Una spiritualità per vivere

Presentazione della Collana "Le cento parole"

 

 

Domenica 24, ore 18.30

Relatori:

Carla Cotignoli, Giuseppe Corigliano, Davide Rondoni,

Responsabile Servizio Informazioni Direttore Ufficio Informazioni Scrittore e Poeta

Internazionale del Movimento della Prelatura Opus Dei

dei Focolari

 

 

 

 

Cotignoli: Più ci si avvicina a questo terzo millennio, più ci si accorge che c’è nell’aria qualcosa di nuovo, che ormai si sente e tocca con mano e che è condotto dallo Spirito Santo. Nonostante il mitragliamento materialista ed edonista dei mezzi di informazione, c’è nella gente una sete di spiritualità. La preoccupazione più seria di questo tempo è che la gente da una parte va a cercare questa spiritualità in una dimensione profonda, non superficiale del divino, ma dall’altra parta la attinge non dal Vangelo, non dalla Chiesa, ma dal Buddismo, dall’Islam, o addirittura dalla New Age o dalle mille forme dell’esoterismo.

A gennaio Chiara Lubich è andata in Thailandia, invitata da alcuni monaci del gran maestro buddista e dal suo discepolo a parlare a ottocento monaci e monache buddiste. Prima nella università in cui si formano questi giovani monaci, poi in un centro di meditazione, Chiara ha visto numerosi giovani cercare proprio questa dimensione spirituale. Chiara non ha fatto sconti, ha raccontato con autenticità varie esperienze di vita del vangelo vissuto. Ci sarà una continuità a questi rapporti: si prevede anche la nascita di una cittadella perché questi rapporti continuino. A maggio, Chiara è stata invitata a parlare in una moschea, ad Harlem, una zona nera, nella quale i bianchi non hanno neppure diritto di parola, tanto meno una donna, e tanto meno cristiana. Ed erano tremila mussulmani neri: anche qui è stato un fenomeno di esperienza soprannaturale nel quale Chiara ha raccontato con chiarezza la sua esperienza.

L’unica possibilità per opporsi alla cultura dei nostri tempi è ripartire dal vangelo, come ha fatto Chiara nel 1944: è la radice di una cultura assolutamente nuova che si oppone alla cultura dell’avere della nostra epoca, che introduce un altro sistema, la cultura del dare e che porta con sé il "vi sarà dato". Al cuore del vangelo c’è una perla che è quell’"amatevi l’un l’altro come io ho amato voi". La perla è proprio in quel "come", questa misura di Gesù che è sulla croce, che dà tutto, non soltanto dà la vita, ma dà quella che era la sua essenza di essere Dio. In questa misura, in questo ideale, Chiara ha sentito che è Lui che dobbiamo scegliere nella nostra vita. Questo di conseguenza si cala nel rapporto con i fratelli: questo essere nulla, questo perdere tutto, questo dare tutto per amare con quella misura.

 

 

Corigliano: Il titolo "Il lavoro rende santi", dato da Saverio Gaeta al volume de "Le cento parole" sull’Opus Dei può trarre in inganno; non sempre il lavoro rende santi, anche nei campi di concentramento si esaltava il lavoro... Mi ha colpito a questo proposito un dirigente che una volta mi venne a trovare e mi disse: "Io dell’Opus Dei so molto poco. So solamente questa faccenda del lavoro e sono d’accordo. Io per questo ho divorziato da mia moglie, perché per me esiste prima il lavoro e poi la famiglia". Credeva che questo fosse l’Opus Dei: invece è esattamente l’opposto.

Il lavoro per essere un lavoro di Dio, ha bisogno di essere inquadrato, e inquadrato in un sistema in cui ci sia una visione famigliare della vita. Per esempio sarebbe sbagliato trascurare la propria famiglia, come oggi viene richiesto dalle aziende americanizzanti, per dedicarsi completamente, anima e corpo, all’azienda; umanamente, chi lavora per essere realizzato bene deve avere un equilibrio umano. Gli stessi studi avanzati dell’azienda stanno scoprendo che non ci può essere soltanto competitività, non ci può essere soltanto desiderio di carriera, occorre avere un equilibrio umano. Il vero equilibrio è proprio quello di capire che il lavoro può essere santificato se si trasforma in orazione. Ognuno di noi è un bambino davanti a Dio, e quindi davanti a Dio siamo poca cosa, l’importante è che scegliamo di prendere quel peso di Dio che Egli ci vuole mettere addosso. Allora il lavoro diventa un’opera di Dio.

Il fondatore dell’Opus Dei aveva proprio questa visione: il lavoro era per lui l’estensione dell’orazione, per cui il suo desiderio di trasformare il mondo si trasformava nell’idea che se viviamo veramente una vita interiore, un rapporto vero con Dio, abbiamo i mezzi per cambiare il mondo. Noi da soli siamo pochissima cosa, ma siamo grande cosa perché siamo figli del Padre celeste, per questo possiamo santificare il lavoro e trasformare il mondo.

 

 

Rondoni: Per motivi personali e generazionali sono cresciuto leggendo Rimbaud, commuovendomi per le canzoni dolci e spietate di Vasco Rossi, e accorgendomi che aveva ragione Pasolini nel dire che lo sguardo che con l’uso dell’intelligenza e della passione ti viene da dare al mondo è uno sguardo tragico. L’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione è stato per me un incontro con qualcosa di nuovo, di altro però che c’entrava con tutte queste altre cose, è stato l’incontro con persone che mi sono sembrate eccezionali per un motivo molto semplice, perché mi è sembrato che mi prendessero eccezionalmente sul serio, che prendessero sul serio il mio cuore, la mia persona che si gettava affannosamente sulle pagine di certe scrittori o che si cullava dolcemente su certe canzoni o che si rattristava a vedere certe cose. La prima caratteristica della spiritualità di Giussani è il fatto di proporsi come un incontro, che risulta eccezionale per il fatto che l’umanità di una persona viene stimolata, compresa, valorizzata fuori da ogni aspettativa.

La seconda caratteristica è indicare l’avvenimento cristiano come avvenimento che continua in un popolo. Mi ha sempre colpito l’indicazione perentoria che Giussani ha nel dire che il Suo volto è la Chiesa, e dunque il popolo cristiano; se non si potesse trovare in un popolo, in una cosa umanamente esperibile, il volto di Dio sarebbe astratto, non sarebbe un incontro. Non si tratta della preoccupazione di difendere la coerenza del popolo cristiano, di difendere il popolo cristiano come un popolo di perfetti: Giussani non ha mai detto che noi siamo quelli che non sbagliano mai, non ha mai difeso la Chiesa come un esempio di perfezione umana. Quello che invece ha sempre difeso, anche nelle scelte particolari o nei momenti più difficili, è l’esistenza di questo popolo.

La terza caratteristica è che l’esperienza cristiana viene proposta da Giussani come un gusto del presente, un gusto di quello che c’è adesso: il Cristianesimo è l’unica alternativa al carpe diem, triste e angoscioso di tutta la cultura che ci sovrasta. Godere l’istante, che è il vero problema umano, per il cristiano significa guardare l’istante fino in fondo, sfondarne l’apparenza per poterlo gustare fino in fondo.

L’ultima caratteristica è il fatto elementare del Cristianesimo, riproposto da Giussani nella sua essenzialità: il nuovo del Cristianesimo è il fatto che Dio si fa conoscere. È un rovesciamento di metodo, per cui anche rispetto all’ansia spirituale o spiritualista della nostra epoca è Dio che si fa conoscere; non è la ricerca che va a buon fine, ma è Dio che si fa conoscere. Per questo il metodo del movimento è il seguire lo stesso metodo che il mistero ha usato con noi: il farsi conoscere, l’essere presenza. L’essere presenza inteso non come imposizione di qualcosa, ma "esserci", così come Gesù camminava per le strade della Galilea. Conseguenza di questo essere presenza è l’ecumenismo come abbraccio al vero che si mostra dappertutto, l’abbraccio all’altro perché porta qualcosa di vero.