lunedì 24 agosto, ore 11

INDUSTRIA SPORT SPONSOR

partecipano:

Attilio Consonni

responsabile delle relazioni estere della Coca-Cola, dirigente della Federazione Italiana Gioco Calcio

Paolo Valenti

giornalista sportivo

Conduce l’incontro

Franco Lupatteli

In apertura dell'incontro, Roberto Formigoni, quale presidente del Movimento Sportivo Popolare, annuncia che la Comunità Europea ha ufficialmente riconosciuto il MSP quale primo ente europeo di promozione sportiva. Dopo il saluto della vicepresidente Sara Simeoni, si apre il confronto sul tema fra il rappresentante di uno dei grandi sponsor e un noto giornalista sportivo.

F. Lupatteli

(... ) Voglio provocare, con alcune domande, possibili risposte, per aprire un dibattito che riguarda la nostra azione di animatori efficaci dello sport:

- vogliamo dire, nella situazione attuale, i gravi problemi che ci sono da risolvere, senza retorica e con chiarezza?

- ci può essere, al di là dei contratti stipulati, un "codice di comportamento" che dia migliore sicurezza alle società sportive e anche agli sponsor?

- per lo sport non di spettacolo, quello per tutti, ci possono essere degli sponsor, ci può e deve essere il volontariato, può nascere e diffondersi una forma di cooperazione nello sport?

A. Consonni

La nostra regola é che noi siamo lo sponsor, affianchiamo qualcuno, ma la responsabilità tecnica e organizzativa è di quel qualcuno, e quindi la prima regola che noi rispettiamo, a livello locale e a livello mondiale, è quella dell'assoluta autonomia rispetto a chi organizza e promuove. Noi siamo pronti a intervenire, a gestire dei servizi, a fare delle attività che possano arricchire dal punto di vista della qualità quella manifestazione sportiva, ma non entriamo e non vogliamo entrare nel merito del fatto tecnico. E io credo che in questa mia battuta possa esserci per voi qualche riflessione su cosa significano invece quelle situazioni in cui lo sponsor interviene nella gestione del fatto tecnico. Questo ha poi anche dei risultati negativi sul piano sportivo, che si riflettono sulla sua immagine. Quale futuro? La stima più recente dice che le aziende italiane, aziende pubbliche e private, enti e organizzazioni, hanno speso nel 1986, in attività di comunicazione, 20 mila miliardi. Mi pare sia il doppio del bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione. Perché? Perché indubbiamente, nel contesto attuale di sviluppo di apertura a quell'Europa del '92 che però non sarà più l'Europa dei mercati, ma sarà l'Europa dei cittadini, le aziende stanno investendo sempre di più in comunicazione. E di fronte all'affollamento dei mezzi tradizionali, di fronte alla qualità sempre più scadente che i mass-media offrono rispetto al bisogno di comunicazione delle aziende, le aziende più avvedute, le grandi aziende, le medie aziende, anche le piccole aziende, investono in comunicazione. Di questi 20 mila miliardi, circa 800 sono stati spesi nella sponsorizzazione. Gli 800 miliardi spesi l'anno scorso nella sponsorizzazione in Italia sono una cifra grossa, ma molto piccola rispetto a quello che si spende in altri paesi. Io ho anche altri cappelli, faccio il Presidente della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, che è un'associazione professionale che riunisce un migliaio di professionisti del settore di comunicazione. Abbiamo fatto una grossa battaglia, anni fa, sfociata nella famosa legge Formica- Scotti, che ha stabilito la possibilità di defiscalizzare le spese fatte dalle aziende in certi settori nel campo della cultura, nel campo dell'arte, nel campo del restauro. Peccato che, mancando il regolamento di attuazione, la legge praticamente rimane qualcosa di scritto, ma inapplicabile. In altri paesi ad economia di mercato come gli Stati Uniti, come la stessa Inghilterra, come alcuni land della Germania, la defiscalizzazione è estesa a tutti gli interventi di sponsorizzazione anche nel mondo dello sport. Se il movimento sportivo riuscisse a risolvere questo problema, io credo che si assisterebbe di colpo al raddoppio degli investimenti di sponsorizzazione. Quindi il futuro c'è. Un futuro meno brillante, più lento, più graduale, se non ci fossero questi interventi. Il vero nodo centrale della questione sta nel dialogo. Se la sponsorizzazione che deve legare l'industria allo sport nasce da un dialogo, e quindi non è un monologo della grande impresa che mette lì dei soldi, o dell'organizzatore sportivo che cerca dei denari e basta, se è un dialogo, un confronto tra le rispettive esigenze, al di là della contrattualistica, ci sono delle opportunità infinite per crescere. Io questo lo dico perché ci credo, non soltanto perché faccio questo lavoro all'interno di un'azienda particolarmente attenta a queste tematiche, ma perché sono convinto che proprio per il sistema industriale italiano, per il sistema economico italiano, la ricerca di attenzione e di consenso attraverso la comunicazione è il punto centrale, e quindi la sponsorizzazione, in questo quadro, è l'unica vera grande novità a cui abbiamo assistito. Non è cosa di oggi, oggi forse la sponsorizzazione è più di moda rispetto al passato; noi come azienda a livello internazionale abbiamo cominciato fin dagli anni '20, ma in questo paese esistono esempi importanti di interventi di industrie a fianco del movimento sportivo, o dell'arte, o della cultura, o dello spettacolo, che risalgono addirittura all'anteguerra, agli anni '30, e quindi credo che possiamo con tutta tranquillità percorrere questa strada, chiarire gli obiettivi, avviare il dialogo e, perché no, varare un codice di comportamento, in cui i diritti e i doveri siano reciprocamente riconosciuti, in modo da poter raggiungere un obiettivo di miglioramento comune della società.

P. Valenti

(... ) Lo sport spettacolo deve essere organizzato su grandi basi, perché la gente, a forza di vedere sport, si è fatta il palato fine e vuole vedere organizzazioni perfette, grandi campioni, questi campioni devono allenarsi per dare il massimo, e lo spettacolo deve essere veramente all'altezza. Allora i costi dello spettacolo sportivo sono altissimi e non possono essere contraccambiati da un elevato costo dei biglietti, perché allora viene meno quella funzione sociale che bisogna riconoscere anche al grande spettacolo sportivo, oltre che allo sport praticato. Ed ecco allora che subentra la sponsorizzazione. Ma a questo punto nascono i famosi codici di comportamento, allora cosa dobbiamo fare, delle leggi per cui lo sponsor dell'industria deve non solo pagare il grosso spettacolo ma deve anche favorire lo sport minore? E quali sono i limiti di intromissione di una cosa nell'altra? Io credo molto alle cose pratiche, credo molto nella libertà di un assestamento che direi quasi di mercato, pratico, ma anche teorico. Lo sport ha una forza enorme in sé, una suggestione, è una filosofia. Diciamo che è una filosofia, la gente crede nello sport, anche nello sport spettacolo, ma crede e lo segue se alcuni canoni di onestà, di libertà e di dirittura vengono mantenuti. Allora il professionista dell'industria deve sentire dentro di sé, non come sportivo, ma come uomo di mercato, come uomo di industria, che certi limiti, nel comune interesse del matrimonio sport-industria, non vanno superati. E da parte sua, lo sport deve capire che non deve chiedere all'industria quei valori morali che solo in se stesso deve trovare. Questi sono i punti, a mio modesto avviso, per un equilibrio perfetto. Ma c'è un'altra cosa che mi preme, insieme a voi, esaminare, perché penso che riguardi molti di voi, come anche me in un'altra mia veste di promotore di cose sportive, direi più da padre che da giornalista, avendo figli, parenti e giovani intorno: attenzione a quella che può diventare una moda deleteria. La sponsorizzazione va bene per il grande sport, perché è un interesse comune, limitato da quel senso di realtà che ha l'uomo industriale nel praticarla entro certi limiti che gli giovino, e l'uomo sportivo nell'accettare questo incontro senza turbare altri valori. Attenzione a non venire con la moda della sponsorizzazione a tutti i livelli. Noi sappiamo benissimo, come organizzatori e dirigenti magari di squadre giovanili, che al ragazzo dì 10, 11 anni, oggi, devi dare la tuta, devi dare le scarpette, devi dare il completo della divisa, ma questo perché? Non perché, fortunatamente, la maggior parte dei ragazzi non abbia oggi in famiglia la possibilità, anche a buon prezzo, di comprarsi tutte queste cose; ma perché, questo è più sottile, il ragazzo di 10, 11 anni, vede nella consegna di questa divisa un riconoscimento quasi di un suo professionismo, e questo è molto pericoloso, e un riconoscimento di una sua abilità. Oggi purtroppo, e me lo confermava un dirigente di calcio poc'anzi, molti ragazzi non accettano nemmeno di andare in panchina senza sentirsi demotivati, senza sentirsi colpiti, senza sentirsi nessuno. Perché oggi purtroppo, e noi stessi uomini di televisione ne diamo l'esempio, vige lo slogan: conta chi vince, conta chi arriva. Attenzione a questa cosa, perché è molto pericolosa, perché la ricerca di sponsorizzazione per squadrette diventa l'accattonaggio dal meccanico, dal salumiere, dal cartolaio, da chi ti pare, di un bonus, dato una volta tanto, che crea solo l'idea: se non c'è la sigla non è sport.

Diamo pure le scarpe al ragazzo, diamo quello che sia, ma facciamo delle collette per dargliele, e insegniamoli soprattutto che anche stando in panchina uno poi può avvicendarsi, e soprattutto insegnandogli che è la pratica sportiva che serve, non il campionismo, e questo magari tante volte purtroppo anche noi non lo facciamo, noi che forniamo semplicemente un campo per far vedere le immagini. Io sono ben lieto se molte ditte ci abbandonano, perché il canone viene pagato lo stesso, e questo in fondo è una forma di libertà che l'organizzazione statale può dare. Mi limito solo a notare che se non ci fosse la grande diffusione televisiva, che permette di far vedere le Olimpiadi a 3 miliardi di persone, non penso che nessuna scritta in nessun campo, vista solo dagli spettatori, soddisferebbe alcune ditte, non dico tutte, alcune. Ma torniamo e chiudiamo al concetto base. In tutti questi discorsi che abbiamo fatto non dimentichiamo che l'essere di base è l'uomo e la donna, l'uomo e la donna giovani che si avviano e seguono lo sport. Non deludiamoli, facciamo capire loro veramente che la sponsorizzazione è un punto di arrivo per il grande spettacolo, ma la base deve essere sempre il sentimento, la passione sportiva. Questa è un'idea che in Italia si è molto sviluppata, perché penso che in Italia la sponsorizzazione sia una delle migliori sotto il piano pratico e anche sotto il piano, direi, etico, e anche perché in noi c'è molto spirito sportivo.