Domenica 26 agosto 1990, ore 15.00

GENTILE, LA CULTURA IDEALISTICA, IL FASCISMO

Presentazione del libro di Augusto Del Noce

Partecipano:

Adriano Bausola

Docente di Filosofia teoretica e Rettore dell’Università Cattolica di Milano

Rocco Buttiglione

Ordinario di Filosofia della politica presso l’Università di Teramo

Francesco Mercadante

Ordinario di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma

Vittorio Strada

Ordinario di Lingua e Letteratura russa presso l’Università di Venezia

Modera:

0norato Grassi

O. Grassi:

Buon pomeriggio a tutti. La scomparsa di Augusto Del Noce ha lasciato un vuoto in molti di noi, in molti uomini e nella cultura italiana ed europea, un vuoto affettivo per coloro che l'hanno avuto come maestro, come collega e come amico, e un vuoto intellettuale perché se n’è andato uno dei protagonisti della cultura filosofica e storico-politica di questo secolo. Gli organizzatori del Meeting, con quest’incontro, non vogliono ricordare solo questa figura di studioso e di attento interprete della realtà sociale, politica e culturale della nostra epoca, ma anche un maestro, una guida, un intellettuale che ha saputo tracciare una strada, formulare giudizi, indicare delle prospettive. Pensatore dalle grandi e acute intuizioni, Del Noce seppe infatti occuparsi dei fenomeni e delle linee di tendenza fondamentali della società occidentale senza conformismi, con una caratteristica capacità di coglierne i possibili sviluppi e di prevederne gli esiti. Ne sono la prova le conosciute analisi sul marxismo e le sue nuove interpretazioni della società tecnologica e del potere tecnocratico.(…)

L’incontro di oggi è dedicato all’ultimo libro che Del Noce ci ha lasciato: Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea. I relatori ci parleranno di questo testo, della figura di Del Noce, e del contributo che egli ha dato alla cultura italiana. Lascio la parola al professor Adriano Bausola.

A. Bausola

Tentare di sintetizzare un pensiero come quello di Del Noce è veramente un’impresa tremenda. Ogni pagina dei suoi libri è un incalzare di tesi, di collegamenti con altre prospettive, di lettura di intersezioni, di recuperi, di confronti critici di tale densità che l’idea di tentare una sia pure essenzialissima sintesi in pochi minuti veramente spaventa. Ma bisogna pure tentare di farlo e allora io assumerò una linea di lettura, tra le molte possibili, di un pensiero così ricco, incentrata sulla scelta radicale tra due opzioni fondamentali nell’esistenza: una è quella che potremmo dire, con termini che credo siano familiari anche a voi, pelagiana, molinistica e l’altra è quella che poggia su un’interpretazione dell’uomo come fondato su un creatore, con un rapporto con la grazia, che non si accontenta e non riconosce come fondamentale lo stato di natura naturale. Del Noce propone questa sua tesi della necessità di un’opzione soprattutto attraverso la lettura del pensiero moderno e contemporaneo che nella sua linea razionalistica sviluppa appunto la prima delle due opzioni fondamentali. La filosofia razionalistica, con Pascal, si propone come scommessa sulla naturale capacità dell’uomo di cambiare da solo radicalmente in meglio la storia. (…). Gli esseri finiti sono scaturiti dalla scissione dell’essere originario e devono espiare questa colpa ricomponendo l’unità. Il male perciò è radicalmente la finitezza del finito e la colpa è, in realtà, la stessa finitezza.

Secondo la Genesi biblica invece, il mondo è in se stesso buono perché creato da Dio e il male è conseguenza del peccato e perciò di un atto di libertà dal quale deriva uno status naturae lapsae. Del Noce ritiene che le filosofie di intonazione religiosa e trascendentistica nascano dall’opzione originaria per questa seconda prospettiva laddove quelle razionalistiche ateistiche optano per la prima.

Questa antitesi e la scelta conseguente sono diventate necessità esplicite nel pensiero moderno con Cartesio al quale Del Noce ha dedicato un grosso volume. A Cartesio Del Noce assegna un’importanza decisiva, perché egli avvia con una sua fondamentale ambiguità entrambe le linee di pensiero: quella religiosa e quella razionalistica. Cartesio, ponendo l’io nel cogito come principio di verità, avviava il processo di soggettivazione del reale che si sarebbe concluso nel realismo e attribuiva al soggetto la funzione di giudice, di principio autonomo di organizzazione della realtà senza bisogno dell'aiuto gratuito, libero, soprannaturale di Dio. Insieme però egli affermava l’assoluta libertà di Dio, Dio causa sui, Dio che crea se stesso, negava che Dio dovesse, creando, conformarsi a modelli in Lui presenti come idee archetipi, come verità eterne e perciò introduceva anche la possibilità del peccato come frutto della libertà dell'uomo e la possibilità della salvezza attraverso la grazia liberamente donata oltre l'opera naturale umana. Il molinismo che sosteneva la consociabilità, anche dopo il peccato, della natura pura dell'uomo era con questa seconda prospettiva negato.

La fiducia nell’uomo sibi commissus, cui ci si era inevitabilmente aperti in origine per opzione, divenne convinzione dell’inutilità di Dio per il processo di umanizzazione del mondo e da ultimo si fece esigenza che Dio non esistesse per consentire all'uomo di realizzarsi pienamente come autocreatore. La filosofia del soggetto autosufficiente divenne filosofia della prassi creatrice e dopo Hegel, nella consapevolezza che l’individuo singolo da solo non domina la storia, divenne scommessa sull’uomo sociale. (…). Siamo al marxismo il, quale, per Del Noce, realizza la perfezione del razionalismo ateistico. Il marxismo esplicita il carattere opzionale della proposta razionalistica perché chiede di essere giudicato dai risultati. Esso infatti è una scommessa che non è fondata su un’astratta teoria ma è progetto pratico. Il marxismo nel nostro secolo non ha solo conquistato tanti stati, ma anche il suo avversario borghese grazie al relativismo sociologico a base materialistica tipico della società opulenta. Per questo complesso di ragioni Del Noce considerava il marxismo la filosofia più rilevante del nostro secolo. Esso è filosofia dell’uomo sociale il quale nella classe domina la storia escludendo Dio; per Del Noce l’ateismo è essenziale al marxismo come progetto supremo del razionalismo dell’uomo autosufficiente. E si comprende come queste affermazioni in anni non troppo lontani abbiano suscitato delle violente reazioni nei confronti di Del Noce perché tanta parte della cultura anche cattolica tendeva viceversa a sottolineare, a sostenere proprio la divaricabilità, la separabilità del momento filosofico ateistico dalle analisi economiche e storiche di Marx. Del Noce si era aperto al pensiero marxista nel ‘42 perché aveva visto nel marxismo una potente alternativa all’idealismo allora dominante. Allora gli sembrava che anche la critica alla religione fosse utile perché si limitava a quella religione compromessa con il potere e con il mondo borghese. Il punto di partenza è dunque antitetico a quello che poi egli avrebbe così decisamente sostenuto in seguito. In questo primo momento egli seguiva una linea che anche Maritaine aveva in parte allora percorso e che avrebbe prodotto sul piano politico, nel corso della seconda guerra mondiale e subito dopo di essa, la sinistra cristiana. Ma Del Noce, a differenza ad esempio di Franco Rodano, abbandonò ben presto il progetto di un incontro tra marxismo e cristianesimo. Già nell'autunno del ‘44, quando Felice Balbo lo invitò ad aderire al movimento della sinistra cristiana, non gli parve accettabile l’abbassamento dell'etica sotto la politica e, in seguito, maturò la convinzione che l’ateismo era essenziale al marxismo. (…). Poiché le opzioni fondamentali sono solo due, quella religiosa e quella razionalistico ateistica, dal momento che la forma conclusiva e compiuta di questa seconda era fallita, divenne per Del Noce inevitabile ritornare alla prima. Di essa egli ha esplorato la storia della forma filosofica nell'età moderna e rispetto ad essa ha dichiarato la necessità di un ripensamento per un cimento con i problemi storici della società contemporanea.

All'interno di questa ricostruzione del pensiero moderno si colloca con particolare rilievo l’interpretazione di Giovanni Gentile. Per più di un aspetto la posizione gentiliana è molto distante da quella delnociana ma per altro verso ha anche qualche legame. C'è un legame che potremmo dire di carattere storico dialettico; Gentile è un filosofo terminale che porta alle estreme conseguenze tutto un fondamentale percorso del pensiero moderno, quello immanentistico celebratore del divenire contro l'essere. Ora questo processo mostra proprio nel suo filosofo più coerente, Gentile, le sue interne autocontraddizioni, il suo scacco. L’attualismo porta alle conseguenze estreme il principio di immanenza nella versione idealistica. Ed allora, dice Del Noce, se si giudicano insuperabili le sue difficoltà, esso può venire visto come autocritico rispetto all'intero pensiero idealistico moderno. Se l'inevitabile laicizzazione del pensiero viene messa in crisi dalla sua forma più perfetta che, per Del Noce, è quella attualistica, entra in crisi anche l'inevitabile processo di rifiuto della trascendenza, proprio della cultura contemporanea. (...). Gentile è importante per Del Noce anche perché ha portato alla lettura più tipicamente italiana del marxismo, quella gramsciana e perché ha dato il contributo più cospicuo alla sua necessaria decomposizione . Il suo merito sta nell'aver fatto vedere che il marxismo in quanto materialismo dialettico punta alla rivoluzione totale. Il Gentile di Del Noce, in altre parole, è persuaso che il materialismo deterministico, incapace di giustificare un'autentica dialettica, escluda la storia che è dialettica e perciò debba affidare la volontà della rivoluzione all'autocritica delle cose cara a Labriola, cioè a un rovesciamento oggettivo, totale delle cose. Secondo Gentile, le idee degli uomini portano al mutamento incessante ma non alla rivoluzione perché lo spirito, che è tutto, è divenire, è incessante superamento di ogni sua posizione. Proprio per questo, se non si accetta il materialismo, è necessario puntare su una rivoluzione totale che porti ad una realtà totalmente altra. Questo viceversa diventa necessario se si vuol cambiare l’esistente, là dove si ritenga che la realtà sia materia e l’uomo solo sensibilità. In questo caso il mutamento, se può accadere, può venire solo da un’autocrisi delle cose. Ma questo è per altro verso impossibile perché la materia è sottoposta a leggi necessarie e immutabili. Ecco la contraddizione di fondo del marxismo, l’ho voluta ricordare per dare un esempio di quelle autocontraddizioni nell'individuazione delle quali Del Noce è maestro.

O. Grassi:

Grazie al professor Bausola che ci ha dato un quadro interpretativo del pensiero di Del Noce, quanto mai opportuno e interessante. Passo la parola al professor Mercadante che ci illustrerà il libro su Giovanni Gentile.

F. Mercadante:

Questo libro, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, avrebbe potuto avere, Del Noce ci, aveva molto pensato, anche un altro titolo. Avrebbe potuto intitolarsi "Il paradigma italiano", perché Del Noce aveva destinato questa sua fatica immane degli ultimi anni, ad un ripensamento radicale della storia italiana di questo secolo, e quindi di tutte le giunture di questa storia con la grande tradizione filosofica del pensiero moderno e della filosofia classica.

C’era anche un'altra ipotesi di titolo: "Gentile ed il fascismo". Già dai titoli quindi, questa si annuncia un’opera non solo anticonformista, ma di sfida, perché dedicare un libro a Gentile ed al fascismo, è certamente una prova di grande indipendenza di pensiero. Ed infatti Del Noce avverte il suo lettore che questi saggi erano stati da lui già in gran parte pensati in epoca non recente, i più negli anni sessanta, ma non erano stati organizzati in una visione definitiva, perché né allora, né forse oggi, il discorso sul fascismo sarebbe stato quello che egli aveva da sempre in mente di fare, e cioè un discorso di pura interpretazione filosofica, che egli in genere amava definire un’età politica della storia contemporanea. (…).

Quest’opera ci mette davanti ad un pensatore di proporzioni grandissime: messo accanto a Gentile, in questo confronto potentissimo, formidabile, inesauribile, emerge un Del Noce che è suo pari e suo maggiore. Questo, prima della pubblicazione dei libro, lo sospettavamo, ed io lo dicevo ad Augusto, in confidenza, in privato, quando lui aveva tanto bisogno di sentirselo dire ma mi tappava la bocca, perché la sua signorilità e la sua modestia non erano finte, facevano parte della sua vera e non simulata filosofia. Ma quanti siamo stati in Italia a credere sinceramente, dimessamente, umilmente, nella grandezza di questo filosofo? E ciò in un'epoca in cui sembra vietato formulare anche questi giudizi, perché hanno attinenza col valore, non sono neutrali. (...).

Un altro aspetto non secondario, non trascurabile della grandezza di Del Noce è l’amore per i viventi. Egli è stato attaccato e attaccato anche insidiosamente per questa sua mania di Gentile; infatti il libro di cui stiamo parlando era annunciato con un flash in moltissimi suoi altri scritti. Egli ha sempre mantenuto questo giudizio su Gentile anche nell'epoca in cui nominarlo significava squalificarsi, si rischiava la commiserazione, o peggio, si rischiava di perdere un rapporto di amicizia pubblica e privata fra colleghi. Del Noce eleva questo monumento a Gentile perché si debbono ricostituire i nessi di una tradizione filosofica di lungo respiro che da Cartesio passa attraverso Malebranche fino a Vico e da Vico giunge a Gioberti, a Gentile e a Rosmini Naturalmente tutto questo Del Noce lo avrebbe articolato come discorso storico della filosofia che finalmente giungeva all'esito più desiderato di un travaglio speculativo durato oltre un cinquantennio. (...). In questo libro c’è anche il libro che Del Noce non ha avuto il tempo di scrivere, cioè c’è questa restituzione completa, argomentatissima di un titolo alla ripresa in considerazione di una tradizione italiana che in Gentile, comunque, aveva raggiunto un suo vertice.

Questo libro che egli non ha scritto finisce con l'essere una sua consegna. Noi non abbiamo più Del Noce, questo vuoto ci mette decisamente in crisi, ma sappiamo che ci vorranno anni di dedizione veramente appassionata per intendere adeguatamente che filosofo fosse il Del Noce che abbiamo avuto e che abbiamo perduto. Grazie.

O.Grassi:

Grazie al Prof. Mercadante per questo appassionato esame del rapporto fra Del Noce e Gentile. La parola adesso al prof. Vittorio Strada che si soffermerà principalmente sull'interpretazione del marxismo operata da Del Noce.

V. Strada:

E’ sul tema specifico ma essenziale del marxismo e del comunismo che avvenne il mio incontro personale con Del Noce, purtroppo con ritardo, soltanto quattro anni circa prima della sua scomparsa, incontro che diede origine ad una singolare e viva amicizia. Devo confessare di avere scoperto l’opera di Del Noce soltanto una decina di anni fa e di essere rimasto non soltanto colpito dalla originalità e dalla profondità del suo pensiero, ma anche da un’inaspettata affinità con la mia ricerca di storico della cultura russa e di studioso del marxismo. Seppi poi che anche Del Noce seguiva con generoso interesse la mia ricerca, trovandovi una convergenza di idee su alcuni fondamentali fenomeni della storia intellettuale contemporanea, come appunto il marxismo e più in generale il totalitarismo nelle sue varianti e vedendo in ciò una sorta di conferma storica, del tutto indipendente dalla sua filosofia, delle sue stesse ricerche e conclusioni. Questa affinità era tanto più sorprendente in quanto, non solo per età, ma per esperienza e formazione, tra noi c'era un ovvia differenza, in quanto le nostre idee sui problemi sopraddetti erano eccentriche rispetto alle tendenze diffuse, sia nella cultura laica sia in quella cattolica. Il nostro incontro e la nostra conoscenza quindi oltre a costituire per me un preziosissimo dono spirituale come può immaginare chi ha avuto la fortuna di conoscere personalmente Augusto Del Noce diede immediatamente luogo a quella che chiamerei un’amicizia intellettuale, una comprensione reciproca che nasceva da tanti punti di contatto più forti della inevitabile distanza e differenza. Una delle peculiarità dell’opera di Del Noce, anzi forse la sua originalità fondamentale sta nell'orientamento del pensiero filosofico verso la storia contemporanea, ponendo alla sua filosofia il compito grande di intendere la modernità sullo sfondo della tradizione e sull'apertura del futuro. Come studioso del marxismo e del comunismo, benché svolgesse un lavoro che più ancora che originale definirci singolare rispetto al conformismo della dominante cultura di sinistra degli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Del Noce mantenne sempre un tono di assoluta serenità, come si addice ad una ricerca filosofica di tanto valore. Pur essendo chiare e dirompenti le implicazioni politiche dei suoi studi sul comunismo e pur essendo egli stesso dotato di una viva e libera coscienza politica, i suoi studi su Marx e su Gramsci e, in generale, sul comunismo dimostrano un raro equilibrio anche formale, quasi il filosofo, pur comprendendo con lucidità quale fosse la posta in gioco, sapesse e volesse staccarsi da un impegno allora diffuso in forme deteriori, riconoscendo invece l’unico impegno degno di un pensatore: quello della responsabilità morale e intellettuale nella libertà della propria coscienza, una responsabilità e una libertà che in lui trovavano l’energia limpida e indistruttibile della fede. Anziché esporre ora in riassunto pagine di libri la cui ricchezza intellettuale mal si presta a rapide parafrasi, e lasciando la lettura di queste pagine alla felice scoperta di nuovi lettori, mi limiterò a dire come Del Noce vede lo sviluppo del comunismo marxista secondo un mio scenario di immaginazione, quasi si trattasse di un grande dramma in tre atti. Grande, preciso, perché indubbiamente il marxismo è stato un evento di straordinaria grandezza nella storia moderna, un evento che ne ha provocati infiniti altri e i cui effetti sono lungi dall'essere esauriti anche oggi quando la crisi del marxismo è a tutti evidente. Del Noce di questa grandezza del fenomeno marxista di cui egli è stato un cosi originale interprete, è ben consapevole poiché solo riconoscendo questa centralità del marxismo nel mondo moderno egli poteva arrivare così a fondo nella sua analisi. Ho parlato di un immaginario dramma in tre atti. Come in ogni dramma, bisogna prima identificare il protagonista, cioè il marxismo stesso intendendo per marxismo le idee di Marx. Dire che Del Noce definisce il marxismo in termini filosofici e religiosi può sembrare troppo generico e vago, mentre è proprio l'individuazione di questo piano di significati che costituisce la prima e già feconda novità dell'approccio di Del Noce al marxismo; novità relativa, come dirò tra breve, ma estremamente significativa. Trascurando tutta quella rete sottile di collegamenti, di associazioni storico-filosofico nel tessere la quale Del Noce è veramente maestro, rete che è però essenziale per dominare il fenomeno studiato, dirò soltanto che la rivoluzione operata da Marx è individuata nel rovesciamento stesso della filosofia in qualcosa che, prima di lui, dalla filosofia stava fuori e che ad essa si ricollegava estrinsecamente: la prassi, il concreto agire nella storia, il farsi della storia mediante l'agire umano. L'altra rivoluzione marxiana riguarda la religione che non viene più illuministica mente negata, ne teoricamente disalienata come in Feuerbach, ma essa stessa viene investita dal rovesciamento della filosofia in prassi e diventa oggetto di una nuova negazione pratica. La rivoluzione marxista non si limita ad uccidere astrattamente Dio o ad annunciarne la morte, ma arriva a prevedere e insieme a progettare, la fine stessa del bisogno e della ricerca di Dio secondo una nuova antropologia e un nuovo ateismo radicali.

Questa caratterizzazione del protagonista del dramma immaginario di cui sopra si è parlato, deve essere vista sullo sfondo di due altre caratterizzazioni del marxismo che sono anche oggi le più diffuse, l’una nella cultura laica, l’altra nella cultura cattolica. Entrambe queste caratterizzazioni si fondano sulla tesi secondo cui nel gran corpo del marxismo convivrebbero due anime, cioè secondo cui Marx sarebbe una sorta di Gianobifronte. Quali sono questi due presunti volti o aspetti del marxismo la cui individuazione permetterebbe di scindere poi uno dall'altro e di usare, per cosi dire, un Marx buono abbandonando l'altro cattivo o meno buono? Semplificando possiamo affermare che il revisionismo nel campo della cultura laica di tipo marxista distingue un Marx scienziato, un Marx cioè sociologo, economista, storico da un Marx diciamo visionario, utopista, profeta moralista. Questo secondo è caduco e ormai inattuale, mentre il primo resta più o meno vivo nel pensiero scientifico, naturalmente con tutta quella depurazione che ogni contributo scientifico deve subire nel confronto con i contributi successivi. Questa soluzione, oltre a creare il mito di un marxismo critico cui ognuno, attribuisce i contenuti più diversi, combinando idee di Marx con quelle di Freud, ad esempio, o con quelle di ogni "ismo" alla moda, questa soluzione, dicevo, ha il torto di ignorare e annullare la profonda unità e originalità del marxismo che Del Noce individua giustamente in termini filosofici e religiosi. Se quella che abbiamo visto è la versione laica della teoria dei due Marx, la sua versione religiosa, mentre respinge un Marx materialista e ateo e sarebbe la parte transeunte e meno autentica del marxismo, accoglie però lo stimolo dell'umanesimo marxista, la sua denuncia della profonda disumanità del mondo contemporaneo e ritiene possibile una traduzione cristiana di questa denuncia e anche una collaborazione con certe forze marxiste per sanare i mali della modernità capitalista. Identificazione che Del Noce fa del marxismo è, come si vede, antitetica sia alla versione laica che a quella religiosa della teoria delle due anime del marxismo e coglie invece l'unità e la novità della rivoluzione comunista marxiana vedendone anche l'insuperabilità in termini teoretici tradizionali cioè premarxiani: é, solo sul terreno della prassi, terreno proprio del marxismo, che è possibile una verifica e un eventuale superamento del marxismo stesso, superamento che Del Noce individua come autodissoluzione del marxismo e "suicidio della rivoluzione", ritorcendo contro il marxismo come anti-filosofia e contro-religione, la previsione che esso aveva fatto invece per la filosofia e per la religione. Ho detto prima che l'originalità dell’interpretazione delnociana del marxismo è relativa. Certo la sua novità è assoluta per il modo in cui è svolta ma si tratterebbe di un’interpretazione campata in aria se non trovasse il conforto di un’autointerpretazione da parte del marxismo stesso. La prima autointerpretazione è costituita ovviamente dai testi stessi di Marx che Del Noce sa far parlare egregiamente, ma altre autointepretazioni fondamentali sono quelle di Lenin e dei due più grandi leninisti occidentali, Lukacs e Gramsci.

Torniamo, per concludere, al nostro immaginario dramma in tre atti, di cui abbiamo bene individuato il protagonista. Il primo atto è quello della nascita e dello sviluppo di questo protagonista fino alla fine dello scorso secolo quando, come ho accennato, comincia l'attentato revisionista per così dire all’unità del marxismo. Si tratta di una vicenda che nei libri di Del Noce trova nuova e preziosa illuminazione. Il secondo atto è quello che si apre con il 1917 o anzi ancora prima con l'inizio della prima guerra mondiale che è una sorta di autodistruzione della cultura europea. Di questo atto il protagonista, il grande protagonista è Lenin e nella sua scia, poi, Stalin e tutto il comunismo internazionale. E' l'atto dell’autoverifica del marxismo, del passaggio dalla negazione radicale alla affermazione totale, vicenda straordinaria che oggi si apre al nostro sguardo retrospettivo in tutto il suo grandioso orrore. E vicenda tanto più complessa in quanto sulla scena entrano altri protagonisti, il fascismo e il nazismo, come risposte negative al comunismo, come una sorta di controrivoluzione rivoluzionaria. Infine il terzo atto è quello che stiamo vivendo. Per restare al marxismo, si assiste a quel suo autodissolvimento di cui tanto acutamente aveva parlato Del Noce. Il passaggio del marxismo da nichilismo a totalitarismo è stato fallimentare e il marxismo, là dove è stato preso sul serio e si è autorealizzato, si è trasformato in qualcosa che esso non aveva previsto e che si è dimostrato nichilismo puro, lasciando come eredità i residui e le rovine di un potere totale e sopravvivendo come pura volontà di potenza. Nella stessa radice del marxismo come antifilosofia e contro-religione, nel suo prometeico progetto di rinnovamento totale dell'umanità stanno le radici del suo fallimento che non è dovuto soltanto alle contingenze storiche.

Per arrivare a queste radici l'opera di Del Noce è di fondamentale aiuto. Essa è di aiuto anche per capire che dopo il fallimento grandioso del marxismo altri non meno gravi problemi sono aperti per l'umanità anche sul piano religioso, poiché la fine o l'agonia dell'ateismo marxiano della prassi e della conseguente ateocrazia comunista lascia il posto a quella che Del Noce chiama l'irreligione naturale della società del benessere. Ma questo è un altro problema, anch'esso centrale per Del Noce e per tutti noi, problema che, evidentemente, va oltre il programma in tre atti del marxismo sopra schematicamente delineato. Grazie.

O. Grassi:

Ringrazio anche Vittorio Strada per questa sua analisi certamente sintetica ma lucida dell'interpretazione che Del Noce ha dato del marxismo. Passiamo la parola all’ultimo relatore, Rocco Buttiglione, un allievo di Del Noce che ne ripercorrerà la figura, l'opera compiuta e forse quella che ci sarebbe ancora stata da compiere.

R Buttiglione:

Lasciate che io cominci dicendo due parole sull’uomo, l'uomo che molti di voi hanno conosciuto. Era un uomo semplice, segnato dall’amore alla verità ed al bene. Era un uomo che esprimeva una straordinaria simpatia per l’umano, quella simpatia che consente un dono così raro come quello di saper ascoltare. Uno dei primi ricordi che io ho della mia amicizia con lui risale a più di 20 anni fa, quando egli, uno dei maggiori filosofi italiani, era capace di passare ore ad ascoltare, e con l’intenzione di capire, l’esperienza che, confusamente, un ragazzo della mia età portava. Quando si ripercorrono i libri di Del Noce si è sempre colpiti da un dato: Del Noce è un uomo che ha la capacità di leggere dall’interno posizioni che gli sono estremamente lontane, ciò significa aver condiviso la speranza, il dolore, il desiderio dell'uomo che ha formulato quelle posizioni e aver sceverato dall’interno ciò che di questo desiderio e dolore effettivamente corrisponde alla realtà e alla verità e ciò che invece è travisamento di un desiderio originario o cedimento. In termini metodologici, le analisi di Del Noce sono sempre analisi genetiche. Un pensiero è identificato non attraverso una catena di proposizioni, ma attraverso lo svolgi mento di un principio e questo è la traduzione metodologica di un atteggiamento umano, la volontà di capire e la capacità di ascoltare senza permettere che pregiudizi o certezze, troppo facilmente date per acquisite, impediscano l’ascolto. In questo modo, quando arriva l’argomentazione critica, essa coglie nel segno, perché chi la ascolta non può non riconoscerne la verità, non può non rivedere in essa il proprio itinerario ripercorso e fedelmente ritratto. Questa simpatia per l’umano e insieme l’intransigenza della verità, ha portato Del Noce a percorrere un cammino solitario, un cammino che egli ha vissuto con sofferenza perché era un uomo che desiderava la compagnia, ma non l'accettava a prezzo della rinuncia alla verità. La convinzione della presenza della verità nella vita e nella storia come ciò a cui ci si deve orientare, come voce a cui è impossibile non obbedire, scaturisce da un fondo profondamente platonico, platonico cristiano, agostiniano, del pensiero di Del Noce. Tanto è vero che ultimamente egli definiva il totalitarismo come negazione dell'idea di verità. Se l'uomo non ammette più la verità oggettiva che egli deve riconoscere, se non ammette più un giudizio oggettivo a cui si deve commisurare, è abbandonato al proprio arbitrio, fa la verità; ma l’uomo che fa la verità non conosce limiti nel proprio desiderio di potere. Se noi definiamo il totalitarismo come negazione dell’idea di verità, vediamo come già all'inizio dell'itinerario filosofico delnociano sia presente l’ultima conseguenza a cui egli è giunto e a cui ha fatto riferimento Strada: è una forma di totalitarismo il comunismo, è una forma di totalitarismo il fascismo, ma lo è anche una società tecnologica e permissiva la quale non riconosce più la verità e pratica non il nichilismo e la volontà di potenza dei grandi agglomerati, ma il nichilismo e la volontà di potenza dell'individuo, del singolo definito unicamente dalla rincorsa del piacere individuale. Veniamo al pensiero. C’è un'assoluta originalità al centro della filosofia di Del Noce ed è l'assenza del problema metafisico dell'esistenza di Dio. Al centro della filosofia di Del Noce c'è invece il problema di riconoscere se l’uomo sia un essere bisognoso di Dio. Un problema antropologico e, al tempo stesso, teologico perché, se l'uomo sente il bisogno di Dio, ha senso che egli si metta a scrutare nella storia i segni di un Dio che gli viene incontro. Nel caso contrario, diventa indifferente sapere se Dio esiste, è una pura questione filosofica nel senso cattivo del termine, interessante solo per gli addetti ai lavori. Se l’uomo vive una condizione originaria di scissione, di contraddizione se vive un amore impossibile per una grandezza e una bellezza che intuisce ma che non può conseguire, allora il senso della vita è la ricerca dell’aiuto che gli permette di conseguire quella grandezza e quella bellezza. Da questo punto di vista allora anche il problema dell'ateismo cambia di valenza, diventa non problema teoretico ma problema pratico, diventa il problema fondamentale dell'esistenza dell’individuo e anche della vita delle nazioni.

Fondamentalmente le posizioni filosofiche possibili sono due, come è stato molto bene richiamato dal professor Bausola- la prima afferma che l’uomo non ha bisogno di salvezza. La morte, il male, la sofferenza sono il debito che egli deve pagare perché è un essere finito. L'altra posizione possibile afferma che l'amore, il desiderio di felicità non possono essere un puro nulla che merita di morire nel cammino della storia. L’uomo che vive il desiderio di non morire, il desiderio di vivere, l’uomo che non riesce ad accettare che il nulla sia la sua ultima parola, anche se non crede, è alla ricerca di Dio, perché comprende se stesso come bisogno, non è un fariseo. L’altra posizione, anche se afferma che Dio esiste, finisce per affermarlo con una modalità farisaica.

Nella storia della filosofia queste due posizioni sono sempre esistite, ma la posizione religiosa è sempre stata più forte, perché l'uomo non accetta di morire. Ad un certo punto però, e questo introduce l'epoca dell'ateismo, la prima posizione, che ha la sua origine in Anassimandro, subisce un particolare capovolgimento. Non si dice più che l'uomo merita di morire, si dice invece che egli può non morire, che è possibile realizzare il suo desiderio attraverso la sua forza e la sua azione nella storia. Il marxismo è il punto d'arrivo di questo capovolgimento, è la scommessa che la felicità è possibile anche se Dio non esiste, anzi, proprio perché Dio non esiste e l’uomo, quindi, può costruire il mondo con le sue mani.

Davanti ad una simile posizione, il problema filosofico diventa politico. t l'azione storica che prova la verità o la falsità di questa pretesa, non c'è un altro modo. La filosofia allora diventa politica, e Del Noce diventa filosofo politico per ripercorrere e ricomprendere il movimento dell'ateismo nell'epoca moderna e per contraddire questa posizione non solo con una filosofia, ma con una politica. Del Noce avverte la necessità imprescindibile del superamento della sfera meramente teorica: non basta che una filosofia sia teoricamente vera, una filosofia come quella che Del Noce propone, può vivere solo se arriva davvero un aiuto dall'alto, solo se davvero c'è una salvezza che mi viene incontro, perché senza la rivelazione, diventa inevitabile lasciarsi illudere dai profeti di questo mondo.

Credo che in questa chiave dobbiamo intendere anche il libro su Giovanni Gentile; io ne individuerò soltanto un taglio di lettura tra i tanti che sarebbero necessari. Gentile ha tentato di costruire una sintesi tra cattolicesimo e marxismo separandoli entrambi dall'idea di verità. Da questo punto di vista Gentile è il culmine del modernismo cattolico.

Nel caso di Marx, Gentile ha separato il momento dialettico dal materialismo: non è più la materia che si evolve, è invece lo spirito umano che si sviluppa contraddicendosi e creando un mondo nuovo spirituale. Nel caso del cristianesimo ha separato la scoperta della presenza di Dio nell'interiorità dell'uomo, dal momento della oggettività di Dio ed ha paradossalmente ottenuto un cattolicesimo senza verità.

Per questo suo tentativo di realizzare una sintesi che porta alle estreme conseguenze il movimento della filosofia moderna, Gentile è un filosofo grandissimo ma, al tempo stesso, completamente fallito. Gentile, pur così grande, non riesce perché quella sintesi è impossibile.

Il fallimento di Gentile, secondo Del Noce, ci rimanda a tre autori: il primo è sicuramente Etienne Gilson, che può essere considerato l’anti-Gentile perché riformula il pensiero dell'essere in un modo rigorosamente conseguente che gli impedisce di cedere a qualunque mediazione con la filosofia moderna della soggettività; in altre parole Gilson ci offre un concetto di ragione non come creazione di teoria ma come apertura all’essere, secondo un concetto di S. Tommaso che costituisce l'esatta antitesi al pensiero di Gentile e impedisce il riassorbimento dei cattolicesimo nella sintesi gentiliana. Un altro autore egualmente importante nel pensiero di Del Noce è Cestov, perché, con la sua riduzione della filosofia a biografia, (aspetto che naturalmente Del Noce non accetta in toto) lo induce a formulare questa tesi: "la metafisica è quel pensiero che nessuno può formulare per me" Ne consegue un’oggettività della metafisica che, al tempo stesso, è necessità che questa oggettività sia assolutamente soggettiva, che venga riscoperta dall'interno di ogni singolo soggetto, in ogni singola epoca storica. Il terzo autore è Rosmini, il filosofo che più di tutti ha capito l’unità di oggettività assoluta e di totale soggettività nel cattolicesimo, un cammino che trova l'essere nel cuore del soggetto. Lasciate che io concluda citando il nome di un altro amico di Del Noce: Mons. Luigi Giussani. Sempre più, nel corso della sua esperienza, Del Noce è venuto guardando al movimento nato dalla vita di Mons. Luigi Giussani proprio come alla realizzazione provvidenziale, in un’esperienza educativa concreta nella storia, di quel riguadagnare l'oggettività assoluta di Dio a partire dalla immediatezza dell'esperienza personale dell'uomo di oggi. Quest'esperienza mostra nei fatti che non esiste l’uomo moderno che non ha bisogno di Dio, esiste sempre e solo un unico uomo, in forme storicamente diverse, e il segreto del suo cuore lo possiede soltanto colui che lo ha fatto. Grazie.

O.Grassi:

Grazie anche a Buttiglione. Passiamo ora al secondo momento previsto in cui i relatori, se vogliono, possono fare precisazioni o ulteriori domande.

V. Strada:

Vorrei fare soltanto una breve riflessione su un problema che mi è stato posto dalla relazione del prof. Buttiglione e di cui avrei già voluto parlare con Del Noce se avessi avuto la fortuna di discutere con lui un aspetto del suo ultimo pensiero che suscitava in me qualche perplessità, forse semplicemente terminologica, ma che può avere conseguenze intellettuali e politiche notevoli. Giustamente il prof. Buttiglione ha ricordato la splendida definizione di Del Noce secondo cui il misconoscimento il rifiuto della verità può costituire l'elemento basilare, unificante di tutti i totalitarismi che sono stati elencati nel comunismo, nel fascismo e nella società cosiddetta opulenta, del benessere, tecnocratica, comunque la si voglia chiamare.

Del Noce è estremamente chiaro quando parla del secondo totalitarismo, del fascismo e ben lo distingue dal nazismo, mentre la terminologia corrente li unifica. Sappiamo benissimo che il totalitarismo reale è stato il nazismo, mentre il fascismo, benché non sia stato una cosa gradevole, è stato un semi-totalitarismo, un totalitarismo mancato. Questo, a scanso di equivoci, non riabilita minimamente il fascismo ma opera una distinzione necessaria. Se però; nel concetto generale di totalitarismo, unificassimo nazismo e comunismo, commetteremmo un errore imperdonabile dal punto di vista storico perché confonderemmo due fenomeni così radicalmente diversi per la loro cultura e per le loro radici storiche. Quindi se il concetto di totalitarismo viene assunto in termini astrattamente teoreticistici e perde la sua concretezza storica, diventa un concetto inoperante e tutto sommato pericoloso, perché non permette di arrivare anche a quelle distinzioni che sono necessarie nell'unità. Credo comunque che su questo punto un accordo tra noi ci sia. Ciò che invece mi lascia più perplesso è mettere la società tecnologica come totalitarismo nello stesso sacco in cui si trovano nazismo, comunismo e stalinismo in modo particolare. Noi sappiamo benissimo quali pericoli, quali contraddizioni enormi, quali minacce, quali soffocamenti abbia in sé la società tecnologica, ma mi sembra storicamente, (io parlo come storico e politico), non accettabile, pericoloso, confusionario stabilire questa equipollenza tra lo stalinismo, il nazismo e la società tecnologica in quanto tale, in tutte le sue varianti, anche in quelle di un capitalismo democratico nel quale pur viviamo e che certamente ci presenta dei lati oscuri e tenebrosi, ma che, in base al buon senso, non possiamo mettere sullo stesso piano della società dei gulag, dei lager di Auschwitz e dei campi staliniani; sarebbe un assurdo! Si tratta allora di trovare una più differenziata, più complessa definizione e anche un'analisi storico-teorica, critico-storica del fenomeno del totalitarismo che ci permetta di operare quelle distinzioni che sono tanto importanti quanto l'orizzonte unitario che noi stabiliamo tra fenomeni diversi, altrimenti il concetto di totalitarismo diventa una specie di pupazzo, un'impastatrice di fenomeni in cui tutto si annulla e tutto si confonde. Noi invece non dobbiamo confondere e annullare le differenze per una ragione intellettuale, concettuale, naturalmente, ma anche per una ragione etico politica perché la confusione del concetto ci impedisce poi l'analisi concreta dei fenomeni e quindi l'azione e la valutazione critica dei fenomeni stessi e l'azione politica verso e all'interno di quei fenomeni. Questo pericolo è già stato corso e attuato anni fa da un pensatore tutt'altro che trascurabile, ma per certi aspetti anche così degno di critica, anzi di profonda critica: Marcuse. Quel suo modo di unificare tutto in un male indistinto, in un inferno che è quello del mondo contemporaneo al quale Marcuse contrapponeva il paradiso della liberazione, senza neanche un purgatorio, senza fare nessuna distinzione, mi sembra inaccettabile, e sappiamo benissimo quali conseguenze questo tipo di mentalità, questa confusione concettuale abbia operato sia nella pratica, sia come inquinamento delle menti e degli animi anche del nostro paese, dove la moda del marcusismo ha avuto grande diffusione. Mi sembrava che nell'ultimo Del Noce ci fosse qualche cosa di più di un’estensione terminologica del termine di totalitarismo a tutto, anche al presente, ma che ci fosse forse una punta di marcusismo che io sinceramente non accetterei e che, sono convinto, un pensatore della grandezza, del livello di Del Noce non poteva neppure lui accettare anche se tutti riconosciamo i meriti soprattutto del primo Marcuse. Ecco, io volevo mettere in guardia contro questa possibile confusione.

R. Buttiglione:

Una precisazione. Tutti sappiamo quanto Del Noce amasse le distinzioni e come avesse il gusto dell’analisi precisa e concreta del fenomeno concreto e determinato; in questo senso era proprio un figlio della cultura crociana, era un uomo dei distinti, quindi certamente non merita il rimprovero di aver messo tutte le erbe in un fascio, anche se il suo pensiero su questo punto era un pensiero in movimento perché seguiva una realtà in movimento.

Del Noce usava affermare che il nazismo e il comunismo sono tutti e due fenomeni totali rari e tuttavia diversissimi perché l'uno è il ricalco dell'altro, ma a rovescio; hanno cioè la medesima struttura formale ma riempita sistematicamente di contenuti opposti: al mito scientista dell'economia si sostituisce il mito scientista biologico, quindi alla classe la razza. Il fascismo, secondo Del Noce, era invece un semi-totalitarismo, un totalitarismo incompiuto, non riuscito, bloccato nel processo del suo sviluppo. Egli distingueva però due fasi nello sviluppo del totalitarismo: una prima fase in cui il totalitarismo si presenta ancora con una modalità religiosa, quindi si pone il problema di costituire un’unità sociale e utilizza le solidarietà preesistenti o di classe o di nazione; una seconda fase in cui il totalitarismo si presenta senza più questa connotazione religiosa, ma come nichilismo dell'individuo, negazione dell'idea di verità al servizio non della volontà di potenza della totalità statuale, ma al servizio della volontà di godimento dell'individuo isolato. Del Noce non avrebbe mai negato che tra queste due forme di totalitarismo esistano delle differenze assolute e sarebbe stato totalmente d'accordo sul fatto che questo secondo tipo di totalitarismo non potesse essere combattuto con le armi con cui si è combattuto il primo tipo. Era anche convinto che questo secondo tipo di totalitarismo potesse consentire l'esistenza di strutture politiche giuste o comunque relativamente giuste (perché Del Noce era sempre un po' pessimista) perché riteneva che il livello dell'attacco fosse un altro: il livello della costituzione del soggetto individuale. Ma allora come si lotta contro questo secondo tipo di totalitarismo che domina gli uomini non perché li minaccia o li opprime, ma perché ne impedisce la formazione dell'autocoscienza? Questo è il problema che Del Noce ha formulato, non l'ha risolto, ma credo che nel formularlo non abbia fatto di ogni erba un fascio, perché sicuramente ha individuato la specificità del problema e quindi ha impedito qualunque semplificazione. La specificità di questo tipo di totalitarismo mostra che il livello decisivo dello scontro non è quello istituzionale, ma fondamentalmente quello culturale.

F. Mercadante:

Vorrei fare una precisazione proprio in sede filologica. A proposito della legittima perplessità di Strada, che riflette poi le critiche che Colletti ha costantemente rivolto a Del Noce, anche se con grande amicizia e rispetto, bisogna chiarire che forse la società tecnologica dovrebbe essere interpretata alla luce di un'altra categoria sulla quale egli ha molto insistito : quella di líbertarismo, di democrazia licenziosa, il che - intendiamoci bene - non gli fece mai pronunciare giudizi di equiparazione di campi. Quindi sulla questione della libertà, del mondo occidentale le sue osservazioni (qualcuno ha richiamato giustamente Pasolini) erano caso mai rivolte all'analisi di quel fenomeno non certo totalitario che egli per lungo tempo ha chiamato irreligione naturale.

V. Strada:

Solo due brevissime parole per affermare che ringrazio i colleghi che hanno dato queste precisazioni con cui sono sostanzialmente d'accordo. Naturalmente il mio non era un appunto, e mi sembrava fosse chiaro, al pensiero di Del Noce, un pensiero in movimento, un pensiero purtroppo incompiuto, come tutti i pensieri umani, ma piuttosto una precisazione riguardo ad una possibile confusione terminologica, confusione che avrebbe conseguenze politiche oltre che intellettuali. Secondo me varrebbe la pena trovare un nuovo termine, che non ho a disposizione, per designare questo nuovo fenomeno di assolutismo libertaristico col quale avremo a che fare nei prossimi anni dopo l’avvenuta caduta dell'utopia, del mito o della contro religione marxista. Quindi la diagnosi di Del Noce è di estrema lucidità, di estremo aiuto.

O. Grassi:

Su questa precisazione di Strada siamo tutti d'accordo e io concluderei ricordando a tutti noi che Del Noce negli ultimi anni della sua vita ha apprezzato quell'esperienza che ha dato origine, per esempio, al Meeting di Rimini. Sapere che una persona della sua levatura ha stimato questa esperienza e l'ha saputa riconoscere come valida e interessante non solo per la sua esistenza, ma per il pensiero stesso che lui andava formulando, investe tutti noi di una responsabilità ancora più alta è più profonda.