Incontro con Sua Eccellenza Abdelaziz Bouteflika
Lunedì 23, ore 16.15
Relatore:
Abdelaziz Bouteflika,
Presidente della Repubblica Algerina Democratica e Popolare
Moderatore:
Giorgio Vittadini
Vittadini: Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è una persona che, ancora prima di ricoprire la carica di Presidente dell’Algeria, ha contribuito allo sviluppo democratico del suo paese. La funzione che ha avuto in questi anni lo pone come uno dei leader del Terzo mondo in moltissime azioni della politica estera dell’Algeria: il rinforzo e l’unificazione della condizione araba al tempo della conferenza di Kartum, e durante la guerra dell’ottobre del 1973 contro Israele, il riconoscimento da parte della comunità internazionale delle frontiere dell’Algeria, il fallimento dell’embargo all’Algeria in seguito alla nazionalizzazione dei giacimenti di idrocarburi, il consolidamento dell’organizzazione del Terzo mondo, il sostegno alla decolonizzazione dell’Africa, il riconoscimento dell’Algeria come portavoce del Terzo mondo nella rivendicazione di un nuovo ordine economico internazionale.
Eletto all’unanimità presidente della ventinovesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Abdelaziz presiede anche la sesta sessione straordinaria dell’ONU dedicata alle energie e alle materie prime, dove l’Algeria ha un ruolo importante nella difesa degli interessi dei produttori. Dopo il 1978, è costretto ad andare in esilio; rientra nel Paese solo nel gennaio 1987, e viene invitato al Congresso straordinario del Fronte di liberazione nazionale; nel 1989 diviene membro del Comitato centrale del partito. Nel dicembre 1998 annuncia la sua decisione di presentarsi come candidato indipendente alle elezioni presidenziali anticipate che si svolgono il 15 aprile 1999: in quella data è eletto Presidente dell’Algeria.
Bouteflika: La mia testimonianza si soffermerà su due esperienze: la decolonizzazione dell’Algeria e il programma di riforme che punta a far uscire il mio paese dalle difficoltà in cui si dibatte da qualche anno a questa parte. Mi sento testimone estremamente attivo e partecipe del nobile obiettivo di far sì che il partner Mediterraneo, spesso sconosciuto attraverso un’esclusione inconsapevole, diventi il vicino compagno dei progetti di concordia umana che vogliamo per noi stessi e per le generazioni future.
La decolonizzazione, come movimento di liberazione, ha appassionato diverse generazioni dell’intellighenzia europea, così come élite politiche dei paesi africani e asiatici. Non si può stilare un rendiconto corretto degli avvenimenti nella sua rigida freddezza, poiché questo fenomeno è stato contraddistinto al contempo dalla passione militante e dal fervore di idee politiche relative ai diritti dei popoli. La generazione del 1954, a cui ho avuto l’onore di appartenere, ha partecipato alla lotta di liberazione dell’Algeria, perfettamente consapevole di diventare protagonista della storia e dei programmi di azione da intraprendere per la formazione delle nostre giovani nazioni. I dirigenti algerini, nella maggior parte dei casi, si sono comportarti come veri commissari politici, spiegando senza tregua ai giovani militanti le finalità e le implicazioni di una guerra di liberazione nazionale e insistendo sul concetto di rivoluzione, come vettore delle libertà che si generano a vantaggio della società. Il fronte e l’esercito di liberazione nazionale sono stati da questo punto di vista vere e proprie scuole in cui pensiero e azione si sono incontrati, per la formazione di un’avanguardia sicura delle proprie conoscenze politiche e fermamente convinta dei propri progetti. Nel contempo, i grandi popoli sono coloro che sanno vivere il perdono e la riconciliazione. Non desidero insistere sulle incommensurabili sofferenze del popolo algerino durante sette anni di guerra catastrofica e di cieche repressioni: opera barbara dell’autorità coloniale che il popolo francese stesso condanna. Il popolo algerino è stato sicuramente meno abile e meno capace rispetto ad altri popoli che hanno fatto del loro martirio un’attività a livello planetario.
Una volta raggiunta l’indipendenza, e Dio sa al prezzo di quali sacrifici, restava da perseguire l’opera di decolonizzazione. Gli accordi davano all’Algeria una sovranità imperfetta, conservando basi militari insediate sul territorio nazionale, proteggendo i beni dei coloni e lasciando le ricchezze dell’energia alle società straniere. La prima generazione dell’indipendenza, che era anche quella della liberazione, nel volgere di qualche anno e con un coraggio eccezionale, ha realizzato la soppressione di tutti questi ostacoli alla sovranità nazionale. La storia della decolonizzazione in Africa, in questo periodo, riconosce un ruolo nevralgico all’Algeria: terra di sostegno, terra di accoglienza per tutti i movimenti di liberazione, Mecca dei rivoluzionari. Le nostre giovani generazioni, colpite di amnesia da due decenni di mediocrità politica, dovrebbero riconoscere che l’Algeria registra almeno due successi diplomatici di grande rilevanza a favore della decolonizzazione: l’esclusione del governo razzista del sud Africa dal novero dal concerto delle nazioni e l’ammissione ufficiale del Movimento nazionale palestinese rappresentato da Arafat, alla tribuna del’ONU.
Questa fase di freschezza e di effervescenza militante può essere considerata superata dopo che l’Algeria è sprofondata, per ragioni interne ed esterne, nel disordine politico nell’insicurezza. Un Islam mutilato dalla scorciatoia ideologica del fanatismo e dell’esclusione, subentra alla dottrina monolitica dirigistica e democratica. Questo accade a seguito di un grande terremoto nella politica internazionale, quel terremoto che ha messo fine sia al bipolarismo Est-Ovest tra i paesi non allineati nel Terzo mondo, sia a tutti i movimenti regionali che promettevano la liberazione. Molti militanti si trovano in una posizione di ripiego dopo queste grandi mutazioni. Nel caso algerino possiamo dire che i disordini non hanno raggiunto l’intelligenza nelle sue capacità di riflessione o nella sua passione militante; ritorniamo in Algeria con un pensiero politico approfondito, dopo due decenni di osservazione, con la convinzione rivolta verso la pace, lo sviluppo e la dignità nazionale. L’Algeria ha svolto un ruolo di prim’ordine nella lotta per i diritti dei popoli e non può più restare in balia del fanatismo e dell’esclusione. Se lo Stato nazionale ha esitato, il popolo, invece, ha mantenuto intatte le risorse che le hanno sempre consentito di far fronte a tute le forme di aggressione. Grazie a questo impeto, grazie a questo soprassalto, l’Algeria ha potuto dotarsi di istituzioni repubblicane, sostituendo alla legittimità storica rivoluzionaria la legittimità popolare, diventata ormai l’unica base di perennità per le istituzioni.
Il fulcro del mio programma elettorale è a favore di un’impostazione e di un approccio globale, per creare una sinergia tra il ristabilimento della concordia civile e la crescita economica, affinché l’Algeria raggiunga il posto che merita nel mondo. La concordia civile non è un semplice concetto sociologico, è uno stato reale delle relazioni all’interno della società; occorre che queste relazioni siano basate sull’adesione della maggioranza dei membri: questa necessità giustifica la ricerca dell’espressione vera e sovrana della volontà popolare. La volontà popolare si è già espressa attraverso i propri canali istituzionali: le due camere del Parlamento hanno adottato la legge relativa al ristabilimento della concordia civile con ampia maggioranza. Questo strumento giuridico si ispira ai più alti ideali dello stato di diritto e da molti punti di vista è realmente all’avanguardia. Di che cosa si tratta? Si tratta, innanzitutto, della volontà dello Stato algerino di perdonare tutti coloro che non hanno commesso l’irreparabile, come attentare alla vita umana o all’integrità fisica delle persone. I fruitori di questo perdono, immediato e totale, sono tutti coloro che sono stati coinvolti nelle reti di sostegno al terrorismo, obbligati, vogliamo credere, da minacce, paura o da pressioni indotte da relazioni quasi tribali. I fruitori sono anche coloro che si sono impegnati nell’azione di distruzione di beni e di strutture: lo Stato perdona i primi e i secondi perché è convinto che le ricchezze materiali siano sostituibili e che invece la vita umana non lo sia. In secondo luogo, la legge stabilisce che debbano dare prova della rinuncia a questi comportamenti e li priva del diritto di creare un partito o di essere eletti per un certo tempo. Questa messa alla prova può diventare un sostituto della pena.
In terzo luogo la legge stabilisce la differenza di trattamento da più punti di vista fra gli autori di assassini. Distingue colui che ha commesso un omicidio da colui che ne ha commessi numerosi, in modo collettivo o in successione. Non è certo una operazione aritmetica e macabra: una vita umana non è uguale alla metà di due vite, e cinque vite umane non sono uguali alla metà di dieci vite. La mia fede mi chiama in causa attraverso l’indiscutibile santità del decreto coranico: uccidere un’anima non colpevole dell’omicidio di un’altra anima è come aver ucciso l’intera umanità. E far vivere un’anima è come far vivere l’intera umanità. Ripeto: uccidere un‘anima non colpevole di morte o di aver assassinato un’altra anima, o di depravazione sulla terra, è come aver ucciso l’intera umanità. Detto questo, consideriamo che colui che non è passato all’atto per commettere un secondo omicidio potrebbe essere già entrato nella fase di pentimento. Bisogna allora incoraggiarlo per impedire di perseverare nell’azione criminosa risvegliando in lui la speranza di un trattamento penale più aperto, più comprensivo. Nessun crimine di sangue potrebbe sfuggire al giudizio delle giurisdizioni: alcuni lo sono immediatamente, i crimini di omicidi multipli, altri lo sono mediatamente, gli omicidi semplici; è un’applicazione particolare della differenziazione, che tutte le legislazioni penali moderne fanno, fra assassinio semplice e assassinio aggravato. A prescindere dalla gravità dei reati commessi, i loro autori non rischiano comunque né la pena capitale né l’ergastolo; le due pene sono state, fortunatamente, cancellate.
La legge prevede tre regimi di attenuazione delle pene. L’ammissione al più favorevole di questi è riservato a coloro che hanno ottenuto la sospensione momentanea della pena e che sono davanti solo a pene da due a, massimo, otto anni. Lo stato algerino è consapevole del fatto che la tragedia che colpisce il popolo algerino da dieci anni non è una somma di violenze singole, ma che si tratta piuttosto di una perversione del funzionamento della società nel suo insieme. È questo il motivo per cui la solidarietà nei confronti delle vittime del terrorismo deve essere solennemente consacrata e sancita dalle leggi della repubblica. I risarcimenti che le varie giurisdizioni possono accordare alle vittime vengono presi in carico dallo Stato per evitare un confronto diretto, un faccia a faccia tragico delle vittime del terrorismo con i responsabili di azioni terroristiche.
La mansuetudine, virtù dei forti, non comporta né compromessi né compromissioni. In realtà lo Stato algerino, tendendo una mano generosa verso i propri giovani, vuole farlo come sovrano. Esprime la sua forza limitando nel tempo l’opportunità che offre a tutti, l’opportunità di cogliere la possibilità di riprendere la strada della normalità sociale. La concordia civile è uno stato delle relazioni sociali, per questo richiede di realizzare l’adesione della maggioranza del popolo. La decisione di ricorrere al referendum ha proprio questo intento: dare all’impostazione globale, per uscire dalla crisi, una via diretta. Possono nascere molte opposizioni verso questo grande progetto, ma l’adesione alla pace di un popolo privato per tanto tempo di serenità è un fatto innegabile per tutti coloro che hanno saputo mantenere la loro lucidità. Abbiamo preso tutte le precauzioni richieste da una sana democrazia, affinché il nostro popolo venga consultato nella massima trasparenza e veramente associato alla legge sulla concordia civile. Adottata in modo unanime dalle due camere, oggi viene sottoposta a referendum affinché non vi sia alcuna incrinatura e affinché gli estremisti siano messi fuori legge dalla sovrana volontà popolare. La partecipazione massiccia del popolo algerino è ovviamente necessaria e richiesta. Ci sarà una linea di demarcazione che additerà chiaramente i nemici della patria e i nemici dell’Algeria, i quali possono trovare il loro tornaconto solo nel caos, nel disordine, nel brigantaggio, nel contrabbando, nella corruzione, nel mercato nero, nella regressione e nella morte.
Se il popolo vuole superare questa tappa dolorosa della sua storia, gli si offre un’occasione straordinaria che deve cogliere. Saprà coglierla? La coglierà! Ci sono molte buone volontà nella Comunità internazionale che non chiedono altro se non di poter tendere una mano fraterna. Questa pace nazionale che dobbiamo costruire non potrebbe sopravvivere se l’ambiente magrebino non avesse un ampio piano di pace e di stabilità per tutte le nazioni. Il Magreb ha perso molto tempo in un nazionalismo pignolo che veniva costruito a scapito di una unità magrebina iscritta nelle stesse fondamenta del nostro vero e proprio nazionalismo. Sono necessarie profonde revisioni volute al contempo dai responsabili e dai popoli, allo scopo di lanciare più rapidamente le basi di un’unione magrebina in cui verranno garantite la libera circolazione delle persone e dei beni e il partnernariato economico con l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America e il mondo arabo. La pace nel mondo arabo continua a conoscere i rischi che né le pressioni dell’Europa, né gli interventi degli Stati Uniti hanno potuto dissipare o cancellare sino ad oggi: i diritti del popolo palestinese continuano ad essere calpestati da una politica di occupazione e di esclusione. I vicini arabi a Nord di Israele, Libano e Siria sono sottoposti a mercanteggiamenti interminabili a proposito della restituzione delle loro terre. Il popolo palestinese sta sempre aspettando l’esercizio del proprio diritto all’autodeterminazione e alla creazione del proprio stato. Se gli israeliani fossero nella situazione in cui attualmente si trova il popolo palestinese, l’Algeria sarebbe al loro fianco contro i palestinesi. Questa zona, considerata come uno dei punti maggiormente caldi del pianeta, che si trova proprio nel cuore del mondo arabo, resterà un focolaio di grandi tensioni finché gli sforzi di decolonizzazione, così come è stato fatto per l’apartheid, non avranno avuto il sopravvento su questa politica incessantemente aggressiva. Questo non esclude affatto la ricerca di tutti i metodi pacifici allo scopo di approdare ad una coesistenza fra il mondo arabo ed una nazione israeliana perfettamente emancipata da qualsiasi politica di belligeranza. Non sarebbe possibile accusare un semita, che è pienamente a suo agio nella sua identità, di fare antisemitismo, sebbene le cose vengano spesso valutate secondo due pesi e due misure. Ammettiamo l’esistenza di un pensiero sionista, a condizione però che questo pensiero non si intestardisca a giustificare per sé ciò che condanna meticolosamente e con perseveranza per gli altri. Il problema degli arabi, il problema dei palestinesi non è più l’esistenza di Israele. D’altronde i focolai, i centri di tensione che esistono in Africa diventano, da alcuni mesi a questa parte, oggetto di un intensa attività diplomatica portata avanti dal mio paese in stretta cooperazione con l’Organizzazione per l’Unità africana, con il Segreterio generale delle Nazioni Unite e con altre potenze ancora.
La politica di sviluppo, che rappresenta la seconda parte del nostro programma, vuole essere una politica di apertura e di ampia cooperazione che comincia con l’adesione del popolo. Il potenziale economico dell’Algeria è enorme, spesso insufficientemente valutato. L’aspetto energetico, che sembra essere quello più conosciuto all’estero, soprattutto in Italia, da solo contiene riserve di gas e di petrolio sino ad ora insospettate. L’agricoltura, diventata quasi inattiva a seguito dell’insicurezza politica, riprenderà sicuramente tutte le proprie capacità produttive grazie agli stimoli e agli incentivi dello Stato, grazie alla vitalità dei nostri mercati con una futura politica idraulica e di esplorazione delle terre nelle zone sahariane. Il tutto è già estremamente promettente, almeno secondo i primi segnali. Il turismo inoltre, oggi insignificante, offre immense possibilità, che devono essere ovviamente gestite razionalmente nel quadro di un’intesa mediterranea di apertura e di scambi. Le nostre risorse minerarie, quelle già note e quelle ancora da scoprire nell’immenso territorio sahariano insufficientemente esplorato, aspettano di essere sfruttate come ricchezze basilari nella nostra economia nazionale. La mondialità e lo sviluppo moderno sembrano la strada necessaria per il progresso economico; programma che avrà bisogno di entrare in una nuova fase di concretizzazione e in una nuova tappa di sacrifici.
Rimane ancora da definire il ruolo dell’Algeria nel mondo. Le immagini ricevute all’estero attraverso i mass media hanno fatto del nostro paese un paese di violenza e di repressione contro cui si devono ergere molteplici barriere protezionistiche. La situazione post-coloniale che ha promosso l’insediamento della nostra popolazione algerina in Francia è una delle cause delle vessazioni che subisce il cittadino algerino. Nessuna argomentazione può essere opponibile alla preoccupazione di tutelarsi contro l’immigrazione clandestina, e così la demografia magrebina diventa sempre di più una fonte di preoccupazione, come se l’invasione dell’Europa fosse prossima, imminente, come se al pericolo asiatico, così diffuso nella testa della gente all’inizio del secolo, subentri il pericolo magrebino o più esattamente il pericolo musulmano. Questo significa che l’emblema della potenza ottomana, una potenza militare minacciosa per l’Europa durante il XVI e XVII secolo, ritorna sotto forma di insidiosa invasione demografica dal Magreb. Bisogna allora ricordare a tutti i nostri fratelli mediterranei che le popolazioni magrebine emigrate in Europa sono all’origine delle popolazioni operaie che hanno contribuito con il loro lavoro, con le loro fatiche, allo sviluppo economico dei paesi di accoglienza. Senza i legami di natura coloniale che esistevano fra il Nord e il Sud, questo fenomeno migratorio non sarebbe mai esistito. I miti tessuti intorno all’ignoto, comunque così vicino, devono essere combattuti con metodicità, se vogliamo costruire un futuro comune nella nostra regione, il Mediterraneo. Le relazioni umane ed economiche fra i popoli del Mediterraneo risalgono a oltre duemila anni fa. Come responsabili odierni di queste relazioni, cerchiamo con tutti i mezzi istituzionali di rafforzare nei nostri concittadini il senso della tolleranza e dell’apertura. Se l’Islam è religione di Stato, per ragioni sociologiche, noi cerchiamo di far sì che questo stesso Stato vigili rigidamente sul rispetto e sulla libertà di coscienza e di culti. La Chiesa algerina, che ha partecipato con noi agli sforzi della decolonizzazione e che è anche solidale con il popolo algerino in tutte le sue sofferenze, è una Chiesa presente in tutti i contatti e in tutti i dialoghi interculturali. Da questo punto di vista occorre rendere omaggio a tutti i cristiani di Algeria, Francia e Italia – che hanno abbracciato la causa della lotta della liberazione del mio paese – e in particolare alla Chiesa cattolica guidata dal compianto monsignor Duval, il primo cardinale algerino. Bisogna anche ricordare che la prima forma di convivenza fra comunità monoteistiche, nella società di Medina diretta dal profeta Maometto, imponeva di considerare gli ebrei come cittadini al cento per cento. L’Algeria, proprio grazie a questo modello islamico, ha consentito la sopravvivenza dell’antico giudaismo berbero, così come l’accoglienza delle popolazioni ebree espulse dalla Spagna dai dirigenti dell’Inquisizione. Questa apertura, sfortunatamente poco nota nelle culture ufficiali dell’Europa, viene considerata dagli intellettuali mussulmani una laicità specifica: l’intercomunitarismo.
Una laicità sprovvista di tutti i residui della scristianizzazione farà dei nostri Stati moderni degli Stati veramente protettori delle varie comunità religiose e culturali? Il realismo politico richiede che vengano accettate le differenze nella pratica. Verremo accusati di nutrirci di troppe ambizioni? L’Islam ha ancora un ruolo da svolgere, innanzitutto per realizzare il proprio rinnovamento, ed anche per partecipare, come ha fatto in altre epoche, al progresso umano come partner di tutte le religioni e delle grandi filosofie. Due secoli di insediamento di presenza nel materialismo hanno lasciato il nostro mondo, malgrado l’immensa acquisizione scientifica e politica, in un rinsecchimento morale e spirituale, cause della crisi principale della nostra civiltà.