"Non est in toto sanctior orbe locus":

il restauro del Sancta Sanctorum

Lunedì 21, ore 16.30

Relatori:
Bruno Zanardi, Direttore dei restauri del Sancta Sanctorum

Federico Zeri, Vicepresidente del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali e Ambientali e Accademico di Francia

Moderatore: Alberto Savorana

 

Savorana: Possiamo tutti — organizzatori e partecipanti a questo Meeting — sentirci onorati per la presenza tra noi, oggi, di due persone che consideriamo autentici maestri, per la serietà dell'impegno e dell'attività di ricerca cui hanno dedicato tutta la loro vita, il Prof. Bruno Zanardi e il Prof. Federico Zeri.

A questi due nostri ospiti e amici abbiamo chiesto di portare un contributo di ricerca e di scienza a quell'opera di recupero sorprendente ed esaltante che è stato il restauro del Sancta Sanctorum, l'antichissima cappella privata dei Papi in Laterano, per tanti secoli loro residenza, prima del passaggio in Vaticano. "Non c'è altro luogo più sacro di questo in tutto il mondo" reca la scritta sull'architrave all'ingresso della celebre cappella. Un luogo in cui per tutto il Medioevo, solo i Pontefici potevano entrare, per sostare e inginocchiarsi e pregare di fronte all'immagine di Cristo, un'immagine considerata non dipinta da mani d'uomo.

Il Prof. Zanardi ha coordinato i restauri del sacello del Sancta Sanctorum, eseguendoli anche personalmente; un restauro durato anni, che è stato particolarmente avvincente per almeno tre ragioni: innanzitutto per la sacralità del luogo — la cappella privata dei Pontefici possiede una forza che sembra respingere interventi e intrusioni dall'esterno, in essa invece l'équipe di Bruno Zanardi ha stazionato per due anni —; in secondo luogo per il risultato sorprendente del restauro, e infine per le grandi novità sul piano scientifico che tale restauro ha portato. Di questo infatti parlerà Federico Zeri, storico dell'arte, somma autorità nel campo della pittura medioevale, che illustrerà anche i particolari significati iconografici della figurazione del Sancta Sanctorum nel contesto dell'epoca medioevale e dell'insorgere di eresie gnostiche che negavano la corporeità di Cristo.

Zanardi: Credo di dovere, prima di presentare il lavoro vero e proprio di restauro, raccontare a grandi linee come si è svolta la storia, molto curiosa, del restauro della cappella del Sancta Sanctorum in Laterano.

Io ho avuto la fortuna di poter lavorare per parecchi anni ad Assisi, nella Basilica di S.Francesco. Quasi tutti gli studiosi, moltissimi, che venivano a vedere quei restauri, parlavano della necessità di restaurare la cappella del Sancta Sanctorum per tentare di capire qualcosa di più circa l'annoso problema critico sul quale vi intratterrà poi il Prof. Zeri: la paternità del ciclo francescano di Assisi. Su questo problema infatti c'è un dissidio tra Roma e Firenze, che riguarda un fatto criticamente di enorme importanza, forse l'ultimo grande nodo critico a essere rimasto irrisolto nella storia dell'arte italiana.

Mi era così rimasta nella testa l'idea della necessità di restaurare il Sancta Sanctorum, cosa che, di primo acchito, sembrava semplice, poi di fatto è diventata complessa, perché la cappella del Sancta Sanctorum era irrimediabilmente chiusa, cioè non vi si poteva accedere. Per una serie di circostanze casuali però sono venuto in contatto con i Padri Passionisti, coloro che occupano il santuario nel quale è inserita questa cappella, ovvero il Santuario della Scala Santa. La cappella del Sancta Sanctorum è l'ultimo elemento residuo della Roma medioevale a essersi conservato integro per ragioni di devozione. Quando, alla fine del Cinquecento, Papa Sisto V Peretti fece distruggere gran parte di quello che restava della Roma Medievale e in particolare il Palazzo Lateranense, l'unica cosa che conservò fu la cappella del Sancta Sanctorum. In seguito, essa venne raccordata a terra, attraverso la Scala Santa, perché, essendo una cappella palatina, era posta in alto.

I Padri Passionisti si dissero in qualche modo disponibili a fare questo restauro: incominciai allora a cercare qualcuno che finanziasse il lavoro. Ho bussato a molte porte, anche di importanti patrocinatori di iniziative di questo genere, mecenati; tutti si rifiutavano, perché nessuno — probabilmente — sapeva cosa c'era in gioco, ed anche per una certa diffidenza. Un giorno, però, un giovanissimo industriale di Parma, il produttore del celebre Parmacotto, mi disse immediatamente di sì: era onorato di poter partecipare ad una impresa di questo genere. Grazie alla generosa sponsorizzazione di questo intelligente industriale, Marco Rosi, da Parma si è partiti per restaurare la cappella del Sancta Sanctorum. I Musei Vaticani ed in particolare il direttore generale, il Prof. Carlo Pietrangeli, uomo di straordinarie qualità umane e culturali — recentemente scomparso — erano ampiamente d'accordo sulla necessità del restauro, e quindi abbiamo cominciato questa grande impresa.

La prima volta che sono entrato nella cappella del Sancta Sanctorum ho provato una grandissima emozione, perché mi sono trovato a entrare in un posto chiuso ermeticamente da cinque secoli — sarebbe come entrare nella piramide di Cheofe per la prima volta...

La cappella si è salvata, probabilmente, perché era stata ridipinta agli inizi del Cinquecento, perché era un luogo di straordinaria devozione, era la cappella privata dei papi, ed anche la cappella delle reliquie dei Papi. Era il luogo della cristianità contenente alcune delle più insigni reliquie della cristianità stessa, a cominciare dall'immagine acherotipa ("acherotipa" significa dipinta non da mano umana, ma, in questo caso, da San Luca, e portata — secondo la leggenda — dagli angeli in volo direttamente da Gerusalemme). Probabilmente, Sisto V Peretti poiché la ridipintura aveva riaggiornato dal punto di vista dell'arredo le immagini, decise di non provvedere alla loro distruzione, perché altrimenti avrebbe distrutto anche la parte superiore della decorazione e noi non avremmo trovato nulla sotto le ridipinture, come è accaduto effettivamente in una zona del Sancta Sanctorum, nella quale Sisto V Peretti fece distruggere gli affreschi originali, facendoli sostituire con affreschi del proprio tempo, ovvero della fine del Cinquecento. Invece, gli affreschi che si vedono, sono totalmente ridipinti, ma sotto avevano conservato intatta la decorazione di fine Duecento assolutamente intatta.

La datazione è certa perché sappiamo dal cronista Tolomeo da Lucca che la cappella del Sancta Sanctorum ebbe gravi danni per un terremoto e venne fatta ricostruire a solo — dal suolo — da Nicola III Orsini, che fu Papa dal 1277 al 1280.

Sull'architrave della cappella campeggia la grande scritta: "Non est in toto sanctior orbe locus", perché i primi a dichiarare come luogo più santo della cristianità la cappella furono proprio il clero regolare e il Papa.

Nel nostro restauro abbiamo fatto precedere la pulitura degli affreschi da una osservazione molto ravvicinata dell'insieme, per vedere se si poteva capire quanto c'era sotto della decorazione originale. Infatti, non ci si accinge a distruggere una ridipintura, anche se di scarso interesse storico, quando essa è molto antica, come, nel nostro caso, la ridipintura di inizio Cinquecento. A luce radente, si vedeva che sotto ad essa c'era una grandissima parte della decorazione di fine Duecento conservata.

La pulitura è stata fatta secondo le tecniche consuete che vengono normalmente usate nella pulitura dei dipinti murali. A questo proposito, val la pena ricordare che il Vaticano è uno stato estero, e quindi i lavori di restauro vengono seguiti in un modo molto diverso da come accade in Italia, anche in modo più organizzato: tutte le operazioni di pulitura venivano prima concordate a tavolino. Il Prof. Pietrangeli, il Prof. Mancinelli — direttore dei lavori, anch'egli, purtroppo, prematuramente scomparso —, il Prof. Gianluigi Colalucci — il restauratore capo dei Musei Vaticani e della cappella Sistina —, ed io, decidevamo a tavolino quello che si doveva fare: in seguito, con Gianluigi Colalucci andavamo sul posto, eseguivamo insieme, materialmente, delle prove di pulitura, discutevamo su come farle e sui materiali da usare. C'era così un rapporto di collaborazione, più che di controllo, come avviene invece in Italia, che metteva tutti in condizioni di straordinaria sicurezza durante l'esecuzione del lavoro.

Sotto la ridipintura non sempre abbiamo trovato una pittura intatta o una condizione conservativa generale buona; c'erano delle zone ben conservate, ma c'erano anche delle zone piuttosto modestamente conservate. Per esempio, si è trovato un dato conservativo che poteva sembrare un geroglifico; in realtà, era una terra verde che tende ad alterarsi a chiazze su un fondo marroncino. In questo caso, non si trattava dunque di un disegno ma semplicemente di un fatto di alterazione. Spesso, nei dipinti antichi si vedono cose che possono sembrare dei disegni, ma che in realtà sono soltanto dei fenomeni alterativi: essi non possono venire risarciti, ed infatti noi li abbiamo lasciati così come li abbiamo trovati, perché di certo non potevamo andare a ridipingere di verde il fondo per ricompattarlo.

Nel restauro e nel lavoro di reintegrazione, abbiamo scoperto molte cose sulla tecnica di esecuzione di questi affreschi, databili tra il 1277 e il 1280, data di passaggio molto importante dal punto di vista non solo stilistico, ma anche storico-tecnico. Infatti, in questo momento la pittura da affresco comincia a diventare una pittura molto più dettagliata, molto più naturalistica di quanto non fosse prima. Perchè questo accada, ci vuole una necessità anche di ordine tecnico. Fino a questo momento gli affreschi vengono fatti con enormi sezioni di intonaco dipinte tutte insieme, ora invece le sezioni di intonaco cominciano a ridursi. La pittura ad affresco è quella che si fa sull'intonaco fresco, quindi per poter dipingere sull'intonaco fresco una grande sezione di intonaco, bisogna andare molto rapidamente; invece, quanto più la sezione è piccola, tanto più si può entrare nel dettaglio, avendo meno superficie da dipingere ed essendo quindi in condizione di poter controllare meglio i tempi di essicamento dell'intonaco. Nella cappella del Sancta Sanctorum noi assistiamo appunto ad una prima riduzione delle cosiddette "pontate", che cominciano a diventare giornate.

Un altro elemento di novità è il fatto che attraverso strie viene disegnato l'andamento prospettico; è evidente che in questa pittura di fine anni '70 del Duecento, comincia a esserci un ragionamento sulla prospettiva, anche se per arrivare alla vera prospettiva razionale, bisognerà aspettare ancora molti decenni. Il modo col quale nella pittura ad affresco si ottenevano le ortogonali, era la battitura di un filo: si impregnavano delle corde di un colore, poi si tiravano come si tira la corda di un arco, e si facevano sbattere contro il muro, in modo da avere delle linee diritte, continue. Questo non era l'unico modo per raggiungere una precisione: infatti, i pittori facevano i disegni incidendo l'intonaco e anche comprimendolo per riuscire a dipingere meglio l'affresco.

Passiamo al tipo di pennellata; si vede nei dipinti che la pittura si faceva con le mani e con dei materiali, e l'andamento delle strie mette in evidenza la dura fatica del lavoro, che in qualche modo si inverava in forme più o meno sublimi, ma non era certo un lavoro semplice dal punto di vista esecutivo. Sono pennellate molto spesse di calce, con una rapidità e con una franchezza esecutiva assolutamente straordinarie. Le pennellate, anche quelle riaggiustate con dei pallini di calce, posseggono una sicurezza esecutiva assolutamente stupefacente.

Interessanti poi sono i vari modi di esecuzione dei diversi pittori — 3 o 4 — che lavorano nella cappella del Sancta Sanctorum. Uno usa un modo molto siglato di dipingere; un altro invece tende a dipingere in modo sfuocato, confondendo tra loro le varie pennellate con un effetto quasi da ritratto naturalista; un altro ancora usa la pittura quasi monocroma e la calce, con spessori molto grandi e in modo puntiforme. Questi pittori, chiamati da Nicolò III Orsini, si sono accinti a decorare le pareti della cappella, pensando alla decorazione di una casa antico romana da cristianizzare. Infatti, i fondi rossi che ci sono, sono tipici della pittura antico-romana, in particolare pompeiana. Naturalmente, si tratta di una Pompei ante litteram, perché Pompei venne scoperta nel '700 mentre questi dipinti risalgono a 500 anni prima. Evidentemente Roma doveva essere piena di ville antico-romane scoperchiate, sulle quali poter vedere la pittura di quei tempi e confrontarla con il presente. In pratica questi pittori, cristianizzando una villa antico-romana, hanno ripreso alcuni motivi decorativi romani, come ad esempio il motivo del delfino, o del vaso, o degli uccelli che beccano l'uva, o di una testina di fauno. Tutto questo non è altro che un pretesto decorativo.

Per dipingere, questi pittori usavano della sagome, delle specie di figure, dei cartamodelli, che montavano di volta in volta, con degli atteggiamenti diversi, per potere avere una proporzione sempre identica all'interno della decorazione. L'aspetto particolare è che queste figure sembrano diversissime l'una dall'altra. Il disegno, la forma è assolutamente identica, ma il risultato estetico è completamente diverso. Evidentemente, badavano a usare delle sagome o delle forme identiche, ma poi le dipingevano in modo diverso l'una dall'altra, magari facendole dipingere da pittori diversi all'interno del cantiere, per avere la certezza da una parte di mantenere una unità proporzionale, e dall'altra di non avere la fissità iconica tipica della pittura bizantina. In questo periodo infatti, ci si sta allontanando dalla pittura bizantina, tanto è vero che Cennino Cennini, parlando di Giotto, dice: "rimutò l'arte di dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno".

Finora abbiamo parlato degli affreschi, ma vi è un'altra decorazione nella cappella, che è il mosaico. Questo mosaico, prima che lo pulissimo, era talmente illeggibile, cioè talmente annerito dalla polvere, che aveva una datazione che variava dall'VIII secolo al XIII secolo: non si vedeva praticamente niente. Dopo la pulitura, ci si è accorti che l'uso delle tessere è particolare. Infatti, sono piccole, e questa è una cosa abbastanza curiosa, che segnala la grande attenzione con la quale il mosaico è stato fatto. È evidente infatti che più sono piccole le tessere, più le variazioni chiaroscurali da illustrare possono essere condotte a termine. Se, ad esempio, io ho 5 centimetri di tessere con 2 tessere, posso fare una tessera bianca e una rosa, mentre se io ho 5 centimetri di tessere da mettere in opera con 50 tessere, posso andare dal rosa scuro fino al bianco con un numero notevolissimo di tessere, e posso avere una gradualità di trapassi coloristici infinitamente maggiore che non nel primo caso. Il mosaico bellissimo del Sancta Sanctorum sembra così una pittura.

Zeri: Nella opinione corrente, si pensa che la cattedrale di Roma sia S. Pietro in Vaticano. Questo non è esatto: la cattedrale di Roma è stata sempre ed è S. Giovanni in Laterano. Ed è accanto alla basilica lateranense che risiedevano i Papi. Il grande enorme edificio patriarchico che era la residenza papale era stato lungamente sottoposto a modifiche, ad accrescimenti, a decorazioni, ad abbellimenti, e si era conservato in condizioni più o meno buone, fino alla fine del secolo XVI, quando Papa Sisto V — non sappiamo per quale ragione — volle demolirlo, raderlo al suolo. Si salvarono soltando due cose: la Basilica di S. Giovanni in Laterano — che venne distrutta più tardi — e la cappella del Sancta Sanctorum, sulla quale non si osò far lavorare il piccone demolitore, in quanto era considerata la cappella privata del Papa, e soprattutto era considerata qualche cosa di straordinario a causa della quantità di reliquie importantissime che vi erano conservate.

La cappella del Sancta Sanctorum fu praticamente lasciata intatta, fu soltanto raccordata al nuovo livello stradale attraverso la cosiddetta Scala Santa, cioè la scala marmorea portata in Roma da S. Elena, la madre di Costantino, messa in uno degli edifici vicino al Laterano. Gli scalini che vediamo oggi, non sono quelli della Scala Santa, che sarebbero consunti dal continuo strofinio con le ginocchia dei fedeli, ma sono degli scalini del secolo XVI, sotto i quali si troverebbe l'antica scala che, secondo la tradizione, sarebbe quella del pretorio di Gerusalemme, che Cristo avrebbe salito l'ultima notte prima della sua crocefissione.

Il Sancta Sanctorum fu lasciato intatto, ma fu sottoposto a modifiche soprattutto per quello che riguarda la parte ad affresco. Purtroppo, alcune figure sotto una serie di archetti furono spicconate, e ridipinte all'epoca di Sisto V, ma per il resto gli affreschi non furono toccati, soltanto ammodernati. Già erano stati ammodernati una prima volta alla fine del Quattrocento, all'epoca di Papa Borgia, ma non furono spicconati, mentre molti chilometri quadrati di mosaici, di affreschi e di decorazioni, furono distrutte senza pietà nell'antico palazzo lateranense.

È molto curioso che la distruzione del Palazzo del Laterano, la residenza del capo della Chiesa cattolica, sia avvenuta all'incirca negli stessi anni in cui a Costantinopoli veniva demolito il palazzo imperiale. Il palazzo imperiale, pur in cattive condizioni, si era tuttavia conservato anche dopo la caduta della città in mano ai Turchi Ottomani; nel 1453 fu invece raso al suolo senza pietà da Solimano il Magnifico. Anche in quel caso la demolizione lasciò salvi due edifici: la Chiesa di S. Sergio e Bacco, e la Chiesa di S. Sofia, entrambe trasformate in moschee.

Quando alla fine del secolo scorso si cominciò a parlare del Sancta Sanctorum, tutti erano molto curiosi di sapere cosa fosse restato di questo edificio importantissimo, ma l'unica cosa che si potè fare, fu fotografare il mosaico della parte inferiore. Il Sancta Sanctorum è diviso a due livelli: c'è una parte inferiore separata da due colonne di porfido, all'interno della quale c'era la celeberrima immagine del Cristo redentore non dipinta da mano umana, e delle reliquie importantissime, conservate in un armadio in legno di cipresso. Nel nostro secolo i reliquiari furono aperti: i reliquiari, di varie epoche, andarono alla Biblioteca Vaticana, dove sono in gran parte esposti — sono dei reliquiari di importanza eccezionale, e per quantità e per qualità —, mentre le reliquie rimasero nel Sancta Sanctorum, che era sempre inaccessibile.

Quando io sentii dire che il Sancta Sanctorum veniva restaurato, ero molto scettico, perché pensavo che fosse un restauro esterno, una incipriatura, ma che nessuno osasse mettere le mani all'interno. Invece non è avvenuto così. È stato possibile pulire gli affreschi compiendo un'opera molto delicata, difficile, e paurosa. Il lavoro è semplicemente stupefacente: quando l'ho visto finito per la prima volta, sono rimasto sbalordito, perché alcune zone della volta dove i simboli dei quattro evangelisti hanno subito gravi danni a causa di infiltrazioni di umido, inevitabili dopo 7 secoli, si sono conservate in modo stupefacente, e hanno — soprattutto le parti più importanti — un'epidermide, una pelle di una freschezza sbalorditiva. Quando si toccano con le mani, non si crede al proprio senso del tatto, perché sembrano addirittura di carta patinata. Sono un esempio straordinario di affresco medievale ben conservato, e questo in parte è dovuto al rifacimento che era stato fatto sopra.

La parte inferiore dell'edificio è caratterizzata da un fortissimo senso classico: ci sono colonne di porfido, all'altezza della cappella dove si conserva l'immagine non dipinta da mano umana. Ciò che stupisce è innanzitutto la qualità del porfido. Il porfido era una pietra riservata all'imperatore, un privato non poteva avere oggetti di porfido in casa. Il porfido veniva dall'Egitto, dal Mar Rosso: i porfidi del Laterano sono di eccezionale qualità, devono essere stati tolti da un importantissimo edificio imperiale.

Un'altra cosa molto interessante è che il capitello di queste colonne è dorato. Noi siamo abituati a vedere i capitelli degli edifici antichi bianchi. I capitelli in realtà erano tutti dorati. Non esisteva il bianco delle basi e dei capitelli. Erano coperti di un oro disposto a vernice e, a parte queste due colonne del Sancta Sanctorum, l'unico edificio che io conosca nel quali i capitelli siano ancora dorati, è la chiesa della Natività a Betlemme, costruita da Costantino e rifatta da Giustiniano. Lì i capitelli sono ancora dorati e hanno la loro doratura originaria, benché annerita. È da notare che il colore del capitello dorato e del porfido è il colore che è rimasto come simbolo della città di Roma, il rosso giallo.

Tutta la parte inferiore, sia nel pavimento cosmatesco che nei mosaici all'interno della cappella, mostra una straordinaria qualità, che, secondo me, non ha nulla a che fare con gli affreschi dell'ordine superiore. È un'altra maestranza, probabilmente della stessa famiglia dei Cosmati, ma più antica di una o due generazioni rispetto a quella che ha eseguito gli affreschi. I mosaici sono eseguiti con pietre finissime, spesso delle pietruzze sottili, non sono del tipo di mosaico che siamo abituati a vedere a Ravenna o anche a S. Marco di Costantinopoli; sono dei mosaici basati su un altro tipo di tecnica.

Nella parte superiore, è raffigurato il Redentore che accoglie da Papa Nicolò III Orsini il modello del Sancta Sanctorum. Il Papa è assistito dai due grandi santi di Roma: S. Pietro e S. Paolo, e il Redentore è rappresentato in trono. Il Cristo guarda verso destra. Questa è l'immagine corretta della figura del Redentore durante il Medioevo, e vale la pena di spiegarne il perché.

L'immagine di Cristo nel Medioevo nasce da una leggenda molto curiosa. Il re della città di Edessa desiderava avere un ritratto del Redentore. Fu mandato un pittore da Gesù Cristo, e Gesù Cristo rifiutò di farsi ritrarre. Mentre stavano parlando, il caldo era intenso e il Redentore chiese un asciugamano per asciugarsi il viso. Asciugatosi il viso, il pittore si accorse che l'immagine del volto di Cristo era rimasta impressa sul tessuto. Il tessuto fu portato ad Edessa dove il Re lo fece incorniciare e il quadro così ottenuto fu messo dentro una nicchia sulla porta principale della città, come salvaguardia per respingere i nemici. Dopo un po' di tempo questo mandilium — cioè questo asciugamano — fu custodito dalle guardie, e la nicchia quadrata che lo conteneva fu coperta da un grande mattone. Dopo anni, dovendosi restaurare l'insieme, tolto il mattone, si accorsero che l'immagine del mandilium si era stampata alla rovescia sul mattone stesso. Quindi, sia il mandilium — l'immagine originaria — che il Keramos — l'immagine sul mattone — vennero considerate come due reliquie importantissime, e furono trasportate a Santa Sofia di Costantinopoli. Nel mandilium il Cristo guardava alla propria destra, nell'immagine del mattone invece guardava verso sinistra. Da questi due prototipi bizantini nascono tutte le icone del Redentore del Medioevo, nelle quali, correttamente, il Cristo guarda alla propria destra.

Nell'affresco del Sancta Sanctorum, il Cristo guarda verso la propria destra ed è rappresentato di fronte, perché la divinità nel Medioevo deve essere rappresentata solo di fronte, e così anche l'imperatore, il suo equivalente terreno. Infatti, nelle monete bizantine, l'imperatore è sempre frontale; invece, coloro che non sono né il Redentore né il suo equivalente terreno — cioè l'Imperatore romano — non possono essere rappresentati di fronte, anzi, non possono nemmeno essere rappresentati di profilo, perché il profilo ha dei connotati pagani. Anche l'immagine dei Santi è sempre di tre quarti, né di fronte né di profilo.

Nell'affresco, il Cristo fa un gesto con la mano destra: è questo un gesto di benevola accoglienza, e significa che il Redentore sta accogliendo con benevolenza il dono che gli sta facendo il Sommo Pontefice, cioè la cappella del Sancta Sanctorum. Accanto al Cristo, rappresentato come un Imperatore sul trono marmorio, vi sono due angeli in atto di adorazione: hanno la mano alzata, atto di estremo rispetto, di adorazione che si può usare soltanto per Cristo o per l'Imperatore.

Il Pontefice Nicolò III offre il Sancta Sanctorum assistito da S. Pietro e da S. Paolo: nessuno è visto di fronte, ma da tre quarti, proprio perché una visione frontale sarebbe impensabile in questa epoca, sarebbe addirittura qualche cosa di orribile davanti alla Maestà del Redentore. Il ritratto del Pontefice è uno dei più naturalistici e antichi della pittura europea; il ritratto alla fine del mondo antico scompare, e a partire dalla metà del terzo secolo ci sono soltanto delle tipologie (dell'Imperatore, del filosofo, ecc.). Anche le monete bizantine riproducono sempre la stessa immagine, ciò che cambia è la scritta con il nome dell'Imperatore.

La descrizione naturalistica del volto non esiste più, e nel medioevo ci sono solo delle tipologie; invece, nel Sancta Sanctorum assistiamo al rinascere della descrizione dell'individuo con anche i suoi difetti fisici. Per esempio, san Paolo viene ritratto come un personaggio vecchio, dalle guance cadenti: questo è molto significativo. Infatti, quando nel IV e V secolo il Cristianesimo viene attaccato dall'ambiente pagano di Roma perché considerato una religione di analfabeti e di ignoranti, S. Paolo diventa filosofo delle genti e, come filosofo, la sua immagine viene ricalcata sull'immagine del filosofo del mondo antico.

Che cosa ha sollecitato — come è chiaro dai vari particolari fin qui analizzati — il ritorno alla descrizione naturalistica, alla descrizione dell'aspetto umano vivente in modo così preciso? La risposta sta nella diffusione straordinaria dell'eresia catara, che negava ogni validità alla vita. L'eresia catara si stava diffondendo in modo impressionante nella zona dell'Italia centrale che scendeva verso Roma: è stato scoperto che nella sola città di Spoleto c'erano trenta famiglie catare. Abbiamo un diffondersi pericolosissimo verso la capitale della cristianità occidentale di una eresia che negava ogni validità al corpo: in questo momento la pittura deve quindi ricominciare non solo a rappresentare la realtà fisica come la vediamo, ma anche ad accennare allo spazio e alla terza dimensione.

Questa ricerca della terza dimensione, della individualità del corpo e, soprattutto, del rapporto tra corpo e ambiente, troverà la sua prima espressione nel ciclo francescano di Assisi (che io credo romano e non fiorentino: non credo che sia Giotto ma credo che sia un pittore romano, come Filippo Rosuti) ed è sicuramente in rapporto all'eresia, questo grande avvenimento culturale che si stava verificando proprio nell'Italia centrale

Un altro particolare impressionante di questi affreschi, è l'inizio della ricerca del fondo paesistico: si sente la prima origine di quegli sfondi che poi diventeranno quelli celeberrimi della vita di S. Francesco di Assisi. Per questo penso che nella pittura il grande rinnovamento avvenga a Roma. Roma era la capitale della cristianità occidentale, era una città potente, la sede del Santo Padre: in quegli anni si era proceduto all'abbellimento di Roma, e alla ricostruzione degli edifici rovinati. Il grande rinnovamento pittorico avviene a Roma, non a Firenze: sicuramente, poi Firenze è entrata in questo rinnovamento e ha prodotto due grandi geni come Cimabue e Giotto.

Il modo in cui nel Sancta Sanctorum è rappresentata l'antica Roma, rende ragione di quanto appena detto. Ci sono già delle torri e degli edifici visti in prospettiva, una prospettiva empirica, non scientifica, che però fa sentire perfettamente l'intento di rendere la profondità spaziale. Il desiderio di rappresentare la dimensione, la profondità, è il grande rinnovamento pittorico di questo periodo.

Ho cercato di spiegarvi l'importanza estrema del ciclo del Sancta Sanctorum: è una delle grandi scoperte di questo secolo, non penso ce ne saranno altre del genere, perché non credo che esistano né a Roma, né altrove dei monumenti così importanti da scoprire e da restaurare.