Venerdì 25 agosto, ore 15
TIBET OGGI: SOCIETA’, CULTURA, RELIGIONE NEL PAESE DELLE NEVI
Partecipano:
Claudio Cardelli, Piero Verni.
Modera:
Robi Ronza.
R. Ronza:
Buon pomeriggio e grazie per essere intervenuti ad ascoltare una testimonianza di grande interesse, con la proiezione di documenti visivi inediti in Italia. Vi presento i due relatori del nostro incontro: Pietro Verni, Presidente dell'associazione Italia-Tibet e Claudio Cardelli, che è un altro degli animatori della stessa associazione.
P. Verni:
Noi abbiamo due documenti video eccezionali. Il primo è molto breve ed è un video girato dalla polizia cinese a Laza durante gli scontri, o meglio durante il massacro, di oltre trenta monaci uccisi dalla polizia nel marzo dell'anno scorso. Questo documento è uno dei soliti documenti che la polizia cinese gira su tutto quello che avviene durante le manifestazioni e durante gli scontri, per poi poter identificare le persone e arrestarle. Incredibilmente, con un metodo che non può non ricordare quello nazista, filma anche le proprie brutalità, così come i nazisti filmavano nei campi di concentramento quello che loro stessi infliggevano ai detenuti. È un documento che è arrivato in Occidente per vie clandestine, probabilmente attraverso un tibetano che, ufficialmente, lavora con le autorità cinesi, mentre in realtà faceva parte della resistenza tibetana (...). Dal 1949 il Tibet, che è uno stato assolutamente indipendente e sovrano, è stato invaso dall'esercito della Repubblica popolare cinese. Dopo circa dieci anni in cui i tibetani hanno tentato quella che è stata definita una "impossibile convivenza", nel 1959 è cresciuto in Tibet un movimento di resistenza alla presenza cinese che ha avuto il suo momento più alto nella insurrezione di Laza del 1959, sfortunatamente schiacciata nel sangue. Questo ha determinato, da una parte la brutale repressione cinese che ha causato secondo fonti dello stesso governo di Pechino, oltre 150 mila morti e dall'altra un esodo massiccio di alcune decine, se non centinaia di migliaia di profughi tibetani, che si sono riversati in India e negli stati himalaiani confinanti (…). In questi 40 anni di occupazione cinese, il 95% del patrimonio artistico tibetano, di tradizione quasi sempre religiosa, è stato distrutto. Pensate che in questo momento ci sono in Tibet oltre sette milioni di coloni cinesi a fronte di sei milioni di tibetani. Il territorio del Tibet è stato smembrato: metà di questo territorio è stato direttamente incorporato nella Repubblica popolare cinese, solo a una metà è stato riconosciuto il regime di Regione autonoma tibetana, dove questo "autonoma" è solo sulla carta, perché tutte le leve del potere sono nelle mani dei quadri di partito cinesi e, fino a pochissimi anni or sono, era anche proibito lo studio della lingua tibetana nelle scuole. Una situazione drammatica, di cui vorrei mettere in evidenza soprattutto due aspetti. Uno è quello degli aborti forzati, ai quali sono sottoposte, contro la loro volontà, le donne tibetane. Le donne tibetane spesso sono costrette ad abortire o a volte vengono sterilizzate sotto anestesia durante il parto negli ospedali cinesi in Tibet. L'altro è l'assoluta istruzione ecologica dell'ecosistema tibetano e soprattutto delle enormi - un tempo foreste tibetane che sono ormai ridotte a niente, a un mare di colline e di montagne assolutamente brulle (…). Per reagire a questo stato di cose alcune persone, nell'aprile del 1988, si sono riunite a Milano e hanno fondato l'associazione Italia-Tibet, che ha diversi scopi, ma fondamentalmente quello di aiutare la lotta del popolo tibetano, soprattutto del popolo tibetano in Tibet e dei profughi tibetani che continuano la loro battaglia all'estero (…).
C. Cardelli:
I tibetani, che sono circa sei milioni, appartengono ad una etnia, ad una razza che non è quella cinese, ma è quella del ceppo tibet-birmano, così come la loro lingua (…). La storia del Tibet, che noi conosciamo, comincia più o meno intorno al VII VIII secolo, quando, proprio su questo altipiano immenso le popolazioni nomadi indigene decisero di dare origine ad una forma di società di tipo stanziale (…). Di questo periodo è l'incontro con il buddismo che veniva allora dall'India. Alcuni sovrani chiamarono dall'India uno yogi, un maestro tantrico, e lo invitarono in Tibet per propagare la dottrina. Questo maestro, che ancora oggi è la figura forse più popolare nel pantheon tibetano, diede inizio appunto alla diffusione del buddismo nel paese delle nevi e così inizia anche la storia del Tibet, perché è una storia che cresce e si sviluppa parallelamente alla storia del buddismo. Iniziarono i primi insediamenti, le prime piccole comunità monastiche e i primi rapporti con i mongoli. (…) I mongoli, che allora erano detentori di un vero e proprio impero che arrivava da Pechino fino ai confini con l'Ungheria, instaurarono un rapporto particolare con i tibetani, che potremmo definire tra maestro e patrono. Proprio grazie a questa amicizia basata su un rapporto spirituale, i mongoli lasciarono il Tibet libero e indipendente già da allora. Poi, con la caduta dell'impero mongolo e l'avvento della dinastia Ming, questo rapporto tra imperatori e tibetani scemò, e in Tibet prese sempre più corpo una struttura di tipo politico, temporale, che vede appunto il suo apice con la creazione della figura a noi tutti nota che è quella del Dalài Lama. Andiamo ancora avanti e arriviamo alle soglie del XVII, XVIII secolo, quando de cade la dinastia Ming e subentra la dinastia Manciú che, come i mongoli, era una dinastia diversa dai cinesi. Ora i manciù sono quasi completamente scomparsi, ma allora erano quelli che avevano in mano le redini dell'impero e all'inizio i manciù dimostrarono di nuovo un certo interesse al rapporto con questi Lama tibetani, tant'è vero che mandarono a Laza un paio di ambasciatori e una piccola guarnigione. Verso la fine dell'800, la dinastia Manciù iniziò ad interessarsi meno di spirito e più di espansione e questo praticamente incrinò il rapporto tra il Tibet e i manciù, tant'è vero che, all'inizio del secolo, il tredicesimo Dalài Lama fu costretto a fuggire in India, nell'India britannica di allora. Quando nel 1911 decadde la dinastia Manciù, i tibetani furono in grado di cacciare anche quel minimo di presenza cinese che avevano a Laza e, un po’ di tempo dopo, lo stesso tredicesimo Dalài Lama fu in grado di ribadire che il Tibet godeva di una piena e totale autonomia (…). Dal 1911 al 1949 il Tibet gode di una completa indipendenza (…). Nel Tung, però, invade il Tibet: segue un decennio di convivenza difficile tra tibetani e cinesi, finché nel 1959 c'è la rivolta di Laza e la fuga del Dalài Lama. Quello che poi è successo negli anni seguenti è la tragedia che continua tuttora (…).
Dopo la proiezione dei video, inizia il dibattito.