Gli Eroi della Vandea

Domenica 21, ore 15

Relatore:

Reynald Secher, storico e saggista

 

Secher: Il problema della Vandea è fondamentale nella storia moderna della Francia, dell’Europa e del mondo intero. Si è scritto molto sulla Vandea: noi ci riferiremo all’essenziale, ovvero alla storia.

Si può dire che era predeterminata? Io affermo di no. La Vandea era forse nel 1789 più monarchica del resto della Francia? No. La Vandea accettava il re come il 99% della popolazione francese dell’epoca. Si può dire forse che la Vandea era più religiosa o più clericale del resto della Francia? No. Non si rivela nessuna specificità clerico-religiosa in Vandea. Si può dire ancora che la Vandea fosse o sia più antistatale del resto della Francia? Assolutamente no, né più né meno del resto della Francia; non si riscontrano comportamenti specifici della Vandea, neanche in questo settore, come non se ne riscontrano nel settore amministrativo. Certo, ci si è opposti al centralismo che vige in Francia sin dai tempi di Luigi XIV, e contro questo centralismo ci si batte. Da qui sorge la nostra domanda: perché nel 1793 la Vandea è insorta? E perché è insorta solo la Vandea?

Possiamo analizzare l’insurrezione dividendola in tre fasi; la prima è quella della delusione. Oggi non è una novità, ma allora per la prima volta si andava alle urne, per la prima volta venivano eletti dei personaggi sulla base della fiducia che si riponeva in loro. Gli eletti, una volta giunti al loro scopo, hanno assunto una posizione economica, politica ed ideologica che ha portato alla delusione, al disincanto.

Ma i popoli vivono concretamente, e per farlo intendere prenderò due esempi. Il primo è quello delle imposte e delle tasse. Sotto l’Ancien Régime – questo nome indica l’ordinamento che vigeva in Francia prima della Rivoluzione del 1789 – si pagavano poche tasse, circa il 5%; dopo la notte del 4 agosto, queste tasse sono raddoppiate. Immaginate la delusione.

Il secondo esempio è quello delle lingue. Nella Francia del 1789, erano relativamente pochi i francesi che parlassero francese; nell’Ovest, i bretoni parlavano bretone, c’era poi un gruppo di bretoni dell’Est che parlava un’altra lingua che veniva chiamata "gallo", in altre zone si parlavano altri dialetti...: con il 1789 si è giunti al concetto di una lingua unica per tutta la Francia. Una situazione analoga si manifesterebbe in Europa se alla Commissione di Bruxelles dovessero decidere che da un giorno all’altro il tedesco diventi la lingua ufficiale ed unica dell’Europa. Ebbene, è esattamente quello che è avvenuto 200 anni fa, quando ai bretoni è stato detto che non potevano più parlare il bretone, agli altri abitanti della Vandea che dovevano abbandonare i loro dialetti, e che tutti dovevano invece prendere e far proprio il francese. Delusione; e dopo la delusione, la collera.

Nella storia dell’umanità, io riconosco alcune notti fondamentali, tra cui quella del 4 agosto. La percezione e la definizione del mondo prima e dopo sono completamente diverse: prima si aveva una struttura piramidale, sulla cui cima non c’era il Re, bensì Dio; il Re era un luogotenente di Dio in terra. Subito dopo venivano i tre ordini sociali: l’ordine clericale, l’ordine nobile e l’ordine del cosiddetto terzo stato. Dopo il 4 agosto, si è davanti ad un ordinamento non più piramidale ma orizzontale: Dio non c’è e tutti i suoi rappresentanti vanno eliminati. Non è stato importante uccidere Luigi XVI, ma eliminare il Re di Francia, luogotenente di Dio in terra, e la Regina, fondamento della società in Francia.

In Francia, come nel resto del mondo monarchico, vale il motto "Il re è morto, viva il re": andava quindi eliminato anche il figlio del re, l’erede al trono. Ma in Francia l’infanticidio era malvisto: si è giunti perciò a quello che è stato chiamato un assassinio per delega. Ci dobbiamo porre davanti ad una sorta di rituale iniziatico, tenendo conto della meccanica dell’instaurazione dell’ordinamento rivoluzionario. In genere, i rivoluzionari vogliono che la loro rivoluzione sia universale. Se analizziamo il dibattito nato all’interno, tra i rivoluzionari di allora, riconosciamo una similitudine veramente sorprendente con il dibattito che c’è stato tra Rosa Luxemburg e Lenin: un dibattito sulla strategia della rivoluzione universale. Vi sono due possibilità: fare la rivoluzione nel paese per meglio esportarla, oppure farla prima fuori dal paese per meglio imporla all’interno del paese. La Francia del XVIII secolo ha scelto la seconda possibilità, dichiarando, alla fine, la guerra all’Europa: non dimentichiamo che allora era come dichiarare la guerra al mondo intero, e non dimentichiamo neanche che la Francia è la figlia maggiore della Chiesa, con tutto ciò che questo primato può implicare. La Francia dunque dichiara la guerra all’Europa. La strategia scelta al momento di dichiarare la guerra all’Europa dei re, all’Europa dei tiranni è stata quella di provocare un sollevamento nei paesi circonvicini e confinanti. Ma l’occupazione francese è stata atroce: saccheggi ed altre violenze, tanto da provocare un sollevamento dei popoli occupati, non contro il tiranno bensì contro la Francia, contro l’invasore, per restaurare il proprio tiranno.

In seguito sono stati invasi i paesi che rifiutavano di sollevarsi, ma in questi paesi vi erano dei monarchi, vi erano delle truppe, vi era un popolo, e tutti hanno rifiutato questa invasione, hanno resistito ad essa, con il risultato che non solo la Francia è stata battuta, ma che è stata a sua volta invasa ed occupata. È il caso di notare qui e di ricordare che la guerra era stata dichiarata fin dal mese di aprile del 1792.

Abbiamo visto le prime due fasi, sollevamenti ed invasione; la terza fase è quella di prendersi cura, diciamo così, della Chiesa e del sollevamento interno, dato che il 60-70% della popolazione francese si solleva.

Allora si diceva che per rigenerare la Francia bisognava sottomettere la Chiesa. Il modo in cui tale sottomissione è stata realizzata è analogo a quanto Eltsin ha fatto in Russia ai nostri giorni: ha confiscato i beni del Partito comunista dell’Unione Sovietica, perché una struttura senza beni diventa relativamente inefficace. La rivoluzione francese lo ha fatto allora colpendo la Chiesa, confiscandone i beni e imponendo poi ai preti di giurare fedeltà allo Stato, al nuovo stato. Mi soprende anche udire con quanta leggerezza si parla del giuramento di fedeltà allo Stato: credo che ognuno di voi, obbligato a prestare giuramento di fedeltà al Presidente della Repubblica o al Primo Ministro o a deputati locali, non sarebbe contento di farlo, si opporrebbe.

Allora ben il 70% dei preti rifiutarono di prestare giuramento allo Stato. Da qui sorge anche il problema della Dichiarazione dei diritti dell’uomo; lo scopo di questa Dichiarazione è quello di ottenere che i diritti fondamentali dell’uomo, le sue libertà, siano definite per legge. La legge definisce le libertà: ma ciò è intrinsecamente perverso, perché la legge è l’espressione della volontà popolare per via del sistema elettorale a maggioranza: per natura quindi la legge diventa evolutiva. Chi rifiuta il giuramento diventa un fuorilegge e come tale va punito. I preti vanno puniti, diventano come dei fuori casta. Questa punizione si può manifestare con tre tipi di sanzione: prigione, deportazione, eliminazione fisica. Nella Francia rivoluzionaria si arriva all’eliminazione fisica fin dal mese di gennaio del 1790, una data sicuramente precoce nel calendario rivoluzionario. Per renderci conto della portata di queste eliminazioni, contiamo anche qualche anno: tra il 1789 ed il 1793 passano quattro anni, e sono tanti.

La Francia, disfatta in guerra, deve ricorrere alla coscrizione: questo avviene nel marzo del ‘93, ma il meccanismo di reclutamento dei coscritti è proprio quello che spiega le ragioni profonde del sollevamento. È la legge centrale a determinare il numero di coscritti, 300 mila uomini, ma sono i dipartimenti e la periferia, i sindaci, a scegliere questi uomini. Bisogna aggiungere che a quei tempi il sindaco non era eletto dal popolo, ma era scelto dal potere centrale per le sue caratteristiche politiche, personali, ideologiche, e per questa sua posizione il sindaco godeva di due privilegi: anzitutto, non andava sotto le armi, in secondo luogo, proprio lui sceglieva chi sarebbe andato sotto le armi. Chi sceglieva il sindaco? Tutti i suoi oppositori, naturalmente. Il popolo, però, in Vandea, ha detto no, e si è sollevato, per il 60 o 70%.

Le argomentazioni di questi contadini sono assai degne di nota e hanno una base giuridica codificata dall’articolo 35 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che dice: "Quando il governo viola i diritti del popolo, per il popolo e per ogni parte del popolo l’insurrezione è il più sacro dei diritti ed il più indispensabile dei doveri". Non solo la popolazione della Vandea si è sollevata, ma anche la popolazione di Tolone, di Marsiglia e di altre città.

Per prima cosa, rileviamo che la reazione popolare non solo è legittima, ma è anche legale. Mi chiederete allora perché in Vandea l’insurrezione ha funzionato ed altrove no. Risponderei con due ordini di ragioni. La prima è che in Vandea l’insurrezione è stata spontanea e popolare, mentre in Bretagna, come a Lione, è stata nobiliare e programmata: da qui la disfatta. Questo anche perché in Vandea, essendo una zona rurale, non vi sono guarnigioni, non vi è una struttura militare, la seconda ragione sta nell’osservazione che la Bretagna era sempre insorta, e i bretoni conoscevano bene la repressione della monarchia, mentre i vandeani non sapevano che la repressione fa male: per questo insorsero. Questi elementi hanno radici molto profonde, che vediamo anche nella cultura vandeana attuale. Gli abitanti della Vandea sono diffidenti nei confronti dei preti e dei nobili, e lo erano anche allora. Non a caso, il primo generalissimo della rivoluzione è stato scelto tra i contadini, dopo aver rifiutato tutti i militari.

In un primo tempo, la guerra in Vandea è stata solo civile, seguendo tre fasi. Nella prima fase, il sollevamento vandeano ha avuto le tipiche caratteriste dell’insurrezione. Dal marzo del 1793 fino al 29 giugno del medesimo anno, i 770 comuni sono insorti. Per 10 mila kmq, 815 mila abitanti sono insorti contro la Repubblica.

I Vandeani identificarono quasi subito il nemico con Parigi. Sulla strada si uniscono ai bretoni. Il 29 giugno del 1793 viene lanciato l’attacco su Nantes, dove il generalissimo viene ferito: morirà dopo poco, e questa è la prima disfatta subita dalla Vandea.

La seconda fase è facile da spiegare: i vandeani battuti cambiano la loro tattica e passano alla tattica di difesa. Parigi manderà delle truppe, truppe che avranno buon gioco in Vandea; questa fase va dal 29 giugno al 18 ottobre del 1793.

Nella terza fase, ci si trova davanti alla stessa circostanza della prima: l’alleanza con la Bretagna. Per allearsi o unirsi alla Bretagna, bisogna arrivarci, attraversando la Loira. Questo attraversamento è possibile in una località che si chiama Saint Florent Le Vieil, e da qui ottantamila vandeani entrarono in Bretagna. Ma la Bretagna era stata unita alla Francia solo nel 1532; i Bretoni prima di allora avevano creato una linea di difesa contro la Francia, e proprio di questa linea di difesa si avvarranno ora i Repubblicani per opporsi all’invasione dei Vandeani in Bretagna.

Due mesi dopo la disfatta, il generale Westermann ha scritto il bollettino della vittoria; spiegando al Comitato di Salute Pubblica lo svolgimento di questa disfatta della Vandea, proclama: "Non vi è più Vandea, cittadini repubblicani. La Vandea è morta sotto la nostra libera spada, con le sue donne ed i suoi bambini. L’ho appena sepolta nelle paludi e nei boschi, secondo gli ordini che mi avete dato: ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne, così che almeno quelle non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero sulla coscienza. Ho sterminato tutti". Fine della guerra civile in Vandea.

In questo contesto, viene presa la decisione dello sterminio in Vandea. La Francia era colpita, all’epoca, da due mali. Il primo male era l’insurrezione combinata Lione-Tolone, soffocata da una repressione cruenta nel novembre 1793. Il secondo, la presenza degli eserciti stranieri sin dall’ottobre-novembre 1793. Ormai però erano stati battuti: non solo, ma l’esercito francese si era già avventurato sul territorio straniero, in Francia non esisteva quindi più un problema militare, e questo ha reso possibile decidere lo sterminio – vocabolo che venne utilizzato fin da allora – della popolazione della Vandea.

La prima volta che ho letto la parola "sterminio" ne sono rimasto sorpreso: in quanto accademico, ho il dovere della critica e il diritto della sorpresa davanti ai documenti che mi trovo davanti agli occhi, e da questo diritto deriva, come immediata strategia, la ricostruzione cronologica dei fatti. Si distinguono alcune fasi: anzitutto, la fase del vocabolo, che possiamo facilmente datare aprile ‘93, e a cui possiamo anche assegnare una paternità, quella del ministro Carrier, che in uno dei suoi deliri verbali, dal podio dove si trovava ad arringare i colleghi, ha parlato della necessità di sterminare la popolazione della Vandea. Siamo dunque nella fase del verbo sterminare.

La seconda fase è decisamente unica, non vi è un altro esempio simile in tutta la storia dell’umanità: è una fase giuridica. Il parlamento di allora, la cosiddetta Convenzione, voterà tre leggi. La prima di queste tre leggi è del primo agosto 1793, e tratta della necessità di distruggere fisicamente la Vandea. Recita: "Saranno inviati dal ministero della guerra materiali combustibili di ogni sorta per incendiare i boschi, le macchie, le foreste abbattute. I covi dei ribelli saranno distrutti, i raccolti saranno mietuti dalle compagnie di braccianti per essere portati alle retrovie dell’esercito e il bestiame sarà requisito. I beni dei ribelli della Vandea sono dichiarati appartenenti alla Repubblica, e ne sarà utilizzata una parte per indennizzare le perdite che avessero sofferto i cittadini rimasti fedeli alla patria. La Vandea deve essere un cimitero nazionale".

La prima legge era di distruzione, la seconda è di sterminio. In quanto legge promulgata dal parlamento, è stata stampata sul Bollettino Ufficiale della Nazione: "Bisogna che i briganti di Vandea siano sterminati prima della fine di ottobre. La salvezza della patria lo richiede. L’impazienza del popolo francese lo comanda. Il suo coraggio deve compiere l’opera. La riconoscenza nazionale spetta ora a tutti coloro i quali per valore e patriottismo avranno permesso il ritorno della libertà e della Repubblica". Vi è stata poi una terza proposta di legge, accettata di fatto, del 7 Novembre del 1793 e possiamo chiamarla, dopo la distruzione e lo sterminio, la catarsi. Si tratta della "purificazione della Vandea" ed è Robespierre a stabilire una sorta di gerarchia dividendo i Francesi in due categorie, "buoni e cattivi", divisi poi in diverse sottocaste. Tra i cattivi, nel fondo del fondo, si trovano i preti e le monache, dopo la nobiltà, e infine intere popolazioni, tra cui quella della Vandea. I Vandeani sono considerati degli ominidi, delle sottospecie di uomini, ed in quanto tali non aventi diritto ad un territorio. Il nome stesso Vandea viene eliminato, deve scomparire.

L’amministrazione, però, nel suo horror vacui, desidera manifestare la sua volontà di mettere in opera una politica di ripopolazione, e assegna un nuovo nome alla Vandea chiamandola "dipartimento Vendicato", per esprimere appunto questa volontà di ripopolare quella parte di Francia un tempo abitata da cattivi Francesi.

In una terza fase, ci si pone il problema dello sterminio dei Vandeani. Il problema è duplice: per prima cosa sono tanti, 815 mila; in secondo luogo, "sono cattivi e sono così cattivi – questa è una citazione – che si rifiutano di farsi uccidere e si difendono".

Il territorio è molto ben definito: sono 10 mila kmq, e vi sono tre possibilità. La prima è quella del "metodo scientifico": il gas. Ma il genio dei Francesi non è il genio dei Tedeschi, non conoscono altrettanto bene i gas letali. Allora, si rivolgono ai loro chimici, pregandoli di studiare, di creare e di sviluppare un gas che sia adatto ad uccidere tutti i Vandeani avvelenando il territorio. Questi chimici si mettono diligentemente al lavoro, fanno degli studi e delle ricerche, degli esperimenti e pubblicano un rapporto dicendo: "Abbiamo diffuso il nostro gas, ma né le pecore né i passanti ne sono stati disturbati". Fallimento del primo metodo.

Si passa allora ad un metodo che viene detto "pragmatico", secondo cinque modalità: la ghigliottina, la baionetta, il fucile, l’affogamento, le mazzate sulla testa. A questa panoplia di strumenti pragmatici di sterminio viene posto fine sia per la lentezza del metodo – per esempio, il rendimento della ghigliottina è di un massimo di 32 individui al giorno – che per i costi elevati.

La terza soluzione, proposta dal generale Turreau, è un piano di sterminio concepito secondo tre direttive. La prima è complessa: la Francia in quel secolo ha concepito forni crematori, sistemi di conce di pelle umana, sistemi di fusione dei corpi delle donne per ricavarne il grasso, ed anche ricette gastronomiche. Il cannibalismo di allora prevedeva cervella di Vandeano in salsa repubblicana. Seconda direttiva: una flottiglia di 41 barche sulla Loira, di cui abbiamo i nomi e i luoghi d’attracco. Terza direttiva: creazione di un comitato cosiddetto di "sussistenza" il cui compito era quello di operare un saccheggio sistematico della popolazione. Ciò che è veramente unico di questo evento è che era tutto fatto sotto l’egida della legalità. I generali quindi si limitavano a fare i loro bollettini, i loro rapporti, che ho ritrovato negli archivi militari relativamente intatti, trovando quindi testimonianza di tutto l’orrore del piano di Turreau.

Tutto ciò è finito non prima della caduta di Robespierre. Alla Sorbona, dove è stata presentata questa tesi, sono state rivolte delle domande sul numero di abitanti eliminati e di case distrutte. Degli 815.000 Vandeani almeno 117.000 sono stati eliminati, ma non è tanto importante conoscere questo numero della statistica, quanto avvalersi della statistica per determinare se davvero la volontà di eliminare di preferenza le donne in quanto riproduttrici o i bambini in quanto futuri briganti, è stata rispettata. Non si può avere una risposta globale a questa domanda: si può ipotizzare una risposta basandoci sui risultati di certe analisi, fatte studiando gli elenchi dei caduti trovati in certi comuni. Possiamo dire che tutte le cifre convergono. Effettivamente il 70% degli uccisi erano donne e bambini. E poi, ma forse spetterebbe ai filosofi parlarne, può essere interessante andare a studiare i rituali di violenza e della volontà di sterminio di quella che, tra virgolette, possiamo chiamare una razza. Per il numero di case distrutte, possiamo invece avvalerci degli elenchi redatti successivamente sotto l’Impero per indennizzare i danneggiati. Da questi elenchi, si vede che in certi comuni la distruzione dei beni immobili è arrivata fino al 90%. Il risultato globale è che comunque su 50.000 case più di 10.000 sono andate distrutte.

Quando nell’86 è stato pubblicato in Francia questo libro, Il genocidio vandeano, ha destato un grande stupore. Perché i Francesi avevano dimenticato. Ho scritto un altro libro che purtroppo non è stato tradotto in italiano, che spiega perché e come i Francesi erano stati portati a dimenticare. Il libro si intitola Da un genocidio all’altro, la manipolazione della memoria. È facile spiegare come è avvenuta questa manipolazione. Bisogna dire che già allora esisteva una profonda consapevolezza del crimine commesso contro l’umanità, tanto che è stato istituito un tribunale speciale – del tipo di quello di Norimberga – dove ci si chiedeva chi fosse colpevole, e come punirlo. Tutti sono colpevoli: colui che ha concepito lo sterminio come colui che lo ha realizzato e colui che se ne è reso complice. Quindi, vanno tutti puniti.

Fino al 1830, nessuno ha osato cercare di deturpare la verità, sia perché esistevano dei testimoni oculari sia perché erano fatti vicini. Ma dopo il 1830, due circostanze portano a cambiare la situazione: l’avvento di un re repubblicano, Luigi Filippo I, e il venire a mancare dei testimoni oculari. A questo punto, è cominciata la manipolazione.

Luigi Filippo I prende al suo soldo degli storici, dando loro il compito di purificare la storia. Ci si avvarrà poi anche di diverse strutture: per esempio, le cattedre di storia, affidate a storici marxisti, che hanno proceduto a lavare e lucidare la storia, purificandola, dimenticando ciò che un loro padre culturale, quale Babeuf, aveva scritto sulla Vandea. C’è un libro che ha suscitato grande scalpore, tanto in Francia quanto in Italia, scritto da Babeuf, sul sistema delle due popolazioni. Lo trovo molto interessante, forse anche perché il Babeuf si pone qui la stessa domanda fondamentale che io, senza conoscerlo, mi ero posto: perché si è giunti a questa volontà di soluzione finale?

Robespierre e i rivoluzionari di allora avevano voluto trasformare la Vandea in un laboratorio. Il loro scopo era quello di creare un uomo nuovo, ma la creazione di un uomo nuovo richiede la messa in opera di metodi e il poter far funzionare dei metodi richiede che si disponga di un laboratorio: la Vandea, appunto. Del resto, abbiamo appena scoperto che dopo la Vandea era in programma di passare ad analoga opera con la Bretagna, e via discorrendo. Vi è una frase terribile di Saint Just, secondo il quale se è necessario sterminare il 90% dei Francesi, bisognerà sterminare il 90% dei Francesi, perché il 10% restante varrà, e sarà sufficiente a rigenerare e la Francia e l’Europa. Per costruire un nuovo mondo, bisogna distruggere il vecchio. Per distruggere il vecchio mondo, bisogna distruggerne la popolazione. In questa cornice, si inserisce il fenomeno dello sterminio in Vandea.

Veniamo ora alle morale.

Quello della Vandea è il primo genocidio della storia ideologica del mondo contemporaneo. Se non fosse stato dimenticato il genocidio della Vandea, forse non sarebbe accaduto ciò che è accaduto nel XX secolo.

Come è stato possibile dimenticare tutto questo? È proprio qui l’essenza del problema: il non dimenticare, il non manipolare la storia, il dovere di dire, il dovere di ricordare.