Sant’Agata presente e bella
Lunedì 19, ore 18.30
Relatori: Julien Ries, di Bologna e Curatrice della mostra
Pier Marino Menicucci, Direttore del Centro di Storia Gioia Lanzi,
Deputato della Cultura della delle Religioni dell’Università Centro Studi per la Cultura
Repubblica di San Marino Cattolica di Lovanio di Bologna e Curatrice della mostra
Matilde Frangiamone,
Centro Studi per la cultura
Menicucci:
La circostanza odierna consente ancora una volta di rendere operante la collaborazione fra la Repubblica di San Marino e il Meeting, che si realizza ormai da molti anni in maniera utile e più che soddisfacente e che mi auguro sarà ancora capace di offrire momenti di approfondimento e di ricerca come questo.Vorrei brevemente dire il significato e l’importanza che ha per la Repubblica di San Marino il contenuto della ricerca da cui sono scaturiti sia la mostra che la pubblicazione del libro su Sant’Agata. Quando si parla di San Marino viene naturale includere tra le sue peculiarità innanzi tutto quella della libertà. Questa libertà così costitutiva della nostra identità di popolo ha radici lontane e profonde che si ricollegano a due figure emblematiche della nostra storia. La prima, più nota perché è quella da cui la nazione stessa prende nome e origine, è quella di Marino, uno scalpellino dalmata che rifugiatosi sul Monte Titano creò attorno a sé una comunità di uomini per i quali il valore cristiano della fede ed il valore umano della libertà divennero inscindibili. La seconda figura, sicuramente meno nota ai non sanmarinesi, è quella di Agata, la martire catanese che per una singolare vicenda storica è stata eletta compatrona della Repubblica di San Marino.
È una vicenda che risale al lontano 1739, quando il Cardinale Giulio Alberoni, legato di Romagna per lo Stato Pontificio, era stato interpellato per il giudizio dei sammarinesi Pietro Lolli e Marino Belzoppi, che erano stati condannati per una congiura contro il governo della Repubblica. Ne conseguì una serie di azioni e reazioni che culminarono con l’intervento del Cardinale nella Repubblica nel 1739 con l’intenzione di annetterla nello Stato Pontificio. Ricevuto l’omaggio di alcuni castelli ed iniziate azioni di modifica costituzionale, certo dell’esito della sua azione, l’Alberoni il 29 ottobre aveva lasciato la Repubblica. Qui tuttavia non ci si era rassegnati, e fu fatto ricorso al Pontefice Clemente XII. Conosciuti i termini della violenza subita dal piccolo Stato, sollecitato dagli ambasciatori di Austria, Francia e Spagna, il Papa inviò un delegato apostolico, il quale, sentiti i sanmarinesi, restituì alla Repubblica l’indipendenza che le derivava dal testamento del patrono fondatore Marino e che da tutti era da sempre riconosciuta. Era il 5 febbraio 1740, festa di Sant’Agata, il cui culto era già presente nella Repubblica: si lesse in questa provvidenziale coincidenza il segno di una protezione accordata dalla martire che fu così proclamata patrona della Repubblica.
Le figure di questi Santi patroni ci ricollegano dunque direttamente alle origini della libertà della Repubblica di San Marino, libertà che non consiste quindi solo nel tenere il proprio territorio libero dall’altrui dominio – pur essendo questo un bene fondamentale ed irrinunciabile – ma consiste nella capacità di realizzare quei valori e quegli ideali che hanno permesso al nostro paese di realizzare la sua indipendenza e senza i quali la nostra libertà perderebbe ogni significato. Conoscere la figura di questa Santa, riflettere sul significato del suo compatronato rappresenta un’irrinunciabile occasione per conservare la ferma memoria della nostra storia di popolo, per maturare una sempre più lucida coscienza della nostra identità e per consolidare le ragioni profonde di quel patrimonio di libertà che abbiamo il compito di amministrare. Per sapere dove andare occorre conoscere le proprie origini e solo mantenendo viva la memoria del proprio passato si può costruire un solido futuro.
Ries: L’arte dal suo primo apparire risulta legata all’espressione del rapporto tra l’uomo ed il sacro, e nelle sue rappresentazioni dice sempre il sacro in rapporto all’infinito, al destino. L’esperienza artistica e quella religiosa sono sempre associate; l’esperienza religiosa tende poi a comunicarsi, la sua essenza è di essere partecipata ad altri proprio perché è l’esperienza fondamentale dell’uomo, e lo segna indelebilmente, al punto che, non appena agisce, l’uomo la comunica, intenzionalmente o meno. Le esperienze religiose primordiali quali la contemplazione della volta celeste notturna e diurna, o la percezione dello spazio anteriore ad ogni concettualità, imprimono un carattere alla concettualità stessa, che ne perpetua le forme nel pensiero simbolico. Per questo c’è identità tra homo religiosus ed homo simbolicus.
Una esperienza religiosa viene comunicata oltre che nella vita stessa delle persone anche con l’organizzazione dello spazio, dalla pianta della città alla dimora domestica e all’edificio di culto, e con la rappresentazione, tramite la ritualità da una parte e le immagini dimensionali dall’altra. La caratteristica delle prime manifestazioni artistiche, dai primi utensili bifacciali alle grandi grotte affrescate, è l’incidenza sul quotidiano: si tratta di espressioni volte a trasmettere, modificando spazio, tempo, materiali della vita di un uomo, l’esperienza religiosa stessa. L’arte delle origini è intenzionalmente funzionale al sacro: la rappresentazione di miti per mezzo di segni e di simboli trasmette un’esperienza religiosa.
Nel Cristianesimo, l’arte mantiene questo suo carattere di funzionalità, piegandosi però alla natura innovativa del fatto cristiano: abbiamo così il sacro sostanziale (corpo di Cristo), il sacro dei segni sacramentali (sacramenti), il sacro pedagogico (i segni che esprimono il rapporto con Dio in Cristo ed aiutano a realizzarlo), ed il sacro di consacrazione (la consacrazione delle cose terrene a Dio ed il loro impiego nell’ottica messianica). La produzione artistica si colloca in questa sacro pedagogico e di consacrazione: l’arte è al servizio del sacro. L’arte cristiana da un lato attinge al grande patrimonio del linguaggio simbolico universale, dall’altro elabora segni tutti suoi atti a trasmettere la peculiarità del messaggio cristiano. Immagini, figure, strutture spaziali non sono mai casuali e sono tali da presentare la storia di Cristo e della sua Chiesa. Il repertorio delle immagini del Cristianesimo, che vuol trasmettere come messaggio essenziale che la salvezza è venuta per tutti e che è presente e sperimentabile da tutti, si alimenta della storia stessa della comunità cristiana. Il protagonista è sempre Cristo, tutto in tutti, che viene presentato quindi non solo nei fatti della sua vita terrena, ma anche nelle vicende dei suoi seguaci. Per trasmettere il messaggio cristiano è quindi rappresentata una storia che si alimenta all’infinito della sequela di Cristo, che nelle figure dei suoi seguaci, martiri, confessori, Santi di ogni tipo, continua a vivere e propone modelli di sequela. Si rappresenta quindi non solo la vita di Cristo ma di tutti i suoi Santi, ed il repertorio iconografico cresce a mano a mano che la Chiesa cresce e si diffonde acquistando sempre più coscienza di sé.
La rappresentazione della figura dei Santi, insieme alla parola annunziata e per lunghissimo tempo non scritta, è il veicolo attraverso il quale si presenta la sequela di Cristo come modello affascinante di vita, garanzia di una felicità che nessuno può togliere. Nelle iconografie i martiri esibiscono le piaghe e gli strumenti del martirio come insegne regali, perché sono ciò che ha loro consentito di entrare nella gloria. Si costruiscono immagini narrate, dipinte e scolpite, che presentano un programma ascetico, un modello spirituale. Da un lato le figure dei Santi che vivono immersi nel loro proprio tempo e nella loro temperie spirituale, sono specchio di una situazione storica precisa, percepibile nelle forme e nei colori: sono uomini e donne che vivono in circostanze non dissimili da quelle da ognuno sperimentabili, e che per questo si offrono all’immedesimazione. Ma dall’altro lato i Santi, proprio perché in essi è possibile immedesimarsi, si propongono come modelli esemplari, paradigmi di vita, campioni della lotta contro il male in ogni sua forma. Ogni Santo che vediamo rappresentato invita il popolo di Dio ad imitarlo, e dice che, come nei suoi propri panni e tempi e situazioni, è stata possibile la testimonianza, la salvezza, la sequela, così lo è per gli uomini di ogni tempo. Come il Santo è immerso nel suo tempo, così nel nostro siamo immersi noi, e possiamo per questo imitare come lui Cristo, modello dell’uomo redento.
Attraverso le immagini dei Santi, le iconografie, i quadri, ed i santini, si trasmette la fede della Chiesa, non in un discorso astratto, ma nei segni della vita quotidiana. Immagini di grandi dimensioni, opere raffinate di artisti celebri, vengono offerte come veri e propri sintetici manuali di devozione ai fedeli, che vi leggono una storia di uno come loro, che tutti possono imitare. Stampe e riproduzioni di quadri o libri, rappresentazioni, santini unici o prodotti a migliaia, si infilano nelle pagine dei libri, assistono alla vita quotidiana dalle pareti domestiche, dalle vetrinette dei soggiorni e delle cucine, dai comodini, dalle camere da letto. Attraverso il definirsi nella storia dei patronati e delle protezioni, dicono non solo quale sia il modello di vita cristiana, ma anche il modello di contadino, di calzolaio, di scalpellino, di intellettuale... di bolognese, catanese, sanmarinese... si definisce attraverso le immagini una identità cristiana che opera nella storia attraverso diversi carismi e ministri, per cui a ciascuno sono dati talenti da fare fruttare. Il Santo diventa così modello di nuova umanità, e l’immagine portata nelle chiese, nelle case e nei luoghi di lavoro, interviene a modificare costumi e modalità di vita, a suscitare ritualità, usi, costumanze e tradizioni.
Tutto questo invita ad un approccio estremamente serio alle immagini di arte sacra, un approccio cioè che non dia per scontato alcun segno, ma che di ognuno chieda il motivo ed il senso. Dimenticare il linguaggio dei simboli e dimenticare il linguaggio della storia: sono le due facce della stessa colpevole distrazione che rendono mute per noi case, chiese e città intere, in cui non percepiamo più che una generica gradevolezza, una magari inquietante suggestione, senza che però siano per noi un invito per una esperienza reale o incontrabile.
Frangiamone: La nascita e la diffusione del culto di Sant’Agata è di particolare interesse per la capillarità con cui ha raggiunto tutto il mondo cristiano a partire dal V secolo, da Roma a Ravenna a Costantinopoli, arrivando fino in Germania ed in Inghilterra. In Italia le località che portano il nome della santa sono almeno 32.
In particolare, a Catania il culto nacque per un miracolo risalente un anno dopo la morte di Agata: invocata dai cittadini, protesse la città da un eruzione dell’Etna, divenendo così protettrice specifica contro gli incendi ed i terremoti. I frequenti rapporti fra le comunità di Roma e di Catania fecero sì che Agata, con Lucia, venisse introdotta nel canone della Messa, redatto entro il VI secolo dopo Cristo, diffondendo così il culto delle due Sante in tutta la cristianità. La figura che copre un ruolo fondamentale nella propagazione del culto di Sant’Agata è San Gregorio Magno, che dovendo riconsacrare alla fine del VI secolo una chiesa originariamente officiata dai Goti ariani, la intitolò a Sant’Agata, ricordando uno dei più antichi miracoli che i catanesi attribuiscono all’intercessione della loro Santa. Nel 535 infatti Sant’Agata difese Catania contro i Goti ariani, divenendo così, come san Martino, baluardo cristiano contro l’eresia, in particolare quella ariana.
Il testo latino, della cui tradizione mi sono occupata, che narra la passione di Agata, risale all’inizio del VI secolo, ma è la probabile trascrizione di un testo più antico contenuto negli Acta Santorum. Le parole di questo testo non sono usate a caso e neppure per piacere letterario: le parole sono veicolo di significato, come del resto i gesti del culto. Per questo è importante leggere questi testi per intero e possibilmente avendo presente il testo in lingua originale; questo genere di letteratura, gli atti dei martiri, nasce per educare e preparare al martirio. Le Chiese locali infatti non erano isolate, l’idea di formare insieme una sola comunità animava le comunità delle varie città. In questo contesto si spiega senza difficoltà il costume attestato sin dall’inizio di dare annuncio alle altre Chiese del martirio con il quale Dio aveva glorificato la comunità. Si mantenevano contatti, si stabilivano scambi, e nell’imperversare della persecuzione ci si teneva per quanto possibile reciprocamente al corrente e ci si esortava ad essere tenaci nella lotta. Le confessioni erano oggetti di giubilo, del quale ci si congratulava a vicenda; per questo nei testi veniva messo in evidenza il fatto che i martiri non erano gente particolarmente forte fisicamente o con una grande forza di volontà. Questi testi sono insomma la testimonianza che è possibile vivere seguendo l’esempio di Cristo, è possibile essere cristiani anche fino alla testimonianza suprema. Per questo veniva dato risalto alle martiri donne ed in particolare alle ragazze giovani, come Blandina, di cui Eusebio racconta il martirio nella Storia ecclesiastica.
Il cristiano imita il suo maestro, ed in questa imitazione si immedesima anche fino al martirio: la forza per la testimonianza è data dalla consapevolezza che Cristo è nel martire e lo guida, Cristus in martire est, secondo le parole di Tertulliano. Per questo Agata prima di morire ripete le parole del maestro, "Ti prego di accogliere il mio spirito", già usate da Santo Stefano primo martire.
Lanzi: Questa mostra nasce dalla ricerca della propria identità compiuta dalla Repubblica di San Marino. Dalla mostra fatta al Meeting nel ’93, La libertà e la festa, dedicata al Santo fondatore e patrono della Repubblica, incontrando la pietà popolare di San Marino, singolare nel suo intreccio fortissimo di religioso e civile, non si poteva non incontrare la compatrona Agata.
Due Santi e le loro tradizioni si trovano all’origine di questa Repubblica che entrando accoglie dicendo di se stessa "L’antica terra della libertà". Un sanmarinese nel 1296 disse che l’uomo nasce libero, possiede il suo, e di ciò non è tenuto ad alcuno se non al Signore nostro Gesù Cristo. Queste parole di un tale Martino di Monte Cucco riecheggiano quelle di Sant’Agata stessa, che disse che la massima libertà è quella di chi si riconosce servo di Cristo. Sant’Agata difese infatti la libertà di Catania contro il fuoco dell’Etna – un anno dopo la sua morte –, contro gli Ariani, contro Federico II... questa Santa ha sempre mostrato di essere particolarmente attenta alla libertà dei suoi concittadini. Per questo è stata scelta come patrona: il patrono però diventa anche un modello, e come Sant’Agata amava la libertà, la libertà di essere figli di Dio, così fanno i catanesi. Così per San Marino: Agata interviene per liberare la città di San Marino, e i sanmarinesi che la invocano diventano per questo suoi concittadini, e possono rispondere all’appello che fece il Papa ai catanesi, "State in piedi, concittadini della martire Agata".
Così il martirio, la resistenza pur debole ai tormenti, l’affermazione dell’idea di libertà, entrano a formare l’identità dei sanmarinesi: ma per capire questo abbiamo dovuto ritrovare i gesti della devozione ad Agata sia a Catania che a San Marino, per cogliere da quelle immagini – dai quadri ai santini – il contenuto di questa devozione. Abbiamo cercato di far parlare ogni segno, ogni gesto, ogni immagine che dimostri il legame che ha San Marino nei confronti di Agata e che ha Agata nei confronti di San Marino: recuperare, custodire e trasmettere questa memoria è estremamente importante.