, quello del 1948 limita i diritti attraverso il riconoscimento dei doveri. "Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità", leggiamo nel primo alinea dell’art. 29, che precisa nel paragrafo seguente: "Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica". Si può senza dubbio ritrovare in queste linee una visione personalista dell’uomo e della società che il magistero pontificio non ha cessato di insegnare e di approfondire dal 1948 fino ad oggi!
8. Per un cristiano, i diritti dell’uomo sono evidentemente relativi ai diritti di Dio, poiché la creatura è sempre debitrice del suo Creatore. Papa Giovanni Paolo II si è espresso in modo vigoroso su questo tema in occasione della sua visita pastorale in Brasile nel 1970. Rivolgendosi al Presidente della Repubblica, non ha esitato ad affermare che, perché siano rispettati i diritti fondamentali della persona umana totale, "non bisogna farli passare davanti ai diritti di Dio, né dimenticare i doveri che loro corrispondono". Il cristiano sa per esperienza che la signoria di Dio conduce alla scoperta della realtà dell’uomo. Pascal lo ha detto mirabilmente in uno dei suoi Pensieri: "Non solamente noi non conosciamo Dio che per Gesù Cristo, ma noi non conosciamo noi stessi che per Gesù Cristo".
La Santa Sede non ha mai mancato di sottolineare nei suoi interventi sulla scena internazionale che la tutela dei diritti e delle libertà di ogni persona umana trova la propria solidità nella "legge non scritta della coscienza", come lo ricordava Papa Giovanni Paolo II, il 10 gennaio scorso, ai diplomatici venuti a presentargli i loro voti per il nuovo anno. E citava la sua enciclica Centesimus annus: "Se non esiste alcuna verità ultima che guida e orienta l’azione politica, le idee e le convinzioni possono essere facilmente sfruttate a beneficio del potere" (n. 46). È per questo che il magistero dei Papi ha preferito l’espressione "diritti fondamentali" piuttosto che quella, più vaga, di "diritti dell’uomo". I Pontefici non hanno certo attinto la loro dottrina dei diritti dell’uomo dalle ideologie politiche o dai testi internazionali, ma nella rivelazione cristiana, poiché "Gesù conosceva ciò che c’era nell’uomo" (Gv 2,25).
Così si spiega l’intensità dell’impegno della Chiesa cattolica a favore della difesa dei diritti umani fondamentali. Penso in particolare al lavoro ammirevole di tanti missionari di cui nessuno sentirà mai parlare e che, non di meno, giorno dopo giorno, lottano perché i più poveri siano rispettati nella loro dignità e siano difesi da tutti gli attacchi contro la vita in tutte le sue dimensioni. Penso anche a tutta l’azione dei rappresentanti pontifici che fanno ascoltare la voce della Santa Sede nelle istanze internazionali affinché la libertà di religione sia effettivamente riconosciuta come una libertà fondamentale e sociale. Una menzione speciale va fatta, a tale riguardo, all’azione perseverante delle delegazioni della Santa Sede alle diverse riunioni della Conferenza sulla cooperazione e la sicurezza in Europa, che ha permesso la redazione di articoli particolarmente adeguati nel documento di Vienna del gennaio 1989, che rappresenta ciò che di meglio un testo internazionale ha prodotto in materia di libertà di coscienza e di religione. Penso ancora a tutto ciò che la Chiesa continua a fare a favore della difesa dei rifugiati e dei migranti. Vorrei menzionare anche l’impegno di questo pontificato per la difesa delle culture e delle minoranze: i discorsi del papa Giovanni Paolo II nella sede dell’UNESCO nel 1980 e dell’ONU nel 1995, resteranno a questo riguardo dei testi storici. Permettetemi, infine, di segnalare che, a volte, anche la Santa Sede fa opera di innovazione quando propone concetti inediti come "il diritto di ingerenza umanitaria", di cui l’attuale Pontefice si è fatto araldo, davanti alla FAO, nel 1992: quando un conflitto mette in pericolo i diritti più fondamentali delle persone e delle comunità - il diritto alla vita, alla sopravvivenza e al nutrimento -, allora le persone non possono restare indifferenti e nessuno Stato può trincerarsi dietro il principio della non ingerenza nei suoi affari interni.
9. Ho avuto l’onore di rappresentare la Santa Sede, nel mese di marzo scorso, alla 54ma sessione della Commissione dei diritti dell’uomo a Ginevra. Nel mio intervento ho dichiarato: "Si potrebbe dire che, se la Dichiarazione del 1948 fosse stata pienamente rispettata e messa in opera, essa avrebbe potuto rappresentare un eccellente strumento di ‘diplomazia preventiva’: mettendo l’uomo, la sua libertà, il suo benessere e il suo sviluppo totale davanti a tutto, si sarebbe evitato senza dubbio il ripetersi degli abusi di cui è stato costantemente oggetto durante gli ultimi cinquant’anni. Sì, è sempre triste constatare come gli uomini sappiano così poco apprendere le lezioni della storia, lontana o recente. Si ricade facilmente negli stessi errori... Durante questi ultimi cinquant’anni, molti testi internazionali sono stati, coscientemente o no, ignorati o violati. E tuttavia essi erano là per indicare la strada". Bisogna convenire con Heidegger che "nessun epoca, più della nostra, non ha saputo ciò che è l’uomo" (Martin Heidegger, Kant e il problema della metafisica).
È dunque essenziale, mi sembra, che un dibattito permanente abbia luogo su queste questione fondamentali che riguardano l’uomo, chiunque sia e dovunque sia, perché i fatti corrispondono sempre meglio ai principi tante volte proclamati e ai testi solennemente adottati. È per questo che non posso terminare questo mio intervento se non augurando che i diritti dell’uomo elaborati, codificati, difesi e celebrati possano costituire la lingua comune dell’umanità per oggi e per domani!