venerdì 31 agosto, ore 15
SLOVENIA: LA RINASCITA DI UN POPOLO
Incontro con
Lojee Peterle
Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Assemblea della Repubblica Slovena
Modera:
Giorgio Vittadini
G. Vittadini:
Buongiorno, sono lieto di introdurre questo incontro con L. Peterle, presidente del Consiglio Esecutivo dell’Assemblea della Repubblica Slovena. Sono lieto perché questo incontro si inserisce nel cuore di questo Meeting che è stato caratterizzato da numerosi incontri con personalità al centro della vita dell’Europa di quest’anno, cioè al centro del grande movimento di liberazione che si è svolto in questi anni in Europa. Una di queste è appunto Peterle, e uno di questi luoghi è la Slovenia, che sta uscendo da un quarantennio comunista, e lo sta facendo non per un decreto dei potenti, ma per un movimento di base, che, attraverso la coalizione Demos, è diventato la guida di questo paese, che sta tentando di arrivare alla piena sovranità. Allora l’incontro di oggi vuol essere proprio l’incontro con una persona e un’esperienza. Peterlè svolge l’attività di ricercatore e programmatore presso l’Istituto di Urbanistica della Slovenia e dallo scorso anno e presidente della Democrazia Cristiana slovena. Gli chiederemo, all'inizio di questo incontro, di incominciare a introdurre la storia da cui viene, per poi, con alcune domande, chiedergli quale sarà il futuro di tale esperienza.
L. Peterle:
Signori, cari amici, sono decisamente contento e felice di essere qui con voi e partecipare a questa eccezionale manifestazione, vorrei ricordare che ventitré anni fa sono stato per la prima volta ospite di Comunione e Liberazione. Poi c’è stata un’interruzione di questi nostri rapporti e sono molto contento oggi di prendere contatto con voi. Poiché qui siamo soprattutto tra cristiani vorrei partire raccontando un fatto che può spiegare quello che è successo da noi per 45 anni. In Slovenia esisteva una specie di territorio chiuso, segreto, del quale l’opinione pubblica sapeva poco o niente, del quale era molto difficile e delicato parlare. Anche oggi non si sa esattamente quello che è successo in quel territorio; abbiamo soltanto ritrovato un documento nel quale è scritto: "Su questo territorio non è dato più rinvenire nessun segno di attività religiosa. Mi sembra che questa frase illustri alla perfezione quelli che erano gli obiettivi reali del potere in quella parte d’Europa: la cancellazione di ogni presenza di resistenza cristiana; non è un caso se in tutta questa parte d’Europa" tutti i nuovi partiti che si sono sviluppati hanno come caratterizzazione la loro cristianità. Con questo non voglio esprimere una posizione revanscista. Molte cose sono cambiate, molti miti sono caduti: è caduto il mito del muro di Berlino, sono cadute le vecchie strutture, oggi ci troviamo di fronte ad un periodo di costruzione di una nuova realtà. Di fronte a questo lavoro di ricostruzione abbiamo bisogno soprattutto di tanti amici. E vorrei dirvi con gioia che uno di questi amici l’abbiamo proprio trovato nel vostro Movimento. Sono molto contento di questa collaborazione anche se sono cosciente che è soprattutto con nuovo spirito nel settore economico che dovremmo andare avanti. Concludo questa mia breve introduzione e di nuovo vi ringrazio a nome della giovane Democrazia Cristiana slovena.
G. Vittadini:
La prima domanda che volevo fare è questa: anche per noi la politica nasce da una vita di movimento, da un’esperienza quotidiana di religiosità. Volevo sapere quali erano le vostre radici, da dove è venuto fuori in tutti gli anni di socialismo reale, questa resistenza? Qual è l'esperienza e il movimento che sta dietro a questa DC slovena così vivace?
L. Peterle:
Partirò dal momento della guerra. Nel movimento partigiano in Slovenia era presente una forte componente cristiana, quella dei cristiani socialisti. Ma già durante la Resistenza, nel ‘43, questa componente fu eliminata nella prospettiva di un comando unico e così il movimento di liberazione nazionale si trasformò in una rivoluzione che è diventata liberazione dal Cristianesimo. Quando, dopo la guerra, la nuova generazione ha tentato di ricollegarsi con il passato, abbiamo avuto grosse difficoltà perché i socialisti cristiani erano completamente spariti dalla scena sociale e politica. D’altra parte il regime voleva creare l’opinione che erano i cristiani ad aver perso la guerra. E’ così che la religione è diventata un elemento della vita della quale la gente doveva vergognarsi, che non presentava nessun elemento, nessun aspetto positivo e che era meglio abbandonarla. Io ho avuto la fortuna già da giovane, nel ‘46, di potermi inserire in un gruppo chiamato Gruppo Duemila che si era dato una funzione ecclesiale e civile. Noi ci siamo presentati come movimento di laici che volevano vivere il loro impegno sociale portando in sé pienamente tutte le caratteristiche della propria fede. Ed è quella volta che abbiamo incominciato ad avere intensi rapporti con la Jaca Book, con Massimo Guidetti e con padre Chilometro.
G. Vittadini:
Don Francesco Ricci per chi lo conosce.
L. Peterle:
Noi lo conoscevamo come padre Chilometro. Questo movimento ha cominciato poi a pubblicare una rivista per la cristianità e la cultura che portava lo stesso nome, quindi rivista Duemila. Ma subito ha avuto la reputazione di essere una rivista d’opposizione sia nell’ambito della Chiesa che in quello della società civile e la sua pubblicazione è stata brutalmente interrotta per quattro anni e l’abbiamo ripresa soltanto nel 1976.Senza voler entrare troppo nei dettagli dirò che abbiamo vissuto veramente ai margini della società slovena; poiché è da questo gruppo che è nata l'idea di creare la Democrazia Cristiana. L’abbiamo fondata il 10 marzo dell'anno scorso, l'esistenza dei partiti è stata autorizzata soltanto nel gennaio di quest'anno. I fondatori erano ventitré, mentre adesso abbiamo circa trentamila soci.
G. Vittadini:
Come mai questa coalizione Demus? Chi sono gli altri che con voi ricostruiscono la Slovenia? Qual è il punto anche economico - sociale della situazione dopo il socialismo?
L. Peterle:
Demus è una coalizione di sei partiti: la Democrazia Cristiana, l’Alleanza Contadina, i Verdi, la Socialdemocrazia Slovena, il Partito degli Artigiani e un partito che si chiama Slovenia Democratica. Abbiamo preparato un programma comune di cui i principali punti sono i seguenti: ristrutturazione, modifica della vita sociale ed economica, realizzazione dell’economia di mercato e della democrazia parlamentare, sviluppo dell'impresa privata, riparazioni delle colpe assegnate durante la guerra, riconciliazione nazionale. Il nostro programma è molto caratterizzato dal punto di vista ecologico; un punto molto importante riguarda la scuola per la quale vogliamo raggiungere la deideologizzazione. Non vogliamo però sostituire il catechismo rosso con un altro. Questi sono i principali punti programmatici della coalizione.
G. Vittadini:
Walesa ci ha raccontato che il socialismo è morto e l’ha detto con molto vigore quasi sorprendendo anche chi lo pensava già. Solo che ha detto che la vita dopo il socialismo non è semplice perché è come se uno avesse avuto una grande malattia e ci mette un po’ d’anni per venirne fuori. Che ne è della Slovenia dopo il socialismo? Ed è morto anche lì il socialismo?
L. Peterle:
Finalmente il socialismo è morto, però ci sono nuovi vestiti per realtà che non cambiano e sopporteremo ancora a lungo le conseguenze di quel regime. E’ vero che abbiamo in mano noi il Parlamento e il Governo, però d’altra parte le strutture statali molto importanti come la sanità, la scuola, ecc., l'economia sono ancora in mano alla vecchia struttura che continua ad operare secondo le vecchie logiche. La Jugoslavia è stata conosciuta per via del suo modello d’autogestione come uno stato diverso dagli altri Paesi del socialismo reale. In realtà però questa era soltanto una delle varianti che tenta di far apparire all'esterno una realtà interna simile a tutte le altre.
G. Vittadini:
Dai giornali apprendiamo che il processo verso una sovranità totale della Slovenia non è facile. Qual è il cammino verso la sovranità piena della Slovenia rispetto alla Jugoslavia?
L. Peterle:
La Slovenia ha vissuto per ben due volte all'interno dello stato jugoslavo e per ben due volte ha vissuto in uno stato dittatoriale: la prima volta era sotto la dittatura serba, la seconda volta si trattava di una dittatura ideologica. Adesso ci troviamo di fronte alla fine, alla decomposizione della seconda Jugoslavia. E tenete in considerazione che né la prima né la seconda Jugoslavia sono state capaci di risolvere i difficili problemi di rapporti tra le nazionalità in quel Paese. La situazione in Slovenia e in Croazia è la seguente: siamo convinti che bisogna dare a tutte le nazioni, a tutti i popoli, la possibilità di scegliere democraticamente la via alla sovranità, alla democrazia e al tipo di stato all’interno del quale desiderano vivere. Noi proponiamo che la Jugoslavia si trasformi in confederazione, cioè in libera associazione di stati democratici e sovrani. E qui ci troviamo di fronte al primo grosso problema perché non tutte le forze politiche in Jugoslavia sono d’accordo con il progetto confederale. Alcune forze sono pronte anche a mantenere in vita il modello federale anche con la forza. Noi invece non vediamo la forza come strumento per risolvere i problemi, per condurre questo stato in Europa. La Slovenia è stata la prima repubblica in Jugoslavia che è arrivata alla democrazia con elezioni e con istituzioni democratiche e all'inizio di luglio abbiamo approvato la dichiarazione sulla nostra sovranità. Abbiamo già preparato la nostra proposta per una nuova convenzione confederale, la stessa cosa hanno fatto anche i croati e quindi ci presenteremo insieme all’intera Jugoslavia, però dagli elementi che appaiono oggi ci sembra che questa opzione confederale non sarà possibile per l’insieme della Jugoslavia. Molto spesso sentiamo in Occidente la proposta di fare della Slovenia e della Croazia il motore per il processo di democratizzazione in Jugoslavia. Però devo dire che in questo senso siamo molto limitati sia per le nostre reali capacità di incidere che per le nostre responsabilità reali. Quello che ci resta da fare, e che è la migliore via per noi e per la Jugoslavia, è veramente di definire un nuovo contratto di convivenza all’interno della Jugoslavia. Noi siamo una nazione, un popolo con la sua cultura, la sua lingua, le sue tradizioni, le sue istituzioni; noi vorremmo entrare in Europa attraverso Lubiana e non attraverso Belgrado.
G. Vittadini:
Come lei ha accennato in questo momento parlare della Slovenia vuol dire anche parlare di una lotta per i diritti umani in tutta la Jugoslavia e noi abbiamo visto, per esempio, la repressione nel Kossovo o appunto le minacce di violenza. In particolare abbiamo letto, e ci piacerebbe sapere di più una vicenda veramente allucinante che dà il segno della situazione: i mille bambini che sarebbero stati avvelenati nel Kossovo. Potrebbe dirci qualche cosa su questa vicenda?
L. Peterle:
La vicenda dell'avvelenamento di questi mille bambini non è ancora stata chiarita in tutti i suoi dettagli. A quanto mi risulta, una particolare commissione delle Nazioni Unite ha esaminato questo e da quanto si sa adesso c’è un tentativo di addebitare alla Chiesa cattolica in Kossowo questa azione. Quindi la Jugoslavia è veramente anche imprevedibile. Infatti, tutte le cose che succedono non sono per niente razionali, è il dominio della irrazionalità. Da noi uno più uno non fa sempre due.
G. Vittadini:
E’ in positivo questa fine del socialismo, almeno in Slovenia e in Croazia. Vuol dire una possibile e reale presenza maggiore della Chiesa e la possibilità di una proposta completa all’uomo. Come in altri Paesi dell’Est, ci può essere la crisi di una proposta di libertà che non è quella dell’esperienza religiosa?
L. Peterle:
Bisogna dire che in Jugoslavia non abbiamo un’omogeneità religiosa: c’è la Chiesa Ortodossa, la Chiesa Cattolica e Musulmana. La Slovenia e la Croazia, repubbliche essenzialmente cattoliche. In Slovenia la chiesa è sempre stata sostegno al movimento nazionale, soprattutto quando i sacerdoti erano quasi la sola categoria intellettuale. E’ chiaro che in questa situazione di nuova democrazia la Chiesa troverà migliori condizioni per operare nei settori nei quali prima gli era vietato essere presente. Ad esempio la chiesa slovena era fortemente limitata nella sua azione nel campo delle organizzazioni caritatevoli e sono convinto che in questo nuovo ambiente la Chiesa potrà operare in maniera più qualitativa nel campo che le è specifico. Comunque sono convinto che non succederà quello che ci hanno contestato durante 45 anni, cioè il pericolo dell’avvento del clericalismo. Questa era una delle paure che venivano agitate ad ogni momento.
G. Vittadini:
La Slovenia e l’Italia, la Slovenia e l’Europa. Adesso cosa si aspettala Slovenia dall’Italia? Cosa dall’Europa del ‘92?
L. Peterle:
Per quanto riguarda l’Italia e gli altri nostri vicini, noi siamo impegnati a stabilire dei rapporti il più possibile concreti e sani. Ci sono alcune ombre storiche che bisogna adesso tentare di eliminare e penso che con un approccio culturale e civile, ecc. potremmo risolvere tranquillamente questi problemi che sono rimasti aperti. Il fatto è che noi sloveni siamo divisi in quattro stati diversi: viviamo in Italia, in Austria, in Jugoslavia e in Ungheria. Dappertutto stiamo vivendo un fortissimo processo d’assimilazione che chiamiamo "morte statistica". Siamo convinti che con questo processo di democratizzazione, con l’individuazione per noi di nuovi partners è possibile eliminare le conseguenze negative della cortina di ferro e quindi cominciare ad avvicinarci alla soluzione a questi problemi. Penso che innanzi tutto è importante arrivare a poter deideologizzare le questioni nazionali, cioè l'esistenza e la tutela delle minoranze nazionali delle due parti. Noi non abbiamo assolutamente nessuna rivendicazione di carattere territoriale, riteniamo che le frontiere sono effettivamente definitive; vorremmo però che i diritti della nostra gente venissero presi in considerazione e tutelati lì dove vivono in quanto comunità autoctona. Io mi sono personalmente molto fortemente impegnato su questa questione per arrivare finalmente ad avere in questo nuovo contesto una legge di tutela degli sloveni in Italia. Poiché mi avete interpellato sulla questione dell’Europa consentitemi ancora una considerazione a questo riguardo. L’Europa in questo secolo si sta ristrutturando per la terza volta e penso che continuerà a ristrutturarsi finché i criteri qualitativi non prevarranno su quelli quantitativi. Per me tutto quello che sta avvenendo in Europa dai Paesi Baltici e anche in altre realtà, fa parte di un solo e unico processo in Jugoslavia, in Unione Sovietica. Bisogna considerare che si arriverà, prima o poi, alla istituzione di una serie di nuovi stati. Il pericolo per l’Europa sono soltanto i popoli non liberi, quelli che non si sentono bene. Mi sento bene in questa Europa e penso che la Slovenia dovrebbe diventare compartecipe alla creazione di questa nuova Europa. Proprio per la componente personalistica, della linea politica, culturale della Democrazia Cristiana, che vede nei popoli anche l’espressione dei singoli e dei piccoli popoli, dovrebbe essere molto più facile risolvere questi problemi a chi ha questa base ideologica. In questa concezione personalistica dello sviluppo delle società vedo la forza per il futuro delle Democrazie Cristiane.
G. Vittadini:
Lei ha ricordato i 23 anni di conoscenza tra i nostri movimenti e ha anche detto che questa collaborazione adesso sarà ancora più possibile. Io sono sicuro che questo sia vero. Volevo però chiedere un aspetto che ha accennato riguardo alla possibilità di una collaborazione economica. Per molti, l’inizio della Polonia libera è stato subito la possibilità di un aiuto che si è manifestato nel favorire investimenti italiani di piccole e medie industrie in Polonia. Volevo chiederle se ritiene possibile, utile qualcosa del genere anche per il suo Paese.
L. Peterle:
Parlerò molto apertamente com’è mio solito. Noi ci troviamo oggi in grossissime difficoltà; a noi aspetta un lungo periodo durante il quale siamo chiamati a creare nuove libertà, a costituire nuovi meccanismi, nuove strutture e questo è un lavoro molto lungo e difficile. Una quantità eccessivamente elevata di capitale straniero si sta interessando alla Slovenia. Questo perché la Slovenia è quella repubblica che è più collegata con l’Occidente, anche per la sua tradizione d’apertura culturale ed economica. Non vogliamo vedere arrivare da noi capitale piratesco. Con una politica insensata potremmo molto rapidamente perdere alcune nostre caratteristiche naturali. Vorremmo che questa entrata di nuovo capitale straniero fosse programmato in maniera da essere utile per le due parti e non soltanto per chi investe. Dato che qui siete in maggioranza dei democratici cristiani penso che non siano necessari lunghi discorsi per spiegarvi che è necessario collegare l’economia con la parte spirituale. E proprio all’interno del vostro Movimento abbiamo verificato notevoli convergenze su questo aspetto. Per questo sono convinto che da questo punto di vista potremmo stabilire una fruttuosa collaborazione e questa mattina abbiamo fissato alcuni primi passi. Io vi ringrazio per la vostra attenzione.
G. Vittadini:
Concludiamo questo incontro che è stato ricchissimo. Io non riprendo nulla perché lascio al vostro lavoro, ma volevo solo sottolineare due aspetti. Il primo: è veramente un grande conforto scoprire che i profeti della divisione tra ideale ed economia, tra ideale e politica, tra vita privata e vita pubblica devono proprio farsi l’esame di coscienza. Lo si capiva già prima, ma i cattolici e gli altri che teorizzavano questa divisione dovevano guardarsi intorno perché la storia è la realtà, la più grande maestra della verità e l’esperienza slovena dimostra proprio che amare innanzitutto l’ideale e amare solo questo, rende il centuplo, costruisce la libertà e un paese nuovo. Teorizzare divisioni fa stare con i vecchi comunisti. Questo secondo me è il primo insegnamento che bisognerebbe imparare anche in Italia. Il secondo è sul futuro. Non c’è più l’Europa dei governi, l’Europa del futuro e quella dei movimenti intesi come corpi sociali, più società meno stato, che non valgono nei singoli stati, ma valgono al di là degli stati. Per questo il nostro impegno è che questo non sia un incontro episodico, ma come un passato abbia un futuro, che tutti noi e soprattutto chi può continui questa collaborazione, la moltiplichi. Che dietro agli incontri di governo che, siano movimenti di persone, di uomini e anche di imprese che vivono di uomini che costruiscono una novità. Con questo impegno ci salutiamo. Grazie.