Segni di speranza

a cura di S. Ecc. Mons. Paul Josef Cordes (Ed. San Paolo)

Presentazione del libro

 

 

Domenica 23, ore 18.30

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Relatori:

Giampiero Donnini, Responsabile per le Comunità del Cammino

Luigi Negri, Docente di Antropologia Teologica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

 

Lettura del messaggio di Mons. Cordes: "Carissimi sono particolarmente grato agli organizzatori del Meeting per l’amicizia fra i popoli che hanno previsto un incontro per la presentazione del libro Segni di speranza che ho pubblicato lo scorso maggio. Questo volume è nato dalla mia esperienza e dal mio apprezzamento per l’opera che i diversi movimenti e le diverse comunità svolgono a favore della nuova evangelizzazione. Li ho conosciuti durante la mia lunga attività di Vice presidente del Pontificio Consiglio per i laici e ancora oggi mi sento molto legato ad essi.

Il vostro importante compito è stato riconosciuto in particolare dal Santo Padre Giovanni Paolo II nello storico incontro di Roma alla vigilia della pentecoste di quest’anno. Il Papa ha affermato che i movimenti sono la risposta che la provvidenza ha ispirato per venire incontro alle necessità della Chiesa e dell’uomo di oggi. Perciò vi ringrazio per questa iniziativa e per la vostra presenza, ma vi ringrazio soprattutto per l’impegno che quotidianamente dimostrate a servizio della diffusione del regno di Dio. Auspico che il Meeting di quest’anno raggiunga con successo i suoi scopi e possa contribuire a far conoscere la persona di Cristo che si mostra nella Chiesa.

Donnini: Questo libro è un’occasione unica per conoscere i movimenti direttamente dagli iniziatori di queste esperienze che oggi hanno portato un rinnovamento profondo nel mondo della Chiesa in Italia; è nello stesso tempo un’opera molto utile per capire il disegno originale di Dio per ciascuno di noi.

Vorrei ora dire brevemente cosa ha significato per me l’incontro con il Cammino Neocatecumenale. Avevo 26 anni; avevo lasciato la Chiesa, pur profondamente attratto dalla figura di Gesù Cristo che però rimaneva un’utopia, mentre la mia vita e la sua applicazione morale erano da un’altra parte. Di fronte al cristianesimo mi sentivo come di fronte a una bellissima serie di ideali, di impegni, di norme, ma la preoccupazione del quotidiano era tutt’altra cosa. Per questo lasciai la Chiesa, perché non trovavo una risposta. Agli inizi del mese di ottobre del ‘68, mi trovavo a Roma per lavoro; entrai in una Chiesa a sentire una catechesi che stava facendo il pittore spagnolo Kiko Arguello, la prima che faceva in Italia. Lo sentii dire: noi siamo cristiani non perché facciamo molte opere sociali, né perché andiamo molto a Messa o facciamo la comunione; né siamo cristiani perché viviamo una vita casta e pura. Noi siamo cristiani per una sola cosa perché amiamo i nostri nemici.

Questa parola dell’amore al nemico per me fu come un lampo,e in una frazione di secondo capii che se aveva ragione, se l’unica discriminante dell’essere cristiani è amare il nemico, io non ero mai stato cristiano. Alla fine dell’incontro, domandai come si può amare il nemico, che sforzo bisogna fare. E Kiko mi rispose: nessuno sforzo, tu ti siedi e ascolti, e se vedi che quello che ti dico in te risuona vedrai che un giorno ti troverai ad amare il nemico, perché l’amore al nemico non è uno sforzo dell’uomo, è il frutto della presenza di Gesù Cristo dentro il cuore dell’uomo.

Quello che manca a noi a volte nel nostro essere cristiani è l’annuncio del kerygma. Il kerygma è l’incontro con un apostolo, l’incontro con una persona, con uno che nella tua vita ti dice una parola profonda, che ti annuncia una buona notizia. Per molti di noi esseri cristiani significa invece osservare leggi, prescrizioni, portare pesi: ci dimentichiamo che l’essere cristiani è il dono più grande che l’uomo possa ricevere, perché è l’incontro con la libertà, è una chiamata alla festa. La parola dovere, nel cristianesimo, è da cancellare.

La novità di Gesù Cristo è che Dio, conoscendo la realtà dell’uomo - che l’uomo è schiavo della morte - ha inviato un uomo nella carne, nella mia carne e nella tua carne, ha assunto una carne come la tua e come la mia, ed ha assunto questa impossibilità ad amare l’altro accettando di morire per l’altro, accettando di perdere la vita, perché sapeva che il Padre gliela avrebbe ridata. Dio infatti quando crea l’uomo, lo crea per l’eternità: Dio ci ha creato non per la morte ma per la vita. La Chiesa esiste per dire al mondo una buona notizia: la morte è vinta. La Chiesa non è né dispensatrice di opere sociale, né dispensatrice di buoni consigli, né curatrice della morale del mondo. La Chiesa esiste per dire al mondo che esiste la vita eterna, che esiste per l’uomo la possibilità di amare. Quello che la Chiesa annuncia è che Dio mi ama. E mi ama assumendo la mia storia.

La novità del cristianesimo è una sola: che mentre tutti gli altri di fronte ai nostri peccati ci guardano e ci giudicano, Gesù ci perdona. Dio non ci ha giudicato, in Gesù Cristo Dio ci ha amato nella nostra realtà più profonda, assumendo i nostri peccati, prendendo la nostra natura, sposando le nostre debolezze. Questo è quello che ha significato per me l’incontro ed il Cammino catecumenale: credere che Dio, in Gesù Cristo, è capace di amare uno come me.

Negri: Il libro Segni di speranza, dopo un breve ma intenso incontro con quelli che vengono chiamati i fondatori dei movimenti e aver posto a loro domande sostanziali sulla loro esperienza personale, nella seconda parte cerca di comporre il quadro della situazione della Chiesa nella quale lo Spirito ha suscitato questi movimenti, e di leggere quindi la funzione che storicamente hanno avuto e potranno sempre più avere, secondo l’ottica - cui è dedicato un intero capitolo - dell’approccio che Giovanni Paolo II ha avuto con i movimenti.

Per dettagliare questa seconda parte monsignor Cordes dà prova di una eccezionale competenza, polimorfica, perché è presente la migliore teologia, la migliore sociologia, la migliore psicologia, la migliore filosofia; non è soltanto una lettura intraecclesiale o ecclesiastica, è una lettura del fenomeno dei movimenti a tutto campo. I movimenti sono significativi perché tendono a riempire quella che già Giovanni XXIII nella Mater et Magistra indicava essere la crisi della Chiesa moderna, la separazione fra la fede e la cultura. O la fede in Cristo illumina e dà significato a tutti i problemi o è una fede preziosa ma inutile. La fede non è una appendice preziosa ma inutile della vita: è invece la verità stessa dell’esistenza.

C’è stata nel corso della storia della Chiesa in questi ultimi decenni quella che monsignor Cordes chiama una crisi di comunicazione. I contenuti fondamentali della fede a livello catechetico e culturale, non sono riusciti ad entrare in contatto con la situazione degli uomini reali, quegli stessi uomini impegnati in una delle avventure più grandi e aberranti, l’avventura della modernità, l’avventura di un uomo senza Dio, di una società senza Dio, di una società in cui l’uomo si è concepito come portatore in modo assoluto dei valori della sua esistenza, come capace di risolvere tutti i problemi da sé in forza della sua intelligenza e moralità, in forza della sua capacità scientifica e tecnologica. Questa crisi di comunicazione è espressione di una crisi più profonda, una crisi di identità. È come se la Chiesa non sapesse più chi è.

La grande stagione dei movimenti è stata salutare per questo, perché queste nuove realtà hanno proposto a tutta la Chiesa un punto di identificazione. La Chiesa non si identifica né sul mondo, né contro il mondo: la Chiesa si identifica in Cristo. La Chiesa è in Cristo, per Cristo e con Cristo: Cristo è il significato definitivo della realtà, la luce delle genti. I movimenti hanno riproposto in modo molto radicale questo principio aureo: la Chiesa è corpo del Signore, si identifica per questo radicale riferimento a Cristo, perché vive totalmente nell’ambito della Sua Presenza, come ci ha insegnato in maniera indimenticabile la Redemptor hominis. I movimenti hanno insegnato questo vivendo nella realtà del carisma la presenza di Cristo nella Chiesa e il Suo diventare incontro per l’uomo di oggi. Quale che sia il movimento, ciò che identifica la Chiesa è il suo rapporto con Cristo, ed è un rapporto con Cristo nel presente. Cristo presente nella Chiesa qui ed ora, che solo può spiegare e trasformare l’esistenza dell’uomo.

Si coglie così il senso profondo di una prima osservazione che è diventata comune per chi ha seguito l’insegnamento del magistero del Papa sui movimenti, fino a quello impartito durante l’udienza del 13 agosto: l’avvenimento di Cristo che è all’origine della Chiesa e del suo Spirito guida la Chiesa attraverso due grandi modalità che non sono in contrapposizione, ma sono profondamente sinergiche: il modo della istituzione e il modo del carisma. È rovinoso, ha detto il Papa, contrapporle, perché sono le due modalità con cui lo Spirito di Dio rende presente il mistero di Cristo nella Chiesa. L’istituzione assicura la presenza di Cristo, la Sua permanenza e la sua comunicabilità; il carisma lo rende esperienza viva e concreta, per coloro a cui il carisma è dato e per quelli che si legano a colui che ha ricevuto nella Chiesa dallo Spirito questo carisma, senza contrapposizione, perché il carisma accetta l’ultimo riferimento all’istituzione che è dotata del potere del discernimento, e d’altra parte l’istituzione deve accettare di non essere la sorgente della vita ecclesiale, ma il luogo di raccolta e di conduzione della vita ecclesiale. Ma la vita ecclesiale nasce dall’assoluta gratuità con cui lo spirito ubi vult spirat, dove vuole spira.

Una seconda osservazione riguarda la riscoperta della identificazione della Chiesa, la riscoperta di una realtà che proprio perché si identifica in Cristo e rende presente Cristo, è rivolta all’uomo e in dialogo con l’uomo. Questa esperienza della Chiesa, soprattutto nella flessione e nel modo con cui se ne fa esperienza nelle realtà carismatiche, non si chiude intraecclesialmente, è invece per l’uomo, ha la pretesa di parlare all’uomo e di porre Cristo come centro del cosmo e della storia. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II, la Chiesa vive per rendere continuo il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo: in queste parole riecheggia la grande intuizione dell’ultimo magistero di Paolo VI, che si è concretizzato nella Evangelii Nuntiandi.

La terza ed ultima osservazione tocca invece una intuizione formidabile di Giovanni Paolo II, che monsignor Cordes ha riproposto e che il 30 maggio ha reso esperienza sensibile: c’è qualche cosa che misura la realtà istituzionale e la vita carismatica. Questa è la missione. La chiesa è per la missione, la comunione è per la missione, come ha detto Papa Paolo VI nel Concilio Vaticano II. Il Concilio ha affermato l’esistenza di una comunione per la missione, non una comunione che si chiude in sé, ma la comunione per l’uomo, per il mondo, perché il contenuto esauriente e definitivo dell’esperienza dei cristiani venga proposto a tutti gli uomini come via, verità e vita. L’istituzione che non volesse la missione tradisce la sua funzione di guida della Chiesa a tutti i livelli, così come un carisma che non volesse servire la missione si tirerebbe fuori dalla linfa vitale della comunità. O la Chiesa vive questa missione o l’uomo del terzo millennio morirà disperato. L’uomo del terzo millennio infatti ha già alle sue spalle il fallimento della modernità, che voleva un uomo senza Dio e una società senza Dio e ha distrutto l’uomo: come diceva padre De Lubac, si può costruire il mondo contro Dio, ma una volta che si sia costruito il mondo contro Dio ci si rende conto amaramente che si costruisce il mondo contro l’uomo. L’uomo dell’inizio del terzo millennio è un uomo deluso, segnato dall’esperienza di fallimento della modernità. A questo uomo occorre riportare la speranza, e la speranza è riportata da una Chiesa autenticamente missionaria. Occorre che tutta la Chiesa, sia l’istituzione che i carismi, si rendano conto che ciò che li misura e li giudica, oggi e sempre, è la loro capacità di essere fattore determinante della vita missionaria. Che coloro che vivono l’esperienza dei movimenti sappiano per questa esperienza ritrovare il fascino e il gusto, e quindi il sacrificio, la fatica di una missione che consiste nell’aprire davanti al cuore di ogni uomo la certezza che Cristo è il redentore dell’uomo, perché solo in Cristo l’uomo sa veramente chi è.